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Orazio
Carmina I, 9: Scaccia la tristezza dell'inverno
Noti come il Soratte sia candido per l'alta neve
ed ormai le selve affaticate
non sostengano il peso ed
i fiumi si siano fermati per il gelo acuto?
Dissolvi il freddo spargendo
abbondantemente la legna sul fuoco
e versa più benignamente
il vino [vecchio] di quattro anni
dall'anfora sabina, o Taliarco.
La scia le altre cose agli dèi,
che hanno appena prostrato i venti
che combattevano sul mare agitato,
e né i cipressi né i vecchi olmi sono agitati.
Rifuggi dal chiedere che cosa sia il futuro domani, e
qualunque giorno la sorte ti darà, poni[lo] a guadagno,
e non disprezzare, o fanciullo, i dolci amori,
né le danze, finché la noiosa canizie sta lontana da te verdeggiante.
Ora si cerchino il campo, le piazze ed
i leggeri sussurri durante la notte all'ora stabilita,
ora [si cerchi] anche la gradita risata,
traditrice della fanciulla che si nasconde
dall'angolo oscuro ed il pegno
strappato dalle braccia o
dal dito che male lo trattiene.
Carmina I, 10: Godi la dolcezza della primavera
Si discioglie l'acre inverno al gradito ritorno della primavera e
del Favonio, e gli argani tirano le navi secche,
e né ormai il gregge gode delle stalle o il contadino del fuoco,
né i prati biancheggiano per le candide nevi.
Già la Venere Citerea conduce le danze sotto la luna
e le amabili Grazie congiunte alle Ninfe
Percuotono il suolo con passo alternato, mentre l'ardente
Vulcano visita le laboriose officine dei Ciclopi.
Ora conviene o cingere il capo rilucente col verde mirto
o col fiore, che le terre disgelate portano;
ora conviene immolare a Fauno negli ombrosi boschi,
sia che voglia [essere immolato] con un agnello sia che preferisca con un capretto.
La Pallida Morte bussa con piede imparziale alle taverne dei poveri
ed alle torri dei re. O mio caro Sestio,
la breve durata della vita ci vieta di concepire una lunga speranza:
già t'incalzerà la notte ed i Mani della leggenda e la grama
casa di Plutone; dove appena sarai andato,
non avrai in sorte coi dadi i regni del vino
e non vedrai più il tenero Licida, per il quale
tutta la gioventù arde e tra poco languiranno le vergini.
Carmina I, 11: L'ode del Carpe diem
Tu non chiedere (non è lecito sapere) quale fine a te, quale a te
gli dèi abbiano dato, o Leuconoe, e non tentare calcoli
babilonesi. Com'è meglio accettare qualsiasi cosa sarà,
sia i molti inverni, sia che Giove ci abbia attribuito l'ultimo,
che ora il mar Tirreno squassa con scogli opposti:
sii saggia, mesci i vini ed allontana la lunga speranza
essendo breve il tempo [rimastoci]. Mentre parliamo, il tempo crudele sarà
Ahimè gli anni, Postumo, Postumo,
scorrono fugaci, e la devozione non apporterà
una sosta alle rughe ed alla vecchiaia incombente
ed all'indomabile morte,
non se plachi, con trecento tori quanto corrono i giorni,
l'implacabile Plutone, che racchiude il tre volte ampio
Gerione e Tizio con la triste onda,
[che sarà] naturalmente da navigare da tutti noi,
quanti mangiamo il frutto della terra,
sia che saremo re o poveri contadini.
Invano cercheremo di stare lontani dal cruento Marte,
dai flutti dell'Adriatico rauco che s'infrangono,
invano durante gli autunni temeremo
l'Austro dannoso per i [nostri] corpi.
Dovremo vedere il tetro Cocito che scorre
con languido corso e l'infame stirpe di Danao
e Sisifo Eolide dannato per la lunga fatica.
Dovremo lasciare la terra, la casa e la piacente
moglie, e nessuno di quegli alberi che coltivi seguirà
te breve padrone, se non gli odiosi cipressi.
Un erede più degno berrà il vino Cecubo
conservato con cento chiavi e bagnerà
il pavimento col superbo vino,
più degno [di quello che si serve] nelle cene dei pontefici.
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