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Alessandro Manzoni - Il palazzotto di don Rodrigo
Comprensione complessiva
Riassunto del contenuto del passo
Padre Cristoforo si reca al palazzo di don Rodrigo. Per raggiungerlo il frate deve attraversare il villaggio dominato dal castello sull'altura. Il villaggio è popolato di gente meschina, i bravi, e tutto appare segnato da un clima di violenza e di malvagità: ovunque si vedono armi e neppure sui volti dei bambini e dei vecchi si scorge l'innocenza. Percorso un sentiero in salita il sacerdote si trova di fronte alla fortezza che appare squallida, minacciosa e volgare. La sensazione è rafforzata dalla presenza di quattro creature: i due avvoltoi morti e i due bravi sdraiati alla guardia del portone che accentuano la boria, la prepotenza e la bassezza del luogo e del padrone.
Analisi del testo
Immagini relative alla descrizione del paesaggio
Dal passo si può capire sommariamente l'ubicazione del castello, "isolato, sulla cima d'uno de'poggi", situato poco più in alto rispetto al paese di Renzo e Lucia.
Ai piedi della collina, verso il lago, è collocato un "mucchietto di casupole" abitate dai contadini lavoranti le terre di don Rodrigo. Il paese è definito dall'autore "piccola capitale del suo piccol regno" essendo abitato da malfattori al servizio di don Rodrigo e quindi simili a lui in malvagità e arroganza.
Come
si può leggere dalla descrizione data dal Manzoni al suo villaggio, costui era un
personaggio che viveva nel crimine e la sua malvagità non conosceva limiti. La
descrizione del luogo può infatti essere attribuita allo stesso don Rodrigo,
che non si faceva scrupoli di commettere ingiustizie.
Non è propriamente una descrizione di paesaggio, ma rimanda a un ambiente con
una precisa connotazione spirituale e, dunque, è coerente col modo in cui il
Manzoni intende il paesaggio, come riflesso e elemento per capire le alterne
vicende umane.
Espressioni relative alla descrizione degli abitanti e delle loro suppellettili
Camminando per le strade del villaggio si possono scorgere all'interno delle case "schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere". Quest'immagine rende ancora più evidente il carattere contadino degli abitanti e fornisce un'idea grottesca della condizione e dei costumi di quella gente alterata dalla stessa violenza che regna nel palazzo.
Nella descrizione della popolazione l'autore ricorre a metafore animalesche: 'omacci tarchiati e arcigni [] vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre pronti [] a digrignar le gengive; donne con certe facce maschie, e con certe braccia nerborute []'. Di tutta la rappresentazione, quello dei vecchi è il particolare più efficace; c'è dentro tutto il ribrezzo verso la malvagità degli anziani.
Anche in seguito riappare questa associazione uomo-animale quando l'autore accosta i due avvoltoi morti ai due bravi, (tutti definiti 'creature' senza alcuna distinzione) posti a protezione di fronte al portone all'esterno del palazzotto.
Espressioni relative alla descrizione del palazzo
Il palazzotto di don Rodrigo si presenta al frate come una costruzione barricata con 'rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, [.] difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant'alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle di un altro".
Accanto ai segni del tempo, che ne sottolineano la decadenza, non si può fare a meno di notare, nella descrizione, l'accento posto sulla fortificazione della costruzione.
A garanzia di una maggiore sicurezza, inoltre, alla guardia del portone, si trovavano due bravi e, con funzione intimidatoria, le carcasse di due avvoltoi.
La descrizione del palazzo è assolutamente indispensabile al profilo psicologico del personaggio. Il Manzoni non fa il ritratto di don Rodrigo ma questa vile fortezza ne tiene vantaggiosamente le veci: la forza del signorotto locale, che vive nel crimine e nella malvagità, non è reale ma esaltata dall'orgoglio di casta e costituita dai bravi che nascondono la sua debolezza.
Analisi del linguaggio
La rappresentazione del castello, definito "palazzotto", si oppone nettamente alla definizione del paese degli sposi, chiamato con il diminutivo "paesello", e del villaggio dei contadini, designato nel romanzo come un "mucchietto di casupole" e come una "piccola capitale del suo piccolo regno". L'impressione che l'autore vuol dare ai suoi lettori, utilizzando inoltre la parola "regno", è di un potere che opprime dall'alto: padre Cristoforo deve salire per essere ammesso.
L'antitesi grande-piccolo è ripresa nella descrizione della struttura del castello, anche in questo caso per accentuarne il potere che rappresenta: "piccola spianata davanti al palazzotto"; "piccole finestre [.] difese da grosse inferiate"; "gran silenzio".
Un diverso linguaggio è utilizzato per evidenziare la malvagità e la meschinità del luogo e degli abitanti. Si ricorre ad immagini dispregiative come "omacci tarchiati e arcigni", "vecchi pronti a digrignare le gengive", "fanciulli dal comportamento petulante e provocativo".
Funzione assunta dal narratore di primo grado nel passo e nel romanzo in generale
Essendo i protagonisti rappresentanti delle masse anonime del mondo popolare, inventati dall'autore, e non personaggi storici delle classi più elevate, dei quali è possibile ottenere una documentazione, Manzoni manifesta la necessità di accrescere l'impressione di veridicità. Viene quindi introdotta, usando un artificio non nuovo, la figura dell'anonimo trascrittore del manoscritto secentesco, da lui ritrovato e trascritto in lingua moderna, il quale fornisce una testimonianza diretta dei fatti avendo conosciuto sia il notaio che arrestò Renzo sia Renzo stesso che gli raccontò la propria storia.
Nel passo, in particolare, per permettere una specifica riguardo all'ubicazione del palazzo, il narratore di secondo grado introduce il narratore di primo grado con un discorso indirizzato direttamente al lettore. L'effetto risultate è un'ulteriore conferma dell'autenticità della narrazione e una definita collocazione geografica.
Approfondimenti
Il passo nel contesto dell'opera
Fra Cristoforo giunto alla casa di Lucia e Agnese, viene accolto con gioia dalle due donne e informato del mancato matrimonio. Esaminata la situazione decide di andare a parlare con don Rodrigo per distoglierlo dal suo proposito. Arriva anche Renzo, il quale rivela di aver tentato invano di organizzare un agguato contro il signorotto e per questo viene rimproverato dal frate. Fra Cristoforo si incammina verso il palazzotto di don Rodrigo. Dopo aver parlato con due bravi e con un servitore, fra Cristoforo viene introdotto nella stanza da pranzo dove, attorno al tavolo, alcuni personaggi (don Rodrigo, il Podestà, il conte Attilio, Azzecca - Garbugli e altri) discutono animatamente su una questione di cavalleria. Il frate è chiamato ad esprimere un giudizio, ma la sua sentenza, che invita alla pace e alla carità, viene scambiata per una battuta di spirito. Il frate stesso è schernito da don Rodrigo che gli ricorda il suo passato mondano. A porre fine ai dibattiti è don Rodrigo che, congedando i commensali, conduce fra Cristoforo in un'altra stanza. Di fronte alla superbia e all'insolenza di don Rodrigo il padre si sforza di tenere un contegno umile e dimesso e chiede che Lucia non sia turbata. Alla proposta sfacciata del signorotto di ottenerne la protezione il frate, dopo averlo maledetto, gli profetizza che la collera divina si abbatterà su di lui.
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