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Carattere allegorico dell'opera - la lingua di apuleio




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CARATTERE ALLEGORICO DELL'OPERA

Le metamorfosi di Apuleio sono un'opera che rivela il proprio carattere anomalo e originale già dalla suddivisione in undici libri; diversamente, la poesia bucolica ne prevedeva dieci mentre l'epica dodici. Nel romanzo di Apuleio l'ultimo libro ha una funzione imprescindibile: e la chiave interpretativa della vicenda intera e ne è, allo stesso tempo, lo scioglimento. A Corinto il protagonista Lucio, trasformato in asino, assiste su indicazione di Iside ad una processione in suo onore e, cibatosi di rose, riacquista sembianze umane. Riconoscente verso la dea, Lucio si farà iniziare al culto misterico e, in seguito, ricoprirà le cariche più alte della gerarchia sacerdotale isiaca. Il romanzo e stato definito mistagogico (etimo must»j-¥gw: colui che introduce ai misteri) perché si configura come racconto di un'iniziazione al culto isiaco e la metamorfosi di Lucio in asino si spiegherebbe col fatto che, in tale ambito, l'asino si identifica con Tiphone-Seth, dio del male. Tuttavia sarebbe riduttivo estendere questo carattere mistico all'opera intera perché esso è sviluppato manifestamente solo nel libro XI e le peripezie infinite che Lucio vive hanno una funzione, per cosi dire, 'propedeutica' alla conversione finale del protagonista. Queste vicende non fanno che esasperare una condizione fatta di violenze e soprusi, (Paratore parla di iper-realismo); così, in un climax di atrocità più bestiali che umane, il lettore viene condotto allo 'Spannung', cioè al punto culminante di tensione narrativa, e la vicenda sfocia infine nella nuova metamorfosi e conversione di Lucio. Il lettore è direttamente coinvolto nella narrazione e viene fatto partecipe di questo 'itinerario purgatoriale'; nel libro XI, 23 viene apostrofato così: Igitur audi, sed crede, quae vera sunt (Quindi ascolta, ma credi, ciò che è verità). Secondo Paratore il coinvolgimento del lettore ha come scopo una sorta di crisi di rigetto, affinché egli, divenuto cosciente del degrado morale del mondo, si accosti alla conversione religiosa. L'XI libro consente di interpretare il romanzo come storia di una salvazione: infatti, per il suo carattere soteriologico, testimonia quel clima di inquietudine religiosa che fu tipica del II secolo d.C. e che contribuì alla diffusione dei culti isiaci. Nel finale delle Metamorfosi si insiste sulla letizia, la contentezza e la serenità che Iside infonde agli uomini e al creato e si invita il lettore a prendere parte a quella felicità che già nel prologo gli era stata promessa. C'è un altro aspetto che rende il libro XI delle Metamorfosi l'episodio chiave del romanzo: il fatto che il protagonista si definisca, in XI, 27, 'Madaurensis', cioè cittadino di Madaura. La notizia è significativa perché anche Apuleio, come Lucio, era originario di quel luogo e si individua tra i due un rapporto ambiguo: non si può dire che le due persone coincidano perché il romanzo non è certamente autobiografico nè, viceversa il narratore è soltanto un personaggio ma egli converge in sè tratti del personaggio e dell'autore in una contaminazione di piani che Apuleio opera consapevolmente, 'giocando' con gli schemi letterari. Alla luce di quanto detto, si può esaminare il problema della ricezione. Ci si è chiesti se sia plausibile o meno ammettere la comprensione del carattere allegorico dell'opera da parte della totalità del pubblico. La risposta è negativa: il pubblico di Apuleio doveva essere stratificato su due livelli di cui l'uno in grado di cogliere solo l'aspetto erotico-avventuroso del romanzo, l'altro consapevole dell'allegoria e capace di interpretarla.

Lingua e stile

La lingua di Apuleio è un singolare e originalissimo impasto di tratti diversi. Vissuto in epoca di gusto arcaizzante, Apuleio non disdegna la parola obsoleta, ma la fa rientrare in una generale ricerca di letterarietà, che associandosi a una consolidata pratica oratoria, si traduce nella piena padronanza di registri diversi, variamente combinati. Di qui, la libertà assoluta nell'accostare arcaismi, neologismi, volgarismi, poetismi, lessico tecnico della scienza e dei mestieri: le parole sono evocative, appaiono come contornate di significati marginali, recuperano connotazioni implicite. Apuleio, buon conoscitore di letteratura, sembra avere a disposizione un lessico letterario specializzato, raccolto e organizzato attorno ad alcune situazioni-tipo e modellato sui classici (Ennio, Virgilio, ecc.).

È come se Apuleio conoscesse repertori consolidati per descrivere scene di lutto, quadri di eroismo, effusione di passioni e stati d'animo: a questi fa volentieri ricorso, con la sua retorica abilità a comporre pezzi su un tema specifico, ricombinando in modo nuovo e personale il materiale desunto dalla tradizione, e rinnovandolo grazie ai frequenti neologismi. Questo procedimento, che crea nel romanzo varie scene «di genere», si basa sulla sovrabbondanza dei tratti per rendere immediatamente percepibile il registro cercato: in ciò sta soprattutto l'impressione di stilizzazione che la lingua di Apuleio dà al lettore. Alla qualità altamente retorica del lessico fa riscontro la struttura del periodo e della frase, in cui assonanze, accumuli di sinonimi, ricercate uniformità ritmiche, conferiscono al discorso un andamento particolarissimo, teso a sfaccettare il concetto sino ai limiti del possibile.

Guaritore, filosofo, mago, Apuleio esercitò un comprensibile fascino sull'ultimo paganesimo e sulla cultura medioevale. La fortuna e l'influenza notevole, di Apuleio sulla letteratura europea sono legate al romanzo, la cui diffusione si deve al ritrovamento del codice che ne contiene il testo da parte del Boccaccio, il quale ne fece una trascrizione (lo stesso codice contiene anche l' Apològia ed i Florida) Da allora, il romanzo fu ovunque letto e apprezzato. Fu tradotto dal Boiardo ed esercitò una notevole influenza sulla nascita del genere picaresco in Spagna e fornì temi e spunti per la novellistica europea.



La lingua di Apuleio

Se sono vere le associazioni:

età arcaica

lingua libera


età classica

lingua regolamentata

età imperiale

lingua liberata

anche la lingua di Apuleio, e dunque quella da noi avvicinata nella novella di Amore e Psiche, può essere definita 'liberata' per le novità che introduce rispetto a modelli consolidati.
Apuleio infatti predilige variare le costruzioni sintattiche senza tuttavia abbandonare forme tradizionali che alterna ad altre proprie della lingua parlata o all'uso poetico. Amplia il lessico, introducendo arcaismi, volgarismi, neologismi o termini dal significato variato rispetto al consueto. Introduce anche linguaggi specialistici, a volte con funzione ironica. Ama il colore e ricerca l'effetto, in uno stile molto originale ed espressivo che alterna toni diversi, dal favoloso e magico, al realistico. La lingua di Apuleio è composita e denota l'amore e il gusto che questo letterato, affascinante e brillente anche come conferenziere, doveva avere per la parola elegante e inconsueta.

Contaminazione di generi

Le Metamorfosi sono caratterizzate da uno stile narrativo che nell'antichità mancava di una fisionomia definita; appaiono quindi come una contaminazione di generi diversi (epica, biografia, satira menippea, racconto mitologico, ecc.). Nel caso specifico è problematico il rapporto con le fabulae Milesiae (racconti licenziosi che ispirarono anche Petronio), a cui lo stesso autore riconduce l'opera, ma la perdita pressoché totale della traduzione che Cornelio Sisenna (120 AC-67 AC) fece delle originali fabulae Milesiae di Aristide di Mileto (II secolo AC) ne rende oscure le origini.

Un romanzo pervenuto nel corpus delle opere di Luciano di Samòsata, ma sicuramente spurio, sviluppa lo stesso intreccio del romanzo latino, col titolo di Lucio o l'asino, in lingua greca e in forma nettamente più concisa rispetto a quella di Apuleio; ma non sono chiari i rapporti relativi e la priorità dell'uno o dell'altro dei due scritti e se abbiano avuto una fonte comune.

È certo che il finale, con l'apparizione di Iside e le successive iniziazioni ai misteri di Iside e di Osiride, appartiene ad Apuleio; anche perché il protagonista, un giovane che si definisce greco in tutto il romanzo, in questo libro, inopinatamente, diventa Madauriensis, sovrapponendo l'io-scrivente all'io-narrante.

Sono comunque differenti il significato complessivo e il tono del racconto: infatti, il testo pseudolucianeo, rivela l'intenzione di una narrativa di puro intrattenimento, priva di qualsiasi proposito moralistico, mentre le Metamorfosi di Apuleio - sotto l'apparenza di una lettura di puro svago, intessuta di episodi umoristici e licenziosi - assume in realtà i caratteri del romanzo di formazione. Ne è prova la funzione della curiosità di Lucio che conduce il personaggio alla rovinosa trasformazione, dalla quale sarà liberato solo in seguito a una lunga espiazione, culminante in un drastico cambiamento di vita.

Francesca Lamberti, Ricchezze e patrimoni femminili in Apuleio

La caratterizzazione della ricchezza in Apuleio è influenzata da riflessioni filosofiche. Il modello del ricco (come quello del povero) è topos letterario diffuso nel principato. Nell'opera del retore-filosofo di Madaura è presentato come socialmente accettabile il ricco che non fa sfoggio della propria opulenza, quasi simile al povero nelle abitudini e nell'immagine esterna (cfr. Metam. 1.22; 4.9). Più di un indizio, soprattutto nell'Apologia di Apuleio, induce a credere che possa trattarsi di una forma di autorappresentazione dell'autore. Sovente compare, nei suoi scritti, anche la figura della donna ricca ma misurata nei propri atteggiamenti pubblici e oculata e prudente nei propri comportamenti economici. Un esempio significativo è rappresentato da Plotina, moglie di un alto funzionario imperiale caduto in disgrazia, cui la donna fornisce sostegno prezioso sino alla riabilitazione di lui. Non improbabile che, anche nel dare contorno a talune figure di mulier locuples nelle Metamorfosi, Apuleio si rifacesse alla realtà della propria esperienza. Sua moglie, Pudentilla, a quanto risulta dai dati forniti nell'Apologia, era appunto donna dotata di non comune senso degli affari e di accortezza nella cura dei propri interessi. Pudentilla, vedova quarantenne, sui iuris (ancorché sotto tutela) e titolare di un patrimonio di 4 milioni di sesterzi, aveva sposato in seconde nozze Apuleio, straniero nella comunità di Oea, e di dubbie fortune, ponendosi in tal modo in contrasto con la famiglia del primo marito. Gli adfines di lei avevano perciò accusato Apuleio di averla indotta al matrimonio per mezzo di sortilegi. Nella difesa giudiziaria pronunciata pro se da quest'ultimo, il retore si sofferma sulle questioni patrimoniali e di diritto privato attinenti all'amministrazione delle fortune di Pudentilla (ché anche - e forse - soprattutto dalla valutazione dei profili economici dipendeva la sua assoluzione). Ne risulta il quadro di una ricca possidente terriera, titolare di enormi proprietà oggetto sia di colture estensive che intensive, di un ingente numero di servi rustici, di animali da pascolo e da soma, e di immobili urbani. Un ritratto pressoché 'classico' di un personaggio abbiente di estrazione senatoria (che tale fosse il background di Pudentilla risulta dall'analisi di alcune epigrafi provenienti dalla Tripolitania). Apuleio fornisce dati di rilievo, nel contesto in esame, in riferimento all'applicazione del diritto privato romano in Africa nel II sec. d.C. Il quadro risultante dall'Apologia è quello, in ultima analisi, di una donna assai sicura di sé, che usa le proprie ricchezze per tener testa ad un contesto sociale a dominanza maschile e piegarlo ai propri voleri. Una donna non più giovanissima, ma piena di esperienza, che con atteggiamento non aggressivo, ma tenace, in modo cauto e previdente, sfruttando avvedutamente l'avidità di chi la circonda, riesce a influenzare le decisioni dell'ambiente circostante in sintonia con i propri interessi. Non desta pertanto meraviglia che anche il giurista Gaio, che scriveva - come Apuleio - nell'età di Antonino Pio, nelle sue Institutiones finisse per definire fittizio e specioso quello che, all'epoca sua, era divenuto, oramai, solo un topos: la levitas animi femminile.

La principale innovazione, apportata da Apuleio alla tradizione del romanzo, è il rilievo dato all'elemento mistico e religioso. Nel II sec. d.C. si diffondono dottrine religiose di tipo misterico: Iside, Mitra, Ermete, i misteri orfici, divengono i poli di riferimento all'inquietudine religiosa dell'epoca. In questo nuovo clima di ricerca spirituale, determinato da forti spinte irrazionalistiche, trova largo spazio una nuova concezione dell'arte magica. Nelle Metamorfosi il giudizio sulla magia è decisamente negativo. Essa provoca la trasformazione di Lucio in asino, simbolo della degradazione dell'uomo. Solo grazie ad una seconda metamorfosi, dovuta esclusivamente alla misericordia isiaca, il protagonista riacquista le proprie fattezze umane.

Al di là della caleidoscopica varietà ed inventività narrativa, l'opera, dunque, si può interpretare ad un livello più profondo, in una chiave allegorica, di cui sono segnali il proemio, la favola di Amore e Psiche, l'XI libro e, in particolare, l'epilogo: Le Metamorfosi sono, in tal senso, da leggersi come il percorso iniziatico dell'anima dalla degradazione e dall'abiezione morale alla redenzione. A tutta l'opera è sotteso, quindi, un messaggio religioso: la salvezza dell'uomo non avviene grazie alla sua opera, ma è un dono gratuito della divinità.

La chiave 'mistagogica'. *L'ultima parte del romanzo (libro XI), che si svolge in un clima di forte suggestione mistica ed iniziatica, non ha equivalente nel testo del modello greco. E' evidente che è un'aggiunta di A., al pari della celebre 'favola' di Amore e Psiche, che si trova inserita verso la metà dell'opera: centralità decisamente 'programmatica', che fa della stessa quasi un modello in scala ridotta dell'intero percorso narrativo del romanzo, offrendone la corretta decodificazione. Ci si può chiedere se queste aggiunte non servano a spiegare l'intenzione dell'autore. In realtà l'episodio di Iside, come quello di Amore e Psiche, ha un evidente significato religioso: indubbio nel primo; fortemente probabile nel secondo, interpretato specificamente ora come mito filosofico di matrice platonica, ora come un racconto di iniziazione al culto iliaco, ora - ma meno efficacemente - come un mito cristiano.Certo è, comunque, che tutto il romanzo è carico di rimandi simbolici all'itinerario spirituale del protagonista-autore: la vicenda di Lucio ha, infatti, indubbiamente valore allegorica: rappresenta la caduta e la redenzione dell'uomo, di cui l'XI libro è certamente la conclusione religiosa (lo stesso numero dei libri, 11, sembra del resto far pensare al numero dei giorni richiesti per l'iniziazione misterica, 10 appunto di purificazione e 1 dedicato al rito religioso). Il tutto farebbe delle 'Metamorfosi', così, un vero e proprio romanzo 'mistagogico', che sembrerebbe invero registrare l'esperienza stessa dello scrittore. Romanzo che, tuttavia, qualunque sia la sua reale intenzione, ci offre una straordinaria descrizione delle province dell'impero al tempo degli Antonini e, in modo particolare, della vita del popolo minuto. Confrontato con quello di Petronio, dà però la curiosa impressione che i personaggi vi siano osservati a maggiore distanza, come in un immenso affresco dove si muovono, agitandosi, innumerevoli comparse

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