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DOLCE STIL NOVO
Dolce stil novo Movimento poetico sviluppatosi a Firenze alla fine del XIII secolo. Il termine (che si può trovare anche sotto le forme dolce stil nuovo, stilnovo, stilnovismo, dolcestilnovismo) deriva dalla Divina commedia (Purgatorio, XXIV, 19-63), dove è utilizzato dal poeta Bonagiunta Orbicciani: dopo che Dante gli ha esposto i propri principi poetici, Bonagiunta riconosce le differenze che separano l'approccio alla tematica amorosa da parte della scuola siciliana, di Guittone d'Arezzo e di se stesso da quello dello stile 'novo' di cui Dante si fa portavoceIniziatore del nuovo stile fu il poeta bolognese Guido Guinizelli, che nella celebre canzone Al cor gentil rempaira sempre amore definì quelli che sarebbero stati i canoni della nuova scuola: anzitutto, in un'Italia centro-settentrionale che evolveva in senso cittadino e borghese (fu questa l'età dei Comuni), il concetto della nobiltà come dote spirituale piuttosto che come fatto ereditario e lo stretto rapporto fra la nobiltà ('gentilezza') d'animo e la capacità di amare; in secondo luogo l'immagine della donna come angelo, in grado di purificare l'anima dell'amante e di condurlo dal peccato alla beatitudine celeste. Questi concetti ricevettero un approfondimento sia dal punto di vista filosofico sia da quello psicologico, che dava conto con precisione, tra l'altro, degli effetti di Amore sull'anima dell'innamorato.Il dolce stil novo si mosse nella direzione di una poesia concettualmente e formalmente rigorosa: sul piano dei contenuti, trascendeva il dato biografico e concreto dell'esperienza amorosa per farne esperienza spirituale e morale, mezzo per raggiungere la virtù; sul piano della forma, si proponeva di utilizzare un linguaggio 'dolce', privo di asprezze tanto negli effetti fonici quanto nelle immagini, perché fosse adeguato all'altezza dei contenuti espressi.Al modello lirico e ideologico di Guinizelli si ispirò a Firenze un gruppo di giovani poeti, i cui maggiori esponenti furono Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, che in alcune rime giovanili e in particolare nella Vita nuova approfondì l'analisi psicologica del sentimento amoroso e accentuò il tema della virtù salvifica della donna. Il doloroso binomio Amore-Morte di Cavalcanti venne ripreso da Gianni Alfani, mentre levità ed eleganza contraddistinsero il canzoniere di Lapo Gianni. Dopo la rielaborazione prevalentemente psicologica che ne fece Cino da Pistoia, il dolce stil novo venne ripreso e ulteriormente rielaborato dalla grande poesia del Canzoniere di Francesco Petrarca, che fu il modello dominante della tradizione lirica italiana ed europea almeno fino al XVII secolo.
AMOR CORTESE Codice di comportamento che regolava la relazione tra gli amanti di estrazione aristocratica nell'Europa occidentale durante il Medioevo. Improntato agli ideali della cavalleria e del feudalesimo, l'amor cortese ebbe la sua celebrazione letteraria tra l'XI e il XIII secolo nelle canzoni dei trovatori e trovieri, che ne codificarono poeticamente le norme principali.IL CODICE LETTERARIO CORTESE Attingendo al patrimonio immaginario e retorico della poesia erotica latina, e in particolare alle opere di Ovidio (l'Ars amandi e i Remedia amoris), la poesia cortese di argomento amoroso sembra riflettere in senso idealizzante condizioni socioculturali ben determinate. La struttura piramidale tipica della società feudale prevedeva che, attorno a un nucleo di potere forte che, a seconda dei diversi livelli lungo la scala delle autorità, poteva essere rappresentato dal sovrano, dal barone, dal piccolo feudatario, si raccogliesse un'aristocrazia di cavalieri e dame. Valori come il servizio e la fedeltà, che legano la corte al signore e si concretizzano in obblighi e prestazioni materiali, subiscono una sorta di trasposizione ideale nel codice letterario cortese.La fin'amor, il concetto di amor cortese così come viene espresso dall'elaborazione poetica dei trovatori provenzali, vuole che un cavaliere venga preso da passione per una dama di nobile stirpe, generalmente di grado nobiliare più alto, spesso identificata con la donna del signore. Il codice, dal formalismo rigorosissimo, obbliga il cavaliere a esercitare virtù come la pazienza, l'assoluta discrezione, la lealtà, la fedeltà esclusiva, la generosità, il coraggio eroico per potersi meritare l'attenzione dell'amata e una speranza di vedere ricambiati i propri sentimenti. L'attrazione sensuale, pur esplicitamente presente nell'immaginario poetico e talvolta fonte in se stessa di sofferenze fisiche, viene tuttavia sublimata in una sfera di superiorità spirituale. Ecco quindi che l'esercizio dell'amor cortese diviene di fatto un itinerario di perfezionamento dell'anima, giocato tra prove di raffinato intellettualismo e di ambiguità erotica. Il mecenatismo delle grandi corti medievali tra XII e XIII secolo, in Provenza, in Francia, in Germania e in Italia, ha fatto sì che gli ideali dell'amor cortese trovassero espressioni di grande valore letterario. Tra le opere in volgare ispirate ai temi dell'amor cortese, oltre ai canzonieri dei trovatori occitanici (Arnaut Daniel, Jaufré Rudel, Bertrand de Ventadorn), si ricordano i romanzi cavallereschi di Chrétien de Troyes, la leggenda di Tristano e Isotta, raccontata in numerose versioni, Le Roman de la Rose (1230-1270 ca.) di Guillaume de Lorris e Jean de Meung, e i romanzi ispirati alla leggenda di Re Artù. In Germania la poetica dell'amor cortese pervase la poetica dei Minnesänger; in Italia, essa fu rielaborata e arricchita dapprima dai poeti della scuola siciliana, quindi profondamente rinnovata dal dolce stil novo e, nel Trecento, da Francesco Petrarca.Il codice cortese dell'amore, vera e propria rivoluzione mentale all'interno delle regole di comportamento sociale, grazie all'eccezionale valore artistico della poesia che lo ha trasmesso, ha lasciato tracce tuttora evidenti nell'immaginario sentimentale ed erotico della civiltà occidentale.
LIRICA PROVENZALE Tradizione poetica sviluppatasi tra i primi decenni del XII secolo e la seconda metà del secolo successivo in un area che comprende gran parte del sud della Francia, dal Limosino all'Aquitania, dalla Linguadoca alla Provenza vera e propria (da cui deriva, per approssimativa estensione, il nome di poesia provenzale), dove fiorisce rigogliosa la poesia dei trovatori.I poeti provenzali possono essere considerati i primi poeti moderni: è a loro che si deve il rinnovamento, dopo secoli di oblio, del genere lirico; oltre a questo sono i primi in assoluto, in una cultura letteraria dominata dal latino, a conferire dignità poetica al provenzale, una lingua volgare in grado di raggiungere un pubblico molto più ampio di quello che usa e comprende il latino.Un altro tratto della modernità dei poeti provenzali è che con essi di fatto nasce "il mestiere del poeta" e che questa "coscienza professionale" coincide con il riconoscimento di un posto di rilievo all'interno della società. Infatti le loro opere, a differenza della produzione letteraria precedente in idioma volgare (per esempio, sempre per restare nell'area francese, le chansons de geste) non sono mai anonime, ma vengono "firmate" e appaiono come il frutto di un'identità poetica e storica ben precisa.2 L'ORIGINE DELLA LIRICA PROVENZALE Molto dibattuta dalla critica è la questione delle origini della poesia provenzale. Tra le ipotesi maggiormente accreditate vi è quella che, seguendo la traccia di una certa affinità tematica, individua il modello di ispirazione nelle kharagiat andaluse, poesie in mozarabico, la lingua nata dall'ibridazione dei volgari iberici con l'arabo. Una tesi alternativa, che poggia maggiormente su rilievi tecnico-formali, ipotizza una filiazione dalla tradizione dei canti liturgici latini.3 I TROVATORI La denominazione di trovatori (trobadors) deriva dal verbo trobar che significa "costruire figure retoriche" (in latino tropi) su senso corrente di una parola, giocando a estenderne o a mutarne il significato. I trovatori erano personaggi di un'elevata cultura ma non sempre di alta estrazione sociale: oltre ai nobili, il più celebre dei quali fu certamente Guglielmo IX duca d'Aquitania, considerato il più antico trovatore di cui sia stata tramandata notizia, vi erano mercanti e anche artigiani. Di loro tuttavia rarissime e quasi mai storicamente certe sono le notizie biografiche: i copisti che a partire dal XIII secolo raccolsero in manoscritti le liriche provenzali corredarono queste antologie di testi, le vidas, in cui vengono riportati brevi cenni sulla vita dei trovatori, il più delle volte frutto della libera e fantasiosa interpretazione di dati desunti dalle liriche stesse, e quindi assai poco attendibili. Tuttavia sono molti i trovatori di cui è stato tramandato un cospicuo numero di poesie: Marcabrun, Bernard de Ventadour, Bertran de Born, Raimbaut d'Aurenga, Peire Vidal, Jaufré Rudel. Per costoro, in base alla loro produzione poetica, è possibile ricostruire un più preciso profilo letterario. Altri trovatori, pur non avendo lasciate molte dirette testimonianze, sono invece celebri per essere stati considerati maestri di tecnica poetica, come Arnaut Daniel e Giraut de Bornelh, ammirati da Dante nel De Vulgari Eloquentia.4 FORME E TEMI DELLA LIRICA PROVENZALE Le poesie tramandate sono di vario genere e tematiche, tutte accomunate però dalla consuetudine che le voleva recitate con accompagnamento musicale, delle cui melodie sono però giunte solo rare tracce documentarie. Si sa che talvolta erano gli stessi poeti a intonare i propri versi su temi musicali.La struttura metrica preferita dalla poesia provenzale è la canzone, termine che deriva da canto e che rimanda ancora una volta all'indissolubile, almeno alle origini, relazione con la musica. Altra peculiarità della lirica trobadorica è il suo elevatissimo grado di elaborazione formale in cui a una grande perizia metrica si combina l'uso di una lingua elegante e raffinata e di inconsuete costruzioni di discorso. Talvolta tali estremismi formali trasformano il testo in un vero e proprio gioco retorico teso all'assoluta ricerca di perfezione di suoni e di rarità di immagini, anche a scapito della trasparenza di significato del dettato: è questo il cosiddetto trobar clus, "poetare chiuso", ovvero "oscuro", massima forma stilistica di elitarismo poetico.
CHANSONS DE GESTE Raccolta di circa ottanta componimenti epici francesi, perlopiù anonimi, composti fra l'XI e il XV secolo, comprendenti dagli 8000 ai 10.000 versi. Le loro origini, tuttora incerte, vengono fatte risalire a canti epici successivamente influenzati dal folclore germanico, o alla rielaborazione, da parte di trovatori e trovieri, dei racconti che i monaci facevano ai pellegrini in visita alle tombe degli eroi. Dalle canzoni di gesta, che fondono elementi leggendari e realtà storica, derivano i romanzi cavallereschi di Chrétien de Troyes. I temi ricorrenti sono le gesta dei paladini di Carlo Magno e dei suoi successori, l'alleanza fra Guglielmo d'Orange e Ludovico I il Pio, le lotte contro le invasioni saracene. All'argomento cavalleresco si aggiunse in seguito quello dell'amor cortese.Il più importante dei cicli in cui si raggruppano le chansons è quello delle Geste du roi (o delle gesta dei re di Francia), cui appartiene la Chanson de Roland (fine XI secolo), attribuita al poeta normanno Turoldo. Vi si narra della battaglia di Roncisvalle (778), dove Rolando, uno dei più valorosi paladini di Carlo Magno, si sacrificò valorosamente in difesa della fede cristiana. Le chansons de geste costituirono un patrimonio tematico che fu ampiamente ripreso, a partire dal Trecento, nella letteratura epica europea. In Italia vi si ispirarono poeti come Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto.
SCUOLA SICILIANA Cenacolo di poeti che, a partire dal 1230 ca., presso la corte palermitana di Federico II di Svevia e dei suoi figli Manfredi ed Enzo, diede avvio alla tradizione poetica italiana in volgare. Questa esperienza può ritenersi conclusa con la battaglia di Benevento nel 1266, in cui morì re Manfredi.La corte di Federico fu in effetti un crocevia itinerante (il re si spostava spesso per ragioni politiche e amministrative) non solo letterario ma, più in generale, culturale: vi ebbero infatti grande impulso anche la tecnica e la scienza. Confluirono qui tradizioni molto diverse: quella araba (soprattutto filosofica ma anche letteraria), quella bizantina e quella latina; l'eredità dei poeti tedeschi (i Minnesänger) e quella normanna in lingua d'oïl, soprattutto tramite la diffusione dei poemi cavallereschi del XII secolo. Ma la componente determinante per la poesia italiana delle origini è certamente l'esperienza dei trovatori, poeti provenzali, autori di liriche soprattutto amorose, che viaggiavano di corte in corte.3 I TEMI Molti stimoli culturali vennero raccolti da un gruppo di intellettuali, funzionari di corte e perlopiù giuristi e notai di area prevalentemente meridionale, che trapiantarono i modelli della lirica provenzale nel volgare di Sicilia, eliminando i riferimenti alla cronaca cortigiana e cercando un'espressione più astratta e teorica. La dimensione aristocratica di questa esperienza (che serviva anche a nobilitare la corte, la 'Magna Curia') è ravvisabile proprio nella scelta linguistica, il siciliano illustre. Si tratta di una lingua lontana dal parlato, tenuta quasi sempre su un livello retoricamente alto ('tragico'), modellata sul provenzale e sul latino cancelleresco. Il rapporto amoroso, presentato da un punto di vista 'feudale', in cui la donna è il signore e l'amante il vassallo, ha come centro la donna, anche se gli effetti dell'amore riguardano l'amante, sul quale viene studiata la fenomenologia di tale sentimento. L'amore è fortemente concettualizzato e le sue manifestazioni avvengono in forme stereotipe e convenzionali. Inoltre l'amore ha senso indipendentemente dalla corrispondenza della donna, che resta, per convenzione, irraggiungibile. GLI AUTORI I maggiori poeti di questo gruppo furono Jacopo da Lentini (cui, sembra, si deve l'invenzione del fortunatissimo sonetto), Stefano Protonotaro (l'unico di cui si abbia un testo completo originale in siciliano), Rinaldo d'Aquino e Giacomino Pugliese, oltre agli stessi sovrani. A noi sono giunti pochi componimenti e tutti in volgare toscano (eccetto una canzone di Stefano Protonotaro), perché in quell'area fu trapiantata l'esperienza poetica siciliana dopo la fine della corte sveva. Pier della Vigna, cui Dante rende omaggio nel XIII canto dell'Inferno, si dedicò anche alla prosa aulica, elaborata per le necessità delle funzioni giuridiche e amministrative che quegli intellettuali svolgevano. Più tarda (ultimo quarto del XIII secolo), ma significativa per modi e temi, anche l'attività poetica di Guido delle Colonne, giudice e amministratore del regno di Napoli, e probabilmente anche autore della Historia destructionis Troiae, una fortunatissima traduzione latina del Roman de Troie di Benoit de Sainte-Maure.
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