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Se l'autore del Satyricon è il personaggio rappresentato da Tacito in Annales si tratta di T. Petroinius Niger , console verso il 62 , suicida per volontà di Nerone nel 66 d.C.. Il cognome Arbiter attestato nella tradizione manoscritta del Satyricon e in qualche testimonianza indiretta sarà da collegarsi alla definizione riportata da Tacito, elegantiae arbiter, anche se la connessione tra questi dati è discussa.
Descrivendo le circostanze della morte di Petronio, Tacito delinea un personaggio paradossale, inimitabile. Questo Petronio era stato un valido ed efficiente uomo di potere; proconsole in Bitinia, poi console; ma la qualità che lo rendeva prezioso a Nerone era la raffinatezza, il gusto estetico. Tra le suggestioni che balzano alla mente - sono certe figura del Settecento europeo, o del Decadentismo: il cortigiano, il dandy, l'asceta, dell'estetismo, l'intellettuale gaudente. Petronio, spinto al suicidio nel 66 da intrighi di palazzo stupì ancora una volta, realizzando un suicidio paradossale come lo era stata la sua vita. Il suo suicidio sembra essere stato concepito come una parodia del teatrale suicidio tipico di certi oppositori del regime. Incidendosi le vene, e poi rallentando ad arte il momento della fine, Petronio passò le ultime ore a banchetto occupandosi di poesia, e senza lanciare proclami filosofici o testamenti politici.
E' Comprensibile che il Petronio tacitiano, il "personaggio" Petronio, abbia goduto di una sua fortuna letteraria, autonoma e non coincidente con quella del testo-Satirycon: questo modello di esteta perseguitato piacque molto ai protagonisti del Decadentismo europeo.
Quanto alle deduzioni da trarre per l'interpretazione del Satyricon, occorre muoversi con maggiore prudenza. Non sappiamo se Tacito conoscesse direttamente il romanzo; se lo conosceva, può darsi che ne abbia tenuto conto nel tracciare il suo ritratto di Petronio, e sicuramente non era tenuto a citare, nella sua severa opera storica, un testo così eccentrico e scandaloso. Si è supposto che al Satyricon vogliano alludere i codicilli, cioè il testamento-libello con cui Petronio attaccava le turpitudini della corte, ma l'ipotesi fa sorridere.
Si è pensato che il gusto di Petronio per la vita dei bassifondi abbia una sottile complicità con i gusti dell'imperatore; gli storici antineroniani attribuiscono a Nerone un'intensa vita notturna, condotta in incognito, frequentando bettole e postriboli, mescolandosi a risse. Certo se l'autore è il Petronio di Tacito, possiamo aspettarci allusioni anche sottili all'ambiente della corte neroniana. Ma il senso di questa operazione (satirico e polemico?) continua a sfuggirci; e in ogni caso nulla ci autorizza a vedere in quest'opera complessa e fantasiosa un "romanzo a chiave", i cui personaggi siano maschere applicate a individui storicamente determinati.
Pochi capolavori della letteratura mondiale sono segnati da ombre così molteplici e sovrapposte: del Satyricon sono incerti l'autore, la data di composizione, il titolo e il significato del titolo, l'estensione originaria, la trama, per non parlare di questioni meno concrete ma importanti, quali il genere letterario in cui si inserisce e le motivazioni per cui quest'opera per molti versi eccentrica venne concepita e pubblicata.
Tutti gli elementi di datazione interni, cioè desunti dal testo stesso del romanzo, concordano con una datazione non oltre il principato di Nerone. Le allusioni a personaggi storici, i nomi di tutte le figure del romanzo e , i presupposti sociali della trama sono tutti compatibili con questo periodo di composizione, il linguaggio parlato da alcune figure minori del romanzo (i liberti del convito in casa di Trimalcione) è profondamente diverso dal latino letterario che ci è familiare. Abbiamo qui una preziosa fonte di informazione sulla lingua d'uso popolare, che si può combinare con attestazioni di tipo sub-letterario, le glosse ((parole rare, perché non letterarie, recepite dai grammatici e dai lessicografi della tarda latinità), e con quelle tracce di lingua d'uso che recuperiamo, da poeti quali Plauto o Catullo. La lingua dei liberti si armonizza perfettamente con il quadro generale di queste testimonianze, e si distacca dal latino che Petronio usa, attraverso il narratore Encolpio, nelle parti narrative del romanzo. Il contrasto è voluto e presuppone un cosciente dosaggio artistico.
In sintesi, si può dire che il romanzo deve essere stato composto nel periodo neroniamo, e potrebbe, se mai, essere ambientato in un periodo precedente. Anche lasciando aperto il problema dell'identificazione di Petronio, questa conclusione almeno è sicura.
Percorrendo brevemente la trama del Satyricon, terremo presente che il nodo in cui si è formato il testo che abbiamo è assai problematico. Di certo si può dire che siamo di fronte a un frammento di narrazione che nelle sue grandi linee è continuo, ma che deve aver subito qua e là dei tagli, forse anche delle interpolazioni e degli spostamenti di sezioni narrative. La parte più integra è il famoso episodio della Cena di Trimalcione; è chiaro che esso esercitava su chi ha manipolato il testo di Petronio un'attrattiva particolare.
La storia è narrata in prima persona dal protagonista Encolpio, l'unico personaggio che compare in tutti gli episodi del romanzo. Encolpio attraversa una successione indiavolata di peripezie, e il ritmo del racconto è variabile; talora scarno e riassuntivo, a volte - come nella cena in casa di Trimalcione - lentissimo e ricco di dettagli realistici.
Da principio Encolpio, un giovane di buona cultura, ha a che fare con un maestro di retorica, Agamennone, e discute con lui il problema della decadenza dell'oratorio.
Encolpio viaggia in compagnia di un altro avventuriero dal passato burrascoso, Ascilto, e di un bel giovinetto, Gitone; fra questi personaggi corre un triangolo amoroso. Entra in scena una matrona di nome Quartilia, che coinvolge i tre in un rito in onore del dio Priapo. I riti si rivelano più che altro un pretesto per asservire i tre giovani ai capricci lussuriosi di Quartilia.
Appena sfuggiti a Quartilia, i tre vengono scritturati per un banchetto in casa di Trimalcione, un ricchissimo liberto dalla sconvolgente rozzezza. Si descrive con abbondanza di dettagli lo svolgersi della cena, una teatrale esibizione di ricchezza e di cattivo gusto; la scena è dominata dai liberti amici di Trimalcione e dalle loro chiacchiere. Encolpio, anche qui, è costretto in un ruolo passivo e subalterno, solo un casuale incidente decreta la fine della cena, e "libera" nuovamente i nostri eroi. La rivalità omossessuale tra Encolpio e Ascilto precipita; i due, gelosi dell'amore di Gitone, hanno un violento litigio, e Ascilto si porta via il ragazzo. Encolpio affranto, entra casualmente in una pinacoteca, e qui conosce un nuovo personaggio che avrà ruolo centrale in tutte le successive e avventure. Si tratta di Eumolpo, un poeta vagabondo: un uomo anziano, però insaziabile sia come letterato che come avventuriero. Eumolpo comincia con l'esibire i suoi doni poetici, recitando seduta stante una sua composizione sulla Presa di Troia, che riceve pessima accoglienza da parte dei presenti: in questo, Eumolpo richiama alla mente gli insuccessi del velleitario retore Agamennone. Dopo una rapida serie di peripezie, Encolpio riesce a recuperare il suo Gitone, e a liberarsi di Ascilto (che scompare, a quanto sappiano, dalla vicenda); ma non a liberarsi di Eumolpo, che si rivela sempre più come un nuovo aspirante alle grazie di Gitone. Si costituisce così un nuovo terzetto amoroso. Sinora, l'azione si è svolta in una Graeca urbs, una città costiera della Campania: l'identificazione precisa è controversa, e forse Petronio non intende un luogo ben preciso. Encolpio, Eumolpo, e Gitone, lasciano precipitosamente la città imbarcandosi, in incognito, su una nave mercantile. Durante la rotta, il padrone della nave si rivela essere il peggior nemico di Encolpio: è un mercante di nome Lica, che ha motivo di vendicarsi per qualche precedente avventura (narrata, ovviamente, nell'antefatto a noi perduto). Con Lica viaggia una signora di dubbia moralità, Trifena, anche lei già nota a Encolpio. Un maldestro tentativo di camuffarsi produce risultati catastrofici: scoperto, Encolpio è ormai in balia della vendetta di Lica. Eumolpo tenta una mediazione, e fra l'altro cerca di svagare i compagni di viaggio raccontando la piccante novella della Matrona di Efeso. La situazione sembra, comunque, male avviata, quando interviene una provvidenziale tempesta. Il minaccioso Lica viene spazzato in mare, Trifena fugge su una barca, la nave cola a picco, e i tre si ritrovano soli sulla riva.
Inizia così una nuova avventura: Eumolpo scopre di essere nei paraggi della città di Crotone. Questa città dal passato glorioso è attualmente tutta rivolta a un'attività deplorevole: la caccia alle eredità. La città è tutta in mano ai ricchi senza eredi, Eumolpo ha un'illuminazione: recitare la parte del vecchio facoltoso e senza eredi, assecondato da Encolpio e Gitone, che impersoneranno i suoi schiavi. Durante il cammino verso Crotone, Eumolpo tiene ai suoi compagni una lezione sulla poesia epica, e declama un lungo poemetto sulla guerra tra Cesare e Pompeo, il cosiddetto Bellum civile.
L'ultima fase del racconto è per noi più difficile da seguire, per lo stato lacunoso del testo di Petronio. In principio, la commedia di Eumolpo funziona, e i tre vivono comodamente alle spalle dei cacciatori di testamenti. Encolpio ha un'avventura con una donna di nome Circe, ma improvvisamente è abbandonato dalle sue facoltà sessuali. Perseguitato - come Encolpio stesso sostiene - dal dio Priapo, il protagonista si sottopone a umilianti pratiche magiche, senza successo alcuno; poi, di colpo, riacquista la virilità. Ecco però che la commedia di Eumolpo comincia a incrinarsi: i Crotoniati stanno per scoprire il raggiro.
Nell'ultima scena del testo che ci è rimasto, Eumolpo lancia un bizzarro espediente: si dà lettura di un assurdo testamento, per cui chi vuole godere dei lasciti di Eumolpo dovrà cibarsi del suo cadavere (Eumolpo è malato, o è morto, o finge di esserlo: questo particolare ci sfugge). Ma i pretendenti, accecati dalla cupidigia, sono pronti a farsi i cannibali...
Ancora una volta, quando il nostro testo si interrompe, troviamo il protagonista in una posizione di scacco, creata proprio dal tentativo di liberarsi da una minaccia incombente. Non sappiamo come si concludesse l'avventura di Crotone, né quanto durasse ancora il romanzo; immaginare il finale dell'opera è poi del tutto impossibile. Nessuno degli episodi che abbiamo lascia prevedere il successivo, e non sappiamo del resto, fino a che punto il Satyricon rappresenti un romanzo secondo il nostro concetto moderno di questo genere letterario
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