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ESERCITAZIONE PRIMA PROVA MATURITA' ELABORAZIONE DI UN SAGGIO BREVE
ARGOMENTO: E' ancora possibile la poesia nella società delle comunicazioni di massa?
Destinatario: "Il Sole 24 ore- speciale della domenica inserto "Cultura e società"
"La società dei mass media ha ucciso la poesia?"
Ormai oltrepassata la soglia del ventesimo secolo, una nuova realtà, sviluppatasi nel corso del novecento, si è ormai dichiarata davanti all'uomo moderno.
Così in poco più di un secolo ci siamo ritrovati a convivere con una nuova era da noi stessi amabilmente costruita. La nostra è l'età della tecnologia, del più esasperato sviluppo dei mass media e dello spettacolo, un'era in cui l'artificiale e il superficiale si sostituiscono a quella semplicità gelosamente custodita dalle nostre tradizioni. E' in questa nuova epoca che la penna si è estinta di fronte ai computer e che le nostre preziose tradizioni letterarie si sono ritrovate sconfitte di fronte al grande impero dei mass media.
Di fronte a questa realtà ci poniamo una domanda:
"Questa nostra società fondata sui mezzi di comunicazione di massa ha determinato la morte della poesia?"
Da questo punto di vista molti contemporanei hanno offerto la loro opinione dalle quali possiamo trovare numerosi spunti di riflessione.Tra i numerosi articoli notiamo subito una decisa contrapposizione tra i pensieri di due scrittori, un'antitesi interessantissima che pone a confronto il mondo dei giovani e quello degli anziani nel loro rapporto con la poesia.
Nell'articolo di M. Gramellini "I versi della nonna", lo scrittore parla infatti di un concorso di poesia per anziani organizzato a Milano. Gramellini evidenzia la gioia di sapere che vi sono numerosi anziani che si dedicano alla poesia, ma, allo stesso tempo, la rabbia di realizzare che sono quasi costretti a farlo in quanto il mondo non li ascolta più. Riscontriamo nelle sue parole la negativa visione del mondo moderno, che non solo estrania la poesia, ma anche gli anziani, i saggi per eccellenza che sono cresciuti con quei sacri valori ormai dissolti. Da queste parole se ne trae una condanna verso la modernità, verso una società sempre più in declino che diventa la tomba della poesia e di tutte le grandi tradizioni.
Parlando in questi termini l'autore dichiara praticamente morta la poesia, la quale si riduce ad essere esclusivamente un mezzo espressivo del passato, rappresentato dagli anziani.
Nel suo articolo "Il destino della poesia nella società moderna", quasi in modo antitetico, M.Cucchi prende ottimisticamente le difese della nostra civiltà e dei giovani che vi crescono. Egli, infatti, esordisce con le seguenti parole:" La società-spettacolo non vuole cancellare la nobile funzione della poesia, perché sa che ne avrebbe un ritorno d'immagine negativo."Secondo lo scrittore, quindi, la società non vuole distruggere la poesia poiché ne comprende la sua vitale importanza, ma tende, in un certo senso, a nasconderla.
In ogni caso, però, sebbene occultata dai media, la poesia continua a vivere negli animi dei più giovani che se ne interessano sempre più. Citando le parole di Cucchi: "sono loro il futuro della poesia".
Abbandonando questa sfaccettatura sull'argomento ci posizioniamo su testimonianze che appaiono ben più critiche nei confronti di questa società, presunta attentatrice della poesia
A tal proposito esaminiamo un' importante testimonianza offerta da un'icona della poesia italiana: Eugenio Montale. Nel suo discorso tenuto all'Accademia di Svezia nel 1975, il letterato prende una posizione decisa di fronte a tale problematica, non nascondendo la sua critica nei confronti di questo mondo. Egli infatti afferma che le arti, immerse in questo scenario nel quale le comunicazioni di massa sono protagoniste, tendono a perdere la loro identità. Inoltre, l'assidua presenza dei mass media nella nostra vita ha determinato l'annientamento di consuetudini importantissime come la riflessione e la solitudine e quindi, in un certo senso, anche al cambiamento di una mentalità che ora si fonda sull'immediatezza dei fatti e che l'artista è portato a seguire.
Al termine del discorso, infine, Montale pone una domanda: "In tale paesaggio di esibizionismo isterico quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia?"
Esibizionismo isterico.è proprio questo che caratterizza la nostra società secondo Montale. E dopotutto in un'epoca in cui il culto del trash, del denaro e della moda valgono di più dei veri valori, come non si potrebbe parlare di esibizionismo?
Di una mentalità ormai morta ne parla anche S.Vassalli, autore dell'articolo "Il declino del vate". Secondo lo scrittore, infatti, la poesia è ormai un genere decaduto, non tanto poiché diventata "popolare", in quanto lo è sempre stata, ma perché è venuta ormai a mancare quella mentalità basata sui grandi valori che la poesia diffondeva.La sua testimonianza si identifica quindi su una condanna generale che sentenzia indirettamente questa società delle comunicazioni di massa dichiarando la morte di una mentalità. Il suo è quasi un' atteggiamento rassegnato di fronte a questa situazione, tanto che dichiara "la fine di un capitolo della storia umana".
Più aggressivo e combattivo si presenta invece G.Conte nel suo articolo "Ma la poesia non deve essere sempre popolare".
Egli sostiene che la poesia non può mai morire del tutto poiché se ciò avvenisse "non sarebbe un capitolo della storia umana a chiudersi, ma sarebbe l'umanità stessa a cambiare". Inoltre lo scrittore insiste nel condannare coloro che attentano alla vita della poesia quasi smitizzando questo luogo comune della società "assassina". I responsabili non sono la gente comune e quindi la società in generale, ma coloro che alimentano questi falsi valori, ormai protagonisti del nostro mondo. La poesia non si mescola tra il denaro, l'esibizionismo e la corruzione, essa va ben oltre. Essa è, secondo Conte, "un valore universale" che non può convivere con una "popolarità" fondata su questi presupposti e che non riuscirà ad ucciderla.
Quasi paradossalmente, però, allo stesso tempo, è proprio questa società "degenerata" a salvare ciò che rimane della poesia. Il caso presentatoci dall'articolo già citato "I versi della nonna" di Gramellini ne fa testimonianza. La casa farmaceutica che produce il Prozac, un' antidepressivo, ha infatti devoluto cento milioni di dollari in favore di una rivista di poesia che rischiava la chiusura. Il commento quasi sarcastico dell'autore ci offre uno spunto di riflessione.
"E' infatti un segno del destino che il denaro speso per gli antidepressivi sia andato a finanziare la più antica e ignorata medicina contro l'angoscia?"
Forse non necessariamente la presenza dei mass media distrugge la poesia.Forse è ancora possibile una convivenza tra questi due aspetti.
E' certo, però, che la sopravvivenza della poesia sia soprattutto determinata dall'impegno individuale nel mantenerla viva in ognuno di noi. A tal proposito si schierano G. Roboni e C. Fruttero, i quali, rispettivamente negli articoli "La poesia?si vende ma non si dice" e "L'indice di Borges", sostengono la necessità di coltivare la poesia individualmente.
Nel suo articolo Roboni scrive: "la poesia è una possibilità che si avvera soltanto nella mente di ogni singolo destinatario; tutto il resto, la "popolarità", il "ruolo sociale" ecc.appartiene alla sfera delle conseguenze." . A sua opinione, quindi, l'impopolarità della poesia nella società moderna è più una conseguenza che una causa; questa infatti è imputabile solo ad ogni singolo individuo che cessa di coltivare in se la poesia.
Dello stesso avviso è anche C.Fruttero il quale ritiene che le poesie siano "lingotti.magari approssimativi nella memoria ma emotivamente indistruttibili che ognuno se li deve mantenere da sé.".La poesia è vista quindi come un tesoro prezioso che ognuno deve custodire in sé;inoltre, citando le sue parole quei versi tanto odiosamente imparati a memoria a scuola sono spiragli aperti per un attimo su un mondo parallelo che esclude merendine e play-station".
Concludendo, dopo aver ascoltato tali opinioni, riproponiamoci la solita domanda: la nostra società ha veramente ucciso la poesia, l'abbiamo uccisa noi stessi oppure essa continua a vivere, anche se silenziosamente, accanto a noi?
Non esiste una risposta matematica; ognuno la deve trovare in se stesso.
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