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Leggi anche appunti:L'asino e il vecchio leoneL'ASINO E IL VECCHIO LEONE Annis confectus leo, quem iam corporis vires deserebant, Cesare dal "de bello gallico"CESARE dal "DE BELLO GALLICO" Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum Catilinaria - capitolo vCATILINARIA CAPITOLO V Cicerone afferma di prevedere quali saranno per lui |
PROFILO DI STORIA DELLA LETTERATURA LATINA
753 a.C. Data tradizionale della fondazione di Roma. Inizia il
periodo regio. 509 Fine del periodo regio. Inizio della repubblica 495-272 - Guerre di espansione:
dal Lazio tro Latini, Volsci, Equi, città
etrusche sulla riva destra del Tevere) a
tutta la pe- nisola italica (guerre
sannitiche:343-290; guerra tarantina: 280-272) 493-300 Contrasti sociali (lotte tra
patrizi e plebei) e loro graduale composizione: 493: istituì. tribuni della plebe; 47: istituì. comizi Tributi; 451: leggi delle XII tavole; 445: matrimoni misti (Lex Canuleia) 367: ammissione dei plebei al
consolato (Leges Liciniae-Sextiae) 300: completa parificazione dei plebei nei diritti alle magistrature: i
plebei possono accedere anche alle cariche sacerdotali compresa quella di Pon- tifex Maximus - Primi documenti della lingua latina
(fibula predestina ecc.) - Documenti preletterari : a) La poesia in versi saturnio: - carmina popolari
(scongiuri, giuramenti, ecc.) - carmina
religiosi ( Carmina Salaria, Carmen Arvale, Carmen lustrale) - carmina
convivalia (gentilizi: per esaltare membri della "gens" resisi illustri per eroismo N.B. sono messi in dubbio da alcuni storici e critici già nell'antichità) - Poesia comica e popolaresca: Fescennino, Atellana, Satura/carmina trium- phalia (con frizzi salaci all'indirizzo del gene- rale trionfatore) b) la prosa: - leggi regie, Annali,
elogi (iscriz. funebri), lau- dationes funebres.. L'unico nome pervenutoci fra gli autori di
opere preletterarie è quello di Appio Claudio Cieco (fine 3° - inizio 4° secolo).
S T O R I A
L E T T E R A T U R A
264-241 PRIMA GUERRA PUNICA
La letteratura latina sorge quasi d'un tratto verso la metà del terzo secolo a.C. (240: esordisce Livio Andronico), dopo che Roma in breve tempo ha conquistato e unificato tutta la penisola italica e, vincendo la 1° guerra punica, si è affermata come potenza mondiale; l'avere una letteratura propria diventa necessario per il prestigio di una grande potenza egemonica.
219-201 a.C. Seconda guerra punica 200-130 ca. Guerre di conquista in Oriente (Macedonia, Siria, Grecia, eredità di Pergamo) 149-146 Terza guerra punica (Scipione Emi- liano) 133 Assedio di Numanzia (Scipione E.):
ven- gono concluse le guerre si Spagna.
Le forme letterarie sono desunte dai Greci,
cioè dall'unico popolo che nel bacino mediterraneo aveva una cultura valida e
universalmente diffusa; ma queste forme, trapiantate in Roma, si
permeano dello spirito, del costume e delle antiche tradizioni preletterarie
delle popolazioni latine e italiche. Del resto fra la civiltà romana
in rapida ascesa e quella greca ormai in declino, vi era necessariamente una
sfasatura, per cui l'imitazione non fu pedissequa e si ebbero profonde
differenze nello spirito della produzione artistica.
S T O R I A
All'inizio la letteratura latina, per
quanto favori-ta e incoraggiata dalla classe dirigente, non è o-pera di circoli
intellettuali isolati dalle forze vi-ve della società, ma ha
sostanzialmente caratte-re
popolare e
democratico, con autori di grande genialità come Nevio (275-201 ca. e Plauto (254ca. -184)
le cui commedie sono il frutto più significativo del contatto fra il mondo
italico,
L E T T E R A T U R A
ricco di energie vitali, e le forme letterarie e il costume di vita più raffinato del mondo ellenistico.
Plauto sembra apparentemente estraneo ai grandi avvenimenti di politica interna ed estera del suo tempo, ma in realtà la freschezza dell'invenzione, il gioioso ottimismo, la straripante fantasia alacre e grottesca delle sue commedie, sono il prodotto di una società in rapida espansione, che si affaccia a nuovi orizzonti di vita e di costume.
Dopo Plauto, la letteratura latina perde il contatto diretto con il popolo e gradualmente si pone al servizio dell'aristocrazia e dei suoi ideali, adempiendo ad una funzione politica e sociale ispirata dalle classi dirigenti. La letteratura di ispirazione aristocratica da un lato celebra le imprese dei grandi personaggi politici e le storie di Roma, dall'altro mira alla diffusione di un tipo di cultura raffinata di derivazione ellenistica.
Questa duplice tenenza è rappresentata in modo eminente da Ennio (239-169), che riveste la cultura nazionale aristocratica delle forme più evolute dell'ellenismo (vedi anche l'introduzione dello esametro omerico nell'epica latina: Annales).
Nel corso del secondo secolo questi princìpi sono ulteriormente sviluppati dal circolo degli Scipioni, che adatta gli ideali della filosofia greca alle esigenze dell'imperialismo romano, dandogli una giustificazione illuministica, i nome dei principi di umanità, filantropia pacificazione delle genti.
N.B. Il principale teorico del circolo degli Scipioni fu Panezio di Rodi, secondo il quale l'ideale stoico della repubblica universale, fondato sul principio che tutti gli uomini sono uguali per natura, si realizza nell'impero universale di Roma, che non è puro dominio imperialistico, ma protettorato, da parte del popolo che ha doti politiche superiori, sulle altre genti incapaci di governarsi sag-giamente da sole. (Adattamento della filosofia dell'uomo" universale al civis Romanus, che è anche miles e conquistatore).
Accanto a questo aspetto più strettamente politico dell'ideale di humanitas, nel campo morale, sociale e individuale Panezio dice che fra i doveri inerenti alla natura umana, oltre a quelli comunitari, vi è quello di sviluppare liberamente la propria natura individuale, dedicandosi quindi anche a una vita di puro studio se questa si confà ai gusti.
Sul piano del costume di vita e dell'arte, i nuovi ideali sono rappresentati da Terenzio (195 ca. - 159), che alla vivacità comica e plebea di Plauto sostituisce un'arte delicata e aristocratica, portatrice di precetti di comprensione umana, di gentilezza, di cortesia. Il suo spirito universale di umanità supera largamente per profondità e commozione di sentimenti i modelli greci, ed apre la via a quella poesia dell'intimità e dell'introspezione che sarà una delle caratteristiche più originali della letteratura latina.
Mentre l'arte di Terenzio era ancora legata strettamente ai problemi del costume ed aveva una sua funzione civile, a poco a poco, dagli stessi ideali del circolo degli Scipioni, che pongono l'accento sui valori dell'individuo ed accolgono dall'ellenismo l'amore della cultura in sé stessa (vedi quanto detto di Panezio) - e contro i quali era rimasta senza successo anche l'opposizione di Catone, che alla fine della sua lunga esistenza (234 - 149) fu indotto ad una parziale conversione verso la cultura e il costume ellenizzante in Roma - nasce una trasformazione nella concezione dell'arte.
S T O R I A L E T T E R A T U R A
133-80 a.C. Dai Gracchi alla dittatura Sillana 133: Tiberio Gracco 123-121: Caio Gracco e fallimen- to dei loro sforzi per
risolvere gli urgenti problemi
sociali 111-85: Mario
contro Giugurta, contro Cimbri e Teutoni e prima gueera civile tra
Mario e Silla 90-89: guerra sociale: gli italici si sollevano contro Roma e ot- tengono la cittadinanza roma- na 85-80: Silla contro i mariani 80-79: dittatura di Silla N.B. Scipione l'Emuliano muore nel-l'anno
129 a.C.
La trasformazione si svolge parallelamente alla evoluzione della vita e
delle consuetudini materiali e morali della classe dirigente romana: le
occupazioni politiche e militari non assorbono più totalmente l'individuo,
cresce l'amore per gli agi e per i piaceri del corpo e dello spirito, per l'otium;
il costume tra-dizionale entra in crisi.
Mentre da un lato matura uno spirito critico spregiudicato, che cerca forme d'arte più schiette e libere dal conformismo (vedi l'individualismo e la satira demistificatrice di Lucilio, il primo cittadino delle classi Alte che trascura dedicarsi alla letteratura), dall'altro la carriera politica per il riconosci-mento del valore autonomo della cultura e dell'arte conduce al distacco delle lettere dalla vita della comunità e dal contatto col popolo; l'autore non soltanto mira ad affermare liberamente nell'arte la propria personalità e i propri sentimenti, com'è il caso di Lucilio, ma finisce coll'isolarsi completa-mente dalla vita sociale, concependo la poesia come divertimento dello spirito ed espressione di dottrina raffinata come sarà il caso di Lutezio Catulo e dei poeti lirici del suo circolo, complessivamente privo di profondi ideali e di energie creatrici originali.
80-44 a.C. Età di Cesare: la dittatu- ra di Silla - dittatura personale! - dà
inizio ad una serie di tenta-tivi per instaurare un potere per-sonale che
si sovrapponga agli organi costituzionali: la ristretta oligarchia già dominante viene minacciata
da singoli uomini potenti
che si sottraggono alle regole del vecchio gioco costi- tuzionale e cercano
l'appoggio di nuovi strati sociali emergenti dal basso: la borghesia, i
pro-vinciali, i collegia degli artigia- ni. Perciò,
dalla dittatura di Silla all'avvento del principato di Augusto, la
Repubblica è scossa da lotte
civili, da rivolgimenti politici e sociali, che modificano
La crisi in cui viene a trovarsi la classe
dirigente, dalle cui file provengono nella massima parte i let-terati,
si riflette drammaticamente nella letteratura dell'epoca. Ma è crisi che
favorisce il sorgere di grandi e originali geni e l'affermarsi di nuove forme
letterarie: la lirica soggettiva d'amore (Catullo), il poema
scientifico (Lucrezio), il dialogo filosofico (Cicerone), e
l'epistolario intimo (Cicerone).
Si potrà dire che questi generi derivano dalla letteratura greca, ma i porti dell'età di Cesare e i pensatori e gli storiografi acquistano un timbro e una
voce nuovi e raggiungono una profondità e dramma-ticità sconosciuta ai Greci.
I poeti dell'età augustea raggiungeranno un mag-gior grado di equilibrio e di perfezione formale, ma i poeti dell'età di Cesare esprimono più imme- diatamente e in forma più vibrata il grido e l'appello della propria anima: la passione, la sofferenza e la ansia di Catullo e di Lucrezio sono vicine all'anima moderna.
Cicerone cerca di contemperare le contrastanti ten-denze dell'epoca col suo ideale dell'humanitas, che
radicalmente le strutture dello stato e le con- dizioni della vita politica: 71: guerra servile (insurrezione
degli schiavi gui- dati da Spartaco) 63: congiura di Catilina, durante il consolato di Cicerone, che la sventa 60: 1° triunvirato: Cesare, Pompeo, Crasso 59: consolato di Cesare 58-52: Campagna di Cesare nelle Gallie 53: morte di Crasso 52: Milone uccide Clodio in uno scontro di
bande armate. Pompeo è nominato Consul sine col- lega (praticamente è padrone del Senato e di Roma). Reazione di Cesare: 49: inizio guerra civile fra Cesare e
Pompeo 48: Cesare sconfigge Pompeo a farselo - perdona gli anticesariani - toglie l'Egitto a Tolomeo e lo passa a Cleo- patra 44: Uccisione di Cesare. Antonio ne assume la eredità politica, ma Ottaviano gli si oppone: 43: battaglia di Modena , indi 2°
triunvirato, ven- dette di Antonio e morte di Cicerone, che tra il settembre del 4 e l'aprile del 43 aveva o- osteggiato Antonio con le sue Filippiche (14)
è incontro della cura dello stato e
del-l'attività politica con l'attività intellettuale e culturale, per formare
l'uomo completo. Tuttavia, nonostante il suo sforzo di con-ciliazione, Cicerone
lascia nella sua opera e ci propone nella sua persona e nei suoi errori storici
e politici i segni delle con-traddizioni e delle incertezze del suo tem-po.
Solo Cesare sembra immune da incer-tezze nelle sue scelte politiche e nei suoi Commentarii; mentre Sallustio, seguace di Cesare, nonostante la notevole penetra-zione dei fenomeni storici nell'acuta analisi delle cause politiche e sociali della crisi, è dibattuto fra aspirazioni mistico-morali-stiche e passione per la vita politica.
La poetica dei "poetae novi" o "neoteroi" (alla greca)
Il gruppo degli intellettuali di avanguardia che, nell'età di Cesare, si appartano dalla vita politica e si dedicano al culto della raffinata poesia alessandrina, è denominato "poetae novi" perché così li definì Cicerone, che nel 45 li chiamerà addirittura con disprezzo cantores Euphorionis (Euforione = poeta greco ellenistico in cui prevale la ricerca di dottrina mitologica e di erudizione preziosa).
Fra tutti o su tutti spicca la figura di Catullo.
POETICA dei Poetae novi:
Gli ideali letterari a cui i poetae novi ( o poeti neoterici) si ispirano sono sostanzialmente quelli di Callimaco e dei poeti alessandrini del terzo secolo a.C. Eccoli:
N.B. I poeti neoterici esercitavano un influsso duraturo sulla poesia augustea e postaugustea: i poeti del circolo di Mecenate, sebbene biasimassero i neoteroi, impararono da loro la diversa maniera di rivivere i classici della grecità (si pensi a Virgilio, allo stesso Orazio, che pur vantandosi di aver trasferito nella lingua latina i metri dei greci, deve moltissimo a Catullo nel campo della metrica, anche se nella metrica catulliana c'è ancora qualche impaccio strutturale; si pensi agli elegiaci dell'età augustea); e nel periodo imperiale, quando si torna agli ideali di una cultura romana ellenizzata, in superficie si rivendicano Virgilio e Orazio, ma in realtà l'occhio va al gusto, allo stile, all'esperienza dei neoteroi
C I C E R O N E O R A T O R E (106-43 A.c.)
Cicerone fu un grande oratore, anzi il più grande del mondo romano, non solo perché fu un signore della parola e seppe crearsi una maniera di esprimersi tutta sua in un periodo ampio, solenne, musicale ma anche perché seppe dare all'eloquenza sostanza dottrinale e disciplina metodologica (=arte retorica).
Cioè, Cicerone fu grande oratore perché fu grandissimo rètore. Perciò è necessario vedere quale fu la preparazione retorica di Cicerone.
E' proprio Cicerone nel Brutus a darci un'analisi minuta dell'oratoria del tempo.
Risalendo al 2° secolo a.C. troviamo i nomi di Emilio Paolo (il vincitore di Pidna nel 168 a.C. e padre di Scipione Emiliano), di Scipione Emiliano, di Lelio, (da cui Cicerone sottolinea l'eloquenza posata e garbata), di Servio Sulpicio Galba (appassionato e di grande effetto), di Caio Tizio (autore anche di tragedie, oratore di notevole arguzia, di vivacità narrativa, di limpida perspicuità.
E sempre in quel secolo, verso la fine, nell'età graccana, incontriamo negli oratori una maggior ricchezza di toni, un pathos più vibrante.
Pare che l'eloquenza di Tiberio Gracco fosse pacata, riflessiva, mentre quella di Caio era travol-gente, spontanea e insieme esperta dei più efficaci artifizi della retorica.
Nell'età di Mario si scontrarono, nell'oratoria, tendenze diverse, rappresentate specialmente da Marco Antonio e Lucio Licino Crasso, che Cicerone, cogliendo felicemente il carattere delle idee dei due rivali, scelse a protagonisti della sua più vasta opera retorica, il De Oratore, facendo sostenere al primo la sua tesi della inutilità della cultura e della necessità, invece, dell'inventio, e affidando a Crasso il compito di esporre la sua convinzione circa la necessità, per essere buon oratore, della cultura, oltre ai doni di natura.
L. Licino Crasso coltivava infatti un genere di eloquenza sostenuto da una ricca cultura generale (filosofica,letteraria, giuridica, scientifica) e garbato, fine, ricco di arguzia, accuratissimo nella espressione, perfettamente asiano nella brevità concettosa del periodo.
Infatti nell'età mariana e negli anni della prima giovinezza di Cicerone, vigeva in Roma un tipo di eloquenza che gli oratori romani del 1° secolo, fautori dell'opposto indirizzo, denominarono asiana.
Ma non si deve credere che l'Asianesimo fosse un indirizzo unitario:
1 - accanto all'asianesimo di Egésia di Mileto (oratore asiatico del 3° sec. a.C.) che consisteva nello spezzettare il periodo, quindi nel gusto per le punte brillanti, per l'ingegnosità e i concetti (e che vedemmo caro a Licino Crasso e vedremo ripreso nell'età imperiale)
2 - vi era anche un altro tipo di asianesimo che, proprio nell'età di Cicerone, con Eschilo di Chido ed Eschine di Mileto si orientò verso la scelta dei vocaboli poetici e l'ampollosità patetica.
Questo secondo tipo fu coltivato da Quinto Orternsio Ortalo (nel 95 a.C. inizia l'attività forense; battuto da Cicerone esordiente, ne diventa poi amico e muore nel 50).
E proprio di Ortalo, Cicerone subì, nella sua formazione all'oratoria, la suggestione e il fascino ed imitò lo stile nelle prime due cause cui prese parte e nelle quali sconfisse Ortalo usando le sue stesse armi, cioè quelle dei periodi sonori, degli ornamenti barocchi, della gonfiezza e dell'enfasi.
Per colpa di Cicerone si suole parlare, già per gli anni della sua giovinezza, della presenza di tre stili nell'oratoria: Asiano, Attivista e Rodiese (che sarebbe una via di mezzo fra il primo e il secondo). Ma in realtà l'Atticismo in Grecia non era esistito: o nasceva verso gli anni 50 a.C. in Roma come rivendicazione di purismo arcaistico.
chiave diversa che in Virgilio.
Ricorda:
Gli Epodi e alcune satire del libro I (come la II,VII,VIII) riflettono il mondo inquieto della poesia giovanile di Orazio: imitazione dei giambi di Archiloco e Ipponatte, poeti greci celebri per la violenza di gran parte della loro produzione poetica (appunto in giambi)
Corrispondono al periodo della ribellione titanica, quasi romantica di Orazio;
vi cogliamo: fede epicurea più battagliera (orizzonti poetici meno vasti, però di quelli dell'epicureo Lucrezio!); eccessiva prevalenza dei motivi pratici, del moralismo declamatorio; ricchezza di fermenti, colori cupi, concitazione.tutte cose, specie queste ultime, che il sorvegliatissimo Orazio della maturità lascerà cadere.
Ma già qui, specie nelle satire, si preannuncia l'Orazio classicista e si coglie un sempre più accentuato e graduale passaggio ad un carattere di universalità.
(N.B. il classicismo negli epodi si coglie specialmente nel risalire direttamente ad Archiloco e Ippomatte, senza passare attraverso la meditazione dei poetae novi e, quindi, degli alessandrini).
Nelle satire composte dopo il 38 (anno in cui Virgilio e Varo lo presentano a Mece-nate) si fa gradualmente presente la riacquistata fiducia in sé e nelle sorti dell'Urbe (da allora Orazio non ricadde più in crisi di sconforto): incomincia il periodo dell'equilibrio e della sorridente saggezza del poeta.
Le Odi segnano il momento lirico del poeta. In esse si nota una oscillazione continua fra lo slancio e l'abbandono del vero poeta e l'inesorabile severità dal critico d'arte che gli raggelava l'estro.
Gli abbandoni più schietti se li concedeva nei levia carmina (scherzose poesie d'a-more), dove il gioco d'amore si smaterializza quasi sempre fino a così aerea levità di tono che tutte le donne e tutti i nomi di donna finiscono per diventare puri pretesti per un leggiadro arabesco poetico.
Nelle odi che proclamano il suo ideale del limite, dell'accontentarsi, troviamo toni di sobria franchezza che ben si accorda con la sostanza cantata, la moderazione, e ci dà forse le odi più perfette, proprio perché non c'è contrasto fra l'estro poetico e il raffinatore senso critico.
Perfetti anche quei carmi dove, al di là della grazia ellenistica del particolare, sembra tralucere un riflesso della poesia agreste di Virgilio per il quale la campagna è modello e fonte di vita morale, di superiore idealità.
La lirica civile è un'indiscutibile e duratura creazione oraziana; tuttavia spesso in essa si sostituisce alla vera poesia la grande eloquenza dell'oratoria commossa e trascinante.
Epistole. Già nel I libro (dedicato a Mecenate) si coglie un senso di raccoglimento, di rinuncia e addio ai sogni e alla poesia: rispunta insieme alla riflessione intima, la voglia di fare il moralista.
Nel 2° libro si accentra la tendenza alla regolarità e alla pedagogia (fino a cadere nella retorica pedagogica)
Ricorda:
Livio fa degli ideali della romanità il centro della sua arte: per lui la storia di Roma è come una storia sacra che sottolinea momento per momento il patto che vinvolava la divinità al popolo eletto: nel libro 1° fa dire da Romolo riapparso dall'Olimpo sulla terra: "va', annunzia ai Romani che così vogliono gli dei: che la mia Roma sia caput orbis terrarum"
Sotto l'aspetto politico è il più tradizionalista fra tutti gli scrittori dell'età augustea (Augusto lo chiamava scherzosamente pompeianus per il suo acceso repubblicane-simo).
L'unico punto di contatto con la sua età e col rigido moralismo di Augusto e con la sua tendenza a restaurare i riti tradizionali: non per nulla Livio nomina Augusto
sempre in legame con costumanze religiose.
Come storiografo è indietro di una ventina d'anni: infatti i suoi gusti letterari sono più vicini a quelli dell'età di Cesare: è vicino al colorismo sallustiano, anche se un po' più moderato; da Sallustio mutua lo spirito della monografia (infatti divide la storia in blocchi: le decadi; e, avvicinandosi a parlare di fatti meno antichi, approfondisce la psicologia dei singoli personaggi, come Sallustio aveva schizzato il ritratto fisico e morale dei suoi; pone anche lui i discorsi in bocca a insigni personaggi)
Nello stile dipende evidentemente da Cicerone, in contrasto con l'atticismo di moda al suo tempo, anzi disobbedisce ai canoni dello stesso Cicerone per non rinunciare al colorismo poetico, adatto al suo innato senso del drammatico e del patetico.
L'arte. L'eterna grandezza di Livio sta nell'aver infuso agli eventi storici il palpito di un'arte potente: quadri mossi, drammatici, rappresentati con scorsi potenti o raccon-tati con uno stile frondoso, quasi di fiume in piena (lactea ubertas chiamerà Quintiliano questa frondosità dello stile).
Limiti. Fu accusato di provincialismo linguistico (la patavinitas di cui lo riprende Asinio Pollione)
La sua è più epopea che storia, cioè dal punto di vista storico è poco attendibile, perché Livio non ha vagliato criticamente le fonti: infatti, se dove vi era discrepanza evidente tra le fonti egli l'annotava senza prendere una sua decisione, il più delle volte fondeva le varie fonti benché poco coerenti fra loro. E' inesatto quindi il detto dantesco: "Livio che non erra"
N.B. D'altra parte per gli antichi la storiografia era soprattutto opera d'arte (vedi l'analogo concetto della storiografia nel nostro umanesimo)
Fra il Virgilio dell'Eneide e Livio v'è qualcosa di simile, specie nella ricerca di salda-
14-37 d.C. Impero di Tiberio (figliastro di Augusto) 37-41 Caligola (pazzo) minaccia la vita di Seneca 41-54 Claudio si libera della prima mo- glie, la corrotta
Messalina condan-nandola a morte.
Sposa la nipote Giulia Agrippina, sorella di Cali-gola, che induce Claudio ad adottare il figlio avuto
da un precedente ma-trimonio, Nerone, a scapito di Bri-tannico legittimo
figlio di Claudio. Muore Claudio. Forse
alla sua morte non fu estranea Agrippina 54-68 Nerone Assassinio di Britannico (veleno) Matricidio (dopo che Agrippina era già sfuggita a un precedente attenta- to a Baia) Nerone manda a morte Burro, il saggio prefetto del pretorio,e gli
so- stituisce Tigellino . Allonatana Se- neca. Ripudia e fa uccidere Ottavia per sposare Poppea Incendio di Roma Congiura dei Pisoni scoperta: vitti- me anche Seneca e il nipote Lucano (poeta epico)
Dopo la morte di Augusto, il conformismo
e il vuoto degli ideali deprimo la vita letteraria.
Sotto Tiberio e Caligola soltanto la erudizione e la scienza offrono rifugio agli spiriti colti e trovano possibilità di sviluppo.
In quest'epoca dominata dall'adulazione emerge la voce indipendente dell'umile Fedro, che sotto la ve-ste della favola animalesca leva la sua protesta contro l'ingiustizia che regna nel mondo, contro la sopraffazione dei potenti a danno dei deboli.
Nell'ultima parte dell'impero di Claudio e sotto Nerone si ha un risveglio della letteratura, che solo in minima parte si spiega con la relativa maggior libertà lasciata dagli imperatori ai letterati. Per lo più i letterati di questa poca sono legati ai circoli aristocratici di opposizione al regime dispotico, quindi predomina un atteggiamento di reazione alla nuova realtà dell'impero, e l'arte dell'epoca nero-niana nasce da uno stato di rottura fra il letterato e la società. Da queste condizioni, diverse da quelle dei letterati della prima età augustea, sorge un'arte quasi opposta a quella che si suole definire classica: è un'arte tormentata e convulsa, incline alle tinte cupe e ai violenti contrasti di luce e ombra, barocca nelle immagini e nello stile.
Comunque essa è nettamente ORIGINALE e tenta vie nuove sia esplorando nuovi contenuti, sia inno-vando il linguaggio e lo stile.
La figura principale di quest'epoca è SENECA
E T A' I M P E R I A L E
Dinastia Giulio - Claudia (14-68 d.C.)
FEDRO - nato in Turchia; liberto di Augusto. Scrisse i primi libri sotto Tiberio. Uscito indenne o quasi dal processo intentatagli da Seiano per il sospetto che nelle sue favole ci fossero malevoli allusioni ai potenti del tempo, continuò a scrivere fino sotto Claudio (uno degli ultimi componimenti è indirizzato a Fileto, liberto di Claudio).
E' il primo autore della poesia latina che abbia fatto della favola la sua unica forma d'arte.
Nei poemi Fedro manifesta un singolare prurito della rinomanza letteraria, nella semplicistica illusione di giungere alla gloria coltivando un genere di poesia quasi irrimediabilmente condannato ad un inevitabile schematismo e ad una inevitabile monotonia e monocromia, per cui sotto l'attraente scorrevolezza e la sapida brevità dei componimenti, la sua arte non giunge a farci vivere effettivamente un personaggio e neanche un tipo
Opera: in 5 libri (ce ne dà la sicurezza Aviano, un favolista in versi vissuto forse nel IV secolo d.C.)
Stile: di gusto alessandrino:
sorvegliata brevità delle favole
ogni vocabolo soppesato e collegato al giusto posto
raffinatezza della tecnica metrica
densità epigrammatica della morale
Seneca ignorò volutamente Fedro.
Marziale è l'unico degli autori illustri che lo abbia ricordato.
L'opera di Fedro ci è giunta probabilmente incompleta. Forse le favole a noi giunte son quelle che entrarono presto nelle scuole e dalle scuole furono raccolte e conservate.
Il Medioevo non conobbe direttamente le favole di Fedro, ma esse furono certamente alla base di quella raccolta di favole in prosa che va sotto il nome di Romulus o Aesopus latinus.
Nel sec. XV Niccolò Perotto raccolse non si sa da quale fonte 30 o 31 favole di Fedro fin allora sconosciute che vanno sotto il nome di Appendix Perottina. Non sappiamo quante in essa siano di Fedro, quante di Aviano, quante dello stesso Perotto.
PERSIO - (34-62 d.C.) Aulo Persio Flavio appartiene alla generazione che trascorse e bruciò la sua giovinezza nella età Neroniana. Nato a Volterra nel 34 d.C.; a 6 anni perdette il padre; a 12 andò ad abitare a Roma. Visse sempre all'ombra della madre, della sorella, degli austeri maestri (grammatici, retori, filosofi stoici) eppure, inesperto come era della vita, volle atteggiarsi a maestro di vita. Ne nacquero 6 satire (era lento a scrivere) che tradiscono la formazione tutta e solo libresca: in esse Persio ammassa tutti i luoghi comuni diatribici più vieti, in un linguaggio fra i più oscuri e faticosi della latinità. Persio trovò nell'acre satira luciliana, meno umanamente comprensiva di quella di Orazio, il modello più congeniale, tuttavia è indubbio che egli ricalcò non solo Lucilio ma anche Orazio. Ricchissimo, si diede a voler imitare il tono della predica cinica!
Stile: Lo stile di Persio costituisce un isolato esempio di ricercato arianesimo mascherato da atticismo. Ebbe il torto di avviare nella satira di tipo graziano la tradizione dello stile oscuro, da cui neppure G. Giovenale, poi, seppe liberarsi.
(segue)
E T A' I M P E R I A L E
DINASTIA GIULIO - CLAUDIA (14-68 d.C.)
SENECA
Nella sua visione politica egli rimane sempre coerente, perciò già nel 39 d.C. per un suo discorso pronunciato alla presenza di Caligola, incorse nell'ira dell'imperatore che gli risparmiò la pena ca-
pitale solo perché una sua favorita gli fece osservare che Seneca sarebbe morto tra breve per consumazione.
Dal 41 al 49 fu in esilio in Corsica per essere stato coinvolto in un processo intentato da Messalina contro Livella (sorella di Caligola) della cui bellezza era gelosa.
Nel 49 fu richiamato a Roma da Agrippina perché educasse Domizio (Nerone), il futuro imperatore.
Seneca, il cui ideale politico era quello di un principato rispettoso delle pubbliche libertà, pretese creare in Nerone il modello dell'imperatore filosofo e determinò alcuni atti significativi della politica neroniana (un provvedimento per lenire la condizione degli schiavi, un progetto di riforma fiscale - bocciato dal Senato che si sentiva leso nei suoi interessi privati.)
Quando Nerone, dopo 5 anni di governo, inizia apertamente una politica da rigido autocrate, Seneca cade in una crisi di disgusto e di sconforto e nel 62, morto Burro, si decide al ritiro.
Seneca dunque fu dibattuto fra l'ideale filosofico della vita ritirata ed ascetica e l'anelito a giovare agli altri uomini partecipando alla vita attiva.
Suoi maestri: stoici, cinici e neopitagorici, ma specialmente Papirio Fabiano, retore e filosofo stoico: da lui e dal padre Seneca ricevette l'amore alla retorica e divenne così, ancor più di Cice-rone, l'oratore della filosofia, di una filosofia stoica con preponderanti interessi morali.
Dante giustamente lo chiamò "Seneca morale".
Oratoria In Seneca l'oratoria è più sottile, quasi più insidiosa di quella di Cicerone: fine sprezza- tura, moderna vivacità e varietà di raccordi, sapienza di scorci ed effetti improvvisi, sfaccettamente d'un'idea in modo da renderla sempre nuova, da far penetrare nel vivo di un pensiero, il suo pensiero, che è sofferenza, coscienza tormentosa di tutte le infinite contraddizioni della vita e dell'anima umana.
Da qui la cronica asistematicità ed empiricità del suo pensiero!
Seneca non ci dà un "sistema" filosofico, non ha preoccupazioni gnoseologiche: il problema morale assilla Seneca. ma un problema che è immanentistico e perciò Seneca non può essere avvicinato a S. Paolo! Immanentismo, cioè Dio è nel sacrario dell'umana personalità, nella ragione intensa non come indagatrice dei massimi problemi dell'universo (anche se ha scritto il De providenzia e le Naturales quaestiones), ma come illuminatrice dei recessi umani secondo il principio dell'esame di coscienza.
Ricorda: i caratteri della filosofia Senecana su esposti donde scatturisce la constatazione che egli porta avanti il processo dell'interiorizzazione;
i caratteri della sua prosa, del suo stile nervoso e vibrante; aggiungi l'esasperazione delle passio-ni e il gusto delle scene atroci e macabre nelle tragedie, segno evidente dell'epoca di rottura e di crisi in cui furono scritte e annuncio di una moda letteraria che sarà seguita da molti scrittori e poeti dell'età imperiale.
E vedi bene tutto il testo.
E T A' I M P E R I A L E
DINASTIA GIULIO - CLAUDIA (Neroniana)
PETRONIO
L'aura di modernità che lo stile e il decadentismo di Seneca (e di Lucano) ci hanno fatto intravedere nella Roma neroniana, raggiunge nell'opera di Petronio la sua più ampia e cristallina espansione:
nello stile
nel genere letterario
nell'atteggiamento spregiudicato di rottura nei confronti della tradizione letteraria e dell'ambiente socio-politico-culturale dell'epoca.
Stile. Nonostante le sue esplicite simpatie per Virgilio e Orazio, e nonostante critichi i gusti stilistici della sua epoca (vedi la parodia dello stile lucaneo della Pharsalia nel "pezzo" in versi che introduce sotto il titolo De Bello Civili), si professi cioè contrario alle tendenze dell'asianesimo contemporaneo, lo stesso Petronio è, forse inconsciamente, asiano per il tono saltellante, vivido, irto di punte e di frizzi; anzi egli rappresenta dell'asianesimo, come di tutta l'arte d'età neroniana, il culmine e la purificazione. Ma egli piega questo arianesimo al suo genio:
la spinta verso il nuovo, che ora insita nel gusto asiano, viene da lui adattate alle esigenze della sua creazione, con l'introduzione, nella cena di Trimalcione e nei passi più audacemente veristici, di solecismi (1) della plebe e di barbarismi: quando occorre, Petronio si mette a parlare il linguaggio delle cortigiane d'infimo rango, dei tavernieri, dei liberti ignoranti.
Genere letterario. Si può dire che il Satyricon, misto di prosa e di versi, sia una Menippea che presenta però la novità di essere gigantesca e divisa in libri.
(Le Satire Menippee sono l'opera più schiettamente letteraria di un grande erudito dell'età di Cesare: Varrone Reatino, quello che nel De comoediis Plautinis determinò quali commedie di Plauto dovessero ritenersi sicuramente autentiche. Il titolo Satire Menippee ci riporta da un lato a Lucilio (Satira) e dall'altro a Menippo di Gàdara, il filosofo cinico greco che aveva iniziato una forma originale di satira del costume che mirava, con linguaggio popolaresco e vivacità di spirito e d'invenzione grottesca, a riformare la società umana mettendone in ridi-colo vizi ed errori. L'aspetto più evidente, formalmente, dell'opera di Menippo era la me-scolanza di prosa e versi.
Varrone lo seguì in questa mescolanza, cioè nella forma; ma nei contenuti, più che a riformare il presente, Varrone mirò a celebrare nostalgicamente il buon tempo antico, contrapposto alla corruzione presente. Tuttavia ci sono anche in Varrone trovate grottesche, battute spiritose, immagini comiche di sapore italico, mescolanza di linguaggio popolaresco e di linguaggio solenne usato a scopo parodistico. ma dai frammenti superstiti pare che manchino origi-nalità e unità stilistica. Anche Seneca ci diede una menippea nel Ludus de morte Claudi o Apokolokyntosis.)
Forse fu il Ludus di Seneca a suggerire a Petronio di dare forma di Menippea al Satyricon -che è in verità un romanzo -, per dare ad un genere ancora disprezzato come quello del ro- manzo maggior dignità letteraria e avere la possibilità di inserire nel racconto tutte le di-gressioni suggeritegli dalla fantasia, non esclusi i "pezzi" poetici che gli servivano per la paro-dia letteraria.
Quindi possiamo definire l'opera di Petronio "romanzo", anzi, romanzo erotico" ma "parodistico" (e qui ritroviamo l'aggancio alla satira menippea).
Abbiamo detto parodia del romanzo erotico perché l'opera è fondamentalmente modellata sul romanzo erotico in voga, ma con una grossa novità: la coppia è una coppia maschile, nelle cui vi-cissitudini entrano scene sentimentali, tradimenti, riconciliazioni, effusioni patetiche o disperate, tentativi di suicidio. Non mancano nel Satyricon gli altri ingredienti del romanzo erotico: naufragi, processi, colpi di scena.
Ma accanto alla parodia del romanzo erotico ellenistico, troviamo anche la satira letteraria, abbiamo visto, e la satira del costume. Ma non possiamo attribuire all'opera intenti moralistici!
L'unico giudizio che Petronio formula sulla materia trattata, è un giudizio di gusto: egli cioè mette in caricatura il cattivo gusto imperante in arte e nella vita (vedi la cena di Trimalcione).
Dunque non condanna morale, ma condanna estetica!
Al di sopra della materia opprimente (ambienti chiusi, racconti di magia, sfarzo eccessivo che diventa pesante, elementi funebri e macabri inseriti nel grottesco. tutte cose che concorrono alla
impressione di soffocamento), al di sopra della società di cui fa specchio il romanzo, si leva Petro-
(1) solecismi = sgrammaticature
nio non solo col suo spirito brillantissimo e vivacissimo, ma anche l'ironia distaccata e con la sua superiore capacità artistica:
il vasto repertorio della materia, che avrebbe potuto restare amorfo e sbiadito, diventa, sotto la penna di Petronio una narrazione coerente e piena di vita:
c'è una grande coerenza di tono, una stretta aderenza a una visione realistica del mondo evocato, e una immediata e felice potenza di caratterizzazione: tutti i personaggi e tipi vivono ciascuno di vita propria, colmi di sangue e di linfa, schizzati con due o tre tocchi che ce li rendono subito indimenticabili (vedi la moglie di Trimalchione)
POSSIAMO DIRE CHE IL SATYRICON E' ANCHE LA PRIMA GENUINA E GRANDE OPERA VERISTICA DELLA LETTERATURA MONDIALE.
Atteggiamento di rottura. Troviamo, nell'opera di Petronio, spregiudicatezza riguardo ai canoni della letteratura aulica; audacia nell'aderire a un mondo precluso quasi interamente all'interesse dei letterati;
modernità, felicità e immediatezza di creazione in un campo in cui non vi erano precedenti se non episodici o occasionali.
Petronio fu, nella letteratura della sua età, irregolare di genio che diede di quell'età la sintesi più felice con sopraffino disinteresse artistico.
Se non fosse sopravvenuta la stroncatura classicistica dell'età flaviana, forse questa prorompente modernità avrebbe avuto seguito in altri autori.
VEDI TESTO E ANTOLOGIA
E T A' I M P E R I A L E
S T O R I A L E T T E R A T U R A
68-69 Guerra Civile con la rapida suc- cessione di Galba, Otone, Vitello. 69 Vespasiano viene
acclamato impera-tore dalle sue legioni 69-96 DINASTIA FLAVIA: 69-79 Vespasiano 79-81 Tito, sotto il cui regno avviene la eruzione del Vesuvio (79)
e l' inau-gurazione dell'Anfiteatro Flavio (Colosseo) 81-96 Domiziano, figlio di Vespasiano come Tito, ma diverso dal
fratello: riduce ulteriormente la potenza del senato avviando, in politica,
il "do-minato", facendosi chiamare "domi-nus ac Deus" Ottimo amministratore,
severo contro gli abusi, largo nel concedere il di-ritto di cittadinanza,
fu d'altra parte assolutista in politica e perseguitò i cristiani . I senatori lo odiarono e contribuirono
alla congiura che lo spense. Tacito ce ne lasciò un ritratto pessimo.
Alla fioritura dell'età neroniana succede nell'età dei Flavi un nuovo irrigidimento in forme accademi-che: gli imperatori esercitano un pesante controllo sulla cultura, e favoriscono il classicismo (modelli dell'età augustea), che è sempre ben visto dai go-verni autoritari.
Il teorico dell'imitazione classicheggiante è Quintiliano (35-96), sostenitore d'un'educazione retorica e formalistica e nemico dello stile moderno di Sene-ca.
Ovviamente l'erudizione e la cultura scientifica trovano un clima favorevole, come ci viene testimo-niato dall'enciclopedia scientifica di Plinio il Vec-chio, importante più per l'abbondanza di materiali raccolti che per la capacità di approfondimento e di sintesi.
Nell'età dei Flavi quasi tutti i poeti si riducono alla fredda imitazione del poema epico di tipo virgiliano: Silio (25-101); Stazio (40- 96?), il poeta incontrato da Dante in Purgatorio, che oltre alla prolissa Tebaide e alla non finita Achilleide, coltivò però anche il genere lirico nelle Silvae.
Al di fuori della cultura accademica si pone delibe- ratamente il poeta satirico Marziale (40-104):
MARZIALE ripudia le forme retoriche e solenni e scrive epigrammi scherzosi che riflettono schiettamente la debolezza morale della società romana del tempo. Alla vivacità comica e allo spirito pungente di Marziale manca una robustezza di coscienza che gli permetta di levarsi al di sopra della materia, spesso bassa e lubrica, e l'apparente realismo viene costretto in schemi carica- turali che molto concedono alle esigenze commerciali.
Da questi schemi Marziale si libera quando esprime la sua sincera aspirazione alla campagna e all'evasione.
Della prima età flavia dev'essere la Praetexta OCTAVIA , pervenutaci fra le tragedie di Seneca.
QUINTILIANO (35-96 d.C.)
vedi il testo e l'antologia
Ricorda:
il De causis corruptae eloquentiae, (che non ci è giunto), dove egli esprimeva la sua avversione allo stile di Seneca.
i discepoli raccolsero 2 libri artis rhetoricae e li pubblicarono senza l'autorizzazione del maestro e alcuni stenografi raccolsero e pubblicarono a fini di guadagno alcune orazioni, ma egli non ne fu contento, perché amava il labor limae che in quei testi così raccolti non poteva esserci.
L'Inst.Orat. fu scritta nel periodo del collocamento a riposo
Fu il primo maestro di retorica stipendiato dall'imperatore. In questo gesto di Vespasiano bisogna vedere la volontà politica, in quanto appoggiando le idee lette-rarie di Quintiliano, che proclamava il culto di quell'età d'Augusto a cui ora guar-davano le forze politiche tradizionaliste, vittoriose nella nuova alleanza tra imperatore e Senato costituitasi all'avvento di Vespasiano, Vespasiano veniva ad appoggiare la sua politica tradizionalista (non di-menticare che l'età dei Flavi può dirsi, con Vespasiano e Tito, la fase di maggior splendore dell'impero nel periodo del definitivo rassodamento del medesimo: questa età fu una restaurazione politica e spirituale dell'età augustea).
Da allora Quintiliano fu l'arbitro di ogni giudizio e d'ogni indirizzo letterario della capi- tale.
Fu anche avvocato.
L'Institutio Oratoria è l'esposizione della formazione del perfetto oratore dalla puerizia fino alla sua affermazione, ma è anche, nel suo sviluppo, una celebrazione di Cicerone come mae- stro di eloquenza e di stile.
Eppure l'Institutio, così come la possediamo, è di stile asiano:
(Se il "dialogus de oratoribus", attribuito a Tacito, è di un suo scolaro, certamente lo scolaro ha superato il maestro in una più fedele imitazione dei modi ciceroniani!)
Troviamo, nella prosa di Quintiliano, i modi spigliati, sbrigativi ed ellittici (cioè dove certi passaggi sono sottintesi), che sono propri dell'asianesimo. Forse l'opera fu compiuta di getto e mancò poi all'autore il tempo di "rivestirla", di tornirla secondo il periodare ciceronico: Certo però che allora il suo sarebbe stato un ben povero ciceronianesimo, ridotto ad un involucro esterno!
Contenuti dell'Inst. Orat.:
l'arte del dire è ancora considerata, tradizionalmente, il centro degli interessi spirituali della romanità (=pensiero di Cic.)
il faro di luce è la latinità ciceroniana e la spiritualità tradizionalista, quindi
l'oratore deve più che mai essere non solo dicendi peritus, ma anche e specialmente vir bonus e la purezza dei suoi costumi deve essere uno dei cardini della sua formazione.
Quintiliano ebbe persistente fortuna dall'umanesimo in poi, perché la sua concezione classicistica sta alla radice dell'umanesimo formalistico tanto caro al tipo più rigido ed
antiquato di educazione classica
Ancora viva e interessante la parte pedagogica.
E T A' I M P E R I A L E - IMPERATORI ADOTTIVI
S T O R I A L E T T E R A T U R A
96-98 Nerva imperatore. Era un senatore e fu nominato dai senatori. Introduce per la
successione il siste- ma dell'adozione, e adotta Traiano,
perché gli succeda al potere. Avvia così una serie di
ottimi prin-cipi che si interromperà solo quando verrà abbandonato il
sistema dell'a- dozione e Marco Aurelio non si sen- tirà di privare della
successione il figlio Comodo, che salirà al trono di- ciannovenne ma sarà
un imperatore degenere. 98-117 Traiano, d'origine spagnola con- quista la Dacia l'attuale
Romania) e l'Armenia. Famoso per la
rettitudine del suo go- verno.
L'avvento al trono di Nerva e di Traiano, i quali consentono maggior
libertà ai letterati e svolgono una politica di restaurazione morale, favorisce
il rifiorire della letteratura.
Ma, mentre Plinio il Giovane nel suo tranquillo e sere-no ottimismo, mostra di essersi adattato al-l'assolutismo imperiale, così come in generale sembra sia gradualmente caduta la vecchia op-posizione repubblicana col graduale estinguersi delle vecchie famiglie patrizie e col sostituirsi di una classe senatoriale composta in gran parte di uomini nuovi e di provinciali, questo ottimismo manca nelle opere di Giovenale e di Tacito, che pure sembrano accontentarsi del nuovo principato moderato e liberale
PLINIO IL GIOVANE (61-113)
Autore di un Epistolario e del Panegirico a Traiano, è il testimone della felicitass temporum. L'epistolario ci conserva anche un carteggio fra lui, allora governatore in Bitinia, e Traiano, che risponde sicuro e conciso alle lettere lunghe, tortuose e piene di dubbio di Plinio.
Egli ci dà l'immagine, contenta del principato, delle classi alte e medie; ce le presenta dedite ad opere di bene ed amanti dei trattenimenti culturali. Ma rivela altresì a sua insaputa, sotto la veste esteriore di una civiltà amante del benessere e ispirata da sentimenti filantropici; si cela una povertà di vita spirituale che preannuncia la crisi politica ed economica dell'impero nei secoli successivi.
GIOVENALE (55 ca. -130 ca. d.C.)
D'origine plebea, scontento delle sperequazioni sociali, odia i nuovi ricchi venuti dal basso e dalle genti non italiche (egli era italico d'Aquino). Scrisse 16 satire divise in 5 libri. Più violente e personali le prime ("indignatio facit versus"), le ultime svolgono temi moralistici più generici, con tono più pacato dove il sarcasmo ha ceduto il passo all'ironia. Forse ciò si deve all'invecchiamento del poeta più che a una sua conversione dal pessimismo.
L'impronta fortemente pessimistica si deve al fatto che Giovenale non crede che le condizioni politiche e sociali siano radicalmente cambiate: l'autorità effettiva era più che mai concentrata nelle mani dell'imperatore e della sua burocrazia e non si poteva parlare di un ritorno alle libertà poli-tiche, né di un rinnovamento radicale dei costumi, come se potessero essere bonificati ipso facto dal cambio degli imperatori.
Arte agghiacciante, cupa, fosca, con notturni, brividi d'orrore, ecc.
E T A' I M P E R I A L E IMPERATORI ADOTTIVI - NERVA E TRAIANO
TACITO ( vedi testo, anche per la discussa paternità del Dialogus de oratoribus)
Dial. de Orat. Lo stile è profondamente diverso da quello delle altre opere tacitiane, però vi si possono scorgere alcune particolarità sintattiche che preludono allo stile del Tacito maggiore. Marco Apeo difende ed esalta l'eloquenza moderna, le idee di Vistano Messala riecheggiano quelle di Quintilliano, di cui Tacito sarebbe stato scolaro, e sostengono il decadimento dell'eloquenza. Cu-riazio Materno addita le cause del corrompersi dell'eloquenza nelle cambiate condizioni politiche (probabilmente è questa l'opinione di Tacito).
La virile requisitoria contro l'immorale educaz. dei giovani nel tempo in cui appare svolgersi il dia-logo (primi anni del regno di Vespasiano, quindi riferimenti alla società formatasi sotto Nerone) ha tutto il tono dello spirito di Tacito.
Agricola. Il tono oratorio ci dà un'idea di quel che doveva essere l'oratoria tacitiana: agitata dalla medesima veemenza di quella di tutti i retori asianeggianti, ma un po' più carezzata e rotonda, con quella particolare cura del vocabolo che in qualche modo preannuncia il risorgente atticismo.
Emerge l'elemento narrativo e si affaccia uno dei due motivi fondamentali dell'arte Tacitiana: le grandi scene di massa.
Germania. Attira l'attenzione dei Romani sul pericolo rappresentato dalle popolazioni germaniche, così valide, frugali e guerriere. Forse c'è anche l'intento di contrapporre alla degenerazione morale dei Romani la strenua semplicità dei Germani e la loro vigoria fisica e morale.
Historiae. Visione meno pessimistica che negli Annales: segno che Tacito non mette ancora in discussione, a questo tempo, la legittimità del potere imperiale. Anzi aveva concepito l'opera proprio come historia, come ricerca del modo con cui l'impero, attraverso le tempeste dell'anno dell'anarchia (68-69 d.C.), attraverso la mite restaurazione Flaviana (Vespasiano e Tito) e attra-verso la reazione autocratica del regno di Domiziano, fosse pervenuto alla definitiva tranquillità e dignità del regime di Nerva e Traiano.
Nelle Historiae non c'è nessuna profonda ispirazione filosofica: gli basta attenersi ad una scrupolosa forma annalistica della narrazione e porre il meglio di sé nel rielaborare artisticamente il materiale già elaborato dalle fonti a cui attinge.
Prevale il primo dei due motivi dell'arte tacitiana: le descrizioni piene di pathos e le grandi dram-matiche scene di massa (ereditate dall'ellenismo e da Sallustio): descrizioni e scene di massa rese con colorismo suggestivo, e dove per la prima volta il paesaggio diventa stato d'animo.
Ma è già presente anche il secondo motivo: lo studio della psiche dei personaggi. Però le individualità nelle Historiae non riescono mai a stagliarsi per lungo tratto sullo sfondo, ma balzano fuori e poi sono subito riassorbite nel vortice della concitata narrazione: tutto si risolve in chiave di coralità.
Il linguaggio tacitiano è già formato, ma ogni tanto l'espressione si adagia ancora in pause più mollemente scandite.
Il grande Tacito sarà negli Annales.
Annales. Sono la massima espressione del genio tacitiano.
lo stile assume la sua precisa individualità e forme,
prevale con strapotente suggestione l'analisi di grandi individualità, tutte segnate
dal stigma del male:
Egli ne fruga tutte le pieghe più tenebrose attraverso il racconto stesso dei
loro atti, la notazione mi-nuta dei loro pensieri, delle loro reazioni
sentimentali, a piccoli colpi di sonda.
Le scene di massa si ritirano sullo sfondo e sono riservate alla politica estera (il trionfo dell'Impero sui nemici esterni) e si restringono in scorci fulminei spesso conclusi da una lapidaria conclusione morale dell'autore. Ma nei fatti interni grandeggia la penetrazione nella psiche dei personaggi.
Questa analisi psicologica, già presente nella storiografia ellenistica e passata di là nell'opera di Sallustio, viene raccolta come eredità da Tacito che la porta al culmine della sua espressione con l'acutezza e il severo moralismo che gli sono propri.
Per questo lo stile si consolida e rimane costante nell'applicazione delle caratteristiche che lo co-stituiscono: gravità austera e solenne, assoluta mancanza di concinnitas, brevità, scorci, omissioni, asindeti, concentrazione.
Il mezzo stilistico gli consente di dare rilievo alle sozzure in cui sprofonda la vita interna della capi-tale e di segnale, insieme, col marchio del suo giudizio morale severo; inoltre gli consente di presentare la psiche dei suoi personaggi in rapide vibranti registrazioni.
Tono dell'opera: decisamente pessimistico. Ne viene fuori una storia della dinastia Giulio-Claudia palesemente truccata (anche perché attinse a fonti spesso ribellistiche e ferocemente anti imperiali).
Il pessimismo deve essergli derivato dalla graduale consapevolezza che Traiano, pur simulando deferenza per i poteri tradizionali, aveva compiuto l'opera di Caligola, Nerone, Domiziano; cioè la definitiva instaurazione del principato autoritario.
Può anche darsi che la vecchiaia abbia contribuito a renderlo pessimista o che egli si sia lasciato trascinare dal suo gusto del tragico e del tenebroso.
Tacito si mostra assillato dal problema della decadenza morale e politica di Roma e della sua classe dirigente; il mostruoso dispotismo degli imperatori, il servilismo e l'inettitudine dell'aristocrazia senatoria, sono i due aspetti essenziali della decadenza, rinchiudendosi in un amaro e scettico fatalismo.
D'altra parte, Tacito non poteva dare spiegazioni e suggerire rimedi, perché gli mancò un chiaro ideale etico-poilitico fondato su rigorose premesse filosofiche. E neppure ebbe una visione religiosa coerente delle vicende umane.
Inoltre ebbe fortissimo il sentimento di casta (la sua casta senatoria) e lo manifestò col profondo disprezzo per la gente salita dal basso.
Tacito non vede con simpatia l'impero che ha livellato le classi sociali e condotto al cosmo-politismo, facendo sì che gli italici non si distinguano più dai provinciali. Non vede per il futuro un sistema politico migliore di quello esistente, ma vede l'impero come portatore del peggior male: quello di aver posto fine alla libertà politica, conducendo così all'infiacchimento delle coscienze e al servilismo: senza libertà politica è difficile conservare dignità morale e altezza d'animo.
117-138 Adriano, provvido amministratore malato di
ellenomania in campo cultu- rale (si veda la villa Adriana a Tivoli o i
medaglioni di gusto classico elleniz- zante raffinatissimo; che sono stati
in- seriti poi nell'Arco di Costantino per abbellirlo). Favorì le arti e le
lettere. 138-161 Antonio Pio,massimo promotore del benessere civile dei
sudditi. 161-180 Marco Aurelio; famoso per la vi- gorosa difesa delle
frontiere contro i barbari, e per la sua rettitudine. Scrisse i Ricordi, in greco(!).
In questa opera sembra riprendere le posizioni stoiche, ma in lui si
accentua fortemen-
La conciliazione raggiunta fra imperatori e aristo-crazia senatoria, e le condizioni generali di pace interna ed esterna, sotto Adriano e gli Antonini; assicurano all'impero un grande benessere este-riore, ma la stasi sociale di questo periodo si ri-percuote negativamente sulla cultura, dominata dal formalismo, dalla pedanteria, e dall'erudi-zione.
Le lettere apparentemente tornano a fiorire.
L'ellenizzante Adriano favorisce l'incontro di Ro-ma con la cultura ellenistico-orientale, per cui a Roma nasce e si diffonde la Seconda Sofistica, che tende a mitigare l'esuberanza del neo-asiane-simo del 1° secolo dell'impero, con un ritorno a una forma di atticismo moderato, inteso però co-me ritorno alle cadenze espressive e al lessico de-
te il senso
della nullità dell'uomo di fronte a Dio e della vanità delle co- struzioni
umane. Più che un sapiente e un filosofo, egli è un irrazionale e un
mistico; e tende alla fuga dal mondo. Però s'è impegnato nella vita
politica e militare sia come imperatore sia come soldato. Fu l'ultimo degli
imperatori adottivi; perché designò come successore il figlio.
gli scrittori arcaici. E' l'arcaismo di Frontone, maestro alle nuove generazioni
romane e allo stesso Marco Aurelio. Si diffonde anche la fami- liarizzazione
con la lingua greca: gli arcaismi parlano indifferentemente latino e greco.
E' quest'ultimo effetto del cosmopolitismo, che fa perdere a Roma e all'Italia il primato egemonico.
Alcuni nomi:
SVETONIO, erudito, arcaizzante, bibliotecario e segretario di Adriano, coltivò il genere biogra-fico. Raccolse molte notizie su poeti, oratori, storici, filosofi, retori, ma di quest'opera che era intitolata De Viris illustribus ci è giunta solo la sezione De grammaticis et rheroribus; e dalla sezione De poetis, solo le vite di Terenzio, Orazio, Virgilio, Lucano. Ci è giunta intera l'opera in 8 libri De vita Caesarum da Cesare a Domiziano. (E' pettegolo: gli piace raccogliere e raccontare gli episodi piccanti)
AULO GELLIO, autore di una miscellanea enciclopedica, le Notes Atticae.
APULEIO, africano. E' interessante sia perché la sua Metamorfosi (o Asino d'oro) sono l'unico romanzo latino che possediamo integralmente, sia per lo stile e per il contenuto dell'opera.
Stile: è un prestigioso impasto di correnti e di gusti: attinge all'arcaismo frontoniano, al preziosismo asiano, allo spregiudicato modernismo della retorica africana e fonde tutte queste tendenze in una festevolezza spigliata e tesa, in un'opulenza barocca che alla fine stanca, perché all'abilità stilistica non si accompagna pari vigoria nel creare realisticamente (come invece aveva saputo fare Petronio) le situazioni e i personaggi.
Contenuto: fiaba, dramma, magia, misticismo: Lucio trasformato in asino per magia ridiventa uo-mo per opera di Iside, di cui diventerà devoto fedele. L'atmosfera è torbida; Apuleio tende al magico e all'irrazionale (Favola di Amore e Psiche). Profondamente originale e nuova, quindi l'ispirazione di Apuleio.
E T A' I M P E R I A L E III SECOLO
S T O R I A L E T T E R A T U R A
Nel terzo secolo la crisi politica e sociale dello impero, l'anarchia militare e l'emergere ai posti di comando di elementi delle province meno civi-lizzate, causano una completa decadenza della let-teratura latina pagana.
La grande poesia aveva già taciuto nel secolo precedente (l'ultima voce personale era stata di Giovenale morto intorno al 130-140).
L'imperatore Adriano aveva avviato un tipo di versificazione scherzosa e svagata di gusto arcaizzante. Verso la fine del secondo secolo era fiorita la scuola dei poetae novelli, che adattarono argomenti solenni in versi popolareschi costruiti però secondo le regole di una metrica raffinata: bambolegggiamenti di una poesia minore di tipo arcadico.
211-217 Caracalla, figlio maggiore di Setti- mio Severo. 212 Caracalla emana la famosa Constitutio Antoniniana che
estende il diritto di cittadinanza romana a tutti i cittadini li- beri
dell'Impero: conclude così il feno- meno del cosmopolitismo: L'Italia per-
de la posizione di privilegio rispetto alle province, ma la legislazione roma-
na viene così estesa in tutti il mondo al- lora sconosciuto. 217 Macrino, poi trucidato 217 Eliogabalo, figlio di Giulia Mesa che era sorella di Giulia
Domna. Porta sul trono corruzione, dissolutezza, culti orientali. Massacrato con la
madre nel 222 222-235 Alessandro Severo (14 anni) Affidato al consiglio
di uomini insigni per sapere. Era cugino di Eliogabalo. Fu restituito al
senato l'antico onore. 235 Inizia la grande anarchia militare con l'uccisione di Al.
Severo. 235-268 Anarchia: si succedono 12 imperatori, fra cui Decio, che si
rese famoso per la spietata persecuzione contro i Cristiani (250)
(vedi testo p.381)
Da collocare forse agli inizi del iii secole è il Pervigilium Veneris, che è da ascrivere anch'esso al gusto della poesia arcaizzante e popolaresca dei poetae novelli. (N.B. Per il Perv.Veneris vedi testo a pag. 382)
Nel 3° secolo, accanto ai motivi arcadici dei poetae novelli troviamo temi civili esprimenti la speranza di un ritorno all'età dell'oro per Roma e per il suo impero, e parallelamente si ha un ritor- no al classicismo (=imitazione virgiliana).
Nella prosa troviamo solo eruditi di scarso ri- lievo.
* * * *
Mentre la letteratura latina pagana decade, sorge, apportatrice di nuovi contenuti, la LETTERATU- RA LATINA CRISTIANA, i cui primi scrittori, gli apologisti, pur accogliendo la tecnica letteraria e la retorica della civiltà pagana, rifiutano la con- cezione pagana della vita. (v.pag. 432-33 e 400).
(Per il significato do apologia, vedi un dizionario italiano e quanto ci dice a pag. 446 del testo di Lett. lat. a proposito dell'Apologetium e Scritti apologetici di Tertulliano)
LA LETTERATURA CRISTIANA DEL III SECOLO
E' incerto se venga prima Minucio Felice o Tertulliano.
Sta di fatto che l'opera dei due presenta indiscutibili interdipendenze, per cui l'uno ha imitato certi passi dell'altro.
Tuttavia tra i due c'è diverso atteggiamento:
MINUCIO FELICE: Il suo decalogo, Octavius, imita la forma del dialogo filosofico Ciceroniano e, prima che apologia, è presentazione della fede cristiana da parte di un cristiano Ottavio al pagano Cecilio. C'è quindi tutta una parte positiva, senza diatriba. Poi naturalmente viene anche la critica dei vari culti superstiziosi e della religione di stato romana, in nome della quale i conqui- statori fecero violenze e saccheggi.
Segue l'apologia vera e propria, cioè vengono respinte le varie accuse di immoralità rivolte ai cristiani. Si conclude con l'esaltazione delle virtù dei cristiani: purezza e semplicità di vita, precetto della carità, interiorità del sentimento religioso, significato del simbolo della croce, fede dei martiri nel premio eterno..
E il dialogo chiude con la conversione di Cecilio!
Africano: ebbe dalla sua terra il "fuoco" dell'intelligenza, della volontà, del carattere, dello spirito.
Fu un "lottatore" che non conobbe soste né ostacoli, sostenuto sempre da una forza interiore incrollabile e sicura, da un'audacia d'azione che rasenta la temerità, da una tenacia di propositi che lo fanno apparire orgoglioso e sprezzante.
Lati discutibili della personalità di Tertullian :
- inflessibilità dura del carattere
- ansia tesa ad una vagheggiata "perfezione" di vita
- insoddisfazione di ogni meta raggiunta
- Quindi, asprezza, inquietudine, durezza con sé e con gli altri
- mancanza di freno nel misurare il valore reale dei fatti umani e nell'adeguare i principi etici alle
esigenze pratiche della vita cristiana.
Meriti della sua personalità:
- coerenza
- ingegno possente, dialettica formidabile, aggressività, mordacità.
- Fu acerrimo difensore del diritto divino e naturale contro la forza e la violenza dei persecutori.
- fu indomabile combattente della fede, della verità, della libertà religiosa contro ogni calunnia e
sopraffazione.
Stile Veniva dalla cultura classica e, se la rinnegò e la combatté. (infatti, a differenza di Minucio Felice, rifiutò polemicamente tutto il mondo classico per finalità inconfessabili), non riuscì però mai a liberarsene del tutto. Col passare degli anni, arricchendo la sua eloquenza anche di echi biblici e caricandola di tensione mistica, egli, che era stilista capace di forte originalità, arrivò a conquistare una netta indipendenza da tutto ciò che era schema, regola fissa.
Egli fu veramente il creatore della lingua teologica latina.
Opere più di 30, raccoglibili in 4 gruppi: apologetiche; - di lotta contro l'eresia (quindi rivolte non a pagani ma a cristiani eretici e perciò si chiamano controversie); - do contenuto morale e ascetico; - di disciplina sacramentale.
Vedi testo
E T A' I M P E R I A L E III E IV SECOLO
S T O R I A L E T T E R A T U R A DEL IV SECOLO
Nel IV secolo la riorganizzazione
dell'impero, promossa da Diocleziano, e la cura dedicata da-gli imperatori
alle scuole di retorica, in cui si formano i funzionari della burocrazia imperiale,
favorisce il risveglio della letteratura latina pa-gana, che si manifesta
soprattutto con una gran-de fioritura di opere grammaticali, erudite,
enci-clopediche. Il maggior grammatico del IV secolo fu
Elio Donato che scrisse anche commenti a Virgilio e a
Terenzio. Di Virgilio tende a dare una inter-pretazione allegorica,
conforme le tendenze del tempo. Seguace e continuatore di Donato fu Servio,
di cui ci è pervenuto un ampio commento vir-giliano, in cui c'è anche
interesse al pensiero fi-losofico e mistico. Servio considera Virgilio
Maestro di ogni sapere.
268-270 Claudio II. Rafforza il potere
cen- trale e pone fine all'anarchia.
E' il primo degli imperatori ILLIRICI, così definiti perché provenienti dalla Illiria (vanno dal 268 al 284, anno in cui diventa imperatore il più grande, anch'esso il lirico: Diocleziano)
270-275 Aureliano
275-284 Sei imperatori il lirici
284-305 Diocleziano. Inaugura una nuova formula di successione: la tetrarchia. Riafferma il principio di autorità: non è più il primo cittadino, ma il signore assoluto del mondo romano. Inaugura una monarchia di tipo orientale.
Perfeziona la burocrazia per accentra-re meglio l'amministrazione. Opera ri- forme sociali ed economiche.
Non mancano ingegni letterari notevoli,
come lo storico Ammiano Marcellino e il poeta e retore Ausonio. * * * * * Dopo il
riconoscimento ufficiale del 313, la let-teratura latina cristiana si
adegua alla nuova situazione, accogliendo quegli elementi della cul-tura
classica che non sono incompatibili con la nuova dottrina e che possono
meglio giovare a il-lustrarla e diffonderla ( non occorre più
difenderla, quindi non avremo più "apologisti", ma i "padri della Chiesa"). L'ultimo
apologista, Lattanzio (morto dopo il 317), riflette questa conciliazione in
atto scrivendo in perfetto stile ciceroniano e utilizzando
argo-menti usati dagli antichi filosofi.
E' l'ultimo imperatore che tenta di sterminare i cristiani con
una persecu- zione sistematica.
306-312 Prima fase della guerra civile scop- piata quando Diocleziano si ritira a vita privata (infatti la successione te- drastica non funziona).
Dopo la Battaglia di Ponte Milvio, in cui Costantino batte Massenzio, i com-petitori si riducono a due: Costantino in Occid. e Licinio in Oriente.
Editto di Milano: è data libertà di culto ai Cristiani
324 Costantino sopraffa Licinio e diventa unico imperatore
324-337 Costantino unico imperatore s'in-teressa di politica religiosa, porta la capitale a Costantinopoli, riforma l'or-dinamento amministrativo delle pro-vince.
E T A' I M P E R I AL E - II° metà IV secolo -inizio V secolo
S T O R I A L E T T E R A T U R A
SCRITTORI PAGANI. Poeti: CLAUDIO
CLAUDIANO (seconda metà IV sec.) ultimo grande poeta della paganità. Fu
panegirista di Silicone. Nel 402 Onorio e Ar-cadio gli dedicarono una
statua nel Foro Traia-neo. Coltivò tutti i generi della poesia latina
antica e portò in ogni componimento ardore di spirito romano e freschezza
di sentimento. No-tevole specialmente il poemetto in tre libri De Raptus
Prossenpinae, per gli squarci de-.scrittivi. Rutilio Namaziano (fine IV_inizio V
sec.) Necessitato nel 417 a lasciare Roma per tornare in Gallia, nel De
reditu, il poemetto in due libri che dedica al suo viaggio, rivolge a Roma
un appassionato saluto: a Roma che "riuscì a fare di diverse genti una sola
patria e di un mondo disperso una sola città". Ma era la grandezza del
passato. Rutilio
Namaziano è l'ultima schietta voce della stanca poesia pagana. Oratori: QUINTO
AURELIO SIMMACO ro- mano, di nobile famiglia pagana (340-391 circa)
337-363 Dinastia costantiniana: Costantino II, Costanzo e Costante, e poi Giuliano l'Apostata (361-363) ammiratore entu- siasta del mondo ellenico e del pensiero pagano
363/4 Gioviano
364-393 Dinasta valentiniana:
Valentino I in Occ. (364-375 Valente in Oriente (364-378)
I barbari rompono definitivamente gli argini: cominciano le grandi invasioni.
Graziano in Occ. (375-383) Teodosio in Oriente (379-393)
Nel 388 Teodosio sconfigge Magno Mas- simo che aveva travolto con una rivo-luzione militare Valentiniano II e ricon- ferma sul trono di Occid. quest'ultimo, che era succeduto a Graziano nel 383.
393 Valentiniano II viene ucciso da ribelli.
393-395 Teodosio unico imperatore
N.B. Nel 380 con l'editto di Tessalonica aveva proclamato il cristianesimo unica religione ufficialmente riconosciuta dallo Stato e messo al bando il paganesimo (fa le persecuzioni a rovescio).
L'ultima solenne e sincera voce che si
leva a di-fendere il paganesimo, la grande civiltà romana che tramonta. Fu
pericoloso ed efficace nemico del Cristianesimo; e S. Ambrogio dovette
con-troribattere e smantellare ad una ad una le argo-mentazioni di Simmaco,
per scongiurare il peri-colo di una ripresa pagana. SCRITTORI
CRISTIANI: (Patristica): Alle opere polemiche degli apologisti
succe-dono le grandi costruzioni dogmatiche dei Padri della Chiesa. S. Ambrogio è il 1° dei grandi padri occidentali (335-397): profondamente
imbevuto di cultura classica, ne conserva i procedimenti stilistici e il
metodo razionalistico.
395-455 Dinastia Teodosiana:
Onorio in Occid. (395-423)
Inetto, si sbarazza del generale Silicone, che aveva fermato Visigoti e Unni. Così Roma nel 410 verrà saccheggiata dai Visigoti di Alarico che poi scendono a sud ( tra i prigionieri anche Galla Placi-dia, sorella di Onorio, che sposerà Ataul-fo , fratello di Alarico)
Morto Alarico a Cosenza e sepolto nel-l'alveo del Busento, i Visigoti si disper-dono. Galla Placidia sposa Flavio Co-stanzo e genera il futuro Valentiniano III.
Arcadio in Oriente (395-408) indi Teo-dosio II e Marciano e tutta la serie degli imperatori orientali (fino al 1453 quando i Turchi arriveranno a Bisanzio e anche lo impero romano d'oriente cadrà.
E T A' I M P E R I A L E V secolo d.C.
S T O R I A L E T T E R A T U R A
SCRITTORI CRISTIANI (./. Padri della Chiesa o Patristica) S. Girolamo dalmata (356-420 ca) a dif-ferenza di Ambrogio, sente in sé il
contrasto fra l'amore per gli autori classici e le inclinazioni mistiche e
ascetiche: immagina che Cristo lo rimproveri chiamandolo "Cice- ronianus".
Spirito passionale e irrequieto, fu in polemica anche con S. Agostino; e
nel-.l'Epistolario, scritto con barocco splendore di stile, ci lascia un
documento insigne del trava- glio dell'anima sua. Fu lavoratore
formidabile: tradusse in latino, dall'ebraico e dl greco, tutto l'Antico e
il Nuovo Testamento. La sua traduzione fu adot-tata in lingua latina e va
sotto il nome di Vul- gata. AURELIO CLEMENTE
PRUDENZIO - poeta Nato in Spagna,
probabilmente a Calagurris, nel 348. Compì agli inizi del 400 un viaggio a
Roma. Morì non prima del 405 Fu il più grande poeta del IV
secolo, "l'O- razio Cristiano", secondo alcuni; mentre per altri la sua
poesia sarebbe espressione somma di cattivo gusto e di artificio retorico.
sgg Reggenza di Galla Placidia per il pic- colo Valentiniano III
424-455 Valentiniano III
430 Ormai tutte le province dell'Occ. sono staccate dall'impero e costituiscono i premi regni barbarici. All'impero rimane poco più che l'Italia .
451 Invasione degli Unni guidati da Attila. Lo ferma Ezio, ultimo dei grandi generali romani, in Gallia; ma poi Attila penetra lo stesso in Italia: lo allontana la forza morale di Papa Leone I.
455 Ezio è ucciso da Valentiniano III e Valen-tiniano III è ucciso da due soldati di Ezio per vendetta.
455 Il senatore Petronio Massimo sposa con la forza Eudossia vedova di Valentiniano III e si fa imperatore. Si dice che la stessa im-peratrice Eudossia, per vendicarsi della violenza usatale, chiamasse Genserico.
455 Genserico con i suoi Vandali si reca via mare dall'Africa Occ. ai lidi del Tevere e sottopone Roma a un terribile saccheggio. Fra i prigionieri, Eudossia e le due figlie.
N.B. Onorio aveva portato la capitale da Roma a Ravenna. Con Petronio Massimo la capitale era tornata a Roma.
Le forme sono classicheggianti, però manca a Prudenzio, del
classicismo, il senso della mi-sura, l'equilibrio, la verosimiglianza. La sua poesia è permeata dalla luce del
miracolo, sia che si tratti di visioni allegoriche, sia che si narrino
leggende sacre. Il fulgore delle immagini si mescola con
un'ingenua esasperazione del macabro e dell'orrido. Dà vita a un'arte
prettamente medievale, lontana dalla sensibilità moderna. Segna, con S. Agostino, il limite fra la civiltà classica e la
medievale.
455-475 Otto imperatori si susseguono dopo Pe-
tronio Massimo, ma di fatto comanda Rici-mero un barbaro Svevo
elevato al coman- do supremo dell'esercito, col titolo di "patrizio"
475-Oreste succede a Ricimero come "patrizio": si ribella all'imperatore Giulio Nipote, lo costringe ad abdicare e pone sul trono il proprio figlio Romolo che fu denominato Augustolo.
476 Odoacre pone fine all'impero d'Occidente. Col crollo dell'impero tramonta anche la
E T A' I M P E R I A L E - FINE IV SECOLO - PRIMA META' V SECOLO
SCRITTORI CRISTIANI
Mentre in Ambrogio e in Girolamo il problema di adeguare allo spirito cristiano la cultura e lo stile letterario non riceve una vera soluzione, perché l'uno e l'altro accettano sostanzialmente le forme retoriche della tradizione classica, Agostino invece, che interpreta il Verbo di Cristo nella forma più radicalmente rivoluzionaria, adegua l'arte e lo stile alla originalità del pensiero, e rinnega i principi stessi dell'educazione retorica classica (Tertulliano non vi era riuscito del tutto neppure lui):
nega che la cultura retorica possa essere ricercata come un valore autonomo (quindi condanna il formalismo classicista e umanistico)
in ogni caso la cultura retorica può essere solo un mezzo per consentire un fine soprannaturale
anzi la retorica non è indispensabile per la formazione letteraria o artistica del cristiano: al cristiano basta la lettura della Bibbia e dei migliori autori cristiani I testi sacri cristiani sono al tempo stesso sorgente di verità e modello di stile letterario. Egli vede la Bibbia adorna di bellezze artistiche e attinge largamente allo stile biblico per la creazione di un nuovo stile cristiano.
Ricorda: i Soliloquia, dove si annuncia, e il De vera religione, dove viene approfondito il tema del colloquio interiore alla ricerca di Dio, che sarà il motivo più costante della meditazione agostiniana.
Fra le molte opere antimanichee, il Contra Faustum Manichaeum, in 33 libri, in cui sostiene che il male non è un principio sostanziale contrapposto a Dio, ma una deficienza di essere, una defezione della volontà.
Fra gli scritti antipelagiani, il De natura et gratia.
Ricorda il De magistero dove studia, il rapporto alla scienza, il vero valore del linguaggio.
Soprattutto, ricorda le Confessioni e il De Civitate Dei (vedi testo) .
Stile delle confessioni, l'opera che il santo ricorda con maggiore calore e orgoglio nelle Re-tractationes ("recensioni" critiche della sua molteplice e multiforme opera, di cui rettifica e critica le posizioni che non gli sembrano più accettabili).
Anzitutto è opera originale, (le Confessioni), senza precedenti nella letteratura classica questa storia spirituale di un'anima, che, se in certa misura rientra nel solco della spiritualità latina (Ca-tullo, Lucrezio, Orazio, Virgilio, Seneca), rimane tuttavia inconcepibile senza lo spirito del cri-stianesimo che ha fornito all'approfondimento psicologico forme prima impensate.
Originalità dello stile: rompe con la tradizione classicheggiante, diventa del tutto intimo; anche le numerose immagini sono di natura spirituale e mistica, ricche di emozioni interiori, rarefatte,
prive di corposità.
Prevalentemente le immagini son volte a esprimere l'infinità dello spazio, lo scorrere del tempo, l'immensità dell'eterno, l'altezza imperscrutabile dell'essenza divina; o a conferire una vita meta-forica all'anima.
All'euritmia e alla musicalità del periodare classico sottentra una sintassi faticosa che segue l'or-dine e la successione dei sentimenti, raggiungendo un'efficacia espressiva e un'incisività straor-dinarie.
Prevale la disposizione paratattica (poche subordinate, molte coordinazioni), con un incalzare di frasi brevi e di interrogazioni affannose, con un giro serrato di parallelismi, di antitesi, di giochi di parole spesso paradossali.
Si potrebbe pensare allo stile asiano, ma non è; Perché Agostino non si abbandona mai al gioco intellettualistico e letterario. Le antitesi e i giochi di parole esprimono la sorpresa di scoprire celata nell'interno dell'anima una realtà opposta all'apparenza, di scoprire insomma il mistero paradossale dell'anima umana.
Se un influsso stilistico c'è, è quello della Bibbia.
La lettura non dà monotonia, perché il sottile gioco del ragionamento si alterna col lirismo della preghiera e con la sublimità della visione mistica, e talvolta il racconto dei fatti in forma semplice e popolare, si avvicina alla drammatica essenzialità dei testi evangelici.
Le Confessioni sono un'opera non mai priva di senso d'arte e di dignità stilistica.
Il De Civitate Dei, dopo i primi dieci libri di carattere apologetico (non è vero che il cristianesimo è causa della rovina dell'impero) allarga il suo disegno e diventa una storia universale dell'umanità da un punto di vista religioso e provvidenziale.
il genere umano appare ad Agostino diviso in due classi di individui:
- quelli viventi secondo il mondo "Città terrestre", e
- quelli viventi secondo Dio, "Città celeste".
Le due "Città" compiono il loro processo storico, l'una accanto all'altra, dalla loro remota origine, che risale alla caduta degli Angeli, sino alla fine del mondo, implicante la discriminazione defi-nitiva con il Giudizio Universale.
Con quest'opera Agostino si afferma come il fondatore della scuola "storica" della Provvidenza. Il De Civitate Dei è anche un'enciclopedia cristiana del sapere.
E' filosofia o teologia della storia? Meglio vedere nel De Civitate Dei una filosofia e una teologia, cioè l'interpretazione più profonda possibile della storia umana nella sua gènesi, nella sua vitalità, nelle sue finalità divine.
A quest'opera s'ispireranno le speculazioni storiche del Medioevo; quest'opera ispirerà il sublime "Discorso sulla storia universale" del Bossuet (teologo e oratore francese del primo 1600).
Stile del De Civitate Lo stile si adegua all'opera. Essa è simile ad una cattedrale gotica adorna di una folla disordinata di pinnacoli e di guglie e tutta tesa verso il cielo. Lo stile non è più spezzettato in brevi frasi paratattiche, ma organizzato in ampi periodi. Ma non si avvicina lo stesso allo stile ci-ceroniano, perché non ricerca l'armonia della sintassi e del suono: le frasi si accumulano apparen-temente disordinate e accozzate a caso. In realtà si tratta anche qui di un'arte cosciente e padrona dei mezzi, che segue l'ordine e lo slancio del pensiero rifiutando gli strumenti retorici tradizionali.
Appunti su: Profilo di Tertulliano apologista appunti, |
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