|
Visite: 1333 | Gradito: | [ Grande appunti ] |
Leggi anche appunti:Il lampo e Il tuonoIl lampo e Il tuono PARAFRASI Il lampo Il cielo e la terra si mostrarono Cos'è la Linguistica?Cos'è la Linguistica? Inquadramento della disciplina La linguistica è lo Costituzione - tema svoltoCostituzione tema svolto Traccia: Passati ormai molti decenni dalla stesura |
Dalla narrativa pagana al racconto cristiano: temi e suggestioni.
. Il romanzo, nel periodo del tardo antico, prende tra i cristiani) la forma della vita di un santo, in cui il desiderio di castità dell'eroe e dell'eroina, legittimamente sposati, è trasfigurato nella passione spirituale grazie a cui un santo cristiano abbraccia una morte senza figli
L influsso di fonti letterarie pagane sulle biografie dei martiri è vasto ed assai eclettico: all interno di esse confluiscono infatti elementi tipici del romanzo, delle Passiones e degli Acta veri e propri. Dalla narrativa greco romana sono mutuati diversi aspetti, tra gli ingredienti più spettacolari e popolari tanto del romanzo che della novella.
1.1 Eroi, eroine, santi: la nobiltà dei natali.
Un trait d union certamente significativo tra i protagonisti dei romanzi e quelli dei ié cristiani è innanzitutto la loro origine familiare, tendenzialmente nobile o comunque cospicua .
Gli esempi in questo senso sono molteplici. La favola di Amore e Psiche vuole che la protagonista sia la figlia di un re; Dafni, al centro del romanzo di Longo Sofista, è nato da un ricco proprietario terriero e Cloe, la sua innamorata, ha come padre uno tra i più nobili cittadini di Mitilene. Ugualmente, Cariclea, personaggio femminile del monumentale romanzo di Eliodoro di Emesa, è figlia dei sovrani di Etiopia. E' dunque ravvisabile, come elemento comune delle genealogie della narrativa, l'appartenenza dei vari eroi ed eroine ad un oligarchia di potere fondata sul denaro o sulla nobiltà di sangue. La stessa situazione riguarda anche gran parte dei santi celebrati dai testi di provenienza cristiana, specialmente i martiri, il cui valore paradigmatico è più evidente e di maggiore autorit . L ascendenza dei biografi o degli agiografi non è però ugualmente delineata nelle varie fonti a disposizione, ed è indispensabile sottolineare in questo caso alcune sostanziali differenze . Gli Acta, in quanto verbali di processo o comunque scritti attinenti all'esecuzione o alle torture dei martiri della fede, non sono costitutivamente creati per accogliere notizie biografiche pregresse al momento del giudizio , mentre le Passiones storiche contengono dati scarsissimi, talora semplicemente ignorano qualsiasi informazione riguardante la vita privata del santo. In questo caso, più che la condizione dei protagonisti, contano infatti la
disponibilità al martirio ed il coraggio con cui esso è affrontato, tanto che anche quando esiste la possibilità di inserire una digressione di natura genealogica, l'autore evita di farlo. Il santo infatti è un testis che non si presenta come individuo, ma come realizzazione di un ideale, come un fedele di Cristo il cui nome e nazionalità passano in secondo piano. Tutto ciò che precede la conversione diventa oggetto
di preterizione, perché attinente alla sfera mondana dell'esistenza. Omettendo così tre luoghi fondamentali della biografia, quali nascita, stirpe ed educazione, gli agiografi creano la figura del santo senza infanzia" . Necessariamente diverso è invece il caso delle Passiones cosiddette "epiche", ricostruzioni quantomeno fantasiose del martirio, in cui il dato testimoniale è marginale rispetto all inventio dell'autore. Essa si esercita nel ricreare particolari biografici ritenuti interessanti per dare conferma, attraverso l'esempio del santo oggetto della narrazione, di un sistema di valori condivisi dall intera comunità cristiana, che hanno nell ascesi e nella professione di fede i loro punti cardine. Il racconto del supplizio si arricchisce così di notizie fittizie sulla provenienza del martire stesso, con lo scopo di sedurre il lettore e convincerlo della portata straordinaria del miraculum. Le Passioni epiche non illuminano quindi su fatti realmente accaduti, ma sono preziosi documenti sulla mentalità e sull'ambiente culturale esistenti nel momento della composizione. Anche l'epistolografia dedicata alla vita dei santi è ugualmente ricca di particolari relativi all'ambiente
familiare, per motivi solo in parte analoghi . Il fatto che, ad esempio,
Gerolamo parli solo a donne dell'alta aristocrazia, e di loro consorelle altrettanto in vista, deriva in primis dal fatto che egli, come segretario di papa Damaso, frequenti certi tipi di ambiente, ma la scelta degli argomenti ed il modo di porgerli indicano anche in questo caso la volontà di nobilitare l insegnamento morale e di amplificarlo grazie all'elevata condizione sociale dei protagonisti. Sono i testi appartenenti a questa branca della letteratura agiografica a presentare più punti in comune con il romanzo ellenistico e la novellistica d'età tardo imperiale . Ad essere più esemplificative sono, in questo senso, le Passiones romane, tra le più antiche pervenute: specialmente per quanto riguarda l individuazione delle origini familiari delle sante martiri l'affinità con la narrativa pagana è evidente. E vero che, storicamente, nella seconda metà del IV secolo, la conversione al cristianesimo dell'alta aristocrazia romana, spesso attuata per il tramite femminile della gens, si realizza nelle sue forme più vistose , ma nelle cronache delle Passioni la nobiltà dei natali è una costante invariabile: semplicemente, eventuali origini popolari delle martiri non sono attestate . Felicita , figura speculare a quella di Sinforosa, viene ricordata come illustris femina; Eugenia è figlia del vir illustris Filippo, ex prefetto di Alessandria; Agnese risulta appartenere ad una famiglia nota e rifiuta il miglior partito di Roma; Anastasia, protagonista di uno dei racconti più lunghi, è donna facoltosa e aristocratica che, pur essendo tra le matrone più in vista dell Urbe, indossa umili vesti per recarsi a visitare i cristiani incarcerati; Cecilia, porta il cilicio sotto le vesti intessute di oro.
1.2 Eroi, eroine, santi e sante: la bellezza del corpo, il meraviglioso, la prova.
Un altro punto in comune che unisce gli eroi e le eroine della narrativa pagana ed i santi cristiani è l avvenenza fisica; si tratta di un elemento evidente e del tutto consueto che affonda le sue radici nella tradizione del kaloév kaiè agaqoé a partire infatti dai poemi epici greci ed in tutta l'encomiastica e la biografia pagana, nell individuo che si distingue per le sue virtù risplende una particolare bellezza, poiché nel mondo antico l'aspetto fisico è specchio fedele della moralità del personaggio.
A parte questi primi, visibili tratti comuni, la struttura e la destinazione della narrativa pagana e delle Passiones sembrerebbe escludere legami più sostanziali: il romanzo ellenistico tipico è infatti a carattere erotico- avventuroso; sappiamo con certezza che esso non era l unico diffuso nell antichità greca, che conosceva anche quello di carattere biografico, mitologico, parodistico, comico satirico, utopistico ed agiografico. Ma di questi tipi di testi sono giunti solo frammenti papiracei e riassunti di età tarda, mentre i romanzi di carattere amoroso sono gli unici pervenuti integralmente . La loro struttura, pur nelle numerose variazioni consentite dal tema, presenta di solito una schema fisso: una coppia di innamorati viene separata dal capriccio di Tyche e può ricongiungersi solo dopo aver affrontato e superato ogni sorta di peripezie. Esse comprendono normalmente: A) viaggi per mare, turbati dal naufragio e o dall incontro con pirati e predoni, B) prodigi ed elementi magici, C) rapimenti, D) travestimenti. Ciò che risulta fondamentale in essi è che, nell'attraversare le varie prove, gli amanti vedono messa a dura prova la loro fedeltà reciproca e dunque la castit , minacciata a vario titolo da uomini e donne moralmente abietti. Sostanzialmente assimilabile a questo è il discorso sul romanzo latino, giunto a noi in modo ancora più frammentario per la grave mutilazione del Satyricon. La differenza più evidente con quello greco è che, mentre questo è estraneo ad ogni approfondimento psicologico dei personaggi e a messaggi di carattere etico religioso, le metamorfosi apuleiane uniscono all'elemento erotico una componente allegorica di alto valore morale, e descrivono uno spazio geografico meno rarefatto, in cui i luoghi non sono uno sfondo da favola ma hanno anch'essi un significato preciso.
Le Passiones cristiane possono essere a loro volta interpretate come storie sui generis di due innamorati: l'anima del santo ed il suo Creatore, cui essa anela di ricongiungersi dopo che una serie di difficoltà di diverso tipo hanno posto dolorosi e seri ostacoli a questo connubio . Ecco dunque che al viaggio di natura odissiaca si sostituisce spesso il rifiuto di sacrificare agli idoli, l interesse ai tipi di tortura, l insistenza sulla virtù e sulla fermezza del martire. La presenza del meraviglioso è comunque un ingrediente importantissimo, retaggio indubbio del romanzo greco. Anche nelle Passiones fioriscono visioni e prodigi, con una profusione che spesso ha fatto pensare gli interpreti alla scelta, da parte degli agiografi, di un pubblico suggestionabile ed ignorante, attratto da tutto ciò che fosse straordinario e plateale . In realt , la dimensione della fede dopo il V sec. è tale per cui il miracolo ed il mirabolante sono dati costitutivi e parte integrante del concetto di santità anche per l intellettuale . L idea diffusa è infatti quella che l episodio incredibile sia il miglior suggello alla potenza della fede cristiana, perciò, a diverso titolo, i santi martiri sono ritratti in situazioni spettacolari del tutto omologhe a quelle cui sono sottoposti i protagonisti dei racconti pagani. Essi, come gli eroi dei romanzi, scampano a rocamboleschi naufragi: è il caso di Balbina e Giulia, rispettivamente del II e del III sec. La prima è uno dei più antichi personaggi delle Passiones romane, la cui storia si legge nella Passione di Alessandro, Evenzio, Teodulo, Ermete e Quirino, un testo leggendario databile tra la fine del V e l inizio del VI secolo, che introduce Balbina come figlia del martire Quirino. Si tratta di un topos tipico dell'agiografia di scuola capitolina, che tende a creare rapporti di parentela tra i testimoni della fede e a dilatarne la storia unendone le vicende. La giovane, guarita da una forma di gozzo grazie al collare da carcerato donato al genitore dal pontefice Alessandro, arrestato assieme ad altri cristiani, riceve una visione in cui lo stesso papa taumaturgo la invita a cercare le catene con cui fu imprigionato Pietro. Dopo essere riuscita a compiere la missione e aver consegnato i vincula dell Apostolo a Teodora, sorella del praefectus urbi Ermete, la ragazza si unisce spontaneamente ai correligionari imprigionati, finchè Aureliano spedisce i suoi soldati a portare a mare tutti i battezzati e a spingerli al largo su una vecchia nave, con le mani legati e un sasso al collo. Balbina sarebbe miracolosamente scampata alla morte, ma qui si interrompe il racconto . Santa Giulia, secondo una Passione molto tarda, redatta nel VII secolo, era una nobile ragazza cartaginese che, caduta in disgrazia, fu venduta come schiava ad un mercante siriano di nome Eusebio. Costui, apprezzando il carattere dolce e remissivo della donna, la portò con sé nei suoi molteplici viaggi di affari; al ritorno da uno di questi l imbarcazione su cui essi si trovavano fece naufragio e, fortunosamente, Giulia ed Eusebio approdarono sulla costa della Corsica, dove tutti gli scampati al mare sacrificarono agli dei in segno di riconoscenza, tutti tranne la schiava, di fede cristiana.. Ancora, Crisanto e Daria, due coniugi romani martirizzati anch'essi nel III sec., vengono sepolti vivi al pari di Calliroe ed Anzia. Si tratta di due santi che godono di un particolare privilegio: all interno del Martirologio geronimiano, infatti, sono commemorati per ben quattro volte in date diverse. La Passione che li riguarda, giunta nell originale latino ed anche in traduzione greca , è un romanzo ciclico all interno del quale intervengono vari martiri sepolti nel cimitero di Trasone sulla via Salaria, dove anche i due sposi riposavano. Essa sarebbe stata composta da un tale Virino per espressa volontà di papa Stefano. Secondo il racconto, i due hanno origini diverse: Crisanto è figlio di un ricco alessandrino, venuto a Roma e convertito da un prete; Daria è invece una sacerdotessa di Minerva interpellata dal padre di Crisanto, Polemio, per far recedere il figlio dalla fede. Convertitasi a sua volta, la giovane finisce per convolare a nozze concordando con lo sposo sull opportunità della continenza. L imperatore Numerio (che storicamente non ebbe modo di recarsi mai a Roma) cerca di porre fine all'attività missionaria dei due sottoponendoli a prove durissime: Crisanto viene a più riprese torturato ma rimane illeso, Daria viene condotta in un lupanare, dove però è difesa da un leone del circo che respinge chi vuole abusare di lei e rifiuta poi di ucciderla, al pari di quanto fa con un condannato ad bestias il leone ricordato nelle Noctes Atticae da Gellio. Sopraffatto dalla miracolosa sopravvivenza dei due, Numeriano decide poi di seppellirli vivi in una cava d'arena sulla via Salaria.
Un altro esempio di "contaminazione" è quello di Eugenia e Reparata, rispettivamente di Roma e di Cesarea di Giudea, martirizzate nel II e nel III sec., che si ritirano in monasteri maschili abbigliate da uomo. Della prima ci racconta la Passio S. Eugeniae, un testo che ebbe tantissimo successo, tanto da essere tradotto in lingua greca, siriaca, armena ed etiopica e da fornire molteplici suggestioni anche all iconografia musiva. Eugenia è infatti rappresentata nel corteo delle vergini che adorna S. Apollinare nuovo a Ravenna, ed è visibile anche nei mosaici di Parenzo e Napoli. Secondo la Passio, la giovane da Roma sarebbe andata in Egitto al seguito del padre Filippo, inviato da Commodo a svolgere la funzione di prefetto ad Alessandria. Qui ella, per amore della castit , rifiutò di sposare Aquilio, il figlio del console, e dopo aver convertito i propri servi, si presentò in abiti virili in un monastero per essere accolta come il monaco Eugenio La figura di Reparata, oscura vergine martirizzata sotto Decio, è probabilmente mitica, frutto della clonazione agiografica di Albina o, secondo i Bollandisti, di Marina. E' probabile che in effetti Pelagia, Reparata e Margherita, ricordate dalla tradizione calendariale come sante distinte, siano in realtà la stessa persona celebrata sotto nomi diversi. Negli atti della vita di S. Marina si parla di una giovane donna che, per rimanere vergine, fugge di casa dopo che i genitori hanno stipulato un contratto di nozze e si nasconde in un monastero maschile in abiti acconci. Qui viene però accusata di molestie da una consorella, e uccisa in segno di risarcimento. All indomani della morte, stabilito con certezza il sesso, ella viene poi tardivamente riabilitata e dunque reparata" nel senso di restituita all innocenza. Tecla, protagonista degli atti paolini apocrifi, fugge anch'essa in vesti virili . Il presbitero d Asia Minore che alla fine del II secolo redasse il documento e fu in seguito deposto per aver commesso un falso, ci racconta infatti che questa giovane di Iconio abbandona famiglia e fidanzato per seguire l Apostolo nei suoi viaggi e che, dopo aver affrontato sia il rogo che le belve rimanendo sempre illesa, ella va a cercare Paolo a Mira per ricevere ufficialmente l incarico della predicazione. Per potere accedere a lui, Tecla è però costretta a travestirsi da uomo così da non essere respinta dai più stretti collaboratori del santo.
Al romanzo e alla tradizione classica risale anche un altro particolare frequentemente citato all interno della letteratura martiriale: l'età precoce della vocazione e della scelta, il momento in cui i santi si consacrano in modo totale a Dio, che rimane quello pagano" dei dodici anni , come dimostrano con chiarezza i casi di Cristina di Bolsena, ancora del III sec, Fede di Agen, sua contemporanea, ed Eulalia di Barcellona, vissuta a cavallo tra III e IV sec. Secondo la Passio latina del IX secolo, ricalcata su un modello greco precedente,
la prima di queste sante fu sottoposta a supplizio per iniziativa del padre Urbano, che all età fatidica rinchiuse Cristina in una torre assieme ad alcune ancelle, per costringerla a prestare culto agli idoli pagani qui collocati. Dopo intense orazioni e la visita di un angelo, che la confortò e la soccorse con del cibo, la giovanissima fanciulla trovò il coraggio di spezzare le catene cui era avvinta e, contestualmente, anche le statue d oro e d argento poste nell edificio. Da qui scaturirono una serie di torture l una più atroce dell altra, volute inizialmente dal padre e, dopo la morte di questi, dalle autorità cittadine. Il catalogo delle prove è completo di ogni atto cruento ed umiliante normalmente adottato in casi come questi, dall'esposizione al fuoco a quella ai serpenti velenosi, alla mutilazione delle mammelle. Per quanto riguarda il caso di Fede, il cui nome viene citato per la prima volta dal Martirologio geronimiano nella redazione di Auxerre del VI sec , la Passio più antica è di età carolingia. Secondo il racconto di questa, la ragazza dodicenne rifiutò di abiurare di fronte alle minacce del prefetto Daciano e venne condannata alla graticola ed infine decapitata. Sul suo esempio anche il più adulto e forte Caprasio fu condotto al martirio. Eulalia è citata per la prima volta da Prudenzio nel 05. A lei è infatti dedicato il terzo inno del Peristhephanon , in cui si narra che già all'età di dodici anni la giovane aveva abbandonato i giochi infantili per dedicarsi consapevolmente ad una vita di verginit . I genitori, allarmati dalle persecuzioni volute dall imperatore Massimiano, avevano quindi allontanato la ragazza dalla citt , non sospettando che ella sarebbe presto tornata per confessare spontaneamente la propria fede di fronte al tribunale, divinamente ispirata e guidata da un coro di angeli. Eulalia trovò così la morte affrontando con gioia il supplizio del fuoco, e la sua anima uscì dalla bocca in forma di colomba, mentre il corpo fu ricoperto da una coltre di candida neve.
Gli elementi comuni all immaginario pagano e a quello cristiano sono dunque, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare di primo acchito, numerosi e sostanziali nell'economia generale dei racconti cui essi sono inseriti, e sono la prima e più evidente testimonianza di un intreccio di relazioni ed influenze reciproche ininterrotte. In questo quadro di corrispondenze, oltre all'elemento del favoloso e del miracolistico, assume un rilievo del tutto particolare quello della castità dei protagonisti e dei sacrifici cui essi si sottopongono per mantenerla.
1.3 Un aspetto particolare della prova : il mantenimento della castità
Il fatto che i dei cristiani e la narrativa pagana siano speculari nell'estrema rilevanza data alla verginità , in effetti, coerente sia con la struttura narratologica che con il senso ultimo del racconto per ciascuno dei due casi. Il romanzo e la biografia hanno in genere in comune una progressione crescente nella Spannung: la presentazione iniziale del personaggio si sostanzia e si precisa mano a mano che la vicenda raggiunge il suo compimento, arricchendosi di dettagli relativi alla psicologia e all indole che emergono dal superamento delle varie prove, in misura più consistente quanto più ardue esse si presentano. L attenzione del lettore viene manipolata e accresciuta dal dipanarsi dell'elemento prodigioso e dall emozione che a questo si lega inevitabilmente, e così catturata dal narratore si mostra disponibile all'accoglienza del messaggio morale più impegnativo.Gli innamorati dei romanzi acquisiscono una maggiore maturità psicologica ed affettiva nel difendere la propria purezza, per preservare intatto il patto di fedeltà e di esclusività da essi stipulato, costantemente minacciato da attori esterni alla coppia; a maggior ragione la purezza del corpo diventa caratteristica essenziale per chi ha deciso di consacrare la propria vita al servizio esclusivo di Dio e in virtù di ciò vive la minaccia della violenza carnale come la peggiore delle prove di martirio . In questo senso, tuttavia, si verifica assai spesso che non solo la violazione vera e propria dell integrità fisica si configuri come la pena più severa, ma che ad essa possa essere equiparata anche la minaccia della nudit , dell'esibizione punitiva del corpo o qualsiasi altro atto che sia contrario al pudore e al nascondimento della sessualit . Sebbene un tale elemento narrativo sia, a tutti gli effetti, valido tanto per i personaggi femminili quanto per quelli maschili, la tensione generata da questo tipo di violenza diventa particolarmente evidente nel caso delle donne, e delle donne cristiane in modo più drammatico: le sante la cui fama ed il cui culto sono più diffusi hanno come elemento biografico comune il fatto di essere vergini per scelta precoce, o vedove votatesi irreversibilmente all univirato. Le prime, osteggiate dalla famiglia per il rifiuto del matrimonio, muoiono prematuramente: sono in genere giovanissime tranne Apollonia, che viene martirizzata quando è già in là con gli anni , e sacrificano la loro vita perché la fede impedisce loro sia di adorare gli idoli, sia di sopportare l oltraggio ed il dolore della deflorazione, imposta dagli aguzzini come umiliazione ed elemento di controllo. A corollario della morte cruenta della santa, in realtà tanto invocata come via di liberazione, si verifica con una certa frequenza la conversione dei carnefici, o, in alternativa, la morte degli stessi, qualora il loro atteggiamento non subisca variazioni; questi decessi avvengono tra dolori indicibili, e alla presenza della martire e dell'eventuale pubblico che assiste, ad evidente scopo di ammonizione . Succede così per Agnese, per il pretendente di Anastasia, per tutti i giovinastri che si accostano ad Agata e Daria nel postribolo dove ciascuna è fatta rinchiudere dai rispettivi persecutori. Il motivo dell'eccezionale pudicizia è ribadito in ogni redazione della vicenda della prima, martire romana, sia pure con alcune sensibili differenze da un caso all'altro. Prudenzio, nell inno XIV del Peristephanon, cita infatti, prima della condanna al rogo e della iugulazione, su cui convergono tutte le fonti, il particolare infamante dell'esposizione in un angolo di strada di fronte ad un postribolo. Qui Agnese compie, a suo dire, il primo miracolo, guarendo il giovane che, unico ad accostarsi a lei, cade a terra cieco. La legenda greca di V secolo elabora ulteriormente l'episodio del lupanare ponendo al fianco della santa un angelo vestito di bianco, che la difende dagli attacchi degli uomini libidinosi. In questo caso il più audace tra loro non si limita a diventare cieco, ma muore addirittura, e viene resuscitato da Agnese su sollecitazione dello stesso giudice. Particolari ancora più immaginifici sono aggiunti dalla Passio latina coeva, poi ripresa dalla Leggenda aurea di Jacopo
da Varazze nel XIII secolo . L'attentatore alla verginità della santa
assume un nome specifico: è Sempronio, figlio del prefetto. Dopo aver tentato di sedurre la ragazza con un serrato corteggiamento, egli chiede ed ottiene dal padre che lo sprezzante rifiuto cui è stato sottoposto venga punito con l inserimento di Agnese nella vicina casa di piacere: coperta da capelli miracolosamente infoltiti per non esporre le proprie nudit , la giovane cristiana riesce ad ammansire gli uomini che vogliono concupirla con un mantello candido donatole da un angelo, e quando il suo vendicativo pretendente subentra a questi, più che mai deciso allo stupro, cade istantaneamente morto e viene resuscitato dietro richiesta del padre. Anastasia di Sirmio si difende dagli assalti dei lussuriosi in due diverse circostanze: inizialmente, secondo la Passio S. Chrisogoni et sociorum, ella viene infatti imprigionata dal marito Publio, cui ella è stata data contro la sua volont , perchè si rifiuta di compiere i doveri coniugali; poi, deceduto questi, rifiuta le nuove nozze con Ulpiano, prefetto del Campidoglio.
Quando l uomo, stufo della sua ritrosia, le va incontro per prenderla tra le braccia, prima diviene cieco e poi muore. Agata viene sottoposta a martirio sotto Decio secondo il martirologio geronimiano, sotto Diocleziano secondo una tradizione meno diffusa di ambito latino, risalente al martirologio di Beda, scritto da Adelmo. Il carnefice è il governatore Quinziano: per piegare la vergine alle sue voglie, egli la sottopone ad un crescendo di torture, che però non scalfiscono la determinazione della donna alla resistenza. Così l uomo decide di avviarla all umiliazione estrema: la permanenza coatta nella casa della mezzana Afrodisia, che subito la offre agli appetiti dei frequentatori più giovani. Come da tradizione, ognuno dei pretendenti muore non appena avvicina le mani al corpo della cristiana Agata, la quale viene infine portata via dal lupanare e gettata sul rogo, dopo aver subito il taglio delle mammelle. La situazione di Daria è ancora diversa in partenza, ma non nell epilogo. Ella infatti è la sposa continente di Crisanto, uomo devoto assieme al quale questa giovane donna di Roma decide di dedicarsi alla carità verso i poveri. Quando i due vengono arrestati sono sottoposti a prove diverse: il marito viene infatti gettato in mare con una pietra al collo, la moglie viene condotta al solito lupanare, dove a difenderla non compare un angelo, ma un più prosaico leone scappato dal circo, che divora quanti vogliono accostarsi a lei. Entrambi sopravvivono alla pena e sono così sepolti vivi, nuovamente ricongiunti, in una cava di arena sulla via Salaria Il caso in cui i martiri appartengano alla schiera dei coniugati e nel momento della morte si trovino a vivere la dimensione familiare è scarsamente frequente. La condizione che in tale frangente si verifica con maggiore incidenza è che uno dei coniugi imponga la continenza all'altro o che, costretto al matrimonio da motivi dinastici o economici, accetti di vivere in una dimensione di fraternità che poco o nulla conserva del sacramento sponsale. Questo aspetto è ulteriormente sottolineato dalla costituzione di un cenobio: la coppia,
la cui casa dovrebbe essere Chiesa domestica nella logica della fede, abdica al vincolo matrimoniale per diventare nucleo di una comunità monastica, trasformando la propria domus in un vero e proprio monastero. Il santo che matura la propria vocazione al martirio all interno del matrimonio è in genere privo di prole: i figli non nascono per l osservazione del patto di castit , e se esistono accettano la scelta di vita radicale dei genitori e diventano correligionari, fratelli di fede nel senso più ampio del termine, senza che il vincolo parentale assuma più importanza della comune appartenenza allo stesso credo o alla stessa realtà ecclesiastica. Diverso , in merito alla prole, il caso delle vedove: queste hanno figli quasi sempre, ed essi diventano compagni di martirio o testimoni della virtù eccezionale della genitrice; solo in casi sporadici avviene il rifiuto della dimensione materna e l'allontanamento, e in quel caso la maternità fisica viene sublimata nella maternità spirituale di molti, senza rimpianti. E' il caso, come si vedrà, di Santa Paola. Gli Acta e le Passiones che raccontano di donne costrette al connubio per motivi contingenti, di natura economica o dinastica, sono in genere destinate a scontrarsi con uomini pagani e tendenzialmente violenti. Queste, in cuor loro da sempre spose univirae di Cristo, riescono immancabilmente a convertire il marito proprio in virtù del coraggio eccezionale
dimostrato nel percorrere la strada della castità e della continenza la
rinuncia alla sessualità diventa cos , per l'elemento maschile, l ultimo atto di un cammino di contrizione e di avvicinamento a Dio. E' il caso di Cecilia di Roma, di Orsola di Colonia, di Melania Iuniore. Per la prima, il passaggio al cristianesimo del consorte avviene in seguito alla visione che questi ha dell'angelo posto da Dio a guardia della castità di Cecilia: la solennità della conversione viene sigillata dalla consegna a Valeriano di una simbolica corona di gigli, e ogni ulteriore sforzo o segnale non è quindi più necessario; l'eccezionalità della vicenda ne sancisce anche la rapidit . Nel caso di Orsola e di Melania il percorso di conversione del marito è invece decisamente più lungo. La Passio Ursulae, redatta tra 968 e 976, ci parla in effetti di una giovane principessa britannica particolarmente astuta, oltre che devota: dovendo necessariamente accettare le nozze con il pagano Eterio per scongiurare una guerra, ella infatti pone come condizione un periodo di meditazione solitaria per ciascuno dei due sposi prima dell'effettivo incontro e del relativo inizio della convivenza. Nei tre anni di ascesi, il giovane diventa così cristiano, pronto ad accogliere in casa propria Orsola all insegna della condivisione della fede; il viaggio in mare che la donna affronta per ricongiungersi ad Eterio termina tuttavia con un rocambolesco naufragio e la morte. Cos , la sposa sui generis converte il pagano senza di fatto conoscerlo, né intacca la propria verginit . Al tradizionale travaglio della conversione maschile, Melania Iuniore aggiunge l'elemento del dolore, poiché il marito accetta l ipotesi della castità all interno del matrimonio solo dopo aver ottenuto due figli cui lasciare il proprio patrimonio. Il parto però non ha luogo, poiché le estenuanti veglie di preghiera, le genuflessioni ed i digiuni cui Melania si sottopone in gravidanza provocano un aborto spontaneo che, prontamente, viene interpretato come il segno evidente dell opposizione divina al piano familiare.
Più singolare rispetto a questi esempi è senz'altro il caso inverso di uomini santi che, convolati a nozze per motivi di salvaguardia del patrimonio in ossequio al volere del paterfamilias, spingono le compagne ad una vita di fratellanza e non di connubio. Si tratta di episodi meno frequenti ma ugualmente attestati: è cos , infatti, per personaggi illustri come Paolino da Nola, Eucherio di Lione, Salviano
di Marsiglia. L eccezionalità del primo risiede anche nella quantità del tutto speciale di documenti relativi alla sua biografia, poiché non solo egli ha lasciato circa trentuno carmi e cinquanta epistole, ma è citato exempli gratia anche da autorevoli testimoni come Ausonio, Girolamo, Agostino e Ambrogio. Ponzio Meropio Anicio Paolino sposa infatti Terasia, conducendo per alcuni anni la vita tipica degli aristocratici provinciali (era nato a Burdigala), tra svaghi di varia natura e battute di caccia. Tuttavia, il taedium vitae che lo fa sentire continuamente insoddisfatto, lo porta a desiderare il battesimo e una vita più utile, rivolta alla cura dei poveri. Terasia viene persuasa della bontà di questa scelta, e accetta la condizione della castità per rimanere accanto al marito, per il quale svolgerà sostanzialmente la funzione di diacono. Egli infatti, nel 394, a quarant anni compiuti, diventa presbitero e si dedica da quel momento all'ascesi più radicale e alla promozione del monachesimo. La biografia di Eucherio di Lione, vissuto tra il 380 ed il 450, ha diversi punti di contatto con quella di Paolino. Originario della Gallia, come lui egli appartiene infatti ad una famiglia dell'aristocrazia tradizionale ed è ricordato dalla Chiesa, e ancora prima dalla devozione popolare, come un vescovo particolarmente carismatico e volitivo, dedito in modo instancabile ad opere di carit . Non potendosi sottrarre all obbligo del matrimonio, egli riesce a coinvolgere l intera famiglia nel suo progetto di evangelizzazione e di creazione di una comunità ecclesiale rigorista, a partire dalla moglie Galla. Questa viene da lui indirizzata
ad una vita di castit , studio e preghiera sull isola di Lérins , dove in
un primo tempo vengono ammessi anche i figli Salanio e Verano, poi definitivamente inviati al convento di Sant Onorato. Eucherio abbandona di necessità la vita ascetica quando viene ordinato vescovo di Lione, tra il 431 ed il 441. Salviano, che visse a Marsiglia ma era
germanico di origine nato a Colonia ed educato a Treviri , si comporta sostanzialmente nello stesso modo con la compagna Palladia, che in continenza continuò a vivere con lui anche dopo l ordinazione sacerdotale. In precedenza anche questa coppia si era ritirata a Lérins. Tra la condizione della verginità consacrata, formalmente o solo per via interiore, che detiene la palma dell'eccellenza morale, e quella matrimoniale, si apre la vastissima categoria della vedovanza continente, che ha come protagoniste esclusive all interno della biografia, dell'epistolografia e dell'apologetica, le donne. Si tratta sempre di matrone aristocratiche, tendenzialmente giovani, volitive ed autodeterminantesi, che hanno come tratto caratteristico e comune quello della mascolinizzazione: un'acquisizione di forza virile che si dispiega in modo evidente nella duplice dimensione della vita terrena e quotidiana e in quella della fede e del cammino verso la vita eterna.
1.4 Il personaggio femminile del racconto cristiano: dalla virgo alla vidua. Continuità e innovazione.
Il caso di vergini e matrone nuptae continenti all interno delle Passiones e delle biografie non è stupefacente in relazione a quanto già espresso su queste figure femminili all interno della narrativa pagana e, più in generale, della letteratura greco- latina precedente. E' stato detto che la verginità era un disvalore nel mondo ebraico e che non veniva praticata nel mondo greco- romano . Questo tipo di affermazione è dovuta in gran parte alla particolarità dello statuto delle Vestali, la cui verginità rituale era limitata nel tempo . In effetti
queste sacerdotesse, che facevano parte del collegium pontificum, custodi del fuoco sacro di Vesta ma anche dei pignora imperii, ovvero oggetti emblematici su cui si riteneva fondata la potenza di Roma, conducevano una sorta di vita claustrale per il periodo del loro servizio, che era di trent'anni. Al termine di questo, però, con la consacrazione cessava anche l obbligo di osservare la castit . Non a caso Ambrogio, sia nel De Virginibus che all interno dell'epistola
, dipinge il ritratto di queste vergini pagane con toni molto
sarcastici, sottolineando come esse aspettassero con trepidazione il congedo per poter violare il divieto all attività sessuale , dalla quale si astenevano, quindi, solo per timore delle sanzioni cui potevano andare incontro se scoperte . E c è da dire che le pene erano davvero tremende, se si pensa che la Vestale rea di incestum veniva sepolta viva nel campus scelestus presso Porta Collina, e che il seduttore veniva fustigato a morte in pubblico, nel foro. Ambrogio sottolinea a questo proposito che i pagani conoscevano la verginità solo nel suo aspetto fisico (carnis virginitas , ma ne trascuravano del tutto il valore interiore e spirituale mentis integritas . Una considerazione di questo tipo, però, ha valore solo per l'ambito romano e latino, poiché è innegabile che presso i Greci la verginità avesse un qualche rilievo in
ambito religioso e cultuale. Fra le divinit , Artemide è sempre ricordata con l'epiteto di vergine; Atena, cui pure furono attribuiti diversi ruoli a seconda dei luoghi e dei tempi, fu principalmente connotata come vergine e nella mitologia, così come nell'epos, verginità, giovinezza ed innocenza sono considerate le qualità ideali
della vittima di un sacrificio efficace, basti pensare al caso di Ifigenia. Ma anche tra i filosofi c'era chi apprezzava la verginit : Platone indica nella donna fisicamente integra un esempio del bello , ed i neopitagorici, a partire dal I sec a.C., insegnavano un'ascesi fondata sul dominio di ogni istinto sessuale, e vedevano la continenza come una condizione di libertà spirituale in grado di mettere in relazione l'anima umana con il divino . Nella parola il Greco sentiva l immutabilità e la separazione. Per quanto riguarda la
pudicizia della sposa, essa viene sempre celebrata anche in ambito pagano come virtù caratteristica della matrona , anche se, naturalmente, nel mondo greco- latino non poteva esistere una pratica analoga alla scelta dell'astinenza da parte dei coniugi.
Del tutto originale è invece il caso della vidua, che sul piano letterario rappresenta una vera e propria categoria di rottura rispetto a quanto espresso dai classici. Se, infatti, per le altre tipologie femminili delle Passiones e delle biografie cristiane si può parlare, a diversi livelli, di un processo fecondo di risemantizzazione dei topoi della narrativa pagana, il caso della vedova rappresenta un completo rovesciamento delle modalità consuete di rappresentazione. La vedova pagana del romanzo ellenistico e della fabula milesia è una donna sessualmente vorace, che mal sopporta la sua condizione di solitudine e che viene rappresentata puntualmente come creatura maliziosa e duplex: rispettabile in pubblico, viziosa- spesso in modo iperbolico- in
privato Le vedove cristiane sono, all opposto, modelli di castit , ossequiate dai parenti ed onorate dalla comunità dei fedeli, indicate come esempio dai Padri, rigidamente monogame e, addirittura, non di rado sollevate dalla morte del marito, come Anastasia, perché rese da questa padrone di loro stesse, libere di servire Dio ed i fratelli
1.5 La vidua: teoria e prassi dal Nuovo Testamento agli scritti patristici
La grande fioritura di testi agiografici riguardanti questa categoria di donne credenti è parallela alla teorizzazione morale che la Chiesa produce al loro riguardo proprio nello stesso periodo cronologico. Con il IV sec. l Occidente latino, nell'elaborare con precisione le norme che realizzano l ideale ascetico femminile, stabilisce infatti una rigida gerarchia di valori che pone le vedove al secondo posto dopo le
vergini . La fonte di questa classifica di eccellenza è la sola
letteratura neotestamentaria: ad ulteriore conferma del carattere atipico della raffigurazione delle vedove tout court, è assolutamente evidente come esse siano delineate nel carisma senza nessun apporto
derivante dal Pentateuco, a meno che non siano raffigurate parallelamente come martiri- madri. Le donne cristiane che vedono spirare i figli prima della loro stessa morte, che sperimentano in questo frangente la prima e più straziante tortura, sono infatti
ampiamente debitrici della letteratura maccaibica . Ma nel mondo
ebraico la vedovanza non era contemplata nell uso delle comunit , ed è dunque un fatto squisitamente cristiano la riflessione teologica e morale su di essa, che muove i primi passi dalle epistole paoline
La donna israelita 1 avverte costantemente un desiderio di coniugio e
di fecondità che rappresenta la sua aspirazione più intima e più forte, poiché la fertilit , considerata dono di Dio , non è solo un mezzo di rivalsa tribale, ma si configura anche- e soprattutto- come superamento della morte ed espressione di fiducia rispetto all'avvento del Messia . La vedovanza è solo uno stato transitorio che precede nuove nozze44, le quali si realizzano sempre all'interno del levirato, un istituzione inizialmente nata per la tutela del patrimonio familiare . Secondo la legge, la vedova senza figli veniva infatti
sposata dal fratello del defunto , oppure dal parente più prossimo , nel caso non fosse disponibile alcun cognato. Se però anche questa possibilità veniva meno, la donna faceva ritorno alla casa paterna e contraeva un nuovo matrimonio con un uomo estraneo alla famiglia del primo marito . Ciò avveniva anche in virtù di ragioni di convenienza sociale: il libro dell Esodo sottolinea più volte come le donne rimaste senza il coniuge potevano infatti essere esposte a vessazioni di ogni tipo, in condizioni economiche assai precarie che le
fanno accomunare spesso agli orfani e ai forestieri. Ruth passa a seconde nozze ; Giuditta, in questo senso, è una vera eccezione, poiché ella intende la fedeltà al primo marito come impegno permanente anche dopo la morte dello stesso.
I vangeli al riguardo contengono indicazioni scarsissime. Tre sono le vedove che vengono ricordate dai sinottici: Anna Lc 2,37 , la vedova di Naim Lc. 7, 12 , la vedova che versa il suo obolo Mc. 12, 42; Lc.
21,2 . Le seconde due mostrano in effetti una certa predilezione da parte di Gesù: alla vedova di Naim Egli resuscita l unico figlio, e quando tuona contro la pietà ipocrita degli scribi, Cristo paragona la comoda religiosità del ricco che dà il superfluo alla generosità della vedova che si priva di ogni sua ricchezza. La vedova dunque, in quanto simbolo del povero, dell indifeso e del maltrattato, gode di una considerazione speciale ma non è distinta all interno della comunità
per la sua condizione caratteristica di donna sola . L unico esempio
esplicito di vedovanza consacrata all interno del Vangelo è quello della profetessa Anna, che rimasta vedova in giovanissima et , giunge all'età di ottantaquattro anni senza mai abbandonare il tempio, dove
attende al servizio di Dio giorno e notte con digiuni e preghiere . La prima attestazione dell importanza del ruolo della vedova è contenuta, dunque, in 1 Tim .: in questo testo l'autore che scrive a nome di Paolo propone un ordinamento della comunità cristiana, casa di Dio, secondo il modello familiare. Dopo aver elencato le qualità necessarie ai candidati all'episcopato e alla diaconia, egli dà conto delle caratteristiche morali che devono possedere le vedove, confermando quindi, indirettamente, come già a questa data esse costituissero un
gruppo distinto all interno della comunità ecclesiale: le donne giovani devono risposarsi, avere figli e governare la casa, per non incrementare il gruppo di quelle che girano qua e là per le case e non solo sono oziose, ma anche pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene 1 Tim 5, 13 14 . A seguire, vengono elencati alcuni criteri di valutazione della condizione della vedova bisognosa sotto il profilo economico e sociale 1 Tim 5,3 .
Ignazio Agli Smirnesi 3,1) sembra suggerire l esistenza di un gruppo di vergini chiamate vedove" almeno in una comunità dell Asia Minore all inizio del II secolo Sempre lui Agli Smirnesi 6, ) menziona il disinteresse per orfani e vedove come uno dei vizi dei suoi avversari doceti e negli Atti di Pietro II d. C.) trascurare sia gli
orfani che le vedove è presentato come un prodotto collaterale della lotta tra l Apostolo e Simone Mago. Il testo parla infatti di un senatore che in precedenza aveva seguito Cristo e aperto la sua casa ai poveri, offrendo cibo agli orfani e rifugio alle vedove, e che ora, conquistato dalla magia di Simone Mago, caccia via con un bastone quanti si presentano alla sua porta cap. 8 . Le attestazioni delle elemosine specificatamente dedicate sono molteplici: la lettera a Timoteo 1 Tm
5, 4.5.8.16) informa dell'esistenza di famiglie che cercavano di scaricare" le proprie vedove sulla Chiesa, proprio quando alcuni schiavi iniziarono ad aspettarsi da essa, oltre ad un incoraggiamento morale, i finanziamenti necessari al loro affrancamento Cfr. Ignazio, A Policarpo, 4, . Giustino parla di una colletta comune per orfani e vedove, infermi, carcerati e ospiti in visita 1 Apologia, 67, 6) e l'assistenza a vedove e orfani appare come priorità etica anche in altri testi per es., Gc. 1, 7; Erma, Precetti, 8, 10; Barnaba 20, . Colei che si candidava all'assistenza ecclesiale doveva assolvere, però, ad alcune condizioni richieste per essere iscritte nel catalogo: aver compiuto sessant'anni, essere rimasta fedele al primo marito, distinguersi per una vita cristiana esemplare, aver dato buona prova di sé nell'educazione dei figli 1 Tim 5, 11 15 . Non si può ancora parlare di un vero e proprio ordo viduarum, che nascerà solo in seguito: il senso generale del testo consente di rilevare unicamente un impegno spirituale da parte delle vedove anziane, e il corrispondente impegno della comunità ad assisterle. Un altro testo paolino di discreta rilevanza in questo senso è la prima lettera alla comunità di Corinto. All interno di questa persistevano alcuni disordini di carattere etico, legati specificamente all uso sbagliato del corpo e alla sessualità e dovuti ad un clima di generalizzato permissivismo morale. La situazione di devianza si era creata in seguito al fraintendimento di alcune parole dell'apostolo stesso, che durante la sua predicazione in città aveva posto l'accento sulla libertà interiore dei credenti battezzati
nello Spirito. Così Paolo si trova nella necessità di dover rispondere a chi, nella Chiesa della città greca, sposando per reazione posizioni decisamente rigoriste, chiede se sia lecito astenersi dai rapporti sessuali nell'ambito delle nozze. Egli sottolinea così non solo che il matrimonio è legittimo, ma richiama il diritto dovere degli sposi ad avere rapporti sessuali regolari e stabili. L astinenza può essere contemplata solo in accordo e per un tempo limitato, che preveda una più intensa dedizione alla preghiera. Paolo sottolinea subito dopo la propria predilezione per il celibato, ma sa che esso può essere solo consigliato e non imposto, perciò raccomanda ai vedovi- uomini e donne- di non passare a nuove nozze, a patto che abbiano il dono spirituale di perseverare nella loro scelta; in caso contrario è bene che si risposino, perch , conclude l'apostolo: è meglio sposarsi che
ardere" 1 Cor 7, 9 . Poco più avanti, nello stesso testo, egli
stabilisce la posizione della vedova nella scala dei valori spirituali, ponendola subito dopo la vergine e prima della donna sposata. Paolo scrive infatti: la moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purchè ciò avvenga nel Signore. Ma se rimane cos , a mio parere è meglio" 1
Cor 7, 39 40 . La vedova deve risposarsi, se non può mantenere la
continenza, in una prospettiva di fede cristiana. La scelta della castità è auspicabile, ma solo per chi ha il dono dello Spirito.
Dopo Paolo la situazione giuridica della vedova e le sue funzioni sono ampiamente trattati nella Didascalia Apostolorum , un opera composta in greco nella prima metà del III sec. e pervenutaci attraverso una versione siriaca risalente all inizio del IV sec, oltre che in una versione latina, frammentaria, databile alla fine dello stesso. All interno di questo testo le vedove sono ricordate con gli orfani, i
poveri ed i forestieri nel gruppo dei fedeli affidati in modo particolare alle cure del vescovo , e, contemporaneamente, come facenti parte di un ordine che gode di particolari benefici. Esse hanno un posto d onore nelle assemblee liturgiche , e durante le celebrazioni eucaristiche hanno seggi particolari : stanno infatti nel centro dell'edificio, in cerchio attorno al vescovo insieme ai presbiteri e ai diaconi, fatte oggetto insieme a questi della genuflessione dei penitenti . In cambio di questi privilegi, le vedove sono tenute al digiuno e alla preghiera61, con specifico riferimento ai benefattori
della Chiesa, ai malati e ai peccatori in via di ravvedimento. A ciò va probabilmente aggiunto l incarico dell accoglienza degli ospiti cristiani di passaggio, in particolare i missionari in viaggio, come gli apostoli, i profeti itineranti e i fondatori delle chiese. E' con ogni probabilità corretto ipotizzare che in tali casi le vedove che ne avevano la possibilità offrissero cene formali che esse stesse presiedevano. 1 Tm 5, 0 offre già una testimonianza in questo senso, quando l'autore auspica che la vidua lavi i piedi dei suoi ospiti sulla scorta di quanto Gesù fece con i dodici. Anche la visita ai confratelli carcerati sembra rientrare nel carisma preciso di queste donne; nel racconto che Luciano fa della prigionia di Peregrino (Morte di Peregrino, 12) egli descrive infatti una folla di vedove che va a trovarlo. Per essere ammesse all interno del gruppo, le donne interessate devono avere non meno di 50 anni 2 l'età è dunque abbassata di un decennio rispetto a quanto aveva detto Paolo , e rispondere ad una serie di requisiti morali che la Didascalia illustra con dovizia di particolari in una serie di capitoli del libro III. Esse devono essere infatti miti e tranquille, senza malizia, non chiacchierone né pettegole, aliene dalle turpitudini e caste nel linguaggio e nell'atteggiamento del corpo. Se richieste di ciò, hanno facoltà di dispensare consigli di tipo morale agli altri fedeli , ed in particolare di fungere da guida per le giovani in età da marito o in procinto di contrarre matrimonio, che possono sottoporre ad esse ogni questione riguardante il tempo ed il contenuto del fidanzamento . Le vedove devono quindi essere modello, nel ruolo, per le mogli che facevano parte di famiglie composte da madre, padre e figli, e modello, nel ruolo e nell'assistenza, per le vedove più giovani che dovevano accudire i figli a casa. E' poi probabile che il patronato possa essersi esteso anche alla cura di bambini con cui le viduae non avevano rapporti biologici, i quali potevano altrimenti essere abbandonati, come suggerito dal fatto che la figlia neonata di Felicita fu adottata da una delle sorelle", e che la vergine Tecla quando già adolescente ed in età da marito) fu salvata grazie agli sforzi di una ricca vedova, Trifena. Le vedove non possono invece, al pari di ogni laico, parlare dei misteri sacri o delle Scritture, poiché chi non conosce la dottrina rischia di bestemmiare contro il Verbo . Anche l imposizione delle mani non può avvenire senza il consenso del vescovo. Paragonate all "altare di Dio" la definizione è di Policarpo di Smirne, Ep. Ad. Phil. 4, 3 , le vedove, di preferenza, devono dunque stare ferme in uno stesso posto, e devono comportarsi degnamente conducendo una vita di modestia e di discrezione all interno della propria casa, senza andare a caccia di regali e prebende per le abitazioni degli altri fedeli, poiché non è il nome di vedova in sé a rendere la donna degna dell ingresso nel Regno dei cieli, ma le opere di carità e la fede . Appare chiaramente, dal testo della Didascalia, che le vedove non hanno responsabilità di tipo ecclesiale, e che dunque non possono agire in seno alla comunità senza il consenso preventivo del vescovo. Sostanzialmente simile è la fisionomia che di questa figura viene tratteggiata nelle Constitutiones Apostolorum, la più vasta compilazione canonica e liturgica dell'antichit , i cui primi sei libri costituiscono un rimaneggiamento della Didascalia. Rispetto al testo più antico, le Constitutiones sottolinenano con maggiore forza il carattere ascetico della vedovanza, allo scopo di chiarire che essa non è una carica ma un ideale di vita, un istituto secolare con scopi caritativi e di apostolato non investito di funzioni ministeriali . L aspetto costitutivo dell ordine, in greco , è il voto di continenza che le donne ad esso appartenenti sono chiamate a pronunciare davanti al vescovo: la professio viduitatis può essere fatta solo da vedove che hanno raggiunto i 60 anni 8 il limite d'età viene riportato al modello paolino) e deve essere considerata come una consacrazione spontanea che, però, non produce ancora nessun effetto giuridico. E' solo con Ambrogio, infatti, che la dichiarazione del soggetto profitente si accompagna all approvazione ufficiale della Chiesa e alla costituzione di uno status religiosus , ovvero di una differenziazione nel seno della comunità ecclesiastica. Con il diffondersi, sul finire del IV secolo, del monachesimo femminile, l ordo viduarum andrà però progressivamente scomparendo, poiché le donne rimaste senza marito si dimostreranno d ora in poi sempre più inclini ad intraprendere la via del convento piuttosto che scegliere la dedizione alla carità nel secolo, sentita come più limitante e ristretta.
Un dato che emerge inequivocabilmente dalle fonti, scritturali e canoniche, è il dinamismo sociale della vedova: ella infatti, a differenza della vergine che realizza il suo ideale ascetico nel chiuso di un monastero, e della madre che si realizza in ambito familiare, ha contatti con il mondo esterno ed ha un ruolo ben definito all'interno della Chiesa70. In questo senso la Didascalia offre la testimonianza più solida: le istruzioni sul modo in cui le vedove dovrebbero rapportarsi con i non credenti sono sufficientemente precise da
renderci sicuri che esse si basino su incontri autentici tra cristiani e pagani. Ne è esempio significativo l'elenco delle questioni di fede cui le viduae possono rispondere se interrogate da persone estranee alla loro comunità. L'intenzione dell'autore è inequivocabilmente quella di limitare in modo drastico la loro attività, ma di fatto il piccolo spazio concesso per rispondere alle questioni più rudimentali (le vedove possono pronunciarsi "sul rifiuto degli idoli e sull'unità di Dio", ma questioni più complicate di cristologia e di escatologia devono essere girate ai responsabili maschi della Chiesa) rappresenta un riconoscimento indiretto del potere da esse detenuto di avere contatti iniziali con i potenziali convertiti e di suscitare interesse verso il cristianesimo71. Già negli Atti di Pietro, ad es., è la testimonianza di una vedova miracolata con la risurrezione del figlio ad indurre una ricca vedova pagana a rivolgersi all'Apostolo per ricevere lo stesso segno; il denaro già da questa stanziato per la sepoltura del giovane viene così suddiviso da essa tra le vedove della sua città e le vergini in età da marito (cap. 23- 24). Un altro fatto altrettanto incontestabile è la limitatezza geografica del fenomeno della vedovanza come stato permanente ed elemento di rilevanza etica e spirituale: è, infatti, essenzialmente in Occidente che la donna senza marito trova una sua fisionomia precisa, mentre in Oriente e nelle aree periferiche dell'Impero, la componente muliebre della comunità cristiane vive essenzialmente una dimensione domestica. La pars Orientis sarà, dunque, nel corso della storia, patria di numerose vergini consacrate, mentre in Africa ed in Cappadocia a divenire paradigma per le altre donne saranno soprattutto matres familias. Ciò è dovuto alla minore libertà giuridica di cui la donna godeva nella tradizione greco-orientale72 anche in epoca cristiana. I Cappadoci nei loro scritti testimoniano in generale la sottomissione della donna all'autorità del padre73 e a quella del marito74; Le orfane e le vedove- specie se di ricca condizione- erano esposte al pericolo del ratto75 e spesso insidiate dai magistrati locali che volevano indurle al matrimonio: ad una vedova perseguitata da un oscuro funzionario imperiale che intendeva sposarla contro la sua volontà, concesse aiuto e protezione Basilio76, ed una legge orientale del 380, prevedendo speciali sanzioni contro tali abusi, prova indirettamente come questi episodi avessero una larga diffusione77.
Anche nelle Passioni e nelle biografie orazioni, castità, e qualche forma di insegnamento morale e spirituale sono ricordati come uffici delle vedove: Felicita di Roma è presentata come "illustris femina. quae in viduitate permanens, Deo suam voverat castitatem, et die nocteque orationis vacans, magnam de se aedificationem castis mentis dabat"78. La vedovanza viene sentita come una nuova possibilità di orientare la propria esistenza: la vidua raccontata all'interno di queste fonti coglie il suo status come occasione nuova di divenire spiritualmente forte e di vivere in una dimensione angelica, propria di
chi è nel corpo in maniera del tutto distaccata dalle pulsioni fisiche. E la forza spirituale delle vedove è unanimemente riconosciuta come mirabile, tanto che Tertulliano ritiene la castità vedovile talmente importante da porla accanto alla verginità che persiste dalla nascita e a quella data dal battesimo79. La novità di questa dimensione spirituale è motivo di vanto per gli apologisti e per i Padri, che sottolineano con orgoglio il fatto che ci siano, tra i cristiani, uomini e donne capaci di conservarsi continenti tutta la vita. E' vero che i testi redatti dai primi,
scritti per dimostrare la superiorità della morale cristiana su quella pagana, possono talvolta ingenerare il sospetto che le dichiarazioni sul grande numero di cristiani dediti all'ascesi siano dovute alla tendenza, polemica, all'iperbole, ma vi sono anche autori pagani che danno testimonianze analoghe in fonti letterarie di tutt'altra natura. E' il caso, ad esempio, del medico Galeno, che riconosce l'eccezionalità della scelta della castità, e la elogia in un suo scritto del 180 intitolato Platonis rei publicae synopsis, nel quale scrive: "I cristiani osservano una condotta degna dei veri filosofi. In effetti noi vediamo che essi hanno il disprezzo della morte e di ciò che accade dopo, e aborriscono dai rapporti sessuali. Vi sono fra di loro non solo uomini, ma anche donne, che durante tutta la vita si astengono dall'atto sessuale"80. Per le vedove, che pure non possiedono il requisito dell'integrità fisica, il merito della continenza è ancora più grande perché esse sono più
consapevoli di ciò a cui rinunciano e, quindi, più consce del bene che scelgono, si impegnano maggiormente nella strada intrapresa81. La castità possiede anche per queste donne un valore intrinseco, che ai loro occhi si traduce però, più che altro, nella possibilità di dedicarsi interamente al Signore senza avere nessuna preoccupazione di tipo mondano. Ne è testimonianza il fatto che gli scrittori cristiani, per
persuadere le vedove dubbiose circa i vantaggi della castità, fanno leva sul tasto della libertà personale e del passaggio al ruolo di ancilla Dei che questa consente. Tertulliano, nel De Monogamia vieta esplicitamente le seconde nozze ad entrambi i sessi, sottolineando che le norme disciplinari sono comuni. La fonte cui egli si rifà è Efesini
5,31-32, in cui Paolo stabilisce un nesso preciso tra l'unione di Adamo ed Eva e l'unione di Cristo e della Chiesa: l'unico matrimonio dei progenitori prefigura l'unione di Cristo con la Chiesa. Le nozze ripetute non possono realizzare inoltre, secondo l'apologista, il dettato di Gen. 2, 24 "saranno due in una sola carne", e dal concetto di indissolubilità del matrimonio egli matura la convinzione che la morte
di uno dei coniugi non sciolga il superstite dall'obbligo della fedeltà82.
Rivolgendosi alla moglie per sconsigliarle un nuovo matrimonio qualora ella resti vedova, Tertulliano aggiunge però alle argomentazioni "comuni" alcune affermazioni specifiche per la mulier, contrapponendo in modo esplicito la libertà offerta dalla vedovanza, preziosa occasione di nuovi frutti spirituali, alla schiavitù del matrimonio83. Sulla stessa linea, che vede la vedovanza, insieme alla verginità, come il titolo della riconquistata sovranità femminile, si schiera anche Ambrogio: "alligatur viro nupta, et ei in subiectionem astringitur"84. In questo atteggiamento doveva avere una qualche importanza anche la considerazione più "terrena" della possibilità, per la Chiesa, di ereditare i beni delle vedove devote. Particolarmente interessante è in questo senso la lettera che Girolamo scrive a Furia. L'autore, rivolgendosi a questa ricchissima vedova ed esortandola a rimanere tale, senza cedere alla lusinga di nuove nozze, scrive: "Cui dimittis tantas divitias? Christo qui mori non potest. Quem habebis heredem? Ipsum, quem et Dominum. Contristabitur pater, sed et laetabitur Christus. Lugebit familia, sed angeli gratulabuntur. Faciet pater quod vult de substantia sua: non eius cui nata es, sed cui renata e qui te grandi pretia redemit"85. Certo il costume di testare pro Ecclesia era particolarmente diffuso in Occidente, se il Codex Theodosianus comprendeva una legge apposita, emanata in data 21 giugno 390, che poneva divieto alle vedove di designare quali eredi Ecclesiam, clericum, pauperem, a costo di rivalsa sul patrimonio stesso86. Del resto, tra i motivi che spingono Anastasia a pregare per la morte del marito c'è il rimpianto della donna per l'uso immorale che egli fa del patrimonio dotale, tanto che quando l'incomodo coniuge perisce, ella accoglie la notizia "cum gaudio lacrimabili"87. Giuliana, la vedova fiorentina ricordata da Ambrogio, come segno visibile della sua liberazione, anche economica, fa erigere a proprie spese un tempio cui il vescovo regala le reliquie di Agricola e Vitale, e questa azione risulta tanto gradita che Ambrogio stesso propone di fare lo stesso a tutte le donne che godono di un certo credito sociale e di una notevole disponibilità finanziaria88. Il patronato delle vedove abbienti sia verso la comunità che verso le omologhe meno fortunate era d'altronde attestato già dagli Atti degli Apostoli, con la figura di Tabita di Giaffa. Certo, il recupero della libertà personale in qualche modo persa con le nozze è tanto più possibile quanto più è cospicuo il rango sociale della matrona: non a caso sono nobili tutte le vedove esaltate come paradigma dai Padri latini, da Gerolamo a Paolino da Nola. Le nobildonne dominano incontrastate nei testi pervenutici, e sembrano aver cancellato qualsiasi altra realtà di ascesi che non fosse la loro. Unica, parziale eccezione in Occidente può considerarsi l'Africa di Agostino, tanto che il più alto modello di santità fornitoci dal santo di Ippona è quello di sua madre Monica, troppo povera per rendersi illustre con donazioni agli occhi del mondo. D'altro lato però, anche le lettere che Agostino scrisse alle donne- poche in un epistolario ricchissimo- si rivolgono in gran parte a inlustres o clarissimae feminae89.
Anastasia è solo la prima di una lunga schiera di donne che, per motivi vari, gioiscono alla morte del coniuge. Tra queste deve essere annoverata anche santa Paola, che dopo la scomparsa del marito decide di andare a condurre un' esistenza ascetica in Terrasanta. In questo caso la scelta tra Dio e il mondo assume fin dall'inizio carattere martiriale, e la rottura degli schemi consueti del ruolo femminile è ancora più radicale, poiché Paola, per dedicarsi alla propria missione, abbandona i figli, uno dei quali, Tossozio, è infante. Nel riferire ciò, Gerolamo90 non solo non si scandalizza, ma giustifica il comportamento della donna nel rinunciare a tutto quanto attiene il saeculum, compresi gli affetti familiari, coerentemente a quanto prescritto da alcuni dettati evangelici, tra i quali, ad. es., Lc. 14, 26: " Se uno non viene a me e non odia suo padre e sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo". Per dimostrare la profondità della vocazione ascetica di Paola, lo Stridonense scrive: "Postquam vir mortuus est, ita eum planxit ut prope ipsa moretur, ita se convertit ad Domini servitutem ut mortem eius videri optasse". In modo sostanzialmente affine sempre Gerolamo fa dire a Melania Seniore, raggiunta dalla notizia della morte dello sposo e di due figli piccoli: "Expeditius tibi servitura sum,
Domine, quia tanto me liberasti onere91". E' l'ennesima conferma che la vedovanza può essere letta dalla donna cristiana come avvenimento provvidenziale e segno manifesto della volontà divina. Ma è anche conferma del fatto che la protagonista della biografia cristiana è non più individuo, ma testimone di un'attitudine, realizzazione pratica dell'ideale ascetico "ad gloriam Dei et aedificationem hominis"92.
Fin qui, dunque, la prassi della vedovanza negli scritti patristici. Ma dopo le affermazioni paoline, qual è la definizione teorica di questa condizione esistenziale e spirituale? All'insegnamento di Paolo si dichiara fedele Origene, che, da una parte, combatte coloro che bandiscono le seconde nozze e dall'altra considera queste come concezione alla debolezza umana93. Egli ritiene infatti che ad un nuovo matrimonio ricorrano soltanto i cristiani che non sono in grado di dominare le passioni, cristiani di "seconda categoria". Nel solco paolino si colloca anche, alla fine del III sec., Metodio di Olimpo, per il quale l'Apostolo dà indubbia preferenza alla vedovanza e concede le seconde nozze solo come remedium concupiscentiae per chi non è in grado di tenere a freno le pulsioni del corpo94. Nel IV secolo le tendenze rigoristiche di tipo ascetico si attenuano per effetto del cambiamento portato nella società cristiana dal Concilio di Nicea. L'evoluzione di questa tendenza più moderata, però, è abbastanza
lenta, e l'avversione verso le seconde nozze offre notevole resistenza95. Basilio, ad esempio, disapprova il secondo matrimonio e prevede per esso sanzioni piuttosto gravi, che si trasformano in una vera e propria scomunica nel caso di un terzo legame coniugale, considerato una vera e propria forma di fornicazione96. Una decisa avversione al connubio reiterato è espressa anche da Giovanni Crisostomo. Con l'Ad viduam Iuniorem, scritto tra 380 e 381, egli consola la giovane vedova di Terasio per la prematura morte dello sposo. Lo scritto è una consolatio in piena regola, che si chiude con un fervido elogio della vedovanza, tramato di echi e ricordi paolini di 1 Tim. Il santo sostiene che essa è una condizione di vita gloriosa, che comporta uno stato d'unione con Cristo, ed esorta la sua giovane destinataria a perseverare in questa direzione, che mette al riparo dai pericoli del mondo ed in grado di sperare nelle gioie del cielo97. Inoltre, egli afferma che le seconde nozze sono prova di debolezza morale e mancanza di rispetto per la dignità del matrimonio
precedente, oltre che causa di turbamento e confusione nelle famiglie coinvolte. In ambito latino, prima di Ambrogio, la pudicizia cristiana si manifesta per Minucio Felice nella fedeltà all'unico vincolo matrimoniale: "At nos pudorem non facie, sed mente praestamus: unius matrimonii vinculo libenter inhaeremus, cupiditatem procreandi aut unam scimus, aut nullam. Tantum denique abest incesti cupido, ut
nonnulis rubori sit etiam pudica coniunctio"98. Nei due libri Ad
Uxorem Tertulliano, come si è visto, sconsiglia la moglie di risposarsi nel caso resti vedova ed elogia la vedovanza come superiore alla verginità per merito. Pur insistendo sull'incompatibilità delle seconde nozze con la santità, egli, mantenendosi entro i binari della tradizione paolina, ammette tuttavia la possibilità teorica di queste. Già però nell'Exhortatio castitatis99, diretta ad un vescovo che deve essere distolto dai piaceri mondani, egli nega ogni eventualità di un nuovo matrimonio, e nel De Monogamia raccomanda anche ai laici, oltre che al clero, di astenersi dal secondo vincolo coniugale100. Gerolamo, appassionato celebratore della verginità, che riconosce al matrimonio solo il merito di garantire la procreazione di nuove vergini101, riecheggia concetti e parole del Cartaginese, con lo stesso tono aspro della polemica e dell'invettiva. Così, la posizione più equilibrata che i Latini esprimono sull'argomento della vedovanza è quella che viene da Agostino, che pur riconoscendo la vedovanza consacrata superiore alle nozze, non nega la bontà del matrimonio, del secondo così come del primo, e afferma che il bene migliore di Anna non oscura il bene di Ruth, seppure questo è inferiore, poiché anche la donna sposata, se casta di corpo e di spirito, è santa102, e perché "più facilmente seguono l'Agnello (.) i coniugati umili che le vergini superbe" (De sancta virginitate, LI, 52). Dal mondo della nobilitas senatoria e dai toni di
proselitismo elitario che caratterizzano gli scritti loro rivolti, Agostino si distacca anche nei trattati che hanno dedicatarie aristocratiche. E' il caso, ad es., del De bono viduitatis, commissionatogli da Giuliana Anicia, nuora di Sesto Petronio Probo e madre di Demetriade.
1.6. Conclusioni.
Gli elementi di continuità esistenti tra la prosa pagana di stampo romanzesco e la letteratura cristiana di genere biografico sono evidenti nella struttura narratologica e nella costruzione psicologica dei personaggi protagonisti. Lo schema separazione- superamento degli ostacoli- ricongiungimento in vigore nel romanzo erotico greco si mantiene intatto nella scansione e nel progredire delle sequenze nei biéoi dei santi. Il primo elemento si configura come un distacco- violento e tendenzialmente traumatico- dalla propria casa e dalla comunità di appartenenza. La fase ostativa corrisponde all'imposizione del sacrificio agli idoli dietro minacce fisiche di vario tipo, ed è arricchita da un corredo più o meno ampio di fatti prodigiosi, che costituiscono la cornice suggestiva della vicenda e al tempo stesso sono essenziali per la ricezione del messaggio edificante del testo. Essa si esplica nel superamento, per diretto intervento divino, dei patimeti imposti dall'aguzzino pagano ed è funzionale a veicolare il paradosso concettuale che diventa consueto in tutta l'agiografia: la vita terrena è un passaggio doloroso ma necessario nella via di riconciliazione dell'anima con il suo Creatore, l'unica vita vera, che si colloca al di fuori di ogni dimensione spazio- temporale. Il martirio diviene dies natalis e corrisponde alle nozze del romanzo, coerentemente, tra l'altro, ad un'immagine allegorica attestata nella letteratura paolina, quella delle nozze mistiche del Cristo con la sua Chiesa. L'innovazione che gli autori cristiani stabiliscono rispetto ai precedenti pagani è nelle modalità con cui trovano spiegazione le eccezionali doti morali e spirituali di cui i martiri danno prova. Esse infatti solo parzialmente sono frutto dell'alto lignaggio e dell'educazione che questi hanno ricevuto e derivano per la maggior parte dalla grazia divina; non sono dunque possedute ab initio ma elargite per via soprannaturale. Ancora, i personaggi femminili sono esaltati non in virtù di quelle caratteristiche squisitamente e tipicamente muliebri che i romanzieri pagani sottolineano con particolare enfasi, bensì per effetto del superamento di quelle stesse caratteristiche, ovvero per il distacco dall'infirmitas sexus e l'acquisizione di virtù tipiche del maschio. Le tipologie femminili protagoniste delle Passioni, specialmente quelle epiche, coincidono per i due terzi con le omologhe in auge nella letteratura pagana parallela di II- IV secolo d. C. Le vergini e le donne nuptae sono infatti caratterizzate secondo uno schema concettuale sostanzialmente simile: delle prime si esalta la purezza, l'incorruttibilità e la dedizione esclusiva alla divinità, anche se questa- in ambito romano specialmente- era sottoposta a una limitazione temporale predefinita. Delle seconde si elogia la modestia, il pudore, la fedeltà e la mirabile capacità genitoriale. La vedova dà luogo invece ad una notevole novità di rappresentazione. In ambito pagano ella era considerata normalmente destinata a nuove nozze, specie se in età fertile, anche in virtù della pericolosità sociale di una donna non più sottoposta ad alcun vincolo di potestas e di controllo maschile. Non solo per effetto comico, dunque, ma anche per motivi di opportunità morale e legislativa, la vedova, soprattutto del romanzo, diventa un soggetto sessualmente vorace e generalmente trasgressivo. Le biografie delle sante vedove insistono invece sul motivo dell'univirato- elemento sconosciuto anche nella tradizione giudaica in virtù dell'istituto del levirato- e della consacrazione a Dio. A tale proposito esisteva nella Chiesa occidentale un vero e proprio ordo, le cui caratteristiche carismatiche sono illustrate dalla Didascalia Apostolorum (prima metà del III secolo), che diventa stato religioso approvato ufficialmente dalle autorità ecclesiastiche con Ambrogio. I compiti assistenziali e di insegnamento morale deputati alle vedove sono peraltro già attestati in
1 Cor.e 1 Tim. La questione cambia parzialmente profilo nella pars Orientis dell'Impero, dove la donna rimasta senza marito vive una dimensione meno dinamica e limitata alla sfera domestica, o in alternativa segue la via del convento.
Appunti su: |
|
Appunti Inglese | |
Tesine Grammatica | |
Lezioni Educazione pedagogia | |