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DIANE ARBUS E LE SUE FOTOGRAFIE
1 - Biografia di Diane Arbus
Diane Nemerov nasce a New York il 14 marzo 1923
da una ricca famiglia ebrea di origine polacca, proprietaria della celebre
catena di negozi di pellicce, chiamata 'Russek's".
Seconda di tre figli - il maggiore dei quali, Howard, diventerà uno dei più
apprezzati poeti contemporanei americani, la minore Renée una nota scultrice -
Diane vive, fra agi e attente bambinaie, un'infanzia iperprotetta, che forse
sarà per lei l'imprinting d'un senso di insicurezza e di 'straniamento
dalla realtà' ricorrente nella sua vita.
Frequenta la Culture Ethical School, poi fino alla dodicesima classe la
Fieldstone School, il suo talento artistico ha
modo di manifestarsi precocemente, incoraggiato dal padre il quale la
manda ancora dodicenne a lezione di disegno da un'illustratrice di
'Russek's', tale Dorothy Thompson, che era stata allieva di George
Grosz.
La grottesca denuncia dei difetti umani di questo artista, agli acquerelli del
quale la sua insegnante la inizia, troverà terreno fertile nella fervida
immaginazione della ragazza, e i suoi soggetti pittorici sono ricordati come
insoliti e provocatori.
All'età di quattordici anni incontra Allan Arbus, che sposerà appena compiuti i
diciotto, nonostante l'opposizione della famiglia, rispetto al livello sociale
della quale è ritenuto inadeguato. Avranno due figlie: Doon ed Amy.
Da lui impara il mestiere di fotografa, lavorando insieme a lungo nel campo
della moda per riviste come Vogue, Harper's Bazaar e Glamour. Col suo cognome,
che manterrà anche dopo la separazione, Diane diventa un controverso mito della
fotografia.
Nel 1957 consuma il suo divorzio artistico dal marito (il matrimonio stesso è
ormai in crisi), lasciando lo studio Arbus, nel quale il suo ruolo era stato di
subordinazione creativa, per dedicarsi ad una ricerca più personale.
Già una decina d'anni prima aveva tentato di staccarsi dalla moda, attratta
com'era da immagini più reali ed immediate, studiando brevemente con Berenice
Abbott.
S'iscrive ora ad un seminario di Alexey Brodovitch, il quale propugnava
l'importanza della spettacolarità nella fotografia; sentendolo però estraneo alla
propria sensibilità ben presto comincia a frequentare alla New School le
lezioni di Lisette Model, verso le cui immagini notturne e realistici ritratti
si sente fortemente attratta. Costei eserciterà su Arbus un'influenza
determinante, incoraggiandola a cercare i propri soggetti ed il proprio stile.
Diane Arbus si dedica allora instancabile ad una sua ricerca, muovendosi
attraverso luoghi (fisici e mentali), che da sempre erano per lei stati oggetto
di divieti, occultati dalla rigida educazione ricevuta. Esplora i sobborghi
poveri, gli spettacoli di quart'ordine spesso legati al travestitismo, scopre
povertà e miserie morali, ma trova soprattutto il centro del proprio interesse
nell' 'orrifica' attrazione che sente verso i freaks. Affascinata da
questo mondo oscuro fatto di 'meraviglie della natura', in quel
periodo frequenta assiduamente il Museo di mostri Hubert, e i suoi spettacoli
da baraccone, i cui strani protagonisti incontra e fotografa in privato.
E' solo l'inizio di una indagine volta ad esplorare il variegato, quanto
negato, mondo parallelo a quello della riconosciuta 'normalità', che
la porterà, a muoversi fra nani, giganti, travestiti, omosessuali, nudisti,
ritardati mentali e gemelli, ma anche gente comune colta in atteggiamenti
incongrui, con quello sguardo al tempo stesso distaccato e partecipe, che rende
le sue immagini uniche.
Nel 1965 la mostra al Museum of Modern Art di New York espone alcune sue opere,
ritenute troppo forti e perfino offensive. Una migliore accoglienza avrà
invece, soprattutto presso il mondo della cultura la sua personale 'Nuovi
Documenti' nel marzo del 1967 presso lo stesso museo; non mancheranno le
critiche dei benpensanti, ma Diane Arbus è già una fotografa riconosciuta ed
affermata. A partire dal 1965 insegna in diverse scuole.
I suoi ultimi anni di vita sono all'insegna di una fervente attività, tesa
forse anche a combattere con vive emozioni le frequenti crisi depressive, di
cui è vittima, l'epatite che aveva contratto in quegli anni e l'uso massiccio
di antidepressivi avevano minato inoltre il suo fisico.
Diane Arbus si toglie la vita il 26 luglio 1971, ingerendo una forte dose di
barbiturici e incidendosi le vene dei polsi.
L'anno seguente la sua morte il MOMA le dedica un'ampia retrospettiva, ed è
inoltre la prima fra i fotografi americani ad essere ospitata dalla Biennale di
Venezia, riconoscimenti postumi, questi, che amplificheranno la sua fama,
tuttora purtroppo infelicemente collegata all'appellativo di 'fotografa
dei mostri'.
2 - Jewish giant at home with his parents in the Bronx, NY, 1970
Nell'arte di Diane Arbus si percepisce l'intenzione di andare oltre le scelte più consuete, soprattutto nella scelta dei suoi soggetti, con i quali interagiva. Li forzava fino a portarli in uno stato in cui ormai la presenza della macchina fotografica diveniva per loro indifferente, rendendoli capaci di esprimere i loro stati d'animo più estremi. La foto sopra riportata ritrae Eddie Carmel, il 'Gigante Ebreo', nel suo appartamento assieme ai genitori molto più bassi di lui. Alcuni interpretano come la foto mostri che il corpo inusuale di quest'uomo non gli abbia impedito di avere una vita familiare normale e felice. Altri vedono una certa rigidità nella postura dei genitori e trovano che mostri un distacco tra Eddie e la sua famiglia, forse un'indicazione di disappunto o di tristezza per il suo strano aspetto e per la sua vita prevedibilmente breve; altri vedono nell'espressione della signora Carmel che guarda suo figlio la sorpresa, come se lo avesse incontrato per la prima volta.
3 - Altre fotografie famose di Diane Arbus
Identical Twins
Una foto di due giovani sorelle gemelle, una accanto all'altra, vestite in velluto. Una leggermente sorridente e l'altra leggermente imbronciata, sono la caratteristica bipolare della fotografia stessa. Anche se identiche nell'aspetto, le due bambine presentano stati d'animo differenti, ciò che la fotografa vuole far comprendere è che la somiglianza somatica non è per forza sintomo di una somiglianza interiore. Chi consideriamo uguale a noi può rivelarsi, in un secondo momento, differente da noi, e chi invece consideriamo differente, e quindi lontano, può scoprirsi, molto più vicino di quanto pensassimo.
Child with Toy Hand Grenade in Central Park New York
Un ragazzino magrissimo con le braccia lungo il corpo, ma irrigidite. Nella mano destra regge una granata giocattolo, mentre la sinistra imita un artiglio. Il volto potrebbe essere descritto come maniacale. La Arbus catturò questa espressione facendo stare fermo il ragazzino, mentre lei continuava a muoverglisi attorno sostenendo che stava cercando l'angolo giusto. Dopo poco il ragazzo divenne impaziente e le disse di spicciarsi a fotografare, creando l'espressione che potrebbe sembrar comunicare che il ragazzo ha in mente la violenza, mentre stringe saldamente in mano la granata giocattolo; tutto sommato era un comune ragazzo intenzionato a giocare con la camera della Arbus. Niente può esprimere meglio l'estrema aggressività di certi bambini, influenzati dai giochi di guerra o dalla guerra in cui vivono, assai diversi dai patinati visi paffuti e sorridenti di certe pubblicità. Qui la diversità viene espressa attraverso lo stato d'animo di un bambino qualsiasi che si trova in un luogo anonimo come il Central Park.
-CONCLUSIONE-
Alla luce di quanto fin'ora è stato detto, giungo alla conclusione che è necessaria una rivoluzione se vogliamo sottrarci all'angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le terorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente.
La celebre frase di Socrate "conosci te stesso" può indicare l'inizio di un cammino, un buono spunto da cui cominciare.
E' importante una conoscenza diretta e viva del mondo, il che non è possibile senza rendersi conto di come funziona la nostra mente, di come essa conosce e riconosce le cose. Capire questo funzionamento significa potersi liberare da pregiudizi e condizionamenti culturali e poter conoscere senza filtri.
Dobbiamo accogliere l'imperativo categorico kantiano 'Agisci in modo da trattare l'uomo, così in te come negli altri, sempre anche come fine, non mai solo come mezzo" , poichè il vero fine di ogni atto buono è l'uomo.
-Bibliografia-
-Lit and lab 2, Piazzi e Tavella, Edizione Zanichelli
-L'arte Moderna, Giulio Carlo Argan, Sansoni per la scuola
-Tutti i racconti,
Fredrick Brown,
-La società dell'incertezza, Zygmunt Bauman, il Mulino, Bologna 1999
-Frankenstein, Mary Shelley, Giunti Classics, 2009
-Siti consultati-
-Wikipedia.it
-Biografieonline.it
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