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Alle origini del genere




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ALLE ORIGINI DEL GENERE


Si fissa di solito la data ufficiale di nascita del romanzo italiano con il 1827 con i Promessi Sposi del manzoni e La battaglia di Benevento del giovane Guerrazzi. LA comparsa del capolavoro manzoniano veniva a rappresentare un'autorevole convalida del romanzo, genere allora in piena fioritura ma ancora declassato letterariamente, respinto ai margini come una sottospecie della prosa. Il mestiere, la "carriera" dello scrittore di romanzi, riguardata con  ombrosa e sprezzante diffidenza, a un livello di inferiore e pratica funzionalità artigianale nell'ambito dell'intrattenimento, riceve una patente di nobiltà davvero impensata dall'intervento manzoniana. I promessi sposi con la loro ortodossia sul piano delle persuasioni morali, con la somma degli interessi saggistici e storici che immunizzavano il loro autore contro il gusto deprecato e semplicemente patetico della "pittura di costume" e dell'avventuroso per l'avventuroso, segnavano il traguardo riassuntivo, la messa a fuoco, sul terreno concreto della creazione e della utilità artistica, di quelli che erano stati i punti criticamente salienti e discussi delle polemiche romantiche intorno al romanzo.

Si discuteva infatti, pro e contro il romanzo, con schieramenti e prese di posizione abbastanza delineate. Da una parte, i fautori del nuovo "genere", quasi tutti di educazione e di interessi romantici, aperti alle istanze e ai bisogni della sensibilità contemporanea, devoti alle memorie del passato, ma anche più pronti ad accogliere gli spiriti nuovi e i liberi impulsi religiosi, popolari, storici patriottici, umanitari della civiltà moderna. Dall'altra parte, gli avversari classicisti, fermi sulle trincee difensive di un conservatorismo culturale che riservava gelosamente alla storia e agli storici le ricerche sul "vero", e per quanto riguardava i temi e le forme del narrare, in senso romanzescamente legittimo e "verosimile", non intendeva deflettere dal collaudato codice di regole classicistiche e retoriche cui dovevano in ogni caso attenersi i due generi a ciò espressamente e tradizionalmente deputati, il poema epico-cavalleresco e la novella.

Avventure letterarie di un giorno di Pietro Corsieri, uno dei principali manifesti del romanticismo, avevano provveduto a denunciare, con pronta sollecitudine, la esigenza comune al settore responsabilmente più attivo della nascente cultura romantica, che anche l'Italia, come le altre nazioni romanze, avesse una buona volta la sua letteratura popolare che insieme all'informazione giornalistica e agli spettacoli teatrali, potesse contare sul moderno strumento di vita culturale che è il romanzo.

Si domanda "quale altra opera di prosa" abbiano disponibile i "moderni letterati" da sostituire al "poema epico" e alla "novella", per "dipingere attualmente la loro età e la loro nazione" .

Si comprende perché il romanzo, già così ribelle e mutevole in sul nascere, non accettando di viver di rendita sulla stanca ripetizione di prospettive di gusto e di mentalità irrimediabilmente passate, sia tacciato di "anfibio", di immorale e disonorante dai classicisti.

I romaici salutano nel romanzo il genere nuovo moderno, soprattutto adatto a "dipingere attualmente la loro età e la loro nazione". Ad una letteratura di poemi e novelle occorre "sostituire una letteratura come indagine, conoscenza (filosofia) e innalzamento etico-civile (eloquenza).Poiché la letteratura è legata a modi espressivi e contenuti insufficienti. A rappresentare la nostra sensibilità occorre un genere nuovo: e questo è il romanzo, nella cui libertà strutturale il Borsieri, come tutti i novatori, vedeva la possibilità di realizzare l'ideale romantico di una letteratura moderna e utile nel senso più alta della parola, nei contenuti e nelle forme".

Una volta individuata la possibilità di in inaugurare un tipo di letteratura narrativa moderna, utile, socialmente rappresentativa e praticamente popolare, da un punto di estetico, oltre che morale ed educativo, indrocendovi l'elemento della fantasia particolarmente valido e legittimare, in sede artistica, il nuovo genere come "una forma di storia finita", ritrovata ed inventata ai fini del diletto dell' "umana fantasia", ma non per questo meno sollecita e rispondente a un'esigenza, a una sensibile richiesta dell'anima del lettore.

Dunque, la "virtù" e la "scelleratezza dei personaggi che operano nella storia "l'intrinseco valore" delle azioni e dei caratteri, i "dettati d'una giustizia vendicatrice", tanti fattori che rendono utili e avvincenti i romanzi, "queste inaspettate, varie e saggi e creazioni dell'umana fantasia" non potrebbero mai trovare adeguata risposta nella logica freddamente documentaria "delle cose e degli eventi quali avvennero i fatti", secondo l'ordine immobile e paradigmatico della storia vera, della storia illustre, quale la intendono appunto i classicisti, nemici del romanzo.

Nel 1821 compaiono le prime traduzioni del romanzo scottiano, il Kenilworth, si avviarono sette anni di gravidi di inchieste e dibattiti su questioni narrative sempre meglio individuate e operanti, sette anni di proposte, controproposte, interventi e polemiche sul romanzo che crescono e maturano di pari passo, col progressivo, inesausto diffondersi dell'ondata dei romanzi scottiani (tra cui Ivanhoe).

Nell met del 800 non vi fu editore italiano di qualche importanza che non pubblicasse qualcosa dello Scott. Progettarono versioni il Tommaseo e Tommaso Grossi, entrambi amici di Manzoni. Una moda che raggiunge clamori ed eccessi davvero "torrenziali", e contagia le scene, il costume, l'abbigliamento femminile, al punto che il Tommaseo potrà scrivere:

Ormai non si legge che il Solitario, l'Ivanhoe, il Kenilworth;

non si presenta sulle scene che Il solitario, Ivanhoe, il Kenilworth;

e il torrente minaccia tal piena, che si può credere che d'ora innanzi non si parlerà, non si penserà, non si mangerà, non si dormirà che alla Solitario, alla Ivanhoe, alla Kenilworth!


Ma da che cosa dipendeva il fascino del romanziere scozzese? Cosa cercavano e in più ancora cosa ritrovavano nello Scott gli imitatori italiani, un Lancelletti, un Buzzoni? Gli scottiani, questi primi traduttori e romanzieri nostri hanno praticamente il vuoto dietro di sé. E mentre tra mille difficoltà e resistenze devono fondare in patria il nuovo genere, vedono giusto più di quanto comunemente non si creda. Dateci un punto d'appoggio e vi solleveremo il mondo. Lasciateci il modello Walter Scott e noi vi daremo dei racconti, riveleremo i retroscena della storia, getteremo luce romanzesca sulla vita e i costumi segreti del passato.

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