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I problemi dell'unificazione Italiana




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I problemi dell'unificazione Italiana



L'Italia nel 1861


Durante l'unità, l'Italia era abitata d circa 22 milioni di abitanti (5 milioni avevano frequentato corso elementare; analfabetismo 78 %; pochissimi sapevano leggere e scrivere, e facevano uso corrente della lingua italiana dialetti.

1860: L'Italia era un paese europeo con maggior numero di città. Una decina erano i centri con più di 100000 abitanti (Napoli, Torino, Palermo, Milano e Roma); popolazione urbana (quella che viveva in comuni con oltre 20000 abitanti) era solo il 20%. Maggior parte delle città prive di attività produttive di rilievo industrie erano dislocate lontano dai grossi centri.

Gli italiani vivevano nelle campagne e nei centri rurali sostentamento agricolo. Agricoltura occupava il 70% della popolazione attiva; 18 industria e artigianato; 12% settore terziario. L'agricoltura non era favorita dalle condizioni naturali: il suolo per due terzi montuoso; 20% superficie del paese occupato da terre incolte o terreni paludosi infestati da malaria; nelle zone coltivabili di pianura e di collina vi era un'agricoltura povera, con grande varietà di colture e di assetti produttivi.

Pianura Padana (Bassa Lombardia e province piemontesi) sviluppo nel '700/'800 numerose aziende agricole moderne: univano l'agricoltura all'allevamento dei bovini, condotte con criteri capitalistici e impiegavano manodopera salariata. C'erano anche grandi proprietà coltivate a cereali e le piccole aziende a conduzione familiare (zone collinari lombarde, piemontesi e venete).

Italia Centrale (Toscana, Marche, Umbria): dominava la mezzadria. Terra divisa in poderi, di piccole e medie dimensioni, con culture cerealicole e arboricole (olivi,viti,alberi da frutta). Ogni podere produceva il necessario per il mantenimento della famiglia che viveva sul fondo e per il pagamento del canone in natura dovuto al padrone. Mezzadria: ripartizione degli oneri e dei ricavi fra il proprietario e il coltivatore metà del prodotto, lavori di manutenzione del fondo, spese per il bestiame e per gli attrezzi agricoli. La mezzadria è un ostacolo all'innovazione tecnica e allo sviluppo dell'agricoltura moderna, orientata verso il mercato. Consentiva pace sociale (apprezzata) e assicurava un certo grado di salvaguardia del territorio: paesaggio vario e ordinato, intessuto di strade e di confini.

Mezzogiorno e Isole: molto diverso. Terreni di montagna (agricoltura povera e polverizzata in appezzamenti, povera pastorizia); zone fertili il Campania, Puglia e Sicilia (ortaggi e frutta); campagne meridionali e insulari impronta del latifondo: grandi distese, coltivate a grano, non interrotte da strade o da insediamenti umani, popolazione concentrata in pochi e grossi borghi rurali. Ordinamento feudale: contratti agrari, arcaici e basati sullo scambio in natura e nei rapporti tra i signori e i contadini dipendenza personale.

Condizioni di vita nelle campagne: situazione limite nella Sicilia e nel Mezzogiorno. Autoconsumo e scambio in natura realtà diffusa largamente. Si rifletteva ciò nel bassissimo livello di vita della popolazione rurale. I contadini vivevano ai limiti della sussistenza fisica: nutrivano di pane e pochi legumi malattie da denutrizione (pellagra). Ammucchiati in abitazione piccole e malsane, a volte in capanne o in caverne.

Realtà poco conosciuta: opinione pubblica urbana e borghese non conobbe questa situazione, conosciuta invece dai membri della classe dirigente. Mancavano dati statistici completi e attendibili; mancava un sistema di comunicazione rapido fra le varie parti della penisola. Rete ferroviaria nazionale quasi inesistente (2mila chilometri); carente quella stradale. Pochi politici conobbero questa situazione del Mezzogiorno: il romagnolo Farini, inviato nelle province meridionali come luogotenente generale, si stupì.


La Classe dirigente: Destra e Sinistra


6 giugno 1861: Torino, muore a 50 anni il conte di Cavour. Classe dirigente moderata perdeva il suo leader naturale e il suo esponente più capace. I suoi successori si astennero alla politica da lui impostata: rispettosa delle libertà costituzionali, accentratrice, decisamente liberista in campo economico, laica in materia di rapporti tra stato e Chiesa. Senza la genialità e la capacità di iniziativa.

Il gruppo dirigente che governò il paese nel primo quindicennio di vita unitaria non era molto diverso da quello che si era venuto formando dopo il '49 nel Piemonte Costituzionale. Diversi per provenienza geografica, per formazione culturale e per esperienza politiche trascorse, questi uomini formavano un gruppo abbastanza omogeneo, sia dal punto di vista sociale (famiglie di proprietari terrieri e di origine aristocratica) sia sotto il profilo politico.

Nei primi parlamenti dell'Italia unità, la maggioranza si collocava a destra e come DESTRA essa venne definita nel linguaggio politico corrente (l'aggettivo storica fu aggiunto più tardi, a significare la funzione decisiva e peculiare svolta da questa classe dirigente nella storia di Italia). In realtà questa costituiva un gruppo di centro moderato: la vera destra - quella dei clericali e dei nostalgici dei vecchi regimi- si era autoesclusa dalle istituzioni del nuovo Stato in quanto non ne riconosceva la legittimità.

Un fenomeno analogo si verificò sull'altro versante dello schieramento politico: quello della sinistra democratica. I mazziniani di stretta osservanza e i repubblicani intransigenti, rifiutarono di partecipare all'attività politica ufficiale. Sui banchi dell'opposizione in Parlamento sedevano, insieme agli esponenti della vecchia sinistra piemontese, quei patrioti mazziniani o garibaldini che, in numero sempre crescente, decidevano di inserirsi nelle istituzioni monarchiche. Rispetto alla Destra, la SINISTRA si appoggiava su una base sociale più ampia e composita, che era formata essenzialmente dai gruppi piccolo e medio-borghesi delle città e comprendeva anche gruppi di operai e artigiani del Nord, esclusi dall'elettorato.

Nei primi anni dopo l'unità la Sinistra si contrappose nettamente alla maggioranza moderata facendo proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale:

suffragio universale

decentramento amministrativo

completamento dell'unità, da raggiungersi tramite la ripresa dell'iniziativa popolare

Col passare degli anni, la Sinistra allargò la sua base; il suo programma venne perdendo alcuni connotati originari, tanto da rendere incerti i confini tra maggioranza e opposizione.

La legge elettorale piemontese, estesa a tutto il Regno, concedeva il diritto di voto solo a quei cittadini che avessero compiuto 25 anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di imposte l'anno. Criteri non molto diversi da quelli vigenti in Gran Bretagna (in Italia il reddito pro-capite era circa un terzo di quello inglese e il tasso di analfabetismo era quasi tre volte più alto). Nelle prime elezioni gli iscritti nelle liste elettorali erano circa 400000 (2% popolazione). Bisogna calcolare poi che molte persone, pur avendone il diritto non votavano. Grazie anche al collegio uninominale (il sistema in cui le circoscrizioni elettorali sono di piccole dimensioni e designano ciascuna un solo deputato), bastavano anche solo un centinaio di voti per mandare un uomo in Parlamento. Carattere oligarchico e personalistico della vita politica la vita politica si imperniava su singole personalità più che su programma definiti.



Lo Stato accentrato, il Mezzogiorno, il brigantaggio



Una preoccupazione quasi ossessiva dell'unità da salvaguardare contro i nemici, condizionò le scelte dei primi governi postunitari, determinando la fisionomia del nuovo Stato. I leader della Destra erano disposti a riconoscere in teoria la validità di un sistema decentrato. Nei fatti però prevalsero le esigenze pratiche immediate: i governanti stabilivano un controllo stretto il più possibile su tutto il paese e ad orientarsi verso un modello di Stato accentrato simile a quello napoleonico: basato su ordinamenti uniformi per tutto il Regno e su una rigida gerarchia di funzionari dipendenti dal centro. Le premesse per un accentramento erano già implicite nel modo stesso in cui si era giunti all'unificazione del paese, mediante successive annessioni al Regno di Sardegna. Leggi unificatrici: '59/'60 Legge Casati stabiliva il principio dell'istruzione elementare obbligatoria; Legge Rattazzi poneva i comuni e i le province sotto il controllo dei sindaci, di nomina regia, e dei prefetti, rappresentanti del potere esecutivo. Accantonamento del progetto di decentramento anche per la situazione creatasi nel Mezzogiorno. Nelle province meridionali liberate dal regime borbonico, il malessere antico delle masse contadine si sommò ad un'ostilità verso il nuovo ordine politico. I disordini si estesero, fino ad a trasformarsi in un generale moto di rivolta (pesante fiscalità, il servizio di leva obbligatorio), incoraggiato da una parte del clero e sovvenzionato dalla corte borbonica in esilio a Roma. Estate '61: bande di irregolari, dove i briganti si mescolavano ai contadini insorti, agli ex militari borbonici, che assalivano i piccoli centri e li occupavano per giorni, ritirandosi poi sulle montagne per attaccare altrove. I governi postunitari rafforzarono i contingenti militari presenti nel Sud, nel '63 il Parlamento approvò una legge che istituiva un regime di guerra ove fosse stato dichiarato il brigantaggio: tribuni militari per giudicare i ribelli e fucilazione immediata per chi avesse opposto resistenza con le armi. Brigantaggio sconfitto nel giro di pochi anni.

La Destra però non ebbe la capacità di attuare una politica per il Mezzogiorno capace di ridurre le cause del malcontento: mancata realizzazione delle aspirazioni contadine alla proprietà della terra.

divisione dei terreni demaniali fu portata avanti con scarsa incisività;

la vendita dei terreni dell'asse ecclesiastico, attuata col sistema delle vendite all'asta, non migliorò la situazione dei piccoli proprietari e dei contadini senza terra, non in grado di concorrere all'acquisto dei fondi rafforzamento della grande proprietà.

Scelte politiche economiche della Destra accentuarono il divario tra Sud e Centro-Nord. Questione meridionale.


La politica economica: i costi dell'unificazione


I governi della Destra storica dovettero affrontare il problema dell'unificazione economica del paese.

uniformare sistemi monetari e fiscali diversi

rimuovere barriere doganali fra i vecchi Stati preunitari

costruire un'efficiente rete di comunicazioni stradali e ferroviarie avvicinamento varie parti d'Italia mercato nazionale e simbolo di modernità e progresso civile.

Per affrontare questi problemi la classe dirigente moderata si mosse con decisione sulla strada già indicata da Cavour in Piemonte. La legislazione doganale vigente nel Regno Sardo, ispirata a principi liberisti e basata su dazi di entrata molto bassi, estesa al territorio dei vecchi Stati. Rapido sviluppo delle vie di comunicazione (rete ferroviaria collegò le principali città).

Crescita dell'agricoltura: intensificazione degli scambi favorirono le produzioni agricole più rivolte all'esportazione (colture specializzate praticate nelle zone del Mezzogiorno). Progressi abbastanza significativi in termini di incremento produttivo.

Settore Industriale: penalizzato dall'accresciuta concorrenza internazionale. Sviluppo dell'industria della seta, tradizionalmente esportatrice seppur poco avanzata tecnologicamente. Crollo delle altre produzioni tessili (laniera), e dei settori siderurgico e meccanico, troppo deboli per potersi giovare dell'occasione che in altri paesi era stata offerta dallo sviluppo delle ferrovie. I pochi nuclei industriali del Mezzogiorno furono cancellati dalla caduta dei dazi protettivi all'ombra dei quali si erano sviluppati.

Modernizzazione dell'apparato produttivo. Gli uomini politici italiani erano però convinti di dover puntare sull'agricoltura come base della crescita economica e che lo sviluppo industriale sarebbe venuto semmai più tardi.  Accumulazione di capitale dovuta all'espansione dell'agricoltura potenziamento infrastrutture. Indispensabile per il futuro sviluppo industriale. Ma in questo ventennio l'Italia perse terreno nei confronti degli altri paesi, e il tenore di vita dei suoi abitanti in alcuni casi peggiorò.

Politica fiscale fu responsabile di questa situazione. La costruzione di un nuovo Stato comportò Spese ingentissime (comunicazioni, amministrazione pubblica, istruzione e dell'esercito inasprimenti fiscali che colpirono i consumi (tassi sui sali e i tabacchi, dazi locali su generi alimentari).

Situazione si aggravò, in conseguenza di una crisi internazionale e delle spese sostenute per la guerra contro l'Austria. I governi succedutisi tra il '66 e il '69 furono costretti appesantire le imposte già esistenti.

: imposta sulla macinazione dei cereali: Tassa sul macinato, che colpiva duramente le classe più povere. Crebbe così l'impopolarità della classe dirigente.

: prime agitazioni sociali su scala nazionale della storia dell'Italia Unità. Repressione durissima.

Pareggio del bilancio: duro fiscalisimo e inflessibile rigore finanziario 1875: condizioni bilancio pareggiarono. Scontenti però si allargarono: ceti popolari, cronico malcontento del Mezziogiorno, pressioni degli industriali e dei gruppi bancari e speculativi in favore di una politica economica meno rigida e restrittiva Caduta della Destra.


Il completamento dell'Unità


Riunire alla madrepatria i territori abitati da popolazioni italiane (Veneto, Trentino, Venezia Giulia, Roma e il Lazio), era un altro compito del governo della Destra. Erano tutti d'accordo, moderati e democratici.

Destra - volevano una cosa graduale, con tempi lunghi per vie democratiche

Sinistra - fedele all'idea della guerra popolare; lotta per la liberazione di Roma l'occasione per un rilancio dell'iniziativa democratica.

Questione Romana - i primi governi cercarono di procedere sulla strada indicata da Cavour (credeva fermamente nella libertà religiosa, e nella separazione fra Stato e Chiesa). Dopo l'episodio di Aspromonte, durante il quale l'impresa garibaldina di fare una spedizione contro lo Stato Pontificio fu bloccato da Vittorio Emanuele II, i  governanti italiani riannodarono le trattative con Napoleone III

1864: Convenzione di settembre. Fecero un accordo con il quale si impegnavano a garantire il rispetto dei confini dello Stato pontificio. A garanzia del suo impegno la Capitale fu spostata da Torino a Firenze.

1866: (liberazione del Veneto) Bismarck propone un alleanza militare all'Italia, il quale stava per affrontare una guerra con l'Impero Asburgico. Partecipazione italiana decisiva per l'esito del confronto vittoria prussiana. Anche se la guerra per noi si risolse in un enorme insuccesso. Gli italiani si scontrarono con forze austriache inferiori di numero, sia per terra (Custoza), sia per mare (isola di Lissa). In entrambi i casi l'esito fu negativo per le forze italiane. Armistizio: 3 ottobre 1866 pace di Vienna, l'Italia ottenne solo il Veneto. L'ultima delle guerre d'indipendenza si concludeva così con un bilancio deludente: rimanevano sotto l'Austria il Venezia Giulia e il Trentino. Guerra lasciò pesanti strascichi sul piano finanziario e aveva suscitato una crisi morale.

Nuovo slancio all'attività dei gruppi democratici d'opposizione

Mazzini intensificò la propaganda per una rifondazione repubblicana dello Stato.

Garibaldi ricominciò a progettare una spedizione a Roma azione dei volontari avrebbe dovuto poggiarsi su un'insurrezione preparata dagli stessi patrioti romani nell'estate del '67. Sembrava così un atto di volontà popolare, evitando l'intervento francese.

Napoleone III inviò un corpo di spedizione nel Lazio; l'insurrezione a Roma fallì per la sorveglianza della polizia e per la scarsa partecipazione popolare.

3 novembre '67: truppe francesi sbarcate a Civitavecchia attaccarono presso Mentana le forze garibaldine e le sconfissero dopo un duro combattimento. L'occasione per la conquista di Roma sarebbe però stata offerta dalla guerra franco-prussiana e dalla caduta del Secondo Impero.

Settembre 1870: governo italiano, non sentendosi vincolato con i patti sottoscritti con l'imperatore, mandò un corpo di spedizione nel Lazio, avviando contemporaneamente un negoziato col papa per giungere ad una soluzione concordata. Pio IX rifiutò ogni accordo.

20 settembre 1870 le truppe italiane aprirono con l'artiglieria una breccia nella cinta muraria; combattimento con reparti pontifici entrata nella città presso Porta Pia. Un plebiscito sanzionava pochi giorni dopo a schiacciante maggioranza l'annessione di Roma e del Lazio. Trasferimento della capitale da Firenze  a Roma fu effettuato nell'anno successivo, dopo che lo Stato Italiano ebbe regolato con una legge il complesso problema dei rapporti con la Santa Sede.

13 maggio 1871: Legge delle guarentigie, cioè delle garanzie: il Regno d'Italia si impegnava unilateralmente a garantire al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del suo magistero spirituale. Al papa vennero riconosciute prerogative simili a quelle di un capo di Stato: onori sovrani, facoltà di tenere un corpo di guardie armate, diritto di rappresentanza diplomatica, extraterritorialità per i palazzi del Vaticano e del Laterano, libertà di comunicazioni postali e telegrafiche col resto del mondo.

Intransigenza di Pio IX nei confronti del Regno d'Italia. 1874: non expedit - non è opportuno che i cattolici partecipino alle elezioni politiche: una sorte di invito ad astenersi. L'acquisto di Roma, coronava il processo di unificazione nazionale, allargava così le fratture della società italiana.


PAROLA CHIAVE:  ACCENTRAMENTO/DECENTRAMENTO : nel XIX sec. Si ebbe lo scontro triangolare tra conservatori, liberal-moderati e democratici: scontro che riguardava essenzialmente le forme e i modi della partecipazione al potere. Ma un altro scontro non meno importante era quello che concerneva l'organizzazione del potere: la forma accentrata e decentrata delle istituzioni statali.


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