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Alexandre Dumas (1824-1895)
Dumas reagì alla legge Riancey attaccandola nel suo libro La contessa di Charny, dove elencò tutte le appendici che si pubblicavano ed aggiunse che:
eran quelli i bei tempi per le appendici, ma erano tempi cattivi per la politica, perché se nessuno si occupava degli articoli di fondo del 1845, 1846, 1847, 1848, era vero che in cambio si staccavano con la massima cura le appendici () che ciò procurava abbonati ai giornali e frequentatori ai gabinetti di lettura (); che in tal modo si insegnava la storia agli storici e al popolo () che in tal guisa creavansi quattro milioni di lettori all'estero () che il poeta, il quale guadagnava tanto denaro da rendersi indipendente, sfuggiva alla pressione sino allora esercitata dall'aristocrazia e dalla monarchia e si creava nella società una novella nobiltà e un novello impero: la nobiltà del talento e l'impero del genio.[1]
Uscendo questa dichiarazione in corrispondenza della caduta di Louis Philippe, per un po' non ci si occupò di appendici, finché non si constatò che i romanzi di Sue, Sand e dello stesso Dumas erano ben più divertenti degli articoli riguardanti il principe Luigi Napoleone:
() tornarono a comparire le appendici e a scomparire gli articoli di fondo, continuarono a riparlare senza eco gli stessi parlatori che avevano parlato prima della rivoluzione, che parleranno in eterno. Uno di questi (probabilmente il deputato Riancey, N.d.T.) incominciò a dire che l'appendice () era la causa di tutti gli adulteri che si commettevano, di tutte le angherie che si usavano, di tutti i furti che accadevano. Che dovevasi sopprimere l'appendice, oppure sopporla a bollo: allora la società sarebbesi fermata di botto; ed invece di proseguire il suo cammino inver l'abisso sarebbe retrocessa dalla parte dell'età d'oro, che non poteva mancar di raggiungere un dì, purché facesse a ritroso altrettanti passi quanti ne aveva fatti innanzi.[2]
A buon diritto Dumas sosteneva la legittimità del feuilleton e soprattutto la sua moralità, lui che nelle sue appendici tratta quasi esclusivamente la storia francese: pensiamo alla trilogia della Regina Margot (che tratta la lotta tra Caterina dei Medici ed Enrico di Navarra), alla Dama di Monsoreau (il regno di Enrico III), ai Quarantacinque (Diana di Monsoreau si vendica della morte del suo amante, Bussy d'Amboise) Questo interesse di Dumas per i soggetti storici è dovuto all'immensa ammirazione per Walter Scott: in Francia non ne fu certo l'unico estimatore (ricordiamo Hugo, Balzac, Vigny), ma fu il primo ad aver capito come la tecnica storica scottiana andasse adattata ai feuilleton, trasformando le lunghe descrizioni dei personaggi in ritratti ancor più marcati, secondo la tecnica teatrale che lui stesso ben padroneggiava per esperienza passata.
Dunque abbiamo già messo in luce i primi due meriti di Dumas: un genio particolare per il teatro e talento nel trovare i filoni storici più adatti al pubblico francese. Un terzo elemento importante è il fatto che per primo si servì dei cosiddetti "negri", cioè scrittori che, forniti loro da parte dell'autore un filone storico ed i personaggi, dovevano per così dire compiere il lavoro di scasso, cioè combinare il tutto in modo da formare il milieu e fare un primo abbozzo della trama. Prendiamo come esempio il suo primo romanzo d'appendice , il celebre I tre moschettieri (1844 sulla Presse). Al nostro Dumas va il merito di aver trovato, nella biblioteca di Marsiglia, le Memorie di monsieur d'Artagnan, capitano-luogotenente della prima compagnia dei Moschettieri del re, che furono il germe della storia. Insieme con Marquet (il più famoso dei suoi collaboratori) invece creò i personaggi più famosi, quali Mme Bonacieux e Milady de Winter: in particolare "Marquet faceva, pare, opera da sgrossatore, da scalpellino, e Dumas, da scultore" (Bianchini) .
Sia chiaro che quando esaltiamo il Dumas nel ritrovare vecchie storie o cronache, da tutti dimenticate (cosa che fecero in molti dopo di lui), vogliamo soprattutto mettere in luce la sua capacità di rendere quelle cronache commoventi ed in grado di catturare anche il lettore di cinque o sei generazioni seguenti. Pensiamo a quando, nel 1849, il Siècle attendeva con urgenza il futuro feuilleton Il Visconte di Bragelonne, romanzo il cui testo originale di Dumas si perse misteriosamente. Il buon Marquet si mise subito all'opera, riuscendo a riscriverlo quasi identico, parola per parola: solo una trentina di parole mancavano, ed erano proprio quelle parole che animavano la storia e che caratterizzavano lo stile del vero autore. Dumas infatti è molto abile, oltreché nel creare grandi personaggi, anche nel dotarli di vari difetti che li contraddistinguono: sappiamo che pianse quando dovette far morire Porthos.
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