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Confronto fra idialoghi 'conte zio - conte attilio' e 'conte zio - padre provinciale"




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CONFRONTO FRA IDIALOGHI 'CONTE ZIO - CONTE ATTILIO' E 'CONTE ZIO - PADRE PROVINCIALE"


I due dialoghi riportati dal Manzoni fra il Conte zio e il Conte Attilio prima, il padre provinciale poi, riescono a mostrare e a far capire meglio la vera essenza di questi personaggi, delineandone il carattere e gli atteggiamenti. Inoltre permettono di far capire al lettore quali fossero a grandi linee i rapporti tra il potere politico e quello religioso, nel '600.

Nel dialogo fra il Conte Attilio e il Conte zio, troviamo una netta contrapposizione fra il carattere scaltro e cinico del giovane Attilio e la vanità vuota e pomposa del Conte Zio. Il primo infatti si muove agilmente nel discorso, volgendo sempre la conversazione a suo piacimento e indirizzando il tutto sempre su un terreno a lui favorevole. Misura le sue parole in ogni loro più piccolo significato e fa in modo di invogliare il Conte zio a comportarsi come desidera lui manovrandolo come un marionetta, senza però che lui se ne renda conto. Ha il potere di manipolare la verità e fa leva sulle debolezze dei suo interlocutore (in questo caso sulla sua vanità, sul buon nome della famiglia che potrebbe essere danneggiato da un inutile scandalo), per arrivare al suo scopo. ' «Signore zio, che Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo a quella creatura, incontrandola per strada, non sarei lontano dal crederlo: è giovine e finalmente non è cappuccino; ma queste sono bazzecole da non trattenere il signore: il serio è che il frate s'è messo a parlar di Rodrigo come si farebbe di un mascalzone, cerca d'aizzargli contro tutto il paese» «E gli altri frati?» «Non se ne impicciano, perché lo conoscono per un testa calda, e hanno tutto il rispetto per Rodrigo; ma d'altra parte, questo frate ha un gran credito presso i villani, perché fa poi anche il santo » «M'immagino che non sappia che Rodrigo è mio nipote.» «Se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più il diavolo addosso.» «Come, come?» «Perché, e lo va dicendo lui, ci trova più gusto a farla vedere a Rodrigo, appunto perché questo ha un protettore naturale, di tanta autorità come vossignoria: e che lui se la ride de'grandí e de'politici, e che il cordone di San Francesco tien legate anche le spade, e che » «Oh frate temerario! Come si chiama costui?» '.

Contrapposta quindi all'astuzia di Attilio troviamo l'ottusità del Conte zio che, rappresentando una carica politica non indifferente nel paese, si vede come tutelatore di quei due giovani scapestrati, badando sempre a salvaguardare il buon nome della famiglia. ' «Via, via; che torto, che torto voi altri due? Che sarete sempre amici, finchè l'uno non metta giudizio. Scapestrati, scapestrati, che sempre ne fate una; e a me tocca di rattopparle: che mi fareste dire uno sproposito, mi date più da pensare voi altri due che, che, tutti questi benedetti affari di stato,» '. Nonostante tutto, però, è conscio della sua autorità e del pericolo che si potrebbe correre a mettersi contro un'istituzione così importante come quella della chiesa, ' «Quante volte v'ho detto, a l'uno e all'altro che i frati bisogna lasciarli cuocere nel proprio brodo?»', quindi, facendo molto affidamento soprattutto sulla sua immagine, come sottolinea una serie di espressioni relative al suo linguaggio gestuale una similitudine con la quale il Manzoni lo paragona ad una scatola vuota ma ricca di scritte indecifrabili-, il Conte zio- è obbligato, per salvaguardare la sua autorità a esporsi al rischio di una spinosa azione diplomatica.

E' proprio nel secondo dialogo, infatti, che si vede il Conte zio in azione insieme al padre provinciale. In questo caso ci troviamo di fronte ad una scena completamente differente. Innanzi tutto non si tratta più di uno zio che si trova a dover riaccomodare le bravate dei nipoti, ma di due autorità ben distinte e forti nel loro campo, ' due potestà, due canizie, due esperienze consumate' alleate la maggior parte delle volte, ma spesso anche antagoniste. Già la presentazione è differente. Il Conte Zio infatti prepara un pranzo in tutta regola, invitando grandi autorità a dimostrare la propria potenza e assoggettando quindi meglio, il padre provinciale al suo volere. Il dialogo mette in risalto tutta l'autorità del Conte Zio che avvia il discorso partendo da lontano, ma rimanendo comunque in un territorio a lui favorevole. Ma la sua capacità oratoria non è certo pari a quella di Attilio, infatti ha bisogno di tutto il suo potere per manovrare il padre, e non esita a far- riferimento alla possibilità di un intervento di Roma vedendo che questo non si decide a cedere. Da canto suo il padre provinciale capisce fin dal primo momento dove vuole arrivare a parare il Conte Zio e se nel linguaggio parlato è sempre molto reverenziale, nei pensieri cambia totalmente registro ' Eh gia , pensava tra se, vedo dove vuoi andare a parare: delle solite; quando un povero frate è preso a noia da voi altri, o da uno di voi altri o vi dà ombra, subito, senza cercare se abbia torto o ragione, il superiore deve farlo sgomberare '. Lentamente, però, anche il padre provinciale arriva alla resa e accetta di fare quello che gli-chiede il Conte Zio.

Quindi questi due dialoghi incentrati l'uno sulla furbizia del Conte Attilio e l'altro sulla autorità del Conte Zio, completano la caratterizzazione del potere sociale e spirituale che, con tutti i suoi legami e le sue diramazioni, sorregge e determina la struttura dell'intero romanzo.




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