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Don Abbondio e Federico Borromeo: due personalità a confronto
Nei
personaggi dei Promessi Sposi la religiosità assume svariate forme, si
incontrano figure giudicate 'negative' (da un punto di vista
prettamente religioso) dal Manzoni, come
Il primo ecclesiastico che compare nel romanzo è Don Abbondio, curato nel paese
in cui vivono Lucia ed Agnese. E' un uomo dominato quasi patologicamente dalla
paura, "Non era un cuor di leone" scrive il Manzoni, per usare una litote.
Dalla sua ripetitività quasi patologica esce il ritratto di un uomo sfatto dalla paura, che impegna tutta la sua vita ad evitare uomini potenti e vendicativi che potrebbero turbare la menzogna che si è creato. In una società in cui bisognava farsi largo con forza, Don Abbondio accorgendosi di non aver né coraggio né denaro né qualcosa per cui essere rispettato, aveva ubbidito ai parenti che volevano che seguisse la carriera ecclesiastica, e che carriera! Preticello di un paese lontano da dio e dagli uomini, tutto per amore della calma: non aveva neanche pensato agli obblighi e ai fini della vita ecclesiastica, la sua scelta era condizionata semplicemente dal fatto che sarebbe così entrato a far parte di una classe rispettata e avrebbe potuto godere di una vita più o meno calma.
La sua
figura rappresenta una critica al limite del tragicomico, mostrandoci questo
uomo completamente privo di ogni potere decisionale, un verme senza spina
dorsale.
Più che affrontare i problemi, li allontanava con un calcio (proprio come il
ciottolo sul vialetto sulla via di casa) e non prendeva mai posizioni ben
definite.
Don Abbondo è un uomo schiavo dalla società in cui vive: in un mondo dove la legge non è quella civile e nemmeno quella canonica, ma quella del più forte, quest'uomo per amore della "quiete" si rassegna a non vivere, pur di non rischiare la propria vita.
Il Cardinale invece fonda il suo potere sull'affermazione della sua autorevolezza. La sua vita fu costantemente tesa ad uno scopo, quello religioso, ma non aderì alla religione per folgorazione mistica o per abitudine familiare, ma anzi, operò una scelta razionale e la sua accettazione al cattolicesimo fu il risultato di una lunga meditazione. Nonostante il tenore di vita elevato, si dedicò all'insegnamento della dottrina agli emarginati e ad aiutare i poveri e i bisognosi; per lui le rendite ecclesiastiche erano proprietà dei poveri e non esitava ad aiutare coloro che avevano bisogno di denaro, se la loro causa gli appariva giusta. Era un uomo generoso, benefico e liberale, ma allo stesso tempo era anche severo e brusco. I suoi modi erano cortesi e soavi e anche per questo era molto ammirato.
Il loro
incontro, che ha inizio nel capitolo XXV e termine nel XXVI è una chiara
testimonianza dei due modi diametralmente diversi di concepire la fede e di
applicarla nella vita e in questo passo vengono alla luce alcune delle morali
più alte e notevoli del romanzo. Don Abbondio, con la sua filosofia 'vivi
e lascia vivere' viene contrapposto dal Manzoni alla grande fede e al gran
coraggio del cardinale che pur di aiutare il prossimo darebbe in cambio la sua
vita. Borromeo chiede per quale motivo non ha sposato Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella, ma le risposte di Don Abbondio sono evasive e denotano sempre una
superficialità ed un'indifferenza non proprie ad una vero religioso. Le
argomentazioni trattate dal cardinale sono un'essenziale esempio di religiosità
e le sue parole sarebbero entrate nel cuore di chiunque, ma l'apatia regna
nell'animo del curato che non accoglie, come filosofia di vita, la morale di
Cristo. Non è più quella simpatia di un uomo bonaccione, ma un pò pauroso; ora
il modo di porgersi di Don Abbondio diviene inadatto. Ci stupisce che non nasca
alcuna scintilla di cambiamento nel suo animo: sono forse argomenti troppo
importanti per lui, povero curato di campagna, non abituato a sentir parlare di
amore, di fede, di religiosità, di donare la vita al prossimo senza pensare ai
propri interessi e solo a comportarsi in un modo che possa essere d'esempio per
gli altri.
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