Seneca - De clementia I
Scribere de
clementia, Nero Caesar, institui, ut quodam modo speculi vice fungerer et te
tibi ostenderem perventurum ad voluptatem maximam omnium. Quamvis enim recte
factorum verus fructus sit fecisse nec ullum virtutum pretium dignum illis
extra ipsas sit, iuvat inspicere et circumire bonam conscientiam, tum immittere
oculos in hanc immensam multitudinem discordem, seditiosam, impotentem, in
perniciem alienam suamque pariter exsultaturam, si hoc iugum fregerit, et ita
loqui secum: 2. 'Egone ex omnibus mortalibus placui electusque sum, qui in
terris deorum vice fungerer? Ego vitae necisque gentibus arbiter; qualem
quisque sortem statumque habeat, in mea manu positum est; quid cuique mortalium
Fortuna datum velit, meo ore pronuntiat; ex nostro responso laetitiae causas
populi urbesque concipiunt; nulla pars usquam nisi volente propitioque me
floret; haec tot milia gladiorum, quae pax mea comprimit, ad nutum meum
stringentur; quas nationes funditus excidi, quas transportari, quibus libertatem
dari, quibus eripi, quos reges mancipia fieri quorumque capiti regium
circumdari decus oporteat, quae ruant urbes, quae oriantur, mea iuris dictio
est. 3. In hac tanta facultate rerum non ira me ad iniqua supplicia compulit,
non iuvenilis impetus, non temeritas hominum et contumacia, quae saepe
tranquillissimis quoque pectoribus patientiam extorsit, non ipsa ostentandae
per terrores potentiae dira, sed frequens magnis imperiis gloria. Conditum,
immo constrictum apud me ferrum est, summa parsimonia etiam vilissimi
sanguinis; nemo non, cui alia desunt, hominis nomine apud me gratiosus est. 4.
Severitatem abditam, at clementiam in procinctu habeo; sic me custodio, tamquam
legibus, quas ex situ ac tenebris in lucem evocavi, rationem redditurus sim.
Alterius aetate prima motus sum, alterius ultima; alium dignitati donavi, alium
humilitati; quotiens nullam inveneram misericordiae causam, mihi peperci. Hodie dis immortalibus, si a me rationem repetant, adnumerare genus humanum
paratus sum.
[1] Mi
sono accinto a scrivere sulla clemenza, o Cesare Nerone, per farti in qualche
modo da specchio e per dimostrarti che sei destinato a giungere alla gioia più
grande di tutte. Infatti sebbene il vero frutto delle buone azioni sia l'averle
compiute e non vi sia nessun premio delle virtù degno di esse al di fuori di
quelle stesse virtù, pure è piacevole osservare e cogliere la propria buona
coscienza e poi volgere gli occhi su questa smisurata moltitudine discorde,
sediziosa, incapace di controllarsi, pronta a slanciarsi allo stesso modo alla
rovina altrui e alla propria se spezzerà questo vincolo e dire così dentro di
sé: [2] "Proprio io fra tutti i mortali sono piaciuto e sono stato eletto a
svolgere in terra il ruolo degli dei? Io sono arbitro della vita e della morte
per i popoli; nella mia mano è posto quale destino e quale condizione deve
avere ciascuno; che cosa la sorte vuole che sia dato a ciascuno dei mortali lo
dice per bocca mia; in base al mio responso i popoli e le città concepiscono
ragioni di gioia ; nessuna parte del mondo prospera se io non lo voglio e non
sono favorevole; queste migliaia di spade che la mia pace tiene a freno a un
mio cenno saranno sguainate; è in mio potere quali popoli distruggere
completamente, quali trasferire, a quali concedere la libertà, a quali
toglierla, quali re è opportuno rendere schiavi, a chi invece convenga
circondare in capo con la corona regale, quali città vadano abbattute, quali
innalzate. [3] In questa così grande possibilità di mezzi non l'ira mi spinse a
ingiuste punizioni, non la foga naturale della giovinezza, non l'audacia e la
sfrontatezza degli uomini che spesso fanno perdere la pazienza anche ai
caratteri più placidi, non la vanagloria di ostentare il proprio potere col
terrore terribile ma frequente nei grandi imperi. La spada presso di me è
riposta, anzi legata; ho la volontà di risparmiare al massimo anche il sangue
più vile; non c'è nessuno cui manchi ogni altra dote che non sia davanti a me
degno di pregio per il solo nome di uomo. [4] Ho nascosto la severità, la mia
benevolenza è pronta: così mi difendo se dovessi rendere conto delle leggi, che
ho richiamato dalla muffa e dall'oscurità alla luce, ho risentito la grandezza.
Mi sono commosso per la giovane età di alcuni, per la tarda età dell'altro: ad
alcuni ho donato dignità, ad altri umiltà; ogni volta che non ho trovato nessun
motivo di misericordia, ho risparmiato me stesso. Anche oggi agli dei
immortali, se essi mi chiedono come, sono pronto a enumerare il genere umano.