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La coscienza di Zeno
Quando apparve sulla scena letteraria, nel 1923, La coscienza di Zeno trovò un'Italia ancora impreparata ad accogliere un testo che, nella struttura, si mostrava assai diverso, sia dai primi due romanzi sveviani (Una vita e Senilità) che dai canoni della tradizione letteraria italiana. I motivi di questo distacco erano assolutamente comprensibili; a spiegarli sarebbe bastata la menzione dello sconvolgimento apportato alla società dall'onda anomala del conflitto mondiale e l'adesione, da parte di Svevo, a correnti filosofiche che non erano più quelle positiviste. Tuttavia, la causa dell'incomprensione e della diffidenza di pubblico e critica rispetto alle opere dello scrittore derivava soprattutto dal fatto che egli, aperto ad una cultura che oltrepassava i confini del nostro Paese, avesse uno stile originale e personalissimo, che il mondo letterario italiano non solo non riusciva a capire e far proprio, ma che, anzi, definiva come uno «scriver male».
Ne La coscienza di Zeno, Svevo abbandona lo schema ottocentesco del romanzo raccontato da un narratore estraneo alla vicenda e fa sì che la sola voce che il lettore immagini di ascoltare sia quella del nuovo «inetto»: Zeno Cosini. Invitato a farlo dal proprio psicanalista, Zeno si cimenta nella stesura di un memoriale, una sorta di confessione autobiografica a scopo terapeutico; quando decide di interrompere la cura, il protagonista scatena l'indignazione del dottor S., il quale, in una lettera che costituisce la prefazione al romanzo, dichiara la volontà di pubblicare lo scritto di Zeno per vendicarsi della truffa subita dallo stesso. L'intero racconto scaturisce dalle parole del protagonista e il romanzo ha, pertanto, un impianto assolutamente autodiegetico. A dirla tutta, di Zeno, nevrotico e malato immaginario, non ci si può sempre fidare: ciò che egli racconta delle proprie esperienze lascia spesso il gusto dell'ambiguo, il dubbio su ciò che corrisponda a realtà e su ciò che, al contrario, sia frutto di una fantasiosa e consolante menzogna del protagonista. È lo stesso dottor S. a farlo presente quando, nella propria lettera, allude alle «tante verità e bugie» che Zeno pare aver accumulato nel racconto di sé.
Il tempo entro cui il romanzo si colloca non ha una connotazione ben precisa; i fatti non si susseguono cronologicamente e secondo uno schema lineare. Spesso il passato ripercorre le strade del pensiero di Zeno e si confonde con il presente formando un unico impasto non scindibile. Il risultato, oltre a rappresentare un'altra delle novità apportate all'universo letterario da La coscienza di Zeno, è anche ciò che Svevo definisce «tempo misto».
Zeno frantuma la propria memoria in miriadi di ricordi, lasciando emergere solo le esperienze cruciali: ognuna di esse dà il titolo ad una sezione del romanzo che, complessivamente, ne conta sei, precedute da una prefazione e un preambolo in cui il protagonista cerca di far riaffiorare le immagini della prima infanzia.
Il nuovo personaggio de La coscienza di Zeno ha le sembianze e l'indole dei due precedenti inetti disegnati e ritratti da Svevo; Alfonso Nitti ed Emilio Brentani, rispettivamente protagonisti di Una vita e Senilità, ritornano spesso alla mente del lettore che analizzi i comportamenti del protagonista. La giovinezza di Zeno è contrassegnata dall'incostanza e dall'arrendevolezza; egli, infatti, si trova a migrare da una facoltà universitaria all'altra senza mai giungere alla laurea. Il padre ne è scontento e il giovane, che sente il peso della frustrazione, non riesce a conseguire alcun risultato in grado di dargli un 'nome' preciso, una collocazine all'interno della società. Prima della morte del genitore, Zeno riceve da questi uno schiaffo che non saprà mai spiegare se dovuto all'incoscienza della malattia o alla volontà del padre di punirlo. L'insicurezza lo porterà ad attaccarsi ad una figura paterna sostitutiva e indispensabile, quella di Giovanni Malfenti, abile uomo d'affari, che Zeno adotterà come padre-suocero, sposando una delle sue figlie. Qui, come nei precedenti due romanzi, sono rappresentate tutte le figure che fanno da sfondo alla vita dei disadattati di Svevo: quella di Guido Speier, cognato di Zeno, fa pensare al Balli di Senilità e al Macario di Una vita; questi sono gli antagonisti dell'inetto, coloro che se la sanno cavare sempre, che non vacillano mai.
La vita di Zeno è un'incessante corsa verso quella che crede essere la vera esistenza, «la salute»: egli è convinto che ogni suo male derivi dalla malattia e che, se riuscirà a smettere di fumare, tutto cambierà. I tentativi di astenersi dall'accendere una sigaretta, oltre che vani, sono lo sforzo inutile di raggiungere la posizione di buon marito, buon padre, ottimo uomo d'affari, che il protagonista ritiene vincenti nella vita. Ad osservare le azioni di Zeno, da lui stesso narrate lungo le pagine del monologo, ci si accorge di come esse siano, a tratti, guidate da quelli che si usano catalogare come 'lapsus freudiani'. Due eventi, in particolare, non lasciano il lettore nella falsa credenza che Zeno compia grossolani errori per distrazione o per caso: il matrimonio con Augusta e il funerale di Guido Speier. Zeno avrebbe desiderato sposare Ada, la sorella più bella tra le figlie di Malfenti ma, rifiutato da essa per la propria goffaggine, si rivolge ad Alberta, la sorella minore. Respinto per la seconda volta, giunge a chiedere impulsivamente la mano di Augusta, la più brutta di tutte. Zeno, tuttavia, non ha sbagliato: Augusta è la sola donna che avrebbe potuto sposare, la più adatta a stargli accanto, l'effettiva scelta del proprio inconscio. In occasione del funerale di Guido Speier, s'intravede ancora galleggiare fra le righe l'inconscio di Zeno: il protagonista sbaglia corteo funebre tradendo, così, i veri sentimenti d'odio per il cognato.
La dicotomia tra Zeno, Alfonso Nitti ed Emilio Brentani è, ad ogni modo, facilmente ravvisabile. Zeno sembra più maturo e accorto; inoltre, egli non è più relegato entro le mura della piccola società borghese, ma posto all'interno della ricca borghesia commerciale.
Interessante è il mutato atteggiamento dello scrittore nei confronti dell'inetto. Zeno non è più oggetto di risa e rimproveri da parte di Svevo, come lo erano Alfonso ed Emilio costantemente presi 'in castagna' dal narratore; il nuovo protagonista è ora soggetto stesso di un autoironia che si dispiega nel confronto con i personaggi 'sani' del romanzo, grazie ai quali egli vive con distacco critico la propria vita, raccontandola al lettore in prima persona.
Zeno affianca ad Augusta la figura di una giovane donna povera, Carla, con la quale sembra avere un rapporto più da padre che da amante. La singolare storia extraconiugale finisce, poi, col rovinarsi a causa dei continui sensi di colpa di Zeno che viene inevitabilmente abbandonato e tradito. L'evolvere della vicenda ricorda da lontano il rapporto tra Emilio e Angiolina, gli amanti di Senilità.
Il romanzo, oltre che esser costituito per gran parte dal memoriale di Zeno scritto a scopo terapeutico, è anche arricchito dal diario dello stesso. Quando rifiuta la diagnosi medica che lo vuole vittima del complesso edipico, decidendo così di prescinderne, Zeno subisce una sorta di trasformazione; s'accorge d'essere sano e conclude con una visione apocalittica in cui l'uomo, creatore di «mostri distruttivi», appare l'artefice di un disfacimento cosmico che sconvolgerà la terra, lasciando però spazio, forse, a un'utopistica, 'sana' rinascita del mondo. Si verifica così un incredibile capovolgimento che rende la concezione del confine tra salute e malattia assai sfumato. La vera forza dell'inetto, rispetto a coloro che non lo sono, è proprio quella di non vivere inchiodato a certezze che potrebbero crollare da un istante all'altro, ma di mettersi, grazie al disagio, in continua discussione con se stesso e con gli altri.
Questo è il messaggio ultimo de La coscienza di Zeno, che imputa alla vita i sintomi di una malattia incurabile, perché inevitabilmente mortale, e che si rende essenziale, come prima opera di stampo psicoanalitico, all'interno della cultura letteraria italiana.
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