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COMMENTO AL DECIMO CANTO DELL'INFERNO
Il decimo canto è il luogo di dannazione degli eretici, sesto cerchio; detti anche epicurei. Questo termine viene coniato per definire i discepoli di Epicuro, filosofo greco. Egli affermava che era inutile avere timore degli Dei perché non si sarebbero mai preoccupati della quotidianità umana e che l'anima era costituita da atomi, perciò alla morte del corpo moriva anche l'anima, quindi il suo insegnamento veniva percepito come un oltraggio alle divinità.
Questo luogo è caratterizzato da un gran silenzio.
Ci troviamo in aperta campagna, dopo aver attraversato le Mura di Dite, in presenza di un vero e proprio cimitero, solamente quando saranno nelle vicinanze si percepiranno poi dei lamenti.
I dannati sono coloro che hanno mostrato in vita qualsiasi forma di eresia, Dante però si concentra solo su quelli che non credevano nell'immortalità dell'anima. Le tombe, dove soggiornano le anime, sono arroventate. Non si capisce al volo il motivo di questa pena, non si percepisce il punto di contatto tra il peccato e la sua espiazione; ma la storia del tempo ci dimostra come il Tribunale dell' Inquisizione si liberava degli eretici attraverso il fuoco ed i roghi.
I protagonisti principali sono Farinata degli Uberti e Cavalcante de' Cavalcanti.
Farinata è un uomo nato agli inizi del 1200 e partecipe della guerra di Montaperti. Padre di Beatrice, moglie di Guido Cavalcanti, viene accusato di seguire le dottrine di Epicuro, solo vent'anni dopo la morte, lui e la moglie vengono scagionati delle accuse.
Cavalcante invece è il padre del più caro amico di Dante: Guido. Anche per quest' uomo la condanna era la medesima.
Vi è distinzione anche tra i dannati dello stesso cerchio, poiché diversi sono i tipi di eresia. Oltre alla permanenza in tombe calde c'è la vera condanna, quella che distingue le persone come Cavalcante da altre anime, i quali non credono nella vita oltre la morte e sono costretti a conoscere il futuro senza saper niente del presente; cioè più il futuro selezionato si avvicina nel tempo più i particolari vengono dimenticati. Il padre, ascoltando le parole dello scrittore, viene preso da sgomento nel credere alla morte dell'adorato figlio, a questa convinzione sparisce nel sarcofago e il loro incontro termina. Altri dannati come Farinata hanno informazioni anche sul presente.
Il canto è una lunga descrizione, la sintassi prevalente è quella del dialogo; ve ne sono tra Dante, Virgilio, Farinata e cavalcante.
Il primo incontro con il capo dei Ghibellini è per lo più di presentazione. Questi attira l'attenzione su sé spaventando il poeta e interrompendo per un po' il suo tragitto. I due si presentano e raccontano della loro vita, soprattutto viene conosciuto il nuovo personaggio. Egli precisa il forte dolore per la patria; conserva intatte le caratteristiche fisiche e caratteriali che ebbe in vita. Dante afferma difatti che nel caso vi fosse la stessa condanna non vuol dire che valga la stessa cosa per l'essenza della persona. Il peccatore a noi viene presentato non come eretico ma come uomo vissuto quale era in Terra. L'ammirazione per questo personaggio è incondizionata, infatti non accusa come al solito fa con i "malvagi" che incontra ma ce lo presenta attraverso un elogio, dove ciò che risalta è la realtà della vita terrena. Infatti l'autore cerca di ricordare tutto il possibile della "sua" Firenze per esporlo ai lettori e riproporlo nell'Inferno.
Nel dialogo con Cavalcante Dante prende le totali distanze dal modo di scrivere insegnatoli da Guido Cavalcanti, già nella Vita Nova affermava che aveva superato il maestro e che questo distacco era necessario poiché l'insegnante non concordava con l'allievo sul modo di vedere la figura di Beatrice. Anche in questo caso non vengono presentati solo i peccati ma anche il grande affetto che il padre provava per il figlio e la delusione di questo per la certezza assoluta della morte dell'amato giovane.
L'incontro è molto breve, manderanno poi Farinata a spiegare che l'uomo è ancora vivo e in salute, e chiarire in sostanza il fraintendimento.
Quando riapre un colloquio con l'altro eretico, gli viene detto di come egli possa vedere i fatti futuri; preannuncia poi una profezia: Dante da lì a cinquanta giorni dovrà abbandonare la propria città dove gli sarà molto difficile tornare.
In realtà non è per niente una previsione perché il periodo di stesura della cantica è posteriore all'esilio.
Inoltre la figura del condannato appare più dolce. Statuario, disdegnoso diventa più cordiale e affettuoso; come poteva chiedere il perdono? Eppure il poeta esclama che perdonare è la vera vittoria della guerra.
Dopo ciò, costui mostra a Dante altri personaggi famosi, che suscitano la curiosità dello scrittore, tra cui Federico II e il cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Infine sparisce nel suo sepolcro.
Il poeta scioccato riprende il suo cammino con la sua guida, la quale cerca di rinfrancarlo dopo aver saputo del secondo dialogo con il fiorentino, dirigendosi verso il punto dove iniziava il settimo cerchio.
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