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CANTO X
Dove: nel VI cerchio, nella città di Dite
Quando: ore 2 del 9 aprile 1300 (sabato santo).
Custodi: le tre Furie; Megera, Aletto, Tesifone.
Peccatori: eretici (epicurei)
Personaggi: Farinata degli Uberti, Cavalcante Cavalcanti, Federico II, Ottaviano degli Ubaldini.
Pena: giacciono in sepolcri infuocati e scoperchiati
Contrappasso: in vita non cedettero nell'immortalità dell'anima, ora,costretti a stare dentro tombe infuocate, prendono dolorosamente atto della continuazione dell'esistenza anche dopo la morte.
Sommario: Dante, assieme a Virgilio, cammina tra sepolcri infuocati e scoperchiati, in cui giacciono gli epicurei, e rivolge domande al suo maestro. Nel sentire parlare la sua lingua, un'anima si solleva dal suo sepolcro e apostrofa Dante: è Farinata degli Uberti, famoso capo ghibellino, con il quale il poeta, per nulla intimorito, precisa che i Guelfi, pur vinti, riuscirono a ritornare a Firenze, mentre i ghibellini furono definitivamente sconfitti nel 1266 e non riammessi più a Firenze. Il colloquio viene interrotto da un'altra anima, quella di Cavalcante dei Cavalcanti, che diede a Dante notizie di suo figlio Guido. Il poeta risponde in modo non chiaro, e Cavalcante, credendo suo figlio morto, ripiomba nella tomba. Farinata, senza curarsi di Cavalcante, suo con suocero, riprende il colloquio, predice a Dante il prossimo esilio e gli spiega come i dannati conoscano il futuro ma non il presente e le cose imminenti A nuova richiesta di Dante, Farinata rivela il nome di due dannati che giacciono con lui: l'imperatore Federico II e il cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Ultimato il colloquio, Farinata scompare nel sepolcro. Virgilio conforta Dante, preoccupato per la minacciosa predizione dell'esilio, fattagli da Farinata. I due poeti intanto si volgono verso sinistra e giungono sull'orlo del cerchio successivo.
Critica: nella prima sequenza del canto, sono a confronto due fiorentini di due diverse generazioni (Farinata 1239-1264, Dante 1265-1321). Mutato lo scenario politico, non è mutato il clima della città. Alle lotte tra Guelfi e Ghibellini, di cu fu protagonista Farinata si sono succedute quelle tra Guelfi bianchi e Guelfi neri che hanno insanguinato la città e costretto il poeta all'esilio. Il colloquio tra Farinata e Dante è caratterizzato, nella sua fase iniziale, da tensione e rivalità. Con sdegno Farinata indaga sugli antenati del pellegrino, con altrettanta fierezza Dante ricorda l'esilio definitivo degli Uberti da Firenze. Alla statuaria figura di Farinata si contrappone la dolente immagina di Cavalcante, che si presenta con tutta la sua umanità e carica affettiva. A differenza di Farinata, che è un magnanimo, ancora legato al mondo terreno, dalla passione politica, Cavalcante è solo un padre angosciato per la sorte del figlio del cui ingegno è fiero e orgoglioso. Se il dialogo tra Farinata e Dante ha la funzione di riproporre il tema della discordia civile, l'incontro con Cavalcante e Dante è un omaggio da parte del poeta all'amico Guido morto nell'agosto del 1300. Il tema dell'amore paterno si lega dunque al tema dell'amicizia. Il colloquio tra Farinata e Dante riprende con un tono più pacato e sereno, perché sono a confronto non più due avversari politici, ma due fiorentini con simile destino: l'esilio. Il tema dell'esilio si associa al tema della responsabilità morale delle proprie scelte politiche, e, nello stesso tempo al motivo dell'ingratitudine umana. Nell'episodio di Farinata è implicito un altro importante messaggio che Dante invia all'umanità: il male può annidarsi anche negli animi nobili. Lo dimostra il magnanimo Farinata, il cui impegno politico e l'amore per la sua fazione gli impediscono una visione universale della politica, spingendolo ad un inevitabile fallimento personale e collettivo. Farinata scioglie il dubbio di Dante sulla preveggenza dei dannati, i quali, come i presbiti, riescono a vedere le cose lontane, ma non le prossime e le presenti. La conoscenza del futuro dopo il Giudizio universale, che segnerà la fine della storia umana, non sarà più possibile per le anime, in quanto non esisterà più il futuro. Chiarito il dubbio, Dante raccomanda a Farinata di far sapere a Cavalcante che suo figlio è vivo. Dante è turbato dalle parole di Farinata riguardo l'esilio. Virgilio gli dice che Beatrice, in paradiso, spiegherà il significato di quelle parole minacciose.
CANTO XIII
Dove: nel 2° girone del VII cerchio
Quando: alba del 9 aprile 1300 (sabato santo).
Custodi: Arpie e Cagne
Peccatori: violenti contro la propria persona: suicidi e violenti contro le proprie cose: scialacquatori.
Personaggi: suicidi: Pier della Vigna, Lotto degli Agli (forse). Scialacquatori: Lano da Siena, Giacomo da S. Andrea.
Pena: le anime sono tramutate in sterpi e straziate dalle Arpie.
Contrappasso: i suicidi rifiutarono la vita, ora, ridotti in sterpi, sono privati dell'aspetto umano, che non potranno riavere neppure dopo il Giudizio universale e sono dilaniati dalle Arpie; gli scialacquatori, come in vita dilapidarono le proprie fortune,così, ora vengono smembrati da cagne fameliche.
Sommario: Dante e Virgilio, attraversato il Flegetonte, entrano nel secondo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i suicidi e gli scialacquatori. Ai loro occhi si presenta un bosco orrido, nei cui alberi contorti e spinosi, pasto delle mostruose Arpie, sono racchiuse le anime dei suicidi. Tra i suicidi Dante viene a colloquio con Pier della Vigna, funzionario della corte di Federico II di Svevia. Aveva servito con amore e fedeltà Federico II, gli era stato vicino nella grandi imprese ed era stato uno degli animatori del suo cenacolo letterario; poi, falsamente accusato, si era data la morte non sopportando di essere caduto in disgrazia agli occhi del suo signore per le calunnie dei cortigiani, invidiosi del suo successo. Su richiesta di Virgilio, Pier della Vigna spiega la sua condizione e quella dei suoi compagni di pena: subito dopo la morte ,l'anima del suicida viene scaraventata da Minosse nel settimo cerchio e là dove cede mette redici e foglie, che le Arpie dilaniano, provocando sofferenze senza fine. Dopo il Giudizio universale, a suicidi sarà negato di riprendere il loro corpo che vedranno appeso ciascuno al proprio legno. Il colloquio con Pier della Vigna è interrotto dall'apparizione di due scialacquatori (Lano da Siena e Iacopo da Santo Andrea) inseguiti da una muta di nere cagne fameliche e graffiati dagli sterpi. Mente uno dei due dannati riesce a fuggire, l'altro, che si era rifugiato in un cespuglio, spezzandone i rami, viene raggiunto e dilaniato dalle cagne. Il cespuglio dolorante piange e dice di essere stato un fiorentino che si era tolto la vita impiccandosi.
Critica: la selva dei suicidi è surreale, intricata, inaccessibile, impenetrabile, popolata di feroci cagne e mostri alati, le Arpie: simboleggia la dannazione eterna dei violenti contro se stessi. La degradazione dei dannati allo stato vegetale non poteva infatti essere rappresentata in un paesaggio lussureggiante, verde e rigoglioso, ma nel suo opposto: le fronde scure, i rami nodosi, le spine velenose sono espressione del mondo del male.
Pier della Vigna rappresenta una vittima innocente della rivalità e dell'invidia di corte, l'intellettuale mortificato dal potere: con fermezza riafferma la fedeltà al sovrano e la propria integrità morale. La sue vera colpa consiste nell'essere stato eccessivamente coinvolto dall'attività politico-sociale. Il tema è autobiografico: anche Dante, intellettuale impegnato nell'attività politica, a causa dell'invidia, è esiliato dalla sua città. Il sentimento di Dante nei confronti di Pier della Vigna è di profonda pietà, perché il poeta riflette sul fatto che il destino del dannato avrebbe potuto essere il suo, se avesse risposto con il suicidio all'ingiustizia subita
CANTO XV
Dove: nel 3° girone del VII cerchio
Quando: alba del 9 aprile 1300 (sabato santo).
Custode: Minotauro
Peccatori: violenti contro dio nella natura: sodomiti.
Personaggi: Brunetto Latini, Pisciano, Francesco D'Accorso, Andrea dei Mozzi.
Pena: sono costretti a camminare, senza sosta, su un sabbione infuocato e sono flagellati da una pioggia di fuoco.
Contrappasso: in vita arsero di passioni illecite, ora sono arsi da una pioggia di fuoco.
Sommario: camminando lungo l'argine del Flegetonte, riparato dalla pioggia di fuoco, perché protetto dal vapore che emana l'acqua bollente del fiume, i due poeti incontrano una schiera di anime che aguzzano lo sguardo per osservarli. Una di esse afferra Dante per il lembo della veste e gli chiede di potersi affiancare a lui nel cammino, dal momento che le è proibito fermarsi. Le anime dei sodomiti infatti sono costrette a camminare sempre senza sosta: chi infrange questa legge è poi condannato a giacere per cento anni sotto la pioggia di fuoco, senza poter scuotere da se le fiamme che lo flagellano. Dante riconosce, nell'anima, a stento, a causa delle numerose bruciature che deturpano il suo aspetto, il suo maestro Brunetto Latini e, col capo chino, continua a camminare sull'argine, affiancandolo. A richiesta di ser Brunetto, Dante rievoca il suo smarrimento nella selva e il provvidenziale intervento di Virgilio che lo sta guidando verso la salvezza. Brunetto si congratula con il suo discepolo, gli predice il futuro e l'ostilità dei suoi concittadini e lo esorta a rimanere fedele ai principi che lo hanno sempre sorretto. Dante ricorda quanto deve ai suoi insegnamenti e rassicura il maestro sulla sua fermezza nell'affrontare il destino che lo aspetta. Su richiesta di Dante, Brunetto nomina alcuni compagni di pena e si congeda, dopo avergli raccomandato i Tesoro, la sua opera, per merito della quale sente di continuare a vivere nella memoria dei posteri.
Critica: l'incontro tra Dante e Brunetto latini è costituito su due elementi: la sorpresa e l'affetto. Stupito è Brunetto di vedere il discepolo vivo nell'oltretomba, meravigliato è Dante di trovare il maestro tra i sodomiti. Brunetto esorta Dante ad affrontare con fermezza l'esilio nella consapevolezza di essere onesto tra malvagi; gli predice infine onore e gloria. Dante ha posto il suo maestro tra i dannati, evidenziando il suo vizio perché, Brunetto, pur avendo condannato la sodomia in una sua opera, fu incapace di trasferire la nobiltà dei suoi insegnamenti nella sua stessa prassi di vita. Ciò nonostante egli rimane per Dante il venerabile maestro di valori etici e civili. Nella predizione dell'esilio, la seconda dopo quella di Farinata, Brunetto evidenzia la malvagità dei Fiorentini, che conservano ancora la rozzezza della loro origine fiesolani, definiti avari, invidiosi e superbi.
Nel poema è sempre presente l'invettiva contro Firenze; Firenze è la città dove è nato, dove è cresciuto, dove ha iniziato la sua attività letteraria e civile, ma è anche la città che lo ha ingiustamente esiliato. Alla predizione dell'esilio infatti dante replica di essere pronto ai colpi della fortuna e di dover rispondere delle sue azioni solo alla sua coscienza.
Quando, su richiesta di Dante, Brunetto elenca altri famosi sodomiti, Dante vuole evidenziare che molti uomini di chiesa ed intellettuali si sono fatti travolgere da questo vizio.
Nell'ultima parte del canto è ripreso il tema del'attività letteraria; che consiste nella trasmissione di valori morali e civili con i quali l'uomo può restare eterno nella memoria degli altri uomini.
CANTO XIX
Dove: nella 3S bolgia dell'VIII cerchio
Quando: ore 6 del 9 aprile 1300 (sabato santo).
Custode: Gerione
Peccatori: simoniaci
Personaggi: Niccolò III; ricordati Bonifacio VIII, Clemente V.
Pena: sono sprofondati,a testa in giù, in buche; l'ultimo arrivato di ogni buca ha le gambe fuori e le piante dei piedi lambite da lingue di fuoco.
Contrappasso: in vita i simoniaci cercarono di metter in borsa ricchezze ricavate da vendita di beni spirituali, così ora essi sono messi dentro buche; come in vita capovolsero le regole della legge divina, così ora debbono stare capovolti.
Sommario: I due poeti osservano, dall'alto,di un ponte che la sovrasta, la terza bolgia, che si presenta piena di buche circolari, da ciascuna delle quali spuntano le gambe di un simoniaco che è conficcato a testa in giù e con le piante dei piedi lambite da lingue di fuoco. Le gambe che fuoriescono sono quelle dell'ultimo arrivato che, poi, al sopraggiungere di un altro dannato, precipiterà sotto terra, nell'interno delle buche. La loro ampiezza è simile a quella del fonte battesimale della chiesa di San Giovanni, che Dante fu costretto, un giorno, a rompere per salvare uno che vi stava affogando. I due poeti scendono sul fondo della bolgia; Dante invita un dannato, che agita le gambe più degli altri, a dirgli quali furono i motivi che lo indussero a violare la legge di Dio. Il dannato, papa Niccolò III degli Orsini, scambia Dante per Bonifacio VIII, il papa simoniaco che è destinato a prendere il suo posto nella buca, e gli chiede il motivo del suo arrivo all'inferno prima del tempo stabilito. Chiarito l'equivoco (che è servito a Dante per collocare tra i simoniaci Bonifacio VIII, ancora vivo nel 1300), Niccolò III prima confessa le sue colpe, poi anticipa la venuta, dopo Bonifacio VIII, di Clemente V, un altro papa simoniaco (che sarà l'autore del trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone). Dante, indignato contro gli ecclesiastici che fanno commercio delle cose spirituali per arricchirsi, prorompe un'invettiva contro i beni terreni che allontano i pai dia compiti loro assegnati da Cristo e contro la degradazione della Chiesa che si è allontanata dalla purezza dei primi cristiani. Virgilio condivide lo sdegno di Dante e lo riconduce , prendendolo tra le braccia, sul ponte dal quale si scorge la quarta bolgia.
Critica: la prima sequenza del canto è costituita dall'invettiva contro i simoniaci, in cui Dante con tono profetico preannunzia il momento in cui, dopo il suono della tromba del Giudizio finale, questi peccatori saranno più severamente e definitivamente puniti.questa invettiva ha la funzione di suscitare l'attenzione del lettore su un peccato che incide profondamente nella società, trasformandone i valori e i modelli dei vita. Il tono usato da Dante-poeta è solenne, tipico di chi è investito di una missione divina. L'incontro con Niccolò III è preparato e sapientemente diretto da Virgilio che non esaudisce subito la curiosità del discepolo sull'identità del dannato, ma lo invita ad un diretto contatto. Virgilio esorta il discepolo a chiarire l'equivoco in cui è caduto Niccolò III. Simbolicamente è la ragione, rappresentata da Virgilio, che viene in soccorso al pellegrino in modo più concreto. Il gioco degli equivoci svolge una duplice funzione, consente a Dante di predire la condanna di Bonifacio VIII e inoltre vivacizza il colloquio suscitando l'interesse del lettore coinvolto in un continuo scambio di persone e di significati. Nonostante la gravità dei peccati commessi dai pontefici , Dante non mette in discussione la loro autorità, perché sarebbe destabilizzante per la società l'assenza della guida spirituale. Nell'invettiva, è chiaro il concetto di fondo: la cupidigia dei papi causa il nepotismo e, lo sconvolgimento dell' ordine sociale, per cui i malvagi acquistano potere e i buoni soccombono. Il tono dell'invettiva è elevato, oscuro, come si addice ad una profezia.
CANTO XXVI
Dove: nel 8S bolgia dell' VIII cerchio
Quando: mezzogiorno del 9 aprile (sabato santo).
Custode: Gerione
Peccatori: consiglieri fraudolenti
Personaggi: Ulisse, Diomede
Pena: vagano per la bolgia racchiusi ciascuno dentro una lingua di fuoco.
Contrappasso: le loro lingue furono facili nel tessere inganni, ora essi sono avvolti in una lingua di fuoco.
Sommario: Dante lancia un'invettiva contro Firenze, per aver trovato, tra i ladri,cinque nibili fiorentini. I due poeti, poi riprendono il faticoso cammino e arrivano sul ponte che sovrasta l'ottava bolgia dell'ottavo cerchio; essa è piena di fiamme che racchiudono le anime die consiglieri fraudolenti, ed è simile a duna vallata in una sera d'estate quando si accendono le lucciole. Una di queste fiamme di distingue dalle altre perché termina con due punte: in essa sono racchiusi, per scontare le loro colpe, due Greci, Ulisse e Diomede. Per desiderio di Dante, Virgilio si rivolge alla fiamma biforcuta, invitando uno dei due eroi a narrare le sue ultime vicende. Dalla punta più alta della fiamma, che ondeggia come una lingua umana, esce la voce di Ulisse, il quale racconta del suo viaggio nel Mediterraneo fino alle Colonne d'Ercole, limite invalicabile per l'uomo. Qui, spinto dal desiderio di conoscenza, egli esortò i compagni a tentare la navigazione dell'oceano inesplorato. Per cinque mesi navigarono in mare aperto, finchè apparve ai loro occhi una montagna altissima che riempì di speranz ai loro cuori. Ma la speranza fu ben presto delusa: dalla montagna si levò un turbine che, per tre volte, fece girare la nave nel vortice delle onde, alla quarta fece sollevare la poppa verso l'alto e fece andare la prua verso il basso, finchè il mare si chiuse sopra di essa.
Critica: L'incontro con Ulisse è preparato da un dialogo tra Virgilio e Dante, in cui si evidenzia l'importanza del personaggio e la difficoltà di poter colloquiare con lui. Per prima cosa Virgilio indica i peccati di frode commesse dall'eroe greco. Poi Virgilio invita il discepolo al silenzio, poiché solo Virgilio, con la sua autorità di poeta latino, può rivolgersi in modo paritario all'eroe greco, chiedendogli di parlargli della sua morte e non degli inganni per cui è punito. L'episodio di Ulisse presenta varie tematiche: il tema del viaggio, l'esaltazione dell'intelligenza umana, il tema dei limiti dell'intelletto umano, il tema della Grazia. Queste sono presenti nella figura di Ulisse che è bivalente: l'eroe greco da un lato raprresenta l'astuzia, l'ingegno usato per l'inganno; dall'altro è simbolo dell'avventura, del desiderio di conoscenza dell'ignoto, che rivela la superiorità dell'uomo sulle bestie. Dante pone l'eroe greco tra i fraudolenti ma rivolge la sua attenzione sulla sua intraprendenza.
CANTO XXXIII
Dove: nella 2S e 3S zona del IX cerchio: Antenora e Tolomea.
Quando: le 18 del 9 aprile (sabato santo)
Custodi: giganti
Peccatori: traditori della patria (nell'Antenora), degli amici e degli ospiti (nella Tolomea).
Personaggi: il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggirei (nell'Antenora). Frate Alberigo e Branca d'Oria (nella Tolomea).
Pena: sono conficcati nel ghiaccio in varie posizioni a seconda del peccato.
Contrappasso: in vita il loro cuore fu freddo come il ghiaccio, ora sono sepolti nel ghiaccio.
Sommario: il dannato che rode il capo del suo compagno di pena è Ugolino della Gherardesca che, fatto prigioniero dai Ghibellini, fu lasciato morire di fame assieme a due figli e a due nipoti. L'altro, del cui cranio il conte Ugolino si sta cibando, è l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, causa della prigionia del conte. Dopo avere ascoltato il racconto di Ugolino, Dante lancia un'invettiva contro Pisa, la città che ha permesso un simile fatto. I due poeti passano poi nella terza zona, la Tolomea, dove sono puniti ti traditori degli ospiti, anch'essi conficcati nel ghiaccio, ma con il viso supino, in modo tale che le loro lacrime si congelino nelle cavità orbitali. Un dannato chiede a Dante di essere liberato dalla dolorosa crosta di ghiaccio che si trova sui suoi occhi. Dante, in modo ambiguo, promette di farlo, a condizione che egli sveli la sua identità: è il faentino Alberigo dei Manfredi, che invitò a banchetto alcuni consanguinei per ucciderli. A Dante, meravigliato perché lo ritiene ancora in vita, Alberigo spiega che, per una legge propria della Tolomea, l'anima dei traditori dei parenti, dopo il tradimento,finisce in quella zona dell'inferno, mentre il corpo resta sulla terra, governato da un demonio. Accanto ad Alberigo, nella medesima condizione, si trova il genovese Branca Doria, reo di aver ucciso, con l'inganno, il suocero Michele Zanche. Dante si rifiuta di liberare gli occhi di Alberigo dal ghiaccio, e llancia un'invettiva contro Genova, per il tradimento di Branca Doria.
Critica: il conte Ugolino della Gherardesca è posto da Dante tra i traditori della patria probabilmente perché abbandonò il partito ghibellino a cui apparteneva, alleandosi con il genero guelfo per difendere i propri possedimenti in Sardegna. La tensione comunicata al lettore attraverso il racconto del conte esplode in un grido che coinvolge nella condanna l'intera città di Pisa e tutta la società in cui il delitto si compie. Il tema di fondo della vicenda è la ferocia delle lotte politiche , l'odio, la crudeltà che caratterizzano la società comunale. Virgilio e Dante passano nella terza zona del cerchio, la Tolomea, dove sono puniti i traditori degli ospiti, stesi sul ghiaccio col capo supino. Un'anima chiede ai due poeti di togliere le lacrime ghiacciate dagli occhi. Dante, ambiguamente, promette di farlo purché il dannato riveli la sua identità. Nel colloquio tra i due, domina il sospetto che prelude all'inganno. Dante non crede alla parole del dannato e quindi, non mantiene la promessa perché aiutare un dannato significherebbe opporsi alla giustizia divina.
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