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Autori di letteratura e opere relative




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Andrea Cappellano (De amore)
Andrea Cappellano scrisse un trattato di grande successo, che diffuse l'amore come unione di natura superiore, estranea al matrimonio: il "De amore". Nella tradizione, viene spesso indicato come il "Libro di Gualtieri" ed è stato scritto nella seconda metà del XII secolo. Il trattato fu un riferimento essenziale per tutte le definizioni d'amore, la riflessione nelle sue diverse forme, la rappresentazione nella lirica e nella narrativa del tardo Medioevo.
Il "De amore" presenta un carattere ambiguo; articolato in tre libri, offre nei primi capitoli una definizione dell'amore sul modello di quello cortese, inteso come amore-passione, poi si dilunga sul modo di comportarsi nei diversi rapporti amorosi. Il secondo libro ci fornisce una serie di questione su come si conserva, accresce il sentimento, cosa succede nel momento del tradimento e si conclude con una serie di "regulae", cioè delle regole d'amore. Il terzo libro, invece, sembra opporsi a quello che finora l'autore aveva scritto, poiché vi è una "reprobatio amoris", che ci esorta a tenerci lontani dall'amore e ci dice che tutti e due i libri servono per far conoscere questo profondo sentimento in modo da potersene meglio difendere.

San Francesco d'Assisi (Laudes creaturarum)
La Lauda è un componimento religioso che ebbe la sua massima diffusione nel XIII secolo; il nome di questa oscilla tra la forma "lauda" e la forma "laude" e si riferisce alle "laudes", ovvero le lodi che si rivolgevano alle divinità e venivano cantate in sequenze ritmiche.
S. Francesco fu il primo a scrivere un testo in volgare di alto valore poetico: le "Laudes creaturarum". Questa fu scritta probabilmente un anno prima della morte del santo ed è composta da 33 versi in volgare umbro, che comprende numerosi latinismi come i ricorrenti imperativi "laudato sie" e i numerosi ablativi diventati sostantivi come "honore" e "benedictione" ed è influenzato anche dalle lingue d'oïl e d'oc.
Il componimento riprese lo sviluppo della Genesi, che vede il passaggio dal buio alla luce, sottolineando l'indegnità dell'uomo di fronte a Dio e raccontando della vita dell'universo, la terra, gli elementi e dell'uomo stesso, di cui viene esaltata la morte nel momento del peccato. Dalle laudes, emerge, inoltre, quella che realmente era l'idea di religione di S. Francesco, cioè una fede basata sull'amore, su principi semplici e anche sulla povertà, intesa sia come tipologia di vita sia come modo di accostarsi agli altri. Dopo questa dichiarazione di amore a Dio attraverso le sue creature, si giunge al sacro perdono (inteso come generosità verso gli altri), che, secondo S. Francesco, è la dote migliore dell'uomo, e la morte del corpo da temere molto meno rispetto a quella dell'anima, che porta alla dannazione eterna.

Iacopone da Todi (Pianto della Madonna o Donna de Paradiso)
Nel XIII secolo, si sviluppò un nuovo modello di componimento, la lauda, che era strettamente legata al mondo religioso. Nella nuova tradizione s'inserì la voce rigorosa e sconvolgente di Iacopone da Todi, le cui laude iniziarono a circolare e a diffondersi in vari laudari, che venivano scritti per essere cantati all'interno dei conventi francescani. Nel Trecento e nel Quattrocento, i manoscritti delle Laude di Iacopone si diffusero in particolar modo all'interno dell'ordine francescano; esse esprimevano nel dettaglio la negatività del mondo, in cui l'amicizia non esisteva, l'amore era un gioco di inganni e si potevano individuare nitidamente i segni del male, della morte e del peccato. Le sue poesie, inoltre, raggiungevano momenti di crudo realismo e di corrosiva forza satirica, dal momento che egli utilizzava il dialetto umbro insieme al suo lessico vivo e corposo, soggetto a deformazioni. Egli manifestò chiaramente il ripudio del mondo attraverso delle Laude, che di struttura si fondavano sul contrasto tra voci diverse, di cui una apparteneva alla divinità, che scuoteva l'animo umano con rimproveri ed esortazioni (come per esempio, il nunzio e Maria nel Pianto della Madonna). Nella sua più celebre lauda, il "Pianto della Madonna", vi è la sacra rappresentazione, di cui racconta la passione, seguendo il modello evangelico, ma dando un particolare risalto al carattere umano, sottolineando la sofferenza e il lacerante dolore di Maria di fronte al terribile martirio del figlio. Nel componimento, si possono facilmente identificare i latinismi e i francesismi utilizzati dall'autore con l'aggiunta di veri e proprio neologismi, secondo il repertorio ecclesiastico.

Iacopo da Lentini (Meravigliosamente e accenni di Madonna ha 'n se vertute con valore e Amore è un desio che ven da core)
Il primo e maggiore esponente della scuola siciliana è Iacopo da Lentini ("il Notaro"), funzionario imperiale della prima metà del XIII secolo. Egli fu l'inventore del sonetto (deriva da sonorità ed ha l'obbligo dell'endecasillabo, che è la trasposizione dell'esametro latino) e attraverso le sue opere, egli esprime la gioia, ma soprattutto il turbamento d'amore, individuando la funzione di esso attraverso l'immagine. La sua più celebre canzonetta è "Meravigliosamente", in cui è presente il tema del "fenhedor", cioè dell'innamorato che non riesce ad esprimere i suoi sentimenti di fronte alla donna e resta in presa al turbamento.
Questa angoscia e incapacità di reggere alla presenza della donna si legano al  motivo dell' immagine dipinta, che avrà molta diffusione anche nella poesia successiva. Molto ricorrente nella lirica provenzale e presente anche in questa è il congedo rivolto al componimento, che in questo caso invita la stessa canzonetta a recarsi dalla donna e offrirle un omaggio del poeta, abitudine che verrà poi abolita da Dante per sostituirla con una dedica iniziale rivolta a delle persone. Nel sonetto "Madonna ha 'n se vertute con valore", il Notaro esalta il valore e lo splendore della donna, che verrà ripreso dallo Stilnovo e si può notare il parallelismo con "Io voglio del ver la mia donna laudare" di Guido Guinizzelli. Il sonetto "Amore è un desio che ven da core" è il primo vero tentativo della poesia volgare italiana di definire l'amarsi e lo svolgersi del rapporto amoroso, dopo quello in latino di Andrea Cappellano nel De amore.

Rustico Filippi (Oi dolce mio marito Aldobrandino)
Rustico Filippi è uno dei maggiori esponenti della poesia comica che si sviluppa nella seconda metà del XIII secolo. Egli utilizza il linguaggio fiorentino in tutta la sua ricchezza e ne abbiamo testimonianza grazie a 60 sonetti, che sono giunti fino a noi, metà in stile "serio" e metà in stile "comico". Nei sonetti "seri", egli racconta i più concreti aspetti del rapporto amoroso come affetti e dissidi; invece, in quelli "comici", egli ci offre storie che inaugurano la tradizione giocosa e burlesca fiorentina.
Nelle sue composizioni, Rustico Filippi ricerca sempre l'ironia, che è ben evidente nel sonetto "Oi dolce mio marito Aldobrandino", in cui la moglie con una sfrontatezza disinvolta cerca di convincere il marito ingenuo che lei non  tradito e conclude con una battuta ambigua che rivela il suo misfatto.

Cecco Angiolieri (La mia malinconia è tanta e tale, "Becchin'amor". "Che vuo', falso tradito?", S'i fosse foco, ardere' il mondo)
Cecco Angiolieri è uno dei maggiori esponenti della poesia comica che si sviluppa nella seconda metà del XIII secolo. Di ricca famiglia guelfa senese, egli fu poco più anziano di Dante; egli si beffa del lavoro e di tutti i valori morali dell'epoca e nei suoi sonetti i temi principali sono quattro:
- la malinconia (intesa come una sorta di ostinata scontentezza)
- l'amore per Becchina (presentato come parodia di quello stilnovistico)
- l'odio per il padre
- il bisogno di denaro (visto come unica fonte di felicità)

Nella poesia, "La mia malinconia è tanta e tale", il poeta presenta quello che sarà il tema costante delle sue poesie: la malinconia; egli afferma come questa sia causata dall'indifferenza di Becchina che è ancora peggio dell'odio.
Invece, il sonetto "Becchin' amor" presenta un emistichio: infatti il verso è diviso in due, nella prima parte parla il marito che ha tradito la sua donna e nella seconda parla la moglie. La durezza popolazione di quest'ultima va letta come parodia comica della donna stilnovistica.
Infine, in "S'i fosse foco, ardere' il mondo", Cecco Angiolieri esprime il realismo popolano, tutto il suo odio verso i genitori e presenta una struttura particolare nelle anafore.

Folgore da San Gimignano (Di gennaio e Di febbraio)
Folgore da San Gimignano visse tra il Duecento e il Trecento e di lui ci rimangono una trentina di sonetti, distinti in due corone: una di otto sonetti dedicata ai giorni della settimana e uno di quattordici per i mesi dell'anno. Nelle sue opere, egli riprende il tema cortese del "plazer", "elenco di cose piacevoli", e vi aggiunge la passione per il ritmo del calendario. Egli è il massimo esponente della poesia realistica; infatti, racconta di attività nobili per un pubblico di "cuori gentili", per citare lo Stilnovo a lui contemporaneo.
Folgore descrive sia in "Di gennaio" che in "Di febbraio" le attività caratteristiche dei ceti alti, come il riposo dopo la guerra e la caccia.

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