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Animali e narrativa moderna: intervista a Paola Mastrocola
Ho deciso di dedicare la sezione di letteratura ad un libro scritto recentemente e quindi sono riuscito a farmi rilasciare un'intervista dalla scrittrice. Mi interessava molto sciogliere alcuni dubbi e perplessità che mi sono sorti leggendo Che animale sei, libro scritto appunto da Paola Mastrocola, vincitrice del premio Campiello nel 2004 e finalista al premio Strega del 2001, oltre che naturalmente vincitrice del premio Italo Calvino per l'inedito del 1999 con La gallina volante.
Ecco i quesiti proposti a Paola Mastrocola.
. La vita nel libro è vista come la continua ricerca della propria
identità? E' così anche per noi umani?
Nella vita sì, noi andiamo alla ricerca della nostra identità, anche perché così ci hanno detto che è bene fare: guai a chi non si trova o non sa chi è, che cosa vuole, dove va (oggi soprattutto!). Nel libro invece c'è una pennuta che starebbe benissimo senza sapere chi è, lei si crede uguale a sua madre, quindi una pantofola, e va nel mondo con questa salda convinzione. Sono gli altri che non glielo lasciano fare e le appiccicano di continuo un'etichetta, una definizione che la identifica ma anche, secondo me, la immobilizza e determina per sempre. Insomma, ogni identità che ci definisce ci limita, togliendoci la libertà di essere semplicemente quello che siamo.
2. George, il castoro, è il ribelle?
George il castoro e Pipi il pipistrello sono piuttosto i figli "dissimili", i figli che non assomigliano ai padri e non sono conformi al modello che il padre, o i genitori in generale, o il gruppo di appartenenza vorrebbero. George non vuole costruire dighe come tutti i castori, ma sta sdraiato per terra con un filo d'erba in bocca a guardare le nuvole, vuole solo pensare e sogna di studiare filosofia a Oxford. Pipi non riesce a diventare nero né a fare la carriera politica come vorrebbe il potente padre. Sono figli inadeguati, che si sottraggono a un dover essere imposto dall'alto. Figli deludenti, dal punto di vista paterno. Un po' come fu Kafka per suo padre.
3. La pennuta e il castoro introducono il tema della diversità e
dell'accettazione degli altri?
Questo io, come autore, non lo so. E' piuttosto un risultato critico, un'idea che può venire a te come lettore che commenta il libro.!
4. La city è la metafora della frenesia, della perfezione e
razionalità ingegneristica; è la sede della confusione e del
conformismo?
(Anche qui, se è quello che tu pensi come lettore va bene. Ma perché usi il termine "ingegneristica"? gli ingegneri sono i castori, non i pipistrelli.) Direi che la city, nella mia testa, è il centro del Potere, il luogo dove si fa politica e dove quindi, secondo la mia visione delle cose, si è seriosi, inconcludenti, vanitosi e trafficoni. Tutti che volano a destra e a manca, si siedono ai tavoli, usano frasi insignificanti, fanno sterili comizi e puntano unicamente a essere eletti, secondo il nome emblematico del loro terribile capo Poltron Strel.
5. La scuola è il luogo dove l'anatra scopre chi è veramente.
anche qui, scelta casuale o no?
Non volevo parlare di scuola in questo romanzo. E infatti la scuola c'è, ma ha un ruolo davvero marginale. Però mi piaceva l'idea di sfruttare il luogo comune secondo cui a scuola si impara tutto, dunque anche chi siamo. Naturalmente però si tratta di un apprendimento. scolastico, cioè superficiale e libresco: infatti l'anatra imparerà che è un'anatra guardando l'illustrazione di un libro di testo.
6. La maestra Tolmer è il suo ideale di maestra?
La maestra Tolmer sono io, in modo camuffato ma neanche poi tanto: diciamo che mi sono divertita a farmi l'autoritratto! Inoltre Tolmer era lo pseudonimo con cui mandai il manoscritto della Gallina volante al Premio Calvino.
7. La lucertola disse: "forse diventare grande è solo questo: sapere
che la coda ti può ricrescere". Frase emblematica e suggestiva. Come
la spiega e crede che sia così?
Le frasi che scriviamo, soprattutto se emblematiche, non vanno spiegate mai! C'è sempre un tanto di inconscio in quel che ci viene da scrivere, che va lasciato com'è. Da lettore però potrei dirti che questa frase mi piace perché mi suggerisce un senso buono del crescere: mi verrebbe da dire che la maturità consiste nell'aver imparato che il tempo esiste, è molto lungo e lavora a nostro favore, cioè può anche riparare i guasti!
8. Le talpe e la loro cecità: è la vera visione del mondo? E' un
riferimento alla cecità e alla vera vista, quella della mente, come
tema classico della mitologia?
Certamente il mito di Omero cieco mi piace molto, così come mi piacciono gli antichi indovini e profeti che vedono il futuro forse proprio perché non posseggono la vista. Sì, credo che le talpe conoscano la verità delle cose e sappiano vedere il mondo molto meglio di noi, perché non lo vedono! Non vedendolo, non sono distratte dalla realtà e possono quindi arrivare all'essenza. Diciamo che il loro è un mondo chiuso e solitario, che facilita la concentrazione, la riflessione, la meditazione. L'esatto contrario del nostro mondo, dove trionfa il caos, la folla, il rumore, lo stare sempre tutti insieme, il parlarsi continuamente, il muoversi a destra e a manca in modo convulso, il traffico, il commercio. Se stessimo un po' più fermi e zitti, almeno un po', sarebbe meglio.
9. La fine si configura come una terminale pars destruens, il
nichilismo destrutturate ("lei non è nulla")?
Non sono d'accordo. Il finale per me è altamente positivo: lei arriva a poter non essere nessuno: è un lusso, una conquista. Vuol dire che può permettersi di essere finalmente soltanto quel che è (nella sua essenza, appunto!) e non quello che gli altri hanno deciso di vedere in lei, appiccicandole innumerevoli etichette, tutte per forza di cose false.
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