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Alessadro manzoni - vita di alessandro manzoni, adelchi




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ALESSADRO MANZONI




VITA DI ALESSANDRO MANZONI


Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785 da Pietro e Giulia Beccaria. Il matrimonio dei genitori non è felice , fu fatto per interesse in quanto il patrimonio dei Beccaria era in dissesto ; Giulia Beccaria lascia così il marito . Si separerà nel 1792, unendosi a Carlo Imbonati andando a vivere a Parigi. Alessandro vive dapprima in collegio, ma, dopo la morte del padre, raggiunge la madre. Gli anni nella capitale francese, dal 1805 al 1810, sono decisivi nella sua formazione culturale, che è sostanzialmente di stampo illuminista, razionalista e anticlericale. L'avvenimento più importante della sua vita sarà perciò la conversione al cattolicesimo, che avverrà intorno al 1810, due anni dopo il suo matrimonio con Enrichetta Blondel. Proprio Enrichetta lo porterà, in seguito, a rivedere i suoi giudizi critici verso la religione, tanto che nel 1810 il Manzoni decide di convertirsi al cattolicesimo, coinvolgendo in questa decisione anche la moglie. Lo stesso anno della sua conversione Manzoni torna a vivere a Milano, dove resterà poi fino alla morte, ad eccezione di alcuni mesi trascorsi a Parigi, tra il 1819 e il 1820, e di qualche breve viaggio a Firenze, nel 1827 e nel 1856.

L'esistenza dello scrittore trascorre quindi nel lavoro e nell'intimità familiare, lontano dalla curiosità e dagli impegni mondani, tra Milano e la sua villa di Brusuglio, nella campagna lombarda. Ecco perché, oltre alle date di pubblicazione delle sue opere, pochi sono i fatti da registrare della sua lunga vita, protrattasi fino al 1873 e attraversata da dolorosi lutti: la morte, nel 1833, della prima adorata moglie; poi, quella della madre, nel 1841; della seconda moglie Teresa Stampa, nel 1861; e infine di ben sei dei suoi otto figli. Tra i pochi avvenimenti della vita manzoniana si ricorderanno la partecipazione, nel 1861, dopo la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia, alla prima seduta del Parlamento; il suo intervento, nel 1864, alla votazione per il trasferimento della capitale da Torino a Firenze; l'accettazione, nel 1870, della cittadinanza romana, per dimostrare pubblicamente la propria convinzione della necessità della scomparsa del potere temporale della Chiesa.

Le opere giovanili di Manzoni nascono nel clima culturale milanese, dominato dalla presenza di Vincenzo Monti. Così è del Trionfo della libertà, composto dopo la pace di Luneville, nel 1801, e così è anche dell'epistola in versi l'Adda, del 1803. Più tardi, nei Sermoni (1804), Manzoni tenta i modi della poesia satirica, guardando al Parini come maestro. Il testo più maturo e signifìcativo dell'opera giovanile manzoniana è tuttavia il carme In morte di Carlo Imbonati (1805), che costituisce un documento assai eloquente della precoce e robusta maturità morale di Manzoni, della sua ricerca di un programma austero di vita.

La storia autentica della poesia manzoniana inizia però con gli Inni sacri, che testimoniano della conversione religiosa del loro autore. Dopo la conversione al cattolicesimo, Manzoni progetta una serie di dodici Inni sacri, dedicati ciascuno ad una festività della Chiesa: di essi ne porterà a termine solo cinque, i primi quattro fra il 1812 e il 1815 (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione) e il quinto (La Pentecoste) tra il 1817 e il 1822. In questi Inni Manzoni non si occupa soltanto degli aspetti dogmatici e teologici del cristianesimo, ma soprattutto dei suoi aspetti morali e sociali, più direttamente vissuti dalla coscienza religiosa popolare.

Dopo la stagione degli Inni sacri, tra il 1815 e il 1822, si apre un altro lungo periodo di riflessione inferiore che porta ad un crudo pessimismo: la conquista di un ' credo ' religioso viene sottoposta ad un processo di discussione, mentre l'attenzione di Manzoni si apre ad una complessa visione delle ragioni dell'esistenza e si sforza di rintracciare nella storia i segni visibili di una presenza divina. In questo periodo di riflessione nascono le odi civili, e tra di esse il Marzo 1821, in cui Manzoni, celebrando l'unirsi delle forze piemontesi e lombarde contro l'oppressore austriaco (un'unione in cui egli scorge il segno della volontà di Dio), proclama il suo ideale unitario di patria, nel sogno di un'Italia ' una d'arme, di lingua, d'altare '.

Più che in queste odi, tuttavia, è nelle tragedie che si può osservare l'ampliarsi della problematica manzoniana. Ciò che importa allo scrittore, nel suo teatro, è la rappresentazione di una drammatica tensione morale dei suoi personaggi: i quali, quanto più sono impegnati a combattere per un ideale generoso, tanto più appaiono poi travolti dalle leggi della forza e della violenza che dominano il mondo. È questa la situazione del Conte di Carmagnola (1820), ma soprattutto dell'Adelchi (1822), nella quale è rappresentato il momento conclusivo della guerra tra franchi e longobardi. Adelchi, figlio di Desiderio, re dei longobardi, è il personaggio-chiave della tragedia. Al fedele Anfrido confessa in un momento di smarrimento: 'Il core mi comanda / alte e nobili cose; e la fortuna [il destino] / mi comanda ad inique '. Ed in ciò sta la sua personale vicenda drammatica e il problema morale che Manzoni vuoi rappresentare. La realtà si oppone al desiderio dell'uomo di operare nel giusto; ogni sua azione sfocia in una direzione opposta a quella voluta. Ed è proprio questa condizione assurda, ma tragica, in cui l'uomo viene a trovarsi, che determina quella scelta a non agire. Solo non agendo è possibile infatti non commettere il male: Adelchi, 'trascinato' per una via che non ha potuto scegliere, germe ' caduto in rio [cattivo] terreno / e balzato dal vento ', diviene così l'eroe romantico della non azione.

Nell'ambito di questi problemi si pone anche l'ode celebrativa scritta in occasione della morte di Napoleone Bonaparte, il Cinque maggio, del 1821. L'immagine di Napoleone pare diventare l'immagine simbolo di un uomo che, pur nell'aspirazione a portare nel mondo le idee per una vita più giusta, seminava l'Europa di stragi. Rispetto all'Adelchi, nel Cinque maggio i termini appaiono capovolti: il destino di Napoleone, svela in realtà l' 'orma' di un preciso disegno provvidenziale di Dio, riassume simbolicamente il percorso stesso della storia, la quale, attraverso la sua tragica vicenda di sangue e di violenza, sfocia a giuste conquiste. E da questa concezione della storia, in cui la Provvidenza divina segna il suo cammino, nascerà il capolavoro manzoniano, I promessi sposi appunto, pubblicato una prima volta nel 1827 e, in edizione definitiva, nel 1840. La prima versione del romanzo s'intitolava Fermo e Lucia (1812) ed è molto diversa dalla seconda e definitiva edizione, pubblicata tra il 1840 e il '42. Vi è una certa differenza di contenuto (oltre che ovviamente di stile) persino tra la prima edizione del 1827 e la seconda: in quest'ultima la severità morale e religiosa è attenuata (ad es, le due figure di don Rodrigo e della monaca di Monza sono descritte con colori meno accesi).

Importanti saranno pure i suoi scritti sulla lingua. Attraverso una serie di testi (Sulla lingua italiana e Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, ambedue del 1845; Lettera al marchese Casanova, del 1871), Manzoni elabora infatti una sua organica teoria linguistica, la quale trova il suo punto di riferimento costante nel principio che la lingua scritta deve accostarsi a quella parlata. La norma di ogni scelta linguistica non sta quindi in una conferma che venga da un uso letterario, ma semplicemente nella conferma del parlato. Su questa base teorica Manzoni discute il problema dell'unità linguistica italiana: essa, vista la diversificazione notevole della lingua parlata nelle varie regioni, non può essere raggiunta che attraverso l'uniformarsi delle singole parlate a quella di maggior prestigio, cioè alla fiorentina. Nel parlato fiorentino delle persone colte, Manzoni indica perciò la norma da seguire per l'unificazione linguistica italiana.



Adelchi

In questa tragedia Manzoni rappresenta vicende e personaggi storici, poiché è convinto che compito principale dello scrittore sia la fedeltà al 'vero', alle 'grandi lezioni della storia'. L'invenzione del poeta deve limitarsi a ricostruire i pensieri e i sentimenti che hanno accompagnato le azioni degli uomini e che gli storici non possono conoscere. Anche in quest'opera il Manzoni si propone di unificare sentimenti religiosi e sentimenti civili in un solo risultato; di creare un'arte religiosa si, ma che abbia una coscienza storica non meno sentita di quella laica.

La trama

Le vicende rappresentate nell'Adelchi si svolgono nel contesto della guerra del 772-774 tra i Franchi e i Longobardi. Carlo, re dei franchi, ha ripudiato Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei Longobardi, e sorella di Adelchi. Quando la regina ripudiata torna dal padre, alla corte di Pavia, Desiderio giura di vendicarsi. Fallito un accordo col Papa, cui i Longobardi avevano softrafto alcuni territori, si giunge alla guerra coi Franchi. L'esercito di Carlo, varcate le Alpi attraverso un valico indifeso indicatogli dal diacono martino, sorprende gli avversari e li sconfigge, nonostante la strenua difesa di Adelchi. Nel convento di Brescia, dove si era ritirata, Frmengarda trova nella morte la pace desiderata. L'avanzata dei franchi è inarrestabile. A Verona, Adelchi, coi pochi uomini rimastigli fedeli, tenta una disperata resistenza e viene ferito a morte. Adelchi, morente, e portato nella tenda di Carlo, dove si trova, come prigioniero, anche Desiderio.

Le idee e i personaggi

Di fronte ai personaggi che seguono le leggi di violenza del potere stanno altri, chiamati ad un diverso destino. Il dolore e la sventura pongono tra gli oppressi Adelchi ed Ermengarda, discesi dalla 'rea progenie' degli oppressori, e sono il segno della Grazia, suggello degli eletti, speranza di salvezza eterna: questo il messaggio religioso.

Inoltre, nel dialogo tra il figlio, il padre e il re nemico si condensa il senso della tragedia: il mondo è governato da una forza feroce che si fa chiamare diritto e che nasce invece dall'ingiustizia e si perpetua con la violenza sanguinaria. Perciò non è possibile detenere il potere senza aumentare il male e il dolore; non vi è spazio per azioni nobili o buone: o si è vittime o si è carnefici.

Il messaggio politico

Con la sua tragedia, sebbene attraverso la finzione storica, il Manzoni intende lasciare ai contemporanei una precisa indicazione: si decidano gli italiani ad uscire dal ruolo di 'volghi dispersi' e non si aspettino aiuto dagli stranieri, messaggio riscontrabile nel coro dell'atto III dell'Adelchi.

Nei primi versi Manzoni ricostruisce l'immagine di Ermengarda durante gli ultimi respiri che la separano dalla morte. Ad ella attribuisce l'aggettivo 'pia', che fa riferimento all'umiltà e alla semplicità della donna.
La morte è ormai giunta, e, ora che la speranza è finita, le suore non possono far altro che pregare. Gli occhi azzurri (segno della stirpe longobarda) della donna vengono chiusi da una mano, che metaforicamente rappresenta la mano di Dio.
A questo punto il poeta sembra intervenire nell'ultimo atto di consapevolezza della donna prima della morte. Si riconferma ancora una volta la concezione del Manzoni secondo la quale le passioni terrene si rivelano inutili di fronte all'eternità di Dio. Così vorrebbe che Ermengarda morisse liberando il suo animo da tali angosce e che si abbandonasse al raggiungimento di una meta ultraterrena che darà significato al suo martirio. Il destino della donna, quando era in vita, era di non riuscire a dimenticare ciò che era stato causa del suo dolore. Ma proprio grazie a queste sofferenze, di tipo sentimentale, ella può arrivare in Paradiso.
In questi versi il poeta torna ad un'immagine del passato recente di Ermengarda, ovvero quando ella è rinchiusa in un convento di Brescia in seguito al ripudio. Nonostante lì cerchi di soffocare il ricordo dei giorni felici del matrimonio, riaffiorano ossessivamente in tutti i momenti del giorno e in tutti i luoghi. Inizia poi il flashback dei momenti passati quando ancora era moglie di Carlo Magno.Questi momenti descrivono scene tipiche della corte medievale: la caccia, e il ritorno del re dalla guerra.Negli ultimi dieci versi vi è la prima parte di una similitudine in cui il sollievo che porta la rugiada nell'erba secca è paragonato alle parole delle monache, che distolgono Ermengarda dai suoi pensieri e li indirizzano verso l'amore divino. La potenza dell'amore è definita 'empia' perché non ha pietà della sua fragilità e la sconvolge.
Nella seconda parte della metafora, il ritorno di Ermengarda ai pensieri dolorosi per un attimo messi da parte, è paragonato al ritorno degli steli d'erba allo stato di siccità, a causa del sorgere del sole. La notte dunque, di limitata durata, è assimilata al breve oblio.
In questi versi si riprende quanto detto nella terza strofa, e ripropongono il motivo della liberazione dal tormento che è possibile solo nella morte.
La sventura provvidenziale è un tema che ricorre anche nei Promessi Sposi; in questo caso consente ad Ermengarda di raggiungere Dio, poiché la sventura l'ha collocata tra gli oppressi.
Quest'ultima strofa riprende il motivo della speranza in un riscatto ultraterreno, in cui il cielo rappresenta una promessa di pace e serenità.

Adelchi Coro dell'atto III

Le morbide trecce giacciono sparse
sul petto pieno di affanno,
le mani abbandonate, e il volto pallido
imperlato dal sudore della morte,
la pia giace, con lo sguardo 5
tremolante cerca la luce.

Nei primi versi Manzoni ricostruisce l'immagine di Ermengarda durante gli ultimi respiri che la separano dalla morte. Ad ella attribuisce l'aggettivo 'pia', che fa riferimento all'umiltà e alla semplicità della donna.

Termina il compianto delle suore: unanime
si innalza una preghiera:
calata sulla gelida
fronte, una mano leggera 10
chiude gli occhi
sulla pupilla azzurra.

La morte è ormai giunta, e, ora che la speranza è finita, le suore non possono far altro che pregare. Gli occhi azzurri (segno della stirpe longobarda) della donna vengono chiusi da una mano, che metaforicamente rappresenta la mano di Dio.

Libera, o nobile, dall'animo
angosciato le passioni terrene,
offri un candido pensiero 15
a Dio, e muori:
oltre la vita vi è la meta
del tuo lungo martirio.

A questo punto il poeta sembra intervenire nell'ultimo atto di consapevolezza della donna prima della morte. Si riconferma ancora una volta la concezione del Manzoni secondo la quale le passioni terrene si rivelano inutili di fronte all'eternità di Dio. Così vorrebbe che Ermengarda morisse liberando il suo animo da tali angosce e che si abbandonasse al raggiungimento di una meta ultraterrena che darà significato al suo martirio.

Questo era l'immodificabile destino
sulla terra dell'infelice: 20
di chiedere sempre un oblio
che le sarà negato;
e ascendere al Dio dei santi,
lei santa a causa del suo dolore.

Il destino della donna, quando era in vita, era di non riuscire a dimenticare ciò che era stato causa del suo dolore. Ma proprio grazie a queste sofferenze, di tipo sentimentale, ella può arrivare in Paradiso.

Ahi! nelle notti insonni, 25
per chiostri solitari,
tra il canto delle suore,
agli altari dove rivolgeva le sue suppliche,
gli irrevocabili giorni
le tornavano sempre in mente; 30

In questi versi il poeta torna ad un'immagine del passato recente di Ermengarda, ovvero quando ella è rinchiusa in un convento di Brescia in seguito al ripudio. Nonostante lì cerchi di soffocare il ricordo dei giorni felici del matrimonio, riaffiorano ossessivamente in tutti i momenti del giorno e in tutti i luoghi. Inizia poi il flashback dei momenti passati quando ancora era moglie di Carlo Magno.

quando ancora amata da Carlo, senza prevedere
un avvenire in cui l'avrebbe ingannata,
estasiata respirò l'aria
vivificatrice della terra francese,
e se ne andò invidiata 35
tra le altre spose francesi:

quando da un piano rialzato,
la bionda criniera adorna di gemme,
vedeva sotto uomini e cani correre
impegnati nella caccia, 40
e sulle redini sciolte del cavallo
il re dalle lunghe chiome;

e dietro di lui la furia
dei cavalli fumanti per la corsa,
e lo sbandare, e il rapido 45
ritornare dei cani ansanti;
e dai cespugli frugati
uscire il cinghiale spaurito;

e la polvere calpestata
rigarsi di sangue, colpito 50
dalla freccia del re: la tenera donna
volgeva immediatamente il volto verso le ancelle,
pallida di paura.

Oh Mosa errante! oh tiepidi 55
bagni di Aquisgrana!
dove, deposta la maglia
di ferro, il sovrano guerriero
scendeva a lavarsi
dal nobile sudore del campo! 60

Questi momenti descrivono scene tipiche della corte medievale: la caccia, e il ritorno del re dalla guerra.

Come rugiada al cespo
d'erba secca,
fresca ridà la vita
negli steli riarsi,
che risorgono verdi 65
alla mite temperatura dell'alba;

così al pensiero, sconvolto
dalla potenza empia dell'amore,
va incontro il refrigerio
di una parola amica, 70
e il cuore si dirige verso le placide
gioie di un altro amore.

Negli ultimi dieci versi vi è la prima parte di una similitudine in cui il sollievo che porta la rugiada nell'erba secca è paragonato alle parole delle monache, che distolgono Ermengarda dai suoi pensieri e li indirizzano verso l'amore divino. La potenza dell'amore è definita 'empia' perché non ha pietà della sua fragilità e la sconvolge.

Ma come il sole che sorge
sale sull'erba infuocata,
e con la sua vampa continua 75
incendia l'aria immobile,
abbatte al suolo
i gracili steli appena risorti;

così velocemente dalla breve
dimenticanza torna l'immortale 80
amore sopito, e assale
l'anima impaurita,
e le immagine temporaneamente distolte
richiama al noto dolore.

Nella seconda parte della metafora, il ritorno di Ermengarda ai pensieri dolorosi per un attimo messi da parte, è paragonato al ritorno degli steli d'erba allo stato di siccità, a causa del sorgere del sole. La notte dunque, di limitata durata, è assimilata al breve oblio.

Libera, o nobile, dall'animo 85
angosciato le passioni terrene;
offri un candido pensiero
a Dio, e muori:
nel suolo che deve ricoprire
la tua giovane spoglia, 90

In questi versi si riprende quanto detto nella terza strofa, e ripropongono il motivo della liberazione dal tormento che è possibile solo nella morte.

dormono altre infelici,
consumate dal dolore; spose private dei mariti
dalla spada dei nemici, e vergini
fidanzate invano
madri che videro i figli 95
uccisi impallidire.

Te discesa dalla colpevole stirpe
degli oppressori,
prodi solo perché numerosi,
che conoscevano solo l'offesa, 100
la legge del sangue, e la gloria
di non aver pietà,

la provvidenziale sventura
ti collocò tra gli oppressi:
muori compianta e tranquilla; 105
muori con i Latini.
Nessuno insulterà
le ceneri prive di colpa.

La sventura provvidenziale è un tema che ricorre anche nei Promessi Sposi; in questo caso consente ad Ermengarda di raggiungere Dio, poiché la sventura l'ha collocata tra gli oppressi.

Muori; e ritrovi la pace
la faccia senza vita; 110
come era allora che non poteva prevedere
di un avvenire ingannevole,
rifletteva solo i pensieri
sereni di una vergine. Così
dalle nuvole squarciate 115
si libera il sole al tramonto,
e, dietro il monte, imporpora
con luce tremolante l'occidente:
al pio contadino rappresenta un augurio
di un giorno più sereno. 120

Quest'ultima strofa riprende il motivo della speranza in un riscatto ultraterreno, in cui il cielo rappresenta una promessa di pace e serenità.

Analisi del testo
. SUCCESSIONE DEI PIANI TEMPORALI:
 passato lontano (matrimonio)
V passato recente (monastero)Vpresente (morte)
. PERSONAGGIO DI ERMENGARDA: ella è il 'doppio' femminile degli Adelchi. La sua fragile anima pura è succube della brutalità del mondo. Ermengarda è la tipica figura romantica della donna angelo, che rivolge le sue passioni ad un amore coniugale, quindi lecito e casto.
. IL RICORDO DEL MARITO: nella memoria di Ermengarda le immagini del marito sono legate a scene di violenza e di sangue, proprio perché il suo è un amore impietoso che la sconvolge.
. LA MORTE: come per Adelchi, la morte è l'unica soluzione al suo conflitto con la realtà. Ella è ansiosa di trovare nel cielo la liberazione ai suoi tormenti.
LA POESIA EPICO-DRAMMATICA: è un'innovazione rispetto alla tradizione poetica italiana. Si fonda sulla costruzione dei personaggi, sull'analisi di 'individualità oggettivate', mette in scena conflitti drammatici.


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