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Dante e le guide




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Dante e le guide


Nella Divina Commedia, Dante necessita di figure più esperte che possano condurlo durante il suo itinerario. Coloro che assumono questo ruolo predominante all'interno della narrazione sono: Virgilio, Beatrice e Matelda. Proprio perché Dante, nella Divina Commedia rappresenta l'uomo in generale, lui stesso peccatore, egli ha bisogno di supporti morali che lo aiutino sia a comprendere le leggi dei tre regni oltremondani, sia a comunicare con le anime e ad analizzare le azioni di queste ultime in relazione alla sua vita e alla società dell'epoca.

Virgilio


inferno

canto I vv. 61-90

canto II vv. 52-142


tobino

capitoli: 5-25


Beatrice


Inferno

Canto ii vv. 52-142

Purgatorio

canto xxx vv. 22-57

paradiso

canto xxxi vv. 79-93


tobino

capitoli: 1-3-24


matelda


Purgatorio

Canto xxviii vv. 34-69

Canto xxxiii vv. 130-145


tobino

capitoli: 10-16














VIRGILIO NELl'inferno


Virgilio incarna il duplice ruolo di aiutante e guida di Dante durante il viaggio che va dall'Inferno fino al Paradiso terrestre. Sul piano allegorico egli rappresenta la ragione umana che illumina l'uomo sulla via del bene, ma è incompleta senza la rivelazione cristiana. Sul piano storico, invece Virgilio è, il simbolo della civiltà classica e una fonte per Dante, che lo riprende numerose volte all'interno della Commedia, per esempio nell'episodio, che narra il rito di purificazione del giunco (Purgatorio canto I v.95 vv. 133-136) già presente nell'Eneide. Virgilio, inoltre, incarna la figura di profeta, grazie all'annuncio dell'avvento di un "puer" (il figlio di Asinio Pollione), nella IV egloga delle Bucoliche, che viene interpretato dagli autori cristiani come quello di Gesù.

Nell'Inferno, Virgilio compare per la prima volta nel canto I, nei versi dal 61 al 90, quando Dante si trova spaesato e confuso, a causa della visione delle fiere infernali e della contemporanea presa di coscienza dei suoi peccati. E' proprio in questo momento che necessita dell'aiuto di una figura esperta quale il poeta latino. Quest'ultimo si presenta a Dante a partire dal v. 67, precisando: la condizione di anima "non omo, omo già fui"; le origini "li parenti miei furon lombardi, mantoani per patria ambedui"; il periodo storico "nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi.sotto 'l buon Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi"; il luogo "vissi a Roma"; il ruolo sociale "poeta fui" e la sua principale opera "cantai di quel giusto figliuol d'Anchise che venne di Troia, poi che 'l superbo Ilion fu combusto".

Proprio per la composizione dell'"Eneide", Virgilio viene identificato come poeta dell'Impero Romano, autore (dal latino auctoritas: esemplificazione del modello da seguire) e maestro dell'arte poetica: "or se' tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?"(vv. 79-80), "O de li altri poeti onore e lume, vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore che m'ha fatto cercar lo tuo volume. Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, tu se' solo colui da cu' io tolsi lo bello stilo che m'ha fatto onore" (vv. 82-87). Il termine maestro assume un significato più ampio del modello di bello scrivere, per diventare maestro di vita morale. Nei versi seguenti (vv. 88-90), essendo Dante in pericolo, si rivolge al "famoso saggio" Virgilio (v ), che è a conoscenza di cosa è bene e cosa è male, chiedendogli consiglio su come sfuggire alla lupa. Inoltre nel v emerge la sua figura di aiutante, egli infatti suggerisce a Dante la strada da percorrere "A te convien tenere altro viaggio".

Virgilio è presente anche nel secondo canto, nel quale Dante, perplesso sul fatto di non essere degno di intraprendere il viaggio nell'oltretomba, viene rassicurato dal poeta latino che gli racconta l'episodio del suo incontro con Beatrice. E' quest'ultima che, dopo esser scesa dal Paradiso fino al Limbo, gli ha raccomandato di assistere l'Alighieri nel suo cammino. Beatrice in quell'occasione si rivolge a Virgilio sottolineandone di nuovo la provenienza "O anima cortese mantoana" (v ) e la duratura fama di poeta "di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto 'l mondo lontana" (vv. 59-60).



VIRGILIO IN TOBINO

Virgilio è descritto nel capitolo 5 attraverso l'espressione "fiume terso impetuoso", in riferimento all'eloquenza e alla capacità poetica, che lo contraddistinsero nei secoli. Egli viene citato in quanto autore studiato da Dante, come fonte "vitale del suo tempo", accanto alle materie scolastiche quali la filosofia, la teologia, l'astrologia ecc. Inoltre viene preso in considerazione come oggetto di contesa oratoria, infatti "Dante aveva con Cavalcanti disputato di poesia e contrastato su Virgilio". Nel capitolo 25 compare, poi, Giovanni del Virgilio, professore di retorica e poesia nell'università di Bologna, che per amore del poeta latino, cambiò il suo nome in chiaro segno di apprezzamento e devozione. Questo personaggio scrisse a Dante una lettera riguardo alla scelta della lingua utilizzata nella Divina Commedia "Ah! se lei scrivesse in latino invece che in quella linguaccia plebea, in volgare! Ma lo sa che se lei cantasse in latino [.] noi lo potremmo incoronare poeta, qui a Bologna, all'Università, tra le ovazioni dei ginnasiali". A questo scritto Dante rispose con  un'egloga in cui definì il volgare "lingua sua, libera e vergine, da forgiare, che per lui stesso sarebbe diventata grande come il latino".





beatrice nel paradiso

Beatrice all'interno del Paradiso è situata nella rosa dei beati, così come tutte le altre anime. Queste, per dare modo a Dante, creatura terrena e portatrice di tutti i limiti fisici e morali, di poter godere della beatitudine del Paradiso, obbedendo ad un ordine del Creatore, mosse da spirito di carità, scesero dai gradini occupati nella candida rosa, nei vari cieli, a seconda del pianeta del quale avevano maggiormente sentito l'influenza durante la loro vita terrena. Questo si ricollega allo scopo didascalico dell'intera opera. Quello che viene messo in evidenza in questa terza cantica è che, grazie alla mediazione caritativa e amorosa di Beatrice, Dante ha ottenuto l'intervento liberatorio della divinità, la grazia e la forza morale e religiosa che lo ha messo in condizione di passare indenne attraverso l'Inferno e di salire fino al Paradiso. Infatti Dante si rivolge a Beatrice con una preghiera. La figura della donna come aiutante compare maggiormente nella seconda parte di questa invocazione (dal v. 84 al v. 87), dove il poeta la ringrazia per averlo condotto dalla schiavitù del peccato alla libertà della virtù, rivolgendosi a lei dandole del tu, come nelle preghiere rivolte ai santi e anche perché Beatrice, in questi versi, non incarna più la figura di guida. Nonostante il viaggio al suo fianco sia terminato, Dante non vuole abbandonare la visione di lei come ispiratrice di virtù e quindi le chiede di continuare ad aiutarlo nuovamente, se dovesse ricadere nel peccato (vv. 88-93).



beatrice IN TOBINO

Nel romanzo di Tobino, Beatrice assume il ruolo di aiutante in quanto musa ispiratrice che avvicina Dante ad una poesia sempre più elevata. Nel primo capitolo del libro, Dante dichiara la sua incapacità di esprimere l'amore provato per Beatrice tramite una poesia che non reputa abbastanza pura, in quanto questo sentimento non era ancora connotato di un significato religioso, ma era solo terreno. In questo stesso episodio Dante, colto da una febbre improvvisa, nei suoi deliri parla dell'amore che lo lega alla giovane senza però nominarla.

Beatrice compare poi nel terzo capitolo, dove si parla del Sirventese (l'elenco delle 60 donne più belle di Firenze redatto da Dante stesso). La donna amata viene qui collocata al 9° posto, numero non casuale, ma legato alla numerologia medievale, che è una costante dell'intera Divina Commedia. Alla fine di questo stesso capitolo la descrive come l'unica donna che "oltre ad essere bella, onesta, gentile" possiede ciò che Dante sta cercando, ovvero la "verità rivelata" identificabile con la teologia di cui ella è il simbolo.

Nel capitolo 24 viene, infine affrontato il tema della reale esistenza di Beatrice in un dialogo che coinvolge Dante e il signore di Ravenna, Guido Novello da Polenta. Il poeta racconta così del suo amore per la donna, della sua morte precoce e dell'assunzione di un aspetto divino che la renderà simbolo di virtù, teologia e filosofia e che le attribuirà il ruolo di guida nella "via del bene, verso l'unica pace, quella che a Dio congiunge".






matelda NEL purgatorio

Matelda, pur non citata direttamente nel canto XXVIII (viene infatti nominata per la prima volta solo nel XXXIII nel v. 119) è presentata secondo i canoni classici della donna stilnovista: la bellezza ("bella donna" v.43), la leggiadria ("come si volge con le piante strette a terra e intra sé, donna che balli" vv ), la dolcezza della voce ("dolce suono" v ), la lucentezza degli occhi, resa tramite un paragone con Venere (vv ) e infine il sorriso ("Ella ridea v ). A tutto ciò, però, viene aggiunto il significato allegorico della vita contemplativa e della felicità umana prima del peccato originale. Matelda si dimostra un'aiutante di Dante (ma del resto anche delle altre anime come Stazio) nell'occasione in cui il poeta, per la sua opera di purificazione, deve compiere il rito dell'immersione nei due fiumi: il Letè e l'Eunoè, il primo toglie le rimembranze del peccato, mentre il secondo restituisce la memoria del bene operato, rendendo l'anima degna di essere accolta dalla divinità.

Riguardo alla figura di Matelda, non esiste un sicuro riscontro storico. Si potrebbe da un lato ricollegare a personaggi realmente esistiti, quali Matilde di Canossa, contessa di Toscana e mediatrice tra il papa Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV durante la guerra delle Investiture, o la monaca benedettina tedesca Matilde di Hackeborn, autrice di scritti mistici e nel 1310 in odore di santità; dall'altro, interpretarla invece come un simbolo assunto da Dante. Secondo quest'ultima interpretazione Matelda è sia la figura della condizione umana prima del peccato, quando l'uomo abitava il Paradiso Terrestre, sia "colei che guida alla donna beata", (infatti così come Giovanni Battista annuncia Cristo, Matelda annuncia l'arrivo di Beatrice) o "colei che guida alla beatitudine", ossia al Letè, espressioni che si ricavano invertendo l'ordine di lettura del nome Matelda, in modo da ottenere "ad letam". Questo aspetto si presta maggiormente alla chiave di lettura di Matelda come aiutante.


Matelda in tobino

Matelda, compare per la prima volta nel capitolo 10, dove viene inclusa all'interno di una riflessione propria dell'autore. Questi la inserisce definendola "creatura bella" in un elenco di personaggi trattati da Dante nella Divina Commedia, dei quali Tobino dichiara di occuparsi solo perché materia dell'opera dell'Alighieri. Tobino esprime inoltre il suo desiderio di conoscere la storia di Matelda. Proprio in questa parte essa si configura come la rappresentazione nel Purgatorio di quello che Beatrice è nel Paradiso, è infatti descritta "bella" e in possesso di "tutte le seduzioni di una amante e le purezze di una vergine".

Viene presa in considerazione anche nel capitolo 16, nel quale non è citata con il suo nome, ma è evocata attraverso la ripresa dei versi del Purgatorio che la ritraggono seduta nel prato fiorito del Paradiso terrestre intenta a cogliere fiori e a cantare con la sua voce melodiosa. Essa rappresenta la donna di cui Dante si è innamorato dopo aver detto a Morello Malaspina che si sarebbe occupato negli ultimi di anni della sua vita "tutto alla scienza" e che aveva già perso troppo tempo "dietro gli amori, la bellezza, femminile". E invece Dante non sa resistere ad "Amore" che "scocca il dardo, glielo aggiusta bene dentro al cuore, glielo sprofonda", e si trova così, "innamorato come da giovinetto la prima volta".

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