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Nei Discorsi si ritrova la tendenza ad individuare nei singoli fatti una legge costante, a confrontare il presente con il passato per illuminarli a vicenda e a cercare in certe azioni umane un esemplare di tecnica, tendenza che predomina in tutte le opere dell'esilio.
I Discorsi nascono infatti (come il Principe, L'arte della guerra, La Mandragola) negli anni di vita all'Albergaccio; realizzati a più riprese tra il 1513 ed il '19, vengono portati a compimento dopo la stesura del Principe; essi risultano delle meditazioni che l'esule veniva di quando in quando a leggere in Firenze agli amici radunati negli Orti Oricellari (cioè nei giardini di casa Rucellai) e che egli poi raccoglie e ordina in tre libri.
Il primo libro è dedicato alle "deliberazioni fatte dai romani, pertinenti al di dentro della città" (politica interna); sono fondamentali i capitoli in cui egli mette in rilievo che la disunione del Senato e della plebe di Roma, anziché essere origine di male, fu causa della prima grandezza della repubblica (III-IV); quelli in cui viene affermata l'assoluta necessità della religione per la vita politica (XI-XIV) e quelli nei quali è sostenuta la maggiore saggezza e costanza del popolo rispetto al principe (XXIX-LVIII).
Il secondo libro concerne le deliberazioni che il popolo romano prese in ordine "allo sgomento dello imperio suo" (politica estera); è interessante il quadro comparativo, fatto nel "proemio" tra i tempi antichi e quelli presenti con l'amara constatazione che "la virtù che allora regnava ed il vizio che ora regna sono più chiari che il sole"; segue, nel capitolo I, il riconoscimento dell'importanza del valore, più che della fortuna, nella formazione dell'Impero romano, e il ripudio della generale opinione che il nerbo della guerra sia il denaro e non l'armi: "l'oro non è sufficiente a trovare buoni soldati, ma i buoni soldati sono bene sufficienti a trovare l'oro" (X).
Il terzo libro è infine di argomento misto: vengono riprese questioni di politica estera ed interna, ma esso tratta più ampiamente problemi militari.
Vi è esposta inoltre la necessità, per una repubblica o un regno o una setta, che voglia durare a lungo, di tornare "spesso verso il suo principio", cioè alla forza iniziale da cui ha tratto origine (I).
Con i Discorsi si passa quindi dalla concezione dello Stato opera di un solo individuo, alla concezione dello Stato opera della collettività. Alla politica militare subentra ora una politica teorica che rappresenta l'evoluzione della prima e non è con essa in contraddizione.
Non viene più posto in rilievo il contrasto tra virtù e Fortuna, cui fa da elemento mediatore l'occasione, ma la "virtù" del popolo che non esclude quella individuale, e che viene spersonalizzata e identificata nella "virtù" delle leggi, dell'educazione, della religione (considerata però solo in funzione del suo valore politico e sociale).
Ne risulta una visione più equilibrata e più serena di quei motivi che nel Principe erano stati portati alle conseguenze estreme, animati com'erano da una eccessiva passionalità patria.
Nei Discorsi Machiavelli sostituisce all'iniziale preoccupazione del "come si debba creare uno stato" quella del "come lo si debba conservare": gli stati non possono raggiungere e mantenere la loro continuità senza precise regole di governo, perché la loro vita sarebbe legata alla virtù di un solo uomo, che potrebbe venire a mancare per varie ragioni (non esclusa la morte).
Al Machiavelli politico "puro" si sostituisce così il Machiavelli "educatore" politico, impegnato nella ricerca di regole e principi di validità universale.
Il proposito denunciato nell'introduzione al primo libro si colloca appieno nella cultura rinascimentale: come gli altri appresero dagli antichi l'arte della scultura, la scienza del diritto o della medicina, egli vuol trarre dagli antichi una scienza nuova, quella politica. Il suo intento è quello di estrarre dai singoli eventi una legge costante, fondata sulla psiche umana che, come la natura fisica, è immutabile nel suo operare; trovata tale legge bisogna poi sapersene servire per piegare al proprio disegno gli eventi: è questo il nuovo modo di leggere la storia proposta dal Machiavelli.
Rifacendosi così all'ansia di rinnovamento, divenuta una delle istanze del Rinascimento, egli accetta come assioma il processo di avvicendamento degli Stati, al pari di ogni organismo umano o animale, tra periodi di prosperità e periodi di decadenza, più rapidi o più lenti questi ultimi in proporzione dei buoni o cattivi "ordini"; giudica così che la via più sicura per raggiungere tempestivamente l'eliminazione dei mali che minacciano lo Stato, sia quella di rifarsi all'osservanza di quei buoni costumi che erano stati alla base della politica del popolo romano e che si erano poi "guastati" con il passar del tempo.
Ai Discorsi manca l'incisività del periodare del Principe, il carattere tecnico e scientifico dell'opera porta a una maggiore pacatezza di tono. La forma scelta, che è quella di commento al testo liviano, crea un'apparente disorganicità di pensiero: questa è però solo esteriore e non intacca la rigorosità del ragionamento, ma è anche vero che contrasta con la formale unitarietà e organicità di trattazione del capolavoro.
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