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Commento all'epistula 1,7 : "Intellettuale e potere"




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Commento all'epistula 1,7 : "Intellettuale e potere"



L'Epistula 1, 7 fa parte dell'opera che ha coinvolto Orazio nell'ultimo periodo della sua vita: Le Epistole.

E' un' opera scritta in esametri e comprende due libri: nel primo la sua attenzione si concentra sulla ricerca del giusto mezzo, del rifiuto dell'eccesso, e della morte, che aspetta inesorabilmente ogni uomo, mentre nel secondo libro si fa intensa la riflessione del rapporto tra intellettuale e potere.

L'Epistula 1,7 ne è un esempio significativo; probabilmente composta al termine dell'estate del 23 a.C. ,l'epistula venne scritta da Orazio rivolgendosi a Mecenate, suo protettore e amico. Egli invita il poeta a trattenersi con lui a Roma più frequentemente,ma Orazio rivendica la sua libertà, frutto della stima guadagnata col tempo e con il suo merito e lo fa attraverso la narrazione in versi di Apologhi e aneddoti.

Nei versi 1-14 Orazio esordisce rivolgendosi a Mecenate: il poeta descrive i luoghi in cui vive,e in cui vorrebbe rimanere per rilassarsi,contro il desiderio di mecenate, che al contrario vorrebbe che Orazio lo raggiungesse a Roma.

Inoltre, descrive i mesi d'Autunno e le malattie che raggiungono Roma e che Orazio vorrebbe risparmiarsi, stando nel podere in Sabina, e le prime nevicate,che Orazio non affronterà recandosi nelle città più calde..

Dal verso 15 al verso 30 Orazio affronta l'apologo del Calabrese,in cui fa notare come Mecenate gli stia dicendo insistentemente di raggiungerlo, e spera che non faccia la fine della sgarbataggine del Calabrese. Infatti il poeta considera Mecenate un uomo che ha saputo riconoscergli la bravura , ma questo non deve influenzare Orazio nella sue scelte e nelle sue esigenze.

Nei versi 30-39 inizia il secondo apologo: è la storia della volpetta, che affamata, si infila in una bugnola piena di cibo, attraverso una fessura, e in seguito, troppo sazia non riesce più ad uscire. <S'attaglia ai miei casi, questa favola, ed io sono pronto a render tutto> dice Orazio, perché sa che a differenza della volpe, lui è capace di privarsi di tutte le sue ricchezze per ritrovare la libertà.

Una delle parti più intime dedicata a Mecenate, sono i versi 39-40-41 in cui Orazio dice:<Spesso hai lodata la mia riservatezza:mio re t'ho chiamato, mio padre, in tua presenza;né lesinavo, te assente, le lodi>. Qui Orazio cerca di dimostrare che l'ammirazione nei confronti di Mecenate è del tutto sincera e continua dicendo: <Ad un uomo da poco , occorron cose da poco. Non Roma regale: Tivoli piace a me, spopolata, oppur Taranto imbelle > e ribadendo il concetto della libertà(versi 46-48).

Inizia dal verso49  la storia di Volteio Mena:Orazio non vorrebbe che Mecenate diventasse come Filippo, che attrae Volteio Mena a condurre una vita a lui non consona. Ai versi 59-65 l'espressione "va, torna,riferisce"è un asindeto, e in seguito viene affrontata una sorta di carta di Identità del liberto. Una forte espressione usata è "all'amo nascosto tornò il pesciolino", che indica come Il patronus Filippo sia riuscito a raggirare Volteio, legandolo a sé, con debiti e proprietà."ti supplico di farmi tornare alla vita di prima", espressione di Volteio con cui si conclude la novella e che denota il desiderio di Orazio di non trovarsi nella stessa situazione di Volteio.

L'epistola termina con una terzina di versi, che racchiude tutta la morale della poesia:Orazio nota che è importante non pretendere più di ciò che possiamo permetterci, "fare il passo secondo la gamba". Godere di ciò che abbiamo nell'istante in cui l'abbiamo. In questo si riconosce la filosofia Epicurea, in quanto egli si basa sul vivere dei piccoli piaceri nel presente, senza credere nel fato, nel futuro in cui non si può essere certi di ciò che accade. Inoltre sapersi allontanare dal "negotium", e dalle passioni, e  vivere secondo un giusto mezzo , un equilibrio da ricercare in ogni cosa è estremamente importante.
















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