Cesare Pavese
Narratore
nostalgico e insieme concretamente realista, Cesare Pavese cercò di conciliare
la necessità tutta civile del rispetto umano con una drammatica coscienza di
corruzione, da cui quasi niente riesce a salvarsi. Nacque a Santo Stefano Belbo
nelle Langhe, visse quasi sempre a Torino, dove entrò in contatto con esponenti
dell'antifascismo. Intraprese il lavoro editoriale, diresse la rivista La
Cultura, ma quando questa fu soppressa da regime fascista, venne arrestato e
condannato a tre anni di confino. Graziato, dopo un anno, tornò a collaborare
con l'editoria, svolgendo un intenso lavoro di saggista e traduttore di autori
inglesi e americani. La sua prima opera fu la raccolta di poesie "Lavorare Stanca" (1936). Nonostante le
numerose ed intense amicizie, Pavese visse gli anni dell'anteguerra e della
guerra in uno stato di solitudine intensa e dolorosa a causa anche di una vita
sentimentale difficile e tormentata. Nel romanzo "Paesi Tuoi" (1941) che lo impose all'attenzione della critica sono
già presenti tutti i temi della sua produzione più matura. Dopo la liberazione
Pavese iniziò un periodo di impegno politico nel partito comunista: scrisse il
romanzo "Il Compagno" (1947) e "Prima che il Gallo Canti" (1949). Il
punto più alto della sua attività, la pubblicazione del romanzo "La Luna e i Falò" (1950), coincise con
il culmine della sua crisi esistenziale che lo spinse a togliersi la vita in
una stanza d'albergo a Torino. Dopo la sua morte furono pubblicate le poesie "Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi" e
soprattutto l'interessantissimo diario edito con il titolo "Il Mestiere di Vivere". Nella produzione di Pavese viene
riproposto costantemente il tema dell'infanzia vissuta nel paesaggio delle
langhe, dove la campagna aspra, segnata da fatica e miseria, è però ricca di
una tensione vitale che si manifesta nei necessari opposti della nascita e
della morte, con i simboli ricorrenti del sesso e del sangue. L'adolescenza è
il momento in cui l'individuo entra in relazione con questa vitalità in maniera
istintiva, creando un mito in cui luoghi e tempo si stringono in maniera
insolubile. Da questa rivelazione mitica comincia il viaggio doloroso e
faticoso dell'uomo verso la propria maturazione, verso l'impegno, verso la
città, simbolo della capacità organizzatrice della ragione che si oppone alle
forze naturali. Tale cammino è vissuto come un dovere al tempo stesso alienante
ed oppressivo, in cui domina il senso di esclusione dalla vita e quindi di
solitudine, vera prigione da cui è impossibile evadere. Da essa nasce il "vizio
assurdo", il desiderio di sopprimersi, che ha accompagnato Pavese per tutta la
sua vita. Il suo romanzo più significativo, "La
Luna e i Falò", il protagonista tornato nelle langhe dopo molti anni
passati in America, presto si rende conto che solo i luoghi sono rimasti
identici; non le persone e le situazioni. La lingua del romanzo si serve di
parole quotidiane, di una sintassi improntata ai moduli del dialetto e del
parlato, che comunicano al lettore la fatica di passare da una realtà vissuta
in maniera intensa ma ingenua a un più consapevole bisogno di capire.