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Dall'epos al romanzo - Passato, presente e futuro di questo genere in perenne divenire




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Dall'epos al romanzo..

Passato, presente e futuro di questo genere in perenne divenire










E per orientarsi.





Ambito letterario-filosofico:

v   Introduzione ai temi trattati

v   L'unicità del romanzo

v   Epos e romanzo, due modelli a confronto

v   Alle origini del genere romanzesco..

v   Ma che cos'è realmente il romanzo? Interroghiamoci sulla sua essenza..                                                                                                    SEZIONE: Qualche cenno su Manzoni.

v   Verso un' inesorabile fine o verso un nuovo inizio?

v   Note

v   Bibliografia














Introduzione ai temi trattati


N

el corso della storia ed in particolare negli ultimi secoli si è sviluppato un ampio dibattito teorico e critico, con lo scopo di definire in che rapporto si situano reciprocamente l'epica e il romanzo, o ancor meglio sulla possibilità d'esistenza di uno stesso  legame tra quest'ultimi. Inoltre sicuramente degno di approfondimento è il problema inerente alla definizione di un genere in una così incredibile continua evoluzione, come quello del romanzo. Tra gli studiosi che si sono esposti su questi problemi e hanno cercato di indagare la reale essenza  di questo genere, tanto difficile quanto affascinante ritroviamo uno dei pensatori forse più significativi del ventesimo secolo, Michail Bachtin, le interessanti  tesi del ceco Milan Kundera e le idee di filosofi che si sono esposti circa il problema delle sorti del genere romanzesco e della comunicazione, linfa vitale del medesimo. In questa che non vuole essere la solita analisi sui generi padri del romanzo, ridotta all'elencazione degli stessi, ma un viaggio nell'orizzonte romanzesco per scoprirne le origini e l'essenza mi sono cimentata, spinta dalla mia passione per la lettura ed il mio amore per i classici, anche meno famosi al fine di una esperienza conoscitiva travolgente.                                 
















L'unicità del romanzo


Lo studio del romanzo risulta molto complicato, data l'unicità dello stesso. Esso infatti rappresenta un genere letterario unico in quanto il solo in divenire ed ancora incompiuto, grazie alle sue infinite possibilità plastiche. Mancante di un canone, indagare il romanzo vuol dire studiare una lingua viva, giovane, a differenza di quello che accade con gli altri generi letterari, rispetto ai quali, del resto, per lungo tempo questo ha condotto un'esistenza non ufficiale, non essendo considerato nell'ambito della grande letteratura. Ciò di fatto si evince nelle grandi poetiche del passato, da Aristotele a Orazio a Boileau, le quali ignorano tutte il romanzo fino alle poetiche scientifiche, eclettiche e descrittive, del XIX che almeno riconoscono quest'ultimo.

Traduzione:

"Dell'arte poetica considerata in sé e delle sue specie, quale effetto abbia ognuna, come si debbano metter su i racconti [10] se la poesia deve riuscir bene, ed ancora da quante e quali parti è costituita e similmente di quante altre questioni son proprie di questa ricerca, diremo incominciando secondo l'ordine naturale dapprima dalle prime.

L'epopea e la tragedia ed ancora la commedia e il ditirambo ed anche gran parte [15] dell'auletica e della citaristica, tutte, prese nel loro assieme, si trovano ad essere imitazioni"1.


Giacché non sapremmo come chiamare con un unico nome i mimi di Sofrone e di Senarco assieme ai discorsi socratici, e lo stesso è per le imitazioni fatte con trimetri giambici o con versi elegiaci o con qualche altro metro di questo genere"2


In quanto genere in divenire, il romanzo riflette il divenire della realtà stessa, esso non fa altro che esprimere meglio di ogni altro genere letterario le tendenze del divenire del mondo moderno, essendo a questo consustanziale.  Ha, non a caso, come sottolinea Bachtin, il potere di anticipare il futuro sviluppo di tutta la letteratura, conquistando il predominio su tutti gli altri generi, contribuendo al loro rinnovo, contagiandoli di divenire e di apertura. E' solo perciò attraverso lo studio di questo, benché difficile che sia, che si può aspirare ad una comprensione approfondita della teoria e della storia della letteratura. In realtà, nonostante tutti gli sforzi possibili in questa direzione, non essendo stabilità e canonicità, caratteristiche del romanzo non sembrerebbe realizzabile una teoria sullo stesso. Tuttavia non solo molti romanzieri hanno cercato di dare definizioni normative del romanzo nelle prefazioni dei loro scritti, come Rosseau nella Novella Eloisa, Wieland in Agatone, Wezel in Tobia Knaut, partecipando tutti al vivente divenire di questo genere, ma significative sono anche una serie di enunciazioni (come quelle di Fielding nel Tom Jones o nel Saggio su romanzo di Blanckenburg), che riflettono questo eterno movimento  del romanzo in una sua fase essenziale nel XVIII. Esposte queste enunciazioni in una serie di richieste, tra le quali principalmente la necessità di non mostrarsi "poetico" come gli altri generi, di avere un protagonista non eroico né tragicamente nè dal punto di vista dell'epos e in continuo divenire all'interno della stessa trama dell'opera, essendo infine in grado di elevare il romanzo alla stessa dignità di cui godeva l'epos nel mondo antico, esse fanno emergere quanto il romanzo si presenti come un genere critico ed autocritico, in grado di rinnovare il senso della letterarietà del tempo.





Epos e romanzo, due modelli a confronto


Sebbene, come già ho precisato, non si possa ridurre ad alcun modello il romanzo, pena la sua perdita di valore Bachtin cerca di individuare nel suo saggio Epos e Romanzo le sue peculiarità di fondo, che rendono questo così plastico, mutevole, in grado di reggere le sorti della letteratura.  Il filosofo e critico russo scrive di sue tre caratteristiche fondamentali: 1)la sua tridimensionalità stilistica, legata alla coscienza plurilinguistica che si realizza in esso; 2)il mutamento radicale delle coordinate temporali del personaggio letterario del romanzo, ed infine 3)la nuova zona di costruzione del personaggio letterario nel romanzo, ossia il presente, l'età contemporanea nella sua incompiutezza. Quanto al primo punto il plurilinguismo ha avuto sempre luogo, ma esso non costituì mai un fattore creativo come accade in epoca contemporanea (Basti pensare al greco letterario classico, quando la coscienza creativa si realizzava soltanto in lingue pure chiuse, sebbene  esistessero  generi letterari plurilinguistici come la tragedia). A distinguere il romanzo dagli altri generi letterari sono proprio la sua formazione e la sua crescita in un età, caratterizzata a sua volta da un processo di reciproca illuminazione e azione delle varie lingue, sia nazionali, sia dialettali, ecc..Per questo il  romanzo da un punto di vista stilistico e linguistico è come se reggesse le sorti del processo di rinnovamento e sviluppo della letteratura, essendo quindi il plurilinguismo il suo elemento naturale. Relativamente alle altre due peculiarità di questo genere letterario, ora Bachtin ritiene fondamentale un confronto del romanzo con l'epos mediante prima un'analisi accurata di quest'ultimo. L'epopea, è determinata da tre aspetti costitutivi principali: 1) il suo oggetto è il passato epico nazionale; 2) la sua fonte è la tradizione nazionale; 3) il mondo epico è separato dal presente. Scorrendo questi punti essenziali, si può notare come questo genere antico, sia tanto chiuso, quanto completo, compiuto mentre il romanzo rappresenta tutt'altro, se non addirittura il contrario, ovvero uno slancio verso l'incompiutezza. Ciò lo si comprende esaminando attraverso  questi punti su cosa si focalizzi l'epos;  ebbene non sulla conoscenza, come ritiene di fondamentale importanza anche Kundera, ma sulla memoria, sul ricordo di un passato "assoluto" svoltosi in un tempo altrettanto "assoluto" e quindi non soltanto un qualcosa di intoccabile, di sacro, ma anche di lontano dal presente, da un età contemporanea con la quale non verrà mai a confrontarsi . L'esperienza, la conoscenza, la pratica determinano il romanzo, elementi totalmente esclusi nell'epopea. E' come se esistesse nel caso di quest'ultima un confine assoluto che ostacola il confronto attivo, vivo e quindi la riflessione fra realtà presente imperfetta e realtà assoluta, perfetta del passato epico tradizionale. Sono proprio questo passato e la tradizione che rendono autosufficiente e compiuto l'epos nel suo valore, nel suo senso e nei contenuti. (Per questo motivo, ad esempio, ogni parte, ogni episodio  di un epopea potrebbe essere rappresentata come un tutto, iniziando e terminando così il racconto epico dove lo si desidera. Cosa impossibile nei romanzi, dove lo specifico interesse per il seguito è possibile solo grazie alla vicinanza e al contatto di questi alla realtà). La tradizione, in particolare, rende il mondo epico inaccessibile ad un valutazione ed ad un punto di vista personale,nonché della sfera umana che acuisce il senso della distanza epica e quindi della venerazione da parte sia dei cantori, che degli ascoltatori nei confronti dell'epos stesso.  Epopea, la cui raffigurazione artistica diviene inoltre sub specie aeternitatis, dove il tempo diviene una categoria gerarchica assiologico-temporale. Per i posteri, spiega Bachtin, si crea un'immagine, degna di essere raffigurata ed essa si forma nell'anticipabile piano della lontananza dei posteri stessi; diviene insomma fondamentale la memoria futura del passato, il passato assoluto nell'epos si arricchisce di nuove immagini di un mondo che non fa altro che contrapporsi per principio ad ogni passato transeunte, a spese del presente, il tutto lontano dal tempo reale e dinamico dell'età contemporanea, considerata "inferiore".  Questa percezione del tempo e la gerarchia dei tempi compenetrano anche tutti i generi letterari alti dell'antichità e del medioevo, dato il carattere ufficiale dell'idealizzazione del passato, elemento grazie al quale essi aspirano a raggiungere così la compiutezza e manifestano così la loro classicità, che li contraddistingue come generi non romanzeschi. Solo in età ellenistica si assisterà, come segno di cambiamento dei tempi alla nascita di un epica nuova, destinata ad una cerchia ristretta di lettori selezionati, senza che quella tradizionale scomparisse. Uno degli autori che più incarneranno l'ideale di un epos nuovo sarà Apollonio Rodio, il quale nelle sue Argonautiche infrangerà sistematicamente il modello epico tradizionale operando una profonda trasformazione e rielaborazione di episodi e temi omerici nel loro primo significato.

Traduzione:

"Obbedendo a Medea, Giasone staccò dalla quercia

il vello d'oro;  ed essa intanto, immobile,

spargeva il suo filtro sopra il capo del mostro,

finchè Giasone ordinò di tornare alla nave;

e a quel punto lasciarono il bosco ombroso di Ares.

Come una fanciulla riceve sopra la veste

la luce della luna piena, che splende sul tetto

della sua stanza, ed il suo cuore è lieto

dall'incantevole lume; così godeva

il figlio di Esone alzando il vello nelle sue mani"3


Dunque ciò che contraddistingue il romanzo da tutti gli altri generi  letterari è il suo legame vitale con il presente, a causa del quale assume "l'impronta dell'incompiutezza", essendo l'oggetto coinvolto attraverso il contatto con la contemporaneità nel processo incompiuto del divenire del mondo. In seguito a ciò non solo il presente avanza verso un incompiuto futuro, ma anche il senso e il significato dell'oggetto si rinnovano e crescono continuamente, a differenza di ciò che accadeva nell'epos. E mentre questo possedeva quel limite invalicabile, costituito dalla tradizione, il romanzo va a configurarsi come un genere in continua evoluzione anche nella continua ridefinizione di quelle che è il suo di limite, costituito dai particolari rapporti con i generi extraletterari, cioè di vita e di ideologia. Non ci sono dei, come scrive Bachtin a stabilire i confini fra artistico ed extrartistico, tra letteratura e non letteratura.  Persino la concezione dell'uomo muta nel romanzo, egli diviene ancora più centrale da un certo punto di vista, in quanto divengono nel romanzo centrali l'esperienza personale e la libera invenzione creativa. Nell'epos come nei generi alti il raffigurante coincide con il raffigurato, non c'è autosmascheramento, l'uomo epico non è capace di alcuna iniziativa ideologica, oltre che di iniziativa linguistica. Sia uomini che dei, infatti, seppure in diversi gruppi con presumibili caratteristiche diverse sono dotati di una stessa lingua, di una stessa concezione del mondo, di uno stesso destino. E sebbene l'uomo epico per queste caratteristiche sia caratterizzato per questo da una straordinaria bellezza, integrità, non sia "corrotto" nella sua essenza da alcunché egli è destinato a divenire un uomo irreale, limitato nella sua condizione date le nuove condizioni reali di esistenza. L'epos si disgrega quando iniziano le ricerche di un nuovo punto di vista da cui guardare se stesso. Un gesto del genere sorge come deviazione dalla norma, dapprima vista semplicemente come un errore ed in seguito riconosciuta nella sua importanza soggettiva.



Alle origini del genere romanzesco..


"Il romanzo non è nato dallo spirito teorico ma dallo spirito dello humour".  Milan Kundera 


In questa frase di Kundera si potrebbe riassumere in ciò che Bachtin individua l'alba del romanzo, ossia  nella formazione di un atteggiamento radicalmente nuovo verso la lingua, verso la parola, intravedendo nella creazione comico-popolare le vere radici folcloriche dello stesso. Con il fiorire della parodia e del travestimento di tutti i generi letterari alti e immagini alte del mito nazionale si sviluppa infatti una sfera letteraria mano a mano sempre più vasta, quella dello "spondoghèloion", la "serio-comica", della quale iniziarono a farvi parte i mimi di  Sofrone, la poesia bucolica, la favola, la prima memorialistica di Ione di Chio e di Crizia,i pamphlets, ed ancora i dialoghi socratici, la satira romana di Lucilio di Orazio, di Persio e Giovenale, la vasta letteratura di "simposi" e infine la satira menippea come genere letterario e i dialoghi del tipo di quelli di Luciano. Generi, veri predecessori del genere romanzesco ancor più di quello del cosiddetto "romanzo greco" (insigniti di questo nome già ai tempi dell'abate Huet), e ciò perché è attraverso questi che si inaugura il contatto letterario con la realtà contemporanea, spesso in modo brutale immediato, si rivisita l'orizzonte letterario stesso mediante il punto di vista del presente . Si ottiene quindi la totale distruzione della distanza epica e gerarchica grazie al principio comico di questi generi, al riso e al folclore, nonché l'avvicinamento dell'oggetto prima distante da un punto di vista assiologico, denudandolo, indagandolo, detronizzandolo insomma fino ad una cognizione sempre più realistica del mondo. Subentra così la logica artistica dell'analisi, dello smembramento, la funzione della memoria diviene minima, come scrive Bachtin "si ride per dimenticare". L'autore e i lettori di queste opere e gli stessi personaggi ed il loro mondo raffigurato, iniziano ad esser posti su uno stesso livello, che non solo rende l'oggetto epico contemporaneo, ma fa sì che anche l'autore possa muoversi liberamente nel campo raffigurato.  Delle forme letterarie citate in particolare assumono una rilevanza specifica i dialoghi socratici, nati dal declino dell'antichità classica, dai quali nascerà successivamente l'apomnemoneumata, un genere memorialistico, basato semplicemente sulla propria memoria personale, di conseguenza limitata, senza monumentalismi. Non a caso al centro dei dialoghi stessi vi è un l'eroicizzazione prosaico-romanzesca di un uomo, Socrate, simbolo della dotta ignoranza dalla celebre espressione "io so di non sapere", con la quale egli dimostrava però di essere più saggio di tutti; il tutto in uno stile ed in un linguaggio colloquiale, vicino alla lingua popolare, in un sistema piuttosto complesso quindi di stili e di dialetti. E cosa più importante è presente all'interno di questi, l'unione fra il riso, l'ironia socratica e l'analisi, seria, critica del mondo, dell'uomo e del pensiero umano, con inizio dell'orientamento nel mondo e nel tempo, in una realtà eterogenea e plurivoca. 

Traduzione:

"Socrate: Chi sarà dunque Eros? un mortale?'Diotima:'No di certo.' Socrate: 'E allora?' Diotima:'E come negli esempi precedenti, la sua natura è a mezza via tra il mortale e l'immortale'. Socrate :''Che vuoi dire, Diotima?' Diotima:'E' un dèmone potente, Socrate. I demoni, infatti, hanno una natura intermedia tra quella dei mortali e quella degli dèi.' 'Ma qual è il suo potere?' chiesi. Diotima:'Eros interpreta e trasmette agli dèi tutto ciò che viene dagli uomini, e agli uomini ciò che viene dagli dèi: da un lato le preghiere e i sacrifici degli uomini, dall'altro gli ordini degli dèi e i loro premi per i sacrifici compiuti; e in quanto è a mezza via tra gli uni e gli altri, contribuisce a superare la distanza tra loro, in modo che il Tutto sia in se stesso ordinato e unito. Da lui viene l'arte divinatoria, ed anche il sapere dei sacerdoti sui sacrifici, le iniziazioni, gli incantesimi, tutto quel che è divinazione e magia. Il divino non si mescola con ciò che è umano, ma, grazie ai dèmoni, in qualche modo gli dèi entrano in rapporto con gli uomini, parlano loro, sia nella veglia che nel sonno. L'uomo che sa queste cose è vicino al potere dei dèmoni, mentre chi sa altre cose - chi possiede un'arte, o un mestiere manuale - resta un artigiano qualsiasi o un operaio. Questi dèmoni sono numerosi e d'ogni tipo: uno di essi è Eros'. 'Chi è suo padre - domandai - e chi sua madre?' Diotima:'E' una lunga storia - mi disse -. Adesso te la racconto. Il giorno in cui nacque Afrodite, gli dèi si radunarono per una festa in suo onore. Tra loro c'era Poros, il figlio di Metis. Dopo il banchetto, Penìa era venuta a mendicare, com'è naturale in un giorno di allegra abbondanza, e stava vicino alla porta. Poros aveva bevuto molto nettare (il vino, infatti, non esisteva ancora) e, un po' ubriaco, se ne andò nel giardino di Zeus e si addormentò. Penìa, nella sua povertà, ebbe l'idea di avere un figlio da Poros: così si sdraiò al suo fianco e restò incinta di Eros"4.


Un altro genere infine sul quale è necessario soffermarsi diviene quello della satira menippea, nei quali la funzione del riso è ancora maggiore rispetto a quello che accade nei dialoghi. Satira, dialogica, plurilinguistica, caratterizzata da un intreccio molto libero di muoversi con un'estrema fantasia, come testimoniano i molti incontri tra gli eroi del passato assoluto epico e magari personaggi familiari, con l'unico scopo di smascherare idee e ideologi., nella quale compare inoltre anche l'elemento utopico. A Roma in particolare è significativo ricordare il Satyricon di Petronio, romanzo di età neroniana pervenutoci purtroppo in forma lacunosa. Il testo, nato dalla confluenza della tradizione comico-satirica e della parodia dell'epica e di altri generi alti, ha lo scopo di rappresentare realisticamente alcuni ambienti e personaggi socialmente più bassi del proprio tempo, ritratti nella loro amoralità con sorridente distacco. Ed è proprio questo distacco ironico da parte dell'autore nei confronti del mondo da esso rappresentato che rende il Satyricon un opera molto originale e mordace, senza che essa si trasformi mai al tempo stesso in una sterile satira di costume, rivelando a tratti un senso amaro della realtà, una latente nostalgia del passato e quindi un' aspra critica soprattutto morale alla realtà contemporanea. Ecco appositamente alcune righe della celebre scena della Cena Trimalchionis :


"[XXXVII] Non potui amplius quicquam gustare, sed conversus ad eum, ut quam plurima exciperem, longe accersere fabulas coepi sciscitarique, quae esset mulier illa quae huc atque illuc discurreret.' Vxor, inquit, Trimalchionis, Fortunata appellatur, quae nummos modio metitur. Et modo, modo quid fuit? Ignoscet mihi genius tuus, noluisses de manu illius panem accipere. Nunc, nec quid nec quare, in caelum abiit et Trimalchionis topanta est. Ad summam, mero meridie si dixerit illi tenebras esse, credet. Ipse nescit quid habeat, adeo saplutus est; sed haec lupatria providet omnia, et ubi non putes. Est sicca, sobria, bonorum consiliorum: tantum auri vides. Est tamen malae linguae, pica pulvinaris. Quem amat, amat; quem non amat, non amat. Ipse Trimalchio fundos habet, quantum milvi volant, nummorum nummos. Argentum in ostiarii illius cella plus iacet, quam quisquam in fortunis habet. Familia vero -- babae babae! -- non mehercules puto decumam partem esse quae dominum suum noverit. Ad summam, quemvis ex istis babaecalis in rutae folium coniciet".


Traduzione:

"Io non riuscivo più a buttare giù nulla ma, rivolgendomi a lui per saperne di più, la presi alla larga e gli chiese chi fosse quella donna che continuava ad andare avanti e indietro. «Ma è la moglie di Trimalcione» specifica lui, «si chiama Fortunata e i soldi li conta a palate. E lo sai cos'era fino all'altro ieri? Lasciamelo dire: era una che da lei non avresti accettato nemmeno un tozzo di pane. Adesso, non chiedermi come né perché, ha toccato il cielo con il dito ed è il braccio destro di Trimalcione. Al punto che se a mezzogiorno spaccato lei gli dice che è notte, lui ci crede anche. Lui stesso non lo sa mica quanto ha, tanto è ricco sfondato. Ma quella figlia di troia ne sa una più del diavolo e non le sfugge niente. Mangia poco, non beve, e ha la testa sul collo: tutto oro quel che vedi. Però ha una lingua, una vera cornacchia! Chi ama ama, chi non ama non ama. Lui, Trimalcione, ha tante terre che per vederle ci vorrebbero le ali di un nibbio e fa soldi su soldi. Nella guardiola del suo portiere c'è più oro di quanto altri ne hanno in un patrimonio intiero. Circa la servitù, lasciamo perdere: ad aver visto in faccia il padrone, porcaccia la miseria, ce ne sarà sì e no uno su dieci. Sta di fatto che questi scrocconi lui se li rivolta come vuole"5.



Nella revisione dell'epos tradizionale ovviamente non mancano esempi di raffigurazioni del passato eroico, senza alcun travestimento, ma il punto di partenza delle sue rappresentazioni, dell'interpretazione e della sua valutazione ideologica diviene sempre l'età contemporanea, la sua stessa problematicità come accade nella Ciropedia di Senofonte. Infatti essa non rientra nel genere serio-comico, ma sicuramente si trova ai suoi confini, con un evidente influsso della figura di Socrate nella sua opera, nella sua forma, essendoci in essa dialoghi incorniciati da racconti, quest'ultimi  in gran parte frutto dell'immaginazione dell'autore ( per questo la C. non viene ricordata come un'opera storica) . La trattazione del re persiano dimostra come non ci sia più il mondo chiuso e monolitico dell'epopea e della propria tradizione, ma come le culture, le ideologia, le lingue inizino ad illuminarsi a vicenda.  Soffermarsi sull'idealizzazione di Ciro è di fondamentale importanza per comprendere il bisogno di rinnovamento delle forme politiche greche in direzione dello spirito vicino all'autocrazia orientale, condiviso da Senofonte ed altri suoi contemporanei. Ciò che emerge è comunque una modernizzazione del passato, cosa non presupposta affatto nel romanzo. Il passato in quanto tale secondo Bachtin, al contrario, può essere trattato in modo oggettivo soltanto nel romanzo, perché esso è conservato integro nella sua originalità. Nel caso specifico della Ciropedia si noti anche l'importanza dell'istruzione, dell'educazione dell'uomo al tempo dello stesso storico al tempo quindi di Senofonte e che diverrà in Europa una delle idee dominanti e formanti del moderno romanzo. Qui di seguito un brano dell'opera in italiano:

Si insegna ai fanciulli anche la temperanza, e al suo apprendimento molto giova la constatazione che anche gli anziani vivono praticando quotidianamente questa virtù. E poi si insegna loro a obbedire ai superiori, e a questo contribuisce il vedere che gli anziani prestano una scrupolosa obbedienza ai magistrati. E poi si insegna l'autocontrollo nel mangiare e nel bere, che viene favorito sia dalla possibilità di riscontrare che gli anziani non vanno a cenare prima che i superiori lo consentano sia dalla circostanza che non consumano il pasto a casa, con la madre, bensì in compagnia del maestro, e solo dopo che i direttori abbiano dato il segnale. Si portano da casa come nutrimento del pane, come companatico del crescione e per spegnere la sete una tazza per attingere l'acqua del fiume. E poi imparano a tirare con l'arco e a lanciare il giavellotto. Queste sono le occupazioni dei fanciulli dalla nascita ai sedici o diciassette anni d'età, allorché entrano nella classe dei giovani"

Ed ancora:

"Fino ai dodici anni o poco più Ciro ricevette l'educazione di cui s'è detto: si rivelava superiore a tutti i coetanei sia per la rapidità nell'apprendere ciò che doveva sia per la per la rettitudine e il coraggio in ogni comportamento"6.


 Ma che cos'è realmente il romanzo? Interroghiamoci sulla sua essenza..


Dopo essermi soffermata sulla discussione inerente all'origine di questa grande scoperta umana, vorrei, aiutata dalle tesi di Milan Kundera, non un critico letterario ma un semplice romanziere,  come egli stesso ama definirsi nei suoi molti saggi circa l'argomento,  cogliere la vera essenza del romanzo. Questo è sicuramente divenire, eterno divenire, ma ancora di più rappresenta un perenne interrogarsi.

" La sola ragion d'essere di un romanzo è scoprire quello che solo un romanzo può scoprire. Il romanzo che non scopre una porzione d'esistenza fino ad allora ignota è immorale".

Ecco cosa scrive l'austriaco Hermann Broch e che Kundera continuamente ripete. I romanzi non indagano la realtà, ma l'esistenza, le infinite possibilità di essa. Gli autori che operano in questo genere sono esploratori dell'esistenza. Se gli storici infatti indagano sulla storia della società, i romanzieri si interessano della storia dell'uomo; a fronte di ciò nei romanzi la trattazione anche di un evento secondario o non ricordato dalla storiografia ufficiale acquista importanti significati, principio che Kundera segue nei suoi libri. E' questo il caso della sua Vita è altrove, dove uno dei personaggi Jaromil non osa spogliarsi e scappa di fronte alla più bella occasione erotica della sua vita a causa dei mutandoni poco eleganti che si indossavano al tempo del regime comunista, circostanza storica dimenticata eppure molto importante per chi viveva allora.  La stessa concezione la ritroviamo in Alessandro Manzoni nella sua Lettre à Monsieur Chauvet:

"Mais, dira-t-on peut-être, si l'on enlève au poëte ce qui le distingue de l'historien, le droit d'inventer les faits, que lui reste-t-il? Ce qui lui reste? La poésie; oui, la poésie. Car enfin que nous donne l'histoire? des événemens qui ne sont, pour ainsi dire, connus que par leurs dehors; ce que les hommes ont exécuté: mais ce qu'ils ont pensé, les sentimens qui ont accompagné leurs délibérations et leurs projets, leurs succès et leurs infortunes; les discours par lesquels ils ont fait ou essayé de faire prévaloir leurs passions et leurs volontés, sur d'autres passions et sur d'autres volontés, par lesquels ils ont exprimé leur colère, épanché leur tristesse, par lesquels, en un mot, ils ont révélé leur individualité: tout cela, à peu de chose près, est passé sous silence par l'histoire; et tout cela est le domaine de la poésie. Eh! qu'il serait vain de craindre qu'elle y manque jamais d'occasions de créer, dans le gens le plus sérieux et peut-être le seul sérieux de ce mot! Tout secret de l'ame humaine se dévoile, tout ce qui fait -es grands événemens, tout ce qui caractérise les grandes destinées, se découvre aux imaginations douées d'une force de sympatie suffisante. Tout ce que la volonté humaine a de fort ou de mysterieux, le malheur de religieux et de profond, le poéte peut le deviner; ou, pour mieux dire, l'apercevoir, le saisir et le rendre".

Traduzione:

"Ma, si potrà forse dire, se si toglie al poeta ciò che lo distingue dallo storico, il diritto di inventare i fatti, che cosa gli resta?Che cosa gli resta?la poesia;si, la poesia. Perché, in definitiva, che cosa ci dà la storia? Degli avvenimenti, che, per così dire, non sono noti che dall'esterno; ciò che gli uomini hanno compiuto: ma ciò che essi hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti, i loro successi e i loro infortuni; i discorsi con cui hanno fatto o cercato di far prevalere le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e su altre volontà, con i quali hanno espresso la loro collera, riversato la loro tristezza, con i quali, in una parola, hanno rivelato la loro individualità: tutto ciò è quasi totalmente passato sotto il silenzio della storia; e tutto ciò è il dminio della poesia. Ah!sarebbe vano temere che essa manchi di occasioni di creare, nel senso più serio, e forse il solo serio di tale parola! Ogni segreto dell'animo umano si svela, tutto ciò che fa i grandi avvenimenti, tutto ciò che caratterizza i grandi destini, si scopre alle immaginazioni dotate d'una forza di simpatia sufficiente. Tutto ciò che la volontà umana ha di fronte o di misterioso, tutto ciò che la sventura ha di religioso e profondo, il poeta lo può indovinare; o, per meglio dire, coglierlo, afferrarlo e renderlo"7.


La storia viene analizzata quindi in se stessa, come condizione esistenziale per i personaggi dei romanzi.


Qualche cenno su Manzoni.

  Il suo romanzo appartiene a un genere particolare, che ebbe la sua maggiore diffusione tra la fine del 1700 e la prima metà del 1800: il romanzo storico, racconto di fatti immaginati dall'autore, inquadrati tuttavia in un determinato periodo storico, del quale l'autore stesso descrive i costumi e le usanze, richiama e cita gli avvenimenti maggiori o minori. Questo interesse per la storia non era proprio solo del Manzoni: in questo stesso periodo gli scrittori romantici riscoprivano la storia patria, in particolare quella medievale. Tipica del Manzoni è la volontà di rappresentare la storia non dei grandi ed eroici personaggi, ma piuttosto della comunità, rappresentata attraverso individui assolutamente "normali", "umili", come i protagonisti dei Promessi Sposi. Il Manzoni fa suo il genere letterario del romanzo storico, ancora assente in Italia, ma di cui il nostro autore aveva letto diversi esempi stranieri (basti pensare ad Ivanhoe di Walter Scott). Questo genere permette al Manzoni di scrivere un'opera che sia insieme vera, educativa ed interessante (lui stesso in una lettera ad un amico dirà che l'opera d'arte deve avere "il vero per soggetto, l'utile per iscopo e l'interessante per mezzo".


Il romanzo del Manzoni è un'opera del più alto valore artistico, nella quale il difficile equilibrio fra storia e fantasia si attua in modo mirabile. Ciò fu possibile perché il Manzoni studiò scrupolosamente l'epoca che fa da sfondo alla vicenda dei personaggi inventati, tanto che i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro azioni sono sempre coerenti con la mentalità, le abitudini, la cultura, le situazioni sociali, politiche, morali, religiose del momento storico in cui sono inquadrate. Il romanzo non è di facile lettura, ma significativo perché permette di capire noi stessi e l'uomo, l'uomo di sempre, anche se gli uomini di cui parla sono lombardi, dei primi decenni del XVII secolo. Il romanzo è definito appunto dall'autore "Storia milanese del XVII secolo", e la vicenda dei protagonisti si svolge fra la campagna intorno a Lecco, Monza, Milano e il territorio a occidente di Bergamo, dal 7 novembre 1628 all'autunno del 1630. Storia dunque di un breve periodo ed entro modesti confini geografici. Questo libro che tanto parla di prepotenza e di sopraffazione, di guerra, di peste, di dolore, è un'alta lezione di serenità. Senza assumere il tono fastidioso della predica morale, il romanzo ci insegna a vedere la realtà umana nella sola luce che può permetterci di amarla e di sentirci corresponsabili con i nostri fratelli di tutto il male che si compie e con loro partecipi di tutto il bene che può nascere nel nostro mondo, con l'aiuto della Provvidenza, sempre presente.



Riprendendo il nostro discorso il romanzo infatti si distingue dalla filosofia, dalla scienza, insomma da qualsiasi sapere razionalistico proprio per costituire la dimensione  dell'incalcolabile. Se per Leibniz "nihil est sine ratione", il romanzo è proprio sine ratione, agli antipodi della razionalità. Esso non conosce, anzi non si pone neanche l'obiettivo di scoprire il perché di ogni cosa, nello stesso modo in cui la scienza si accanisce a ridurre tutta la realtà al campo del comprensibile, dello spiegabile. Un romanzo altro non è che in altri termini una meditazione poetica sull'esistenza . Ciò non significa che la riflessione romanzesca sia astratta, anzi la filosofia è quella che elabora il suo pensiero in uno spazio del genere, senza personaggi e senza situazioni. Tra le personalità filosofiche che si sono espresse su questo problema, vi ritroviamo Kierkegaard. La filosofia, secondo il filosofo danese, non può pertanto limitarsi ad un aspetto puramente astratto e definitorio, non deve rimanere in superficie ma deve incidere nel profondo non solo di chi l'ascolta ma anche di chi la esprime e, in un certo senso, l'impersona. Una filosofia che è anche pratica di vita, dunque, com'è stato per i suoi grandi modelli di riferimento: Cristo e Socrate. Ambedue con la loro parola hanno trasformato la vita di chi li ascoltava e ambedue hanno impegnato la loro vita sino alla morte per mantenersi fedeli a quanto sostenevano. La loro era una comunicazione d'esistenza, dove la verità viene offerta a chi recepisce i messaggi trasmessi che dovrà scegliere tra le varie opere impegnando nella sua scelta sé stesso e la sua esistenza. Sotto quest'ottica si comprende il significato della pseudonimia per Kierkegaard. Il suo scopo nelle opere che scrive infatti, è quello di mettere in scena una sorta di "teatro delle maschere" di cui è il burattinaio lo stesso filosofo. Ogni suo scritto diviene un particolare "personaggio" che dialoga con le altre, magari sostenendo argomenti contrastanti con queste. Comunicazione indiretta, quella attraverso gli pseudonimi che ha anche lo scopo di riprodurre la caratteristica "ironia" socratica. Concetto questo, che egli approfondirà nella sua tesi di laurea nel 1841 Sul concetto di ironia con riferimento costante a Socrate nella quale intravede una differenza tra ironia socratica stessa e ironia romantica.


Il romanzo sondando il tempo è pervaso da quella passione del conoscere, che per Husserl costituisce l'essenza della spiritualità europea, che ha spinto romanzieri per più di quattro secoli a scrutare la vita concreta dell'uomo e a proteggerla contro quell' "oblio dell'essere" del quale parla Heidegger.  Kundera scrive che per comprendere realmente un secolo bisogna interrogare la sua intera produzione romanzesca in un contesto sovranazionale, l'unico nel quale si è in grado di cogliere e comprendere totalmente il valore di un'opera e quindi la portata della sua scoperta. Ebbene indagando gli ultimi secoli emergerebbe un tempo che conterrebbe il suo progresso, ma allo stesso tempo la sua stessa degradazione. Ciò lo si comprende pensando ai  fondatori dei Tempi moderni, ovvero Descartes e Galilei, ai quale il nostro Milan associa lo spagnolo Miguel de Cervantes. Secondo Husserl personaggi come questi primi due filosofi-matematici hanno ridotto il mondo ad un semplice oggetto di esplorazione tecnica e matematica escludendo il die Lebenswelt, la vita concreta dal loro orizzonte d'osservazione. Il progresso aveva quindi spinto l'uomo nel tunnel delle discipline specializzate, illudendo lo stesso di poter dominare la storia. Kundera, sulla base di queste considerazioni, riscopre l'importanza di quella che lui stesso definisce "la denigrata eredità di Cervantes". Egli rivede nel patrimonio tramandatoci dallo stesso, la cosiddetta saggezza dell'incertezza, ovvero la stessa saggezza del romanzo che coglie l'uomo in balia di verità relative, incarnati in una serie di io immaginari chiamati personaggi, che si contraddicono. Il Don Chisciotte di Cervantes coglie l'impossibilità di un mondo per l'uomo, nel quale siano distinguibili bene e male. Ecco le parole con le quali Kundera descrive la portata rivoluzionaria del letterato spagnolo:

"Mentre Dio andava lentamente abbandono il posto da cui aveva diretto l'universo e il suo ordine di valori, separato il bene dal male e dato un senso ad ogni cosa, Don Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo. Questo, in assenza del Giudice supremo, apparve all'improvviso in una temibile ambiguità; l'unica Verità divina si scompose in centinaia di verità relative, che gli uomini si spartirono fra loro. Nacque così il mondo dei Tempi moderni, e con esso il romanzo, sua immagine e modello"8.

Ma se il romanzo di Cervantes, tra i primi a cogliere questa realtà libera l'uomo dalle sue illusioni circa il mondo, come può quest'epoca contenere in sé il suo principio e la sua fine? Kundera ci riporta l'immagine di un mostro, di un nemico a tre teste che minano la nostra età, ovvero quella che Flaubert definisce la betise, ovvero il non-pensiero dei luoghi comuni, l'atteggiamento Kitsch, e l'uomo agèlaste. Queste sono le tre piaghe per il mondo moderno e per il romanzo, immagine di questo. Passando in rassegna  queste "palle al piede della modernità"  l'agèlaste è colui che non ride, che non ha il senso dello humour, che persino Rabelais temeva forse più di ogni cosa per il carattere e la disposizione nei confronti della realtà di uomini del genere, convinti della natura evidente della verità, della necessità da parte dell'umanità di pensare all'unanimità, nonché persuasi di essere ciò che credono di essere. Un comportamento sicuramente erroneo, visto che l'individuo diventa tale proprio quando perde la certezza della verità e il consenso unanime degli altri, essendo il romanzo stesso il paradiso immaginario degli individui, come scrive Milan, la Penelope che nella notte disfa ciò che hanno tessuto teologi, filosofi e scienziati durante il giorno, tanto per utilizzare una figura del romanziere ceco. Il Kitsch è invece l'atteggiamento banale di chi vorrebbe piacere ad ogni costo ed al maggior numero di persone, insomma costituisce la morale dell'agèlaste, il conformarsi alla massa, perdendo la propria sacra individualità. Ed infine, il non meno rovinoso per il mondo, non-pensiero dei luoghi comuni, scoperto da Flaubert in onore del quale egli scrisse un omonimo Dizionario. Betise moderna che non si traduce in semplice ignoranza, ben meno pericolosa, ma in topoi trasmessi dai mass media , in grado purtroppo di schiacciare ogni singolo e pluralistico pensiero originale soffocando l'essenza della cultura europea dei Tempi moderni.



Verso un' inesorabile fine o verso un nuovo inizio?


Un intenso dibattito filosofico ha coinvolto molte personalità di spicco per molti anni fino ai nostri giorni riguardo il problema della comunicazione, del rapporto con l'altro da sé e circa il ruolo  positivo o negativo dei mass media relativamente quest'ultimo. La linfa vitale del romanzo, come spiegato è il prospettivismo, la pluralità dei punti di vista, le infinite prospettive sulla realtà. Come dice Nietzsche "non esistono fatti , ma solo interpretazioni", ovvero il conoscere diviene prospettico, al di là dei semplicistici concetti di bene e male in un mondo polimorfo, mutevole, dominato dal divenire. Entra in gioco per il filosofo di Rocken la conoscenza come valutazione; la verità è di volta in volta il risultato di un punto di vista, di un modo di giocare con il linguaggio e la determinazione di essa risulta sempre essere legata nonché stabilita dai valori, principio dei quali è la cosiddetta "utilità per la vita", un concetto dunque vitalistico e pragmatico allo stesso tempo. La vera comunicazione, secondo Heidegger consiste in uno scambio prolifico con l'altro, si distingue dalla semplice chiacchiera, ripetizione magari soltanto di ciò che si è letto o sentito dire spinti da semplice mera, sterile curiosità che non comporta mai l'appropriazione dell'oggetto di cui si discorre. Quindi nella comunicazione, nel rapportarsi agli altri, necessaria diviene la sopravvivenza di questa differenza, di una radicale alterità, ed essa, aggiungerei, si basa proprio sul riconoscimento delle esistenze altrui, come ci spiega Jaspers.  Egli allo stesso tempo, afferma però la difficoltà di un atteggiamento del genere, data dal relativismo nel quale facilmente si potrebbe ricadere e dal fanatismo, nel voler imporre a tutti la propria opinione, in questo scacco per l'individuo fra il desiderio di realizzare sé, la propria individualità e condividere sé con gli altri. Comunicazione, insomma vista come azione e interazione, che si esplica nel romanzo. Ma allora dove sussiste il problema, la tanto temuta fine di tutto ciò? I grandi critici, come Bachtin, i romanzieri come Kundera e molti filosofi novecenteschi focalizzano la loro attenzione sui mass media, sui mezzi di comunicazione di massa, sottolineando il rischio insito all'interno di quest'ultimi. Sotto ai nostri occhi, infatti, giornali, radio, televisioni, cinema, trasmettono una serie di messaggi dei quali è molte volte impossibile controllarne la veridicità; le idee che vengono trasmesse ogni giorno sono nella mani di poche persone o per meglio dire di opinion leaders, giornalisti e esperti, che filtrano ed interpretano le notizie. I filosofi della scuola di Francoforte, in particolare Adorno, Horkheimer e Marcuse hanno sostenuto che i mass media avrebbero provocato una generale omologazione della società, la creazione di uomini "ad una dimensione" asserviti all'ideologia dominante, favorendo la formazione di società e di governi totalitari. Pier Paolo Pasolini addirittura parla in termini biologici di una mutazione antropologica nella società italiana già a partire dagli anni 70' in seguito della massificazione televisiva. Qui di seguito, in particolare, un brano tratto dal "L'uomo ad una dimensione" di Mancuse:


"I mezzi di trasporto e di comunicazione di massa, le merci che si usano per abitare, nutrirsi e vestirsi, il flusso irresistibile dell'industria del divertimento e dell'informazione, recano con sé atteggiamenti ed abiti prescritti, determinate reazioni intellettuali ed emotive che legano i consumatori, più o meno piacevolmente, ai produttori e, tramite questi, all'insieme. I prodotti indottrinano e manipolano; promuovono una falsa coscienza che è immune dalla propria falsità [.]. Per tal via emergono forme di pensiero e di comportamento ad una dimensione in cui idee, aspirazioni e obiettivi che trascendono come contenuto l'universo costituito dal discorso e dell'azione vengono o respinti, o ridotti ai termini di detto universo


Se gli uni si soffermano sul pericolo costituito dai mass media, e altri, tra i quali Umberto Eco nel suo saggio "Apocalittici e integrati" colgono un valore si positivo che negativo dei media, alcuni come Vattimo nel "La società trasparente" vedono nei mezzi di comunicazione di massa accanto all'elemento di rischio, anche una potenzialità di emancipazione, come ci dimostra il seguente brano tratto dallo scritto del filosofo italiano:


"Questi mezzi - giornali, radio, televisione, in generale quello che si chiama oggi telematica - sono stati determinati nel produrre la dissoluzione dei punti di vista centrali, quelli che un filosofo francese, J.F. Lyotard, chiama grandi racconti. Questo effetto appare esattamente contrario all'immagine che se ne faceva ancora un filosofo come Th. Adorno. Quello che di fatto è accaduto, nonostante ogni sforzo dei monopoli e delle grandi centrali capitalistiche, è stato che radio, televisioni e giornali, sono diventati elementi di una grande esplosione e moltiplicazione di Weltanschauungen, di visioni del mondo. Questa moltiplicazione vertiginosa della comunicazione, questa presa di parole da parte di un numero crescente di sub-culture è l'effetto più evidente dei mass media. Non solo nei confronti con altri universi culturali (il "terzo mondo" per esempio), ma anche al proprio interno, l'occidente vive una situazione esplosiva, una pluralizzazione che appare irresistibile, e che rende impossibile concepire il mondo e la storia secondo punti di vista unitari. [.] Caduta l'idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generale esplode come una molteplicità di razionalità "locali" - minoranze tecniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche -  che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall'idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti"10.


C'è chi infine ritiene che se da un lato la massificazione, prodotta dai mass media  porti ai totalitarismi (su questo argomento sarebbe interessante approfondire il ruolo delle masse esaminato da Hannah Arendt nel decimo capitolo "Il tramonto della società classica del suo famoso scritto "Le origini del totalitarismo"), questi stessi mezzi di comunicazione e la libertà di cui godono sia di fondamentale importanza per le società e i governi democratici. Non a caso nel corso del tempo si è diffusa l'idea che in una società democratica, affinché la democrazia possa dirsi completa, debbano essere presenti dei mezzi di informazione indipendenti che possano informare i cittadini su argomenti riguardanti i governi e le entità aziendali; questo perché i cittadini, pur disponendo del diritto di voto, non sarebbero altrimenti in grado di esercitarlo con una scelta informata che rispecchi i loro reali interessi ed opinioni. Secondo quest'ottica, nell'ambito del principio fondante le democrazie liberali, ovvero la separazione dei poteri, oltre all'esecutivo, al giuridico e al legislativo, il ruolo dei media di fonti di informazione andrebbe considerato come un quarto potere da rendere autonomo rispetto agli altri.


Insomma idee divergenti riguardo una questione, che definire semplicemente rilevante apparirebbe molto riduttivo. Ci avviamo inesorabilmente verso la fine allora? Chi può dirlo..Forse sì, oppure no continuando a far vivere e crescere quell'universo immaginario, l'unico dove l'individuo viene senza alcun dubbio rispettato nella sua identità, nel suo pensiero originale: quello del romanzo.












Note

Paragrafo 1, 1447. Traduzione ad opera di Andrea Barabino dalla Poetica di Aristotele, Oscar Mondadori.

Idem.

Libro 4, v.162 a 171, Episodio del vello. Traduzione di Paduano dalla Soria e testi della letteratura greca, vol.3, di Rossi, Nicolai. Le Monnier.

202b dal Simposio di Platone. Traduzione di Pucci da Opere complete, vol. 3.

XXXVII paragrafo del Satyricon di Petronio da internet.

Brano tratto da internet.

Brano tradotto da Baldi, Giusso dalla lettera a M. Chauvet dal "Dal testo alla storia dalla storia al testo, vol. A-D di Baldi, Giusso, Razzetti, Zaccaria. Paravia.

Pag. 19, cap.3 da L'arte del romanzo di Milan Kundera

H. Mancuse, da L'uomo ad una sola dimensione

 G. Vattimo, LA società contemporanea
















Bibliografia


Saggi di critica letteraria

v    Saggio Epos e Romanzo, tratto da Estetica e romanzo (Voprosy literatury i estetiki, 1975) di Michail Bachtin. Traduzione di Clara Strada Janovic. Biblioteca Einaudi .

v    L'arte del romanzo (1988) di Milan Kundera.Traduzione di Ena Marchi. Adelphi edizioni.

v    Il piacere di narrare: Il testo narrativo in Petronio e Apuleio (2002) di Elena Sada. Carlo Signorelli Editore.


Manuali di letteratura

v    Dal testo alla storia dalla storia al testo, vol. A-D di Baldi, Giusso, Razzetti, Zaccaria. Paravia.

v    Storia e testi della letteratura greca. L'età ellenistica, vol. 3 di Rossi, Nicolai. Le Monnier.

v    Corso integrato di letteratura latina. La prima età imperiale, vol. 4 di Conte Pianezzola.


Manuali di filosofia

v    I filosofi e le idee, esperienze filosofiche e storia del pensiero, vol. 3 di Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, De pasquale, O'Brien. Edizioni scolastiche Bruno Mondadori.


Classici greci e latini dai quali sono stati attinti i brani presenti

v    Poetica di Aristotele. Traduzione di Andrea Barabino. Oscar Mondadori.












































































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