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Il gioco simbolico segna senza dubbio l'apogeo del gioco infantile ( tra i cinque e i sei anni). Più ancora delle altre forme di gioco,quello simbolico, corrisponde alla funzione essenziale che il gioco riempie nella vita del bambino. Costretto ad adattarsi senza sosta ad un mondo sociale di adulti, i cui interessi e regole gli restano estranei, e ad un mondo fisico, che nella maggioranza dei casi, non è alla sua portata, il bambino quindi non riesce come noi adulti a soddisfare a pieno i suoi bisogni affettivi ed intellettuali del suo io, che per gli adulti sono più o meno completi, ma rimangono per lui tanto più incompleti quanto più è in tenera età.
È dunque indispensabile al suo equilibrio affettivo e intellettuale che egli possa disporre di un settore di attività la cui motivazione non sia l'adattamento al reale, ma al contrario l'assimilazione del reale all'io, senza costrizioni ne sanzioni: tale è il gioco, che trasforma il reale per assimilazione più o meno pura ai bisogni dell'io, mentre l'imitazione è l'accomodamento ai modelli esteriori e l'intelligenza è equilibrata tra l'assimilazione e l'accomodamento.
Inoltre, come abbiamo già detto, anche per il gioco simbolico, lo strumento essenziale all'adattamento sociale è il linguaggio, che non è inventato, ma viene trasmesso in forme già pronte, obbligate e di natura collettiva, in altre parole anche queste di nuovo improprie e inadeguate ad esprimere i bisogni o le esperienze vissute dall'io del bambino.
È dunque, di nuovo, indispensabile che il bambino possa disporre ugualmente di un proprio mezzo di espressione, cioè di un sistema di significati costruiti da lui e docili ai suoi voleri: tale è il sistema dei simboli caratteristici del gioco simbolico, presi a prestito dall'imitazione come strumenti, ma da un'imitazione non ricercata per sé e semplicemente utilizzata come mezzo per evocare al servizio dell'assimilazione ludica; tale è il gioco simbolico, che non è soltanto assimilazione del reale all'io, come il gioco generale, ma assimilazione assicurata e rinforzata da un linguaggio simbolico costruito dall'io e modificabile a seconda dei bisogni.
La funzione d'assimilazione all'io che riempie il gioco simbolico si manifesta sotto forme particolari, nella maggior parte dei casi sono soprattutto affettive, ma talvolta al servizio d'interesse conoscitivo.
Generalmente il simbolismo ludico può giungere ad adempiere la funzione che per un adulto sarebbe rappresentata dal linguaggio interiore, ma invece di ripensare semplicemente ad un avvenimento interessante o impressionante, il bambino ha bisogno di un simbolismo più diretto che gli permetta di rivivere quest'evento, invece di accontentarsi di un'evocazione mentale.
Sono però soprattutto i conflitti affettivi che riappaiono nel gioco simbolico, si può esser certi, ad esempio, che se a tavola ha luogo una qualsiasi, per noi adulti, piccola scena banale di discussione o di rimprovero, qualche ora dopo il dramma sarà riprodotto in un gioco di bambole o pupazzi e risolto con un finale molto più felice, probabilmente integrando nel gioco quello che il suo amor proprio nella realtà gli impediva di accettare,ad esempio mangiare un piatto di minestra per lui detestabile.
Questo simbolismo così accentrato sull'io non consiste solo nel formulare e alimentare i vari interessi coscienti del soggetto. Il gioco simbolico mobilita frequentemente anche dei conflitti inconsci: interessi sessuali, difese contro l'angoscia, fobie, aggressività o identificazione con degli aggressori, rinunce per timore del rischio o della competizione, ecc.
Il simbolismo del gioco raggiunge in questi casi quello del sogno, a tal punto che i metodi specifici di psicoanalisi infantile spesso si servono dei materiali di gioco, vedi Melanine Klein, Anna Freud .
I limiti cosi labili fra il conscio e l'inconscio di cui è testimone il gioco simbolico infantile fanno piuttosto pensare che il simbolismo del sogno sia analogo a quello del gioco, perché il dormiente perde nello stesso tempo l'utilizzazione ragionata del linguaggio, il senso del reale e gli strumenti deduttivi o logici della sua intelligenza: si trova allora senza volerlo nella situazione di assimilazione simbolica che il bambino ricerca per se stesso.
C. G. Jung aveva giustamente notato che questo simbolismo onirico consiste in una sorta di linguaggio primitivo, che corrisponde a ciò che abbiamo nel gioco simbolico e ha avuto il merito di studiare e di mostrare la vasta generalità di certi simboli, senza però prove concrete.
Principalmente esistono tre categorie di giochi:
la forma primitiva del gioco, la sola che venga rappresentata a livello senso - motorio, ma che si conserva in parte in seguito, è "il gioco d'esercizio", che non comporta alcun simbolismo né alcuna tecnica specificatamente ludica, ma consiste nel ripetere per puro divertimento delle attività acquisite altrove a scopo di adattamento, ad esempio il bambino avendo scoperto per caso la possibilità di far dondolare un oggetto sospeso, tenterà di riprodurre il risultato per adattarlo a sé e per capirlo, pio utilizzerà questo comportamento per puro divertimento e piacere funzionale, forse anche per affermare un sapere appena acquisito;
poi viene il vero e proprio "gioco simbolico", di cui abbiamo appena visto i caratteri principale nel paragrafo precedente e che trovo il momento di maggior sviluppo e utilizzo nella fascia d'età compresa tra i tre e i sei anni;
arriviamo poi al momento in cui compaiono i "giochi con le regole", che si trasmettono socialmente da bambino a bambino e aumentano quindi d'importanza con il progresso della vita sociale del bambino.
A partire dal gioco simbolico poi, si sviluppano dei giochi di costruzione, inizialmente ancora impregnati di simbolismo ludico, ma che tendono in seguito a costruire veri e propri adattamenti, soluzioni di problemi o creazioni intelligenti.
Il compagno immaginario:
Parlando del gioco simbolico, non possiamo dimenticare di parlare del "compagno immaginario"[2], che molto bambini dicono di avere come compagni di gioco.
Esso compare nel cosiddetto periodo di latenza, cioè verso i sei anni, e rappresenta un fenomeno di fondamentale importanza, probabilmente anch'esso ha un significato transizionale ed ha caratteristiche intellettive.
Esso rappresenta una sorta di "alter ego" creato in segreto dal bambino, che spesso gli da anche un nome, è asessuato nella sostanza e ha spesso poteri sovrannaturali. Da una ricerca effettuata nel 1990 da T.Giani Gallino è emerso che circa il 71% dei bambini intervistati, ha confermato l'esistenza di un compagno immaginario, anche se molti lo chiamano "amico inventato", nei bambini è sempre di sesso maschile mentre nelle bambine può variare indistintamente, solo la metà circa dà anche un nome a questo amico.
Molto interessante si è rivelato anche il tipo di rapporto che si crea tra il bambino e questo amico, nel primo anno di comparsa, generalmente, si instaura un rapporto possessivo, costante e sempre presente soprattutto nei momenti di gioco individuale.
Trascorso il primo anno, il rapporto comincia a sfumare progressivamente, ma prima che scompaia completamente dovranno passare alcuni anni, a volte la sua presenza permane fino ai quindici anni.
Secondo la stragrande maggioranza dei bambini intervistati, il compagno immaginario deve restare segreto, al massimo se ne può parlare con la madre o con un fratello.Il compagno immaginario svolge comunque una funzione intellettiva e psicologica molto positiva e si risolve, nella maggioranza dei casi, con il sopraggiungere della pubertà.
Un'interpretazione del gioco simbolico, molto importante e diversa, anche se non incompatibile da quella data da J.Piaget, è stata data nel 1932 dallo studioso L. S. Vygotski , il quale sosteneva che il gioco è l'espressione dei bisogni del bambino e costituisce la motivazione della sua azione.
Insieme al gioco simbolico si sviluppa un processo psicologico nuovo: l'immaginazione, che non esiste né negli animali, né nei bambini di pochi mesi. Essa nasce dall'azione e diventa una funzione della mente ed in questo senso il gioco può essere considerato un'attività fondamentale per determinare lo sviluppo mentale del bambino
Psicologia e sviluppo mentale del bambino parte II "La psicologia del bambino", cap. III, a cura di J. Piaget, ed
Mondadori, Milano, 1964
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