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"Parlare un linguaggio" per Wittgenstein significa giocare con determinate regole. L'uso delle parole "vero" e "falso" è uno dei giochi linguistici giocabile, ma non è l'unico. I filosofi tendono spesso a credere che debba esserci qualche giustificazione per ogni gioco linguistico, mentre per Wittgenstein questo è falso. Cercare infatti i fondamenti dei giochi linguistici sarebbe inutile e non avrebbe senso. Proviamo ad esempio a rispondere alla domanda : "che cos'è una parola?". Per il filosofo è come rispondere a "che cos'è un pezzo degli scacchi". Quando parliamo di parole non ricerchiamo la loro giustificazione; sarebbe come rispondere alla seconda domanda, enunciando le proprietà fisiche dei singoli pezzi del gioco da tavolo. Wittgenstein pensa che il significato di un pezzo degli scacchi è dato solamente dall'uso che se ne fa, così anche per quanto riguarda le parole. Parlare un linguaggio fa parte di un'attività, di una "forma di vita". Recitare in teatro, fare indovinelli, tradurre da una lingua in un'altra sono tutti giochi linguistici, costituiti da diverse regole e sono tutte attività umane di tipo sociale. Per fare in modo che il linguaggio significhi qualcosa, è necessario che il suo uso segua delle regole, così come per giocare è necessario seguire regole. Una domanda sorge spontanea.è possibile creare un linguaggio privato? La risposta è "no". Quando si parla di linguaggio parliamo di un fenomeno a carattere sociale ed è subito evidente se un individuo sta seguendo o non sta seguendo determinate regole. Lo stesso accade per quanto riguarda il gioco, in quanto le mosse del gioco, tralasciando quelli singoli come il solitario, sono possibili solo in un contesto sociale e il non seguire la regola comporta poi una modifica del gioco stesso. E' così che Wittgenstein abbandona la completa soggettività, rifiutando appunto l'idea di un linguaggio privato.
Per essere sicuri di comprendere al meglio il vero significato del linguaggio è bene liberarsi dall'idea che ogni parola sia definibile soltanto attraverso la sua definizione. Secondo un suo racconto, durante una conversazione con l'economista Pietro Sraffa egli si rese conto dei limiti della concezione del linguaggio presente nel Tractatus. Egli sosteneva che una proposizione e ciò che essa descrive devono avere la stessa forma logica. Ma quando Sraffa si passò la punta delle dita di una mano sotto il mento e domandò quale fosse la forma logica del gesto, Wittgenstein si trovò in serie difficoltà ed esemplificò in seguito questa idea attraverso le analisi delle possibili definizioni della parola "gioco". Consideriamo ad esempio i giochi da scacchiera, i giochi di carte, giochi di palla, le gare sportive. Che cosa hanno in comune? Niente! A prima vista la risposta data potrà sembrare errata, ma non è così. Non si potrà mai trovare qualcosa che sia comune a tutti, ma solo una serie di affinità, intrecciate tra loro. Si sta parlando delle "somiglianze di famiglia", in quanto tra i membri di una famiglia alcuni si assomigliano per certi tratti, altri per altri tratti. Se accostiamo le gare sportive con i giochi di palla si potranno trovare alcuni elementi comuni, non presenti ad esempio nel gioco della dama. E' impossibile quindi generalizzare il concetto di gioco. Basta pensare ad esempio che non tutti i giochi hanno degli spettatori, non sempre c'è competizione ( solitario) e nemmeno si può sostenere che in un gioco c'è un vincere e un perdere (il bambino che getta la palla contro il muro, non può di certo vincere o perdere, in quanto non è presente alcun avversario). Wittegenstein però non afferma che la parola "gioco", sebbene ci siano diverse forme che lo caratterizzano, abbia diversi significati, come per esempio la parola "bolla", che può significare un oggetto sferico o una lettera firmata dal papa; sostiene invece che il senso univoco della parola è dato da una rete di somiglianze, che non può essere espressa attraverso una semplice definizione, che tende a generalizzare un concetto. Lo scopo di Wittgenstein fu proprio dimostrare il contrario e ci riuscì perfettamente, in modo molto chiaro e preciso.
Quello che invece credo non sia del tutto esatto è il concetto di regola. Egli affermava in primo luogo che le regole non prevedono tutti i casi possibili, nemmeno nei giochi più semplici; su questo sono pienamente d'accordo, in quanto le regole di ogni gioco sono legate alle possibilità dei giocatori. Nel basket non esiste alcuna regola che dice quanti punti valga un canestro lanciato dalla parte opposta del campo. Se qualcuno fosse in grado di farlo, probabilmente si dovrebbe introdurre una nuova regola. Il fatto è che nessuno è ancora riuscito, quindi, il problema non sussiste. Analizziamo ora il secondo punto: le regole sono sempre soggette a interpretazioni. Per far valere la sua tesi Wittgenstein pone un esempio molto semplice; pensiamo ad un' indicazione data con un movimento della mano. Quella che appare come un'indicazione sbagliata, può essere considerata giusta se si interpreta il gesto come un'indicazione della direzione dalla punta del dito al polso. Ma per convenzione tutti sappiamo che è la punta dell'indice a dare la giusta informazione, quindi è inutile porre la questione della "direzione sbagliata che può risultare giusta", perché non ha alcun fondamento. Lo stesso vale per il concetto di addizione. Seguendo la regola comune dell'addizione tutti saprebbero che " 5 + 10 = 15 ". Wittgenstein suppone di incontrare uno scettico che sia convinto che il risultato sia 7. Un matematico naturalmente non accetterebbe mai tale risposta. Lo scettico argomenta invece che noi probabilmente sbagliamo a considerare la funzione, in quanto non sono mai state date istruzioni su questo caso particolare e quindi sfida il matematico a dare un motivo valido per dimostrare che la somma sia necessariamente 15. Lo scettico secondo Wittgenstein non ha tutti i torti, in quanto la funzione che egli ha considerato avrebbe potuto chiamarsi "viù" e indicarla con "§". Infatti :
"Chi può dire che non sia questa la funzione che prima io intendevo con " + " ? Lo scettico sostiene che io sto ora fraintendendo il mio stesso uso del passato. Con più, egli dice, io ho sempre inteso viù"
Il problema consiste, secondo me, nel fatto che è impossibile contestare la regola dell'addizione; ci si può chiedere il perché il risultato sia proprio quello, quale metodo è stato usato, ma non si può sostenere che un altro simbolo inventato possa definire un risultato da considerare valido. Se sono state fatte delle regole è perché queste devono essere seguite da tutti; il semplice fatto che "addizionare" significa sommare 5 a 10 e che questo sia di conoscenza comune, non è altro che un bene. Se tutti infatti interpretassimo le regole a nostro piacimento, si arriverebbe al caos e riguardo ad un gioco, sarebbe impossibile portarlo a termine. Le regole sono pubbliche, vengono apprese e applicate in un contesto sociale; così come non si può parlare di linguaggio privato, non si può neanche seguire una regola privatamente. La chiave della soluzione del problema è che esiste un modo di concepire la regola che non è un'interpretazione della stessa. Secondo Wittgenstein, ciò che dovrebbe essere chiamata interpretazione è solo la sostituzione di un'espressione della regola con un'altra; l'agire ha tutt'altra natura. Solo una volta agito si può capire se stata seguita la regola o no. Ma questo non vuol dire che il comportamento può essere giustificato, soprattutto quando è segnalato come non conforme alla regola.
Io ritengo che le interpretazioni che si possono dare alle diverse situazioni sono quindi molteplici. Parlare una lingua e formulare la frase richiede un notevole sforzo, in quanto si deve cercare di far comprendere al nostro interlocutore il reale senso delle parole, quello che intendiamo veramente trasmettergli. Per Wittgenstein , infatti, bisogna smettere di credere che il significato di un termine consista in una realtà ad esso corrispondente, che ogni espressione linguistica possieda un significato fisso, che tutte le proposizioni debbano essere riducibili a proposizioni elementari. Ritengo che vi siano molteplici forme di linguaggio e questa molteplicità non può neppure essere stabilita una volta per tutte: nascono continuamente nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici, mentre altri cadono in disuso. Questo carattere polimorfo della realtà mi porta quindi a pensare che questa sia molteplice, che ci sia ben altro dietro alla prima impressione. Rimanendo nel tema del gioco, pensiamo ad esempio ad un pezzo degli scacchi; a prima vista ci può sembrare un banalissimo oggetto, senza significato. Ma chi ci dice che anche i pezzi da gioco non siano qualcosa di più di semplici oggetti di legno?
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