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I SISTEMI DI COMUNICAZIONE
Dalla comunicazione animale alle miniaturizzazioni elettroniche
Comunicazione Trasmissione e ricezione di idee, informazioni, messaggi, dati. Negli ultimi 150 anni, e più particolarmente negli ultimi due decenni, la trasmissione e il rapido accesso all'informazione a distanza sono diventati caratteristiche sempre più importanti della nostra società.
Origini
La comunicazione tra esseri umani è il risultato di metodi acquisiti nel corso dei secoli, con lo sviluppo delle espressioni gestuali, del linguaggio e della necessità di vivere in società.
Comunicazione tra gli animali
Le modalità dei processi di comunicazione tra animali, la cui importanza era già stata sottolineata da Charles Darwin, sono ancora oggi oggetto di studi; alcune recenti ricerche hanno mostrato come gli animali utilizzino una grande varietà di azioni, suoni e gesti per comunicare con i propri simili. Ad esempio, quando le api individuano una fonte di nettare, ne rivelano la posizione alle compagne dell'alveare per mezzo di una precisa danza che indica anche la ricchezza della fonte individuata. Gli studi sul comportamento animale hanno inoltre permesso di registrare e identificare numerosi richiami di uccelli e hanno mostrato come le balene e i delfini ricorrano a suoni elaborati per mezzo dei quali comunicano sott'acqua, a grande distanza.
Linguaggio
Le origini del linguaggio sono ancora oggi misteriose. Secondo alcuni studiosi il linguaggio è una conseguenza delle attività di gruppo, come il lavorare insieme o il danzare, mentre un'altra teoria sostiene che esso si sia sviluppato dai semplici suoni che accompagnavano le espressioni gestuali. Alcune parole possono aver imitato suoni naturali, altre invece possono essere derivate dall'espressione di emozioni come il riso e il pianto.
Oggi nel mondo si parlano circa 3000 lingue e dialetti importanti. Mentre alcuni idiomi si diffondono tra un numero sempre maggiore di parlanti, altri divengono via via più rari e talvolta si estinguono completamente.
Simboli e alfabeti
Fin dagli albori della civiltà l'uomo ha cercato di comunicare significati, realizzando graffiti e dipingendo le pareti delle grotte con segni e simboli di vario genere. A mano a mano che il sapere umano progrediva, divennero necessari mezzi diversi per trasmettere informazioni e si svilupparono le prime forme pittografiche di scrittura, come la cuneiforme, in cui gli oggetti venivano rappresentati per mezzo di simboli.
La scrittura trasmetteva così solo i puri significati e non il suono delle parole a essi corrispondenti. Con il tempo si cominciò a introdurre elementi fonetici accanto ai pittogrammi: ciò accadde ad esempio nella scrittura cuneiforme, ma anche i geroglifici egizi subirono un'evoluzione simile. Queste forme miste di scrittura incorporavano segni per la rappresentazione delle consonanti, ma non giunsero a costituire un vero e proprio alfabeto. Quest'ultimo, inventato nel Medio Oriente e portato in Grecia dai fenici, consisteva inizialmente di sole consonanti; furono i greci ad aggiungervi i suoni vocalici.
Comunicazioni a distanza
Con lo sviluppo della civiltà e dei linguaggi scritti giunse anche la necessità di comunicare regolarmente a distanza, in modo da gestire il commercio e i rapporti fra le diverse nazioni.
Carta e stampa
Gli egizi ottenevano supporti per la scrittura ricavando strisce dal fusto del papiro. Una scoperta successiva fu la pergamena, ottenuta dalla pelle di pecora opportunamente trattata. Nel frattempo in Cina, all'incirca nel 105 d.C., fu inventato un primo metodo di fabbricazione della carta, materiale che giunse in Europa oltre mille anni più tardi. Verso la metà del XV secolo lo stampatore tedesco Johann Gutenberg usò per la prima volta in Europa caratteri tipografici mobili per stampare la Bibbia. I primi almanacchi, dapprima dedicati al commercio e poi trasformatisi in veri e propri giornali e periodici rivolti al grande pubblico, cominciarono a diffondersi nell'Europa del XVII secolo.
Le tecniche di stampa si svilupparono rapidamente nei secoli successivi, specialmente dopo la scoperta della forza motrice del vapore, usata per azionare le stampatrici, e l'invenzione delle macchine per la composizione tipografica. La prima di queste macchine, la Linotype, fu brevettata nel 1884 dal tedesco-statunitense Ottmar Mergenthaler; molte altre tecniche di stampa su larga scala, sempre più rapide, furono sviluppate nei decenni successivi.
Servizi postali
Tra i molti servizi di comunicazione dell'antichità, il migliore era il sistema di posta dell'impero persiano, a cui si ispirarono anche i romani. Il sistema si basava su staffette di messi a cavallo, i cui punti intermedi erano costituiti dalle stazioni di posta.
Inizialmente i servizi postali dell'Europa medievale erano quasi tutti privati, ma dopo il Rinascimento si ebbe un progressivo sviluppo dei sistemi postali pubblici, a scapito di quelli privati che entro la fine del XVII o l'inizio del XVIII erano ormai quasi completamente scomparsi.
Comunicazioni a distanza più rapide
Fin dall'inizio, i sistemi postali moderni si evolsero di pari passo con lo sviluppo della ferrovia, dei motoveicoli, degli aerei e di altri mezzi di trasporto. Già i popoli antichi sentivano l'esigenza di metodi rapidi di comunicazione a distanza: i messaggi potevano essere trasmessi con suoni a percussione (il tam-tam dei tamburi della foresta), fuochi, segnali di fumo e suoni di corno o di tromba. Nel tempo, trombe e tamburi avrebbero svolto un ruolo importante nelle comunicazioni militari. Nel Medioevo, per trasmettere messaggi, si faceva spesso ricorso ai piccioni viaggiatori. Verso il 1790 Claude Chappe, uno scienziato francese, ideò un sistema semaforico a palette tramite il quale era possibile trasmettere messaggi a molti chilometri di distanza. Questo ingegnoso sistema, che si basava sull'uso di telescopi e specchi riflettenti, era tuttavia piuttosto lento, perché ogni segnale doveva essere ripetuto per conferma da chi lo aveva ricevuto.
Telegrafo
Nel XVIII secolo, quando si raggiunse una discreta comprensione del fenomeno dell'elettricità, gli inventori cominciarono a ricercare un metodo per trasmettere rapidamente messaggi a distanza per mezzo di segnali elettrici. Il primo telegrafo, tuttavia, fu realizzato solo nel XIX secolo: due invenzioni analoghe furono annunciate nello stesso anno, il 1837: una, in Gran Bretagna, da Charles Wheatstone e William F. Cooke, l'altra, negli Stati Uniti, da Samuel F.B. Morse, il quale ideò anche il codice Morse, un sistema di punti e linee che fu universalmente adottato per il nuovo strumento. In seguito, nel 1874, Thomas Edison mise a punto un telegrafo con il quale si potevano trasmettere simultaneamente due messaggi in ciascuno dei due sensi.
Telefono
Anche se la telegrafia rappresentò un grande progresso nelle comunicazioni rapide a distanza, i primi telegrafi potevano trasmettere i messaggi solo lettera per lettera. Gli studi si concentrarono allora sulla ricerca di un mezzo di comunicazione vocale che sfruttasse l'elettricità. I primi dispositivi progettati a questo scopo erano in grado di trasmettere vibrazioni sonore, ma non parole. Il primo telefono elettrico nel senso moderno della parola, inventato dall'italiano Antonio Meucci, venne brevettato nel 1876 dall'inventore statunitense Alexander Graham Bell. Nello stesso periodo, Thomas Edison mise a punto il metodo per registrare e riprodurre le onde sonore, aprendo la strada all'invenzione del giradischi.
Radio
I primi sistemi telegrafici e telefonici dipendevano dalla presenza fisica di fili per la trasmissione dei messaggi, ma le successive scoperte scientifiche mostrarono altre possibilità. La teoria della natura elettromagnetica della luce, esposta nel 1873 dal fisico britannico James Clerk Maxwell, trovò conferma nello studio del fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz; questi, nel 1887, scoprì le onde elettromagnetiche, ponendo così le basi teoriche della telegrafia senza fili.
Nel 1896 Guglielmo Marconi trasmise un segnale radio da Penarth a Weston-super-Mare, in Inghilterra, e nel 1901 inviò un radiosegnale oltre l'Atlantico dalla Cornovaglia. La valvola termoionica a due elementi fu inventata dal fisico britannico John Ambrose Fleming nel 1904, mentre alcuni anni dopo l'inventore statunitense Lee De Forest realizzò una valvola termoionica a tre elementi, che costituì la base per molti dispositivi elettronici. Nel 1920 diverse stazioni radio avevano già cominciato a operare in alcuni paesi.
Comunicazione delle immagini
Gli antichi manoscritti erano decorati con elaborate miniature; verso la fine del XV secolo si iniziò a usare per i libri stampati illustrazioni incise su legno, mentre alla fine del XVIII secolo fu inventata la litografia, che permise la riproduzione su larga scala delle opere d'arte. Nel 1826, usando lastre di metallo rese sensibili alla luce ed esponendole per molte ore, il francese Joseph-Nicéphore Nièpce realizzò le prime fotografie. Basandosi sul lavoro di Nièpce, il pittore e inventore francese Louis-Jacques Mandé Daguerre mise a punto un procedimento di sviluppo chimico che permise di ridurre notevolmente il tempo di esposizione; le fotografie realizzate in questo modo presero il nome di dagherrotipi.
Nel corso del XIX secolo furono ideati vari metodi per dare alla fotografia l'illusione del movimento. Nel 1891 Thomas Edison brevettò il cinetoscopio, una macchina per proiettare immagini in movimento, mentre nel 1895 il chimico e industriale francese Louis-Jean Lumière con il fratello Auguste-Marie, anch'egli chimico, presentò e brevettò il cinematografo. Verso la fine degli anni Venti vennero proiettati i primi film dotati di sonoro.
Televisione
Il sistema di trasmissione delle immagini in movimento ha molte radici. Nel 1884 il tedesco Paul Gottlieb Nipkow inventò un disco analizzatore, e nel 1923 l'ingegnere elettronico russo-statunitense Vladimir Kuzmi Zvorykin inventò l'iconoscopio e il cinescopio, rispettivamente per la trasmissione e per la ricezione delle immagini a distanza, segnando una tappa fondamentale nello sviluppo della televisione. Nel 1926 John Logie Baird realizzò la prima trasmissione elettrica di immagini in movimento. La nuova tecnologia fu poi ulteriormente messa a punto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania. Il primo sistema televisivo pubblico del mondo fu inaugurato nel 1937 in Gran Bretagna.
La televisione ha oggi raggiunto una dimensione mondiale; inoltre, i satelliti per telecomunicazioni hanno reso possibile la trasmissione di programmi in diretta da un continente all'altro.
Computer
Uno dei maggiori progressi nel campo delle comunicazioni fu l'avvento del computer, a partire dagli anni Quaranta. Oggi i computer vengono usati quasi ovunque: nelle industrie, negli ospedali, nelle scuole, nei trasporti e nelle abitazioni private. Le reti informatiche forniscono a chiunque disponga di un personal computer un tramite per l'acquisizione e la trasmissione rapida di grandi quantità di dati. La posta elettronica (E-mail), cioè l'invio di messaggi da un computer all'altro, costituisce attualmente il mezzo di comunicazione scritta più rapido, economico ed efficiente.
Tecnologia laser
Lo sviluppo di una tecnologia laser appropriata rappresenta un elemento importante per le future tecniche di comunicazione. La radiazione coerente di frequenza ottica ottenibile per mezzo di un laser, infatti, può trasmettere un numero di messaggi nettamente maggiore rispetto a quello raggiungibile nello stesso tempo mediante un sistema telefonico ordinario. Attualmente sono già operative le prime reti laser di comunicazione e si pensa che in futuro impianti di questo tipo possano sostituire gran parte degli odierni sistemi di telefonia a onde radio. Raggi laser potrebbero inoltre essere usati in modo efficiente per le trasmissioni dei satelliti per comunicazioni.[1]
Telegrafo Sistema di comunicazione impiegato per la trasmissione e la ricezione di segnali espressi in un opportuno codice. Originariamente il termine telegrafia designava qualsiasi forma di comunicazione a lunga distanza in cui i messaggi fossero trasmessi tramite segni o suoni.
Telegrafo Morse
I primi strumenti elettrici per la trasmissione telegrafica furono inventati nel 1837 dallo statunitense Samuel F. B. Morse e, indipendentemente, dal fisico britannico Charles Wheatstone in collaborazione con l'ingegnere William F. Cooke. Il semplice codice Morse consentiva di trasmettere messaggi inviando impulsi elettrici lungo un cavo. L'apparecchio di Morse, utilizzato nel 1844 per inviare il primo telegramma pubblico, era azionato da un pulsante elettrico che lasciava passare la corrente quando veniva premuto e la interrompeva al rilascio. L'originale ricevitore Morse era dotato di una punta scrivente controllata da un elettromagnete che scriveva su un nastro di carta scorrevole. I segni tracciati dalla punta, punti e linee, dipendevano dalla durata della pressione sul pulsante del dispositivo trasmittente.
Mentre stava sperimentando il suo strumento, Morse si rese conto che i segnali potevano essere trasmessi solo a circa 30 km di distanza: oltre questo limite diventavano troppo deboli per essere registrati. Con l'aiuto dei suoi collaboratori, allora, mise a punto un'apparecchiatura a relé consistente in un commutatore azionato da un elettromagnete che poteva essere collegato alla linea telegrafica a 32 km di distanza dalla stazione trasmittente in modo da ripetere automaticamente i segnali, ritrasmettendoli per altri 32 km. Un impulso entrando nella bobina del magnete faceva ruotare un nucleo e chiudeva un circuito indipendente alimentato da una batteria. Questo movimento inviava un nuovo impulso di corrente alla linea, e l'impulso a sua volta azionava altri relé fino a che il messaggio non raggiungeva il ricevitore. Alcuni anni dopo, Morse realizzò un dispositivo ricevente, ma quasi subito i telegrafisti scoprirono che era possibile distinguere i punti e le linee semplicemente dal suono emesso e l'apparecchio venne abbandonato.
Dato che la telegrafia era molto costosa, furono sviluppati diversi metodi per inviare più messaggi simultaneamente su una stessa linea. Nella telegrafia duplex si poteva trasmettere simultaneamente un messaggio in ognuno dei due sensi, mentre la telegrafia quadruplex, introdotta nel 1874 da Thomas Edison, permetteva la trasmissione simultanea di due messaggi in ciascuno dei due sensi. Nel 1915 fu introdotta la telegrafia multipla, mediante la quale potevano essere inviati otto o più messaggi. In seguito a questi progressi e all'introduzione delle telescriventi verso la metà degli anni Venti, il sistema telegrafico manuale di Morse fu gradualmente sostituito da metodi di trasmissione via radio e via cavo automatici.
Sistemi telegrafici automatici
Le moderne comunicazioni telegrafiche sono state basate per un lungo periodo su due sistemi principali: la telescrivente (teletype) e il sistema di riproduzione facsimile, entrambi quasi del tutto abbandonati nel corso degli anni Ottanta.
Telescrivente
Nella telescrivente, il messaggio viene ricevuto sotto forma di parole dattiloscritte su carta. In questo sistema ogni lettera dell'alfabeto è rappresentata da una combinazione di cinque impulsi elettrici a intervalli costanti, e la sequenza di intervalli utilizzati e non utilizzati determina la lettera.
Il trasmettitore consiste in una tastiera simile a quella di una macchina per scrivere e può registrare o meno il messaggio su nastro prima di trasmetterlo, mentre il ricevitore è come una macchina per scrivere priva di tastiera che batte il messaggio su nastro o su carta. La telescrivente era molto usata soprattutto nelle redazioni dei quotidiani, ma ormai la trasmissione elettronica di immagini e testi tramite i satelliti per telecomunicazioni ha reso obsoleto questo sistema di comunicazione.
Riproduzione facsimile
I sistemi telegrafici facsimile, in grado di inviare e ricevere testi e immagini, sono stati completamente superati dall'avvento del fax (Trasmissione facsimile).
Telegrafia a frequenza portante
Gli impulsi elettrici che formano i messaggi telegrafici possono essere trasmessi sia via cavo, sia via radio.
Quando Morse inventò il telegrafo, l'unico modo per trasmettere un messaggio a distanza era quello di realizzare un collegamento via cavo diretto tra il dispositivo trasmittente e il ricevitore. I cavi potevano trasmettere un solo messaggio alla volta, e lungo la linea, a intervalli regolari, dovevano essere collocati dispositivi per la riamplificazione e la correzione del segnale. Utilizzando correnti portanti, ovvero correnti alternate di frequenze diverse, una singola coppia di cavi può trasmettere simultaneamente centinaia di messaggi, dal momento che ogni frequenza di onda portante rappresenta un canale di trasmissione. I vari canali sono combinati presso la stazione emittente nella corrente portante trasmessa dai cavi. Alla stazione ricevente la corrente portante viene fatta passare attraverso filtri elettrici, ognuno dei quali lascia passare solo una particolare frequenza a un appropriato dispositivo ricevente. In questo modo, si può ottenere un grande numero di singoli canali con un solo circuito elettrico.
Trasmissione in radiofrequenza
L'uso della trasmissione in radiofrequenza per le comunicazioni internazionali e intercontinentali è stato sviluppato nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Il primo dispositivo funzionante nella banda delle microonde collegò Philadelphia a New York nel 1947, mentre nel 1948 fu inaugurata una rete che collegava New York, Washington e Pittsburgh. Poi il sistema si diffuse rapidamente in tutti gli Stati Uniti mediante l'uso di ripetitori di segnali in iperfrequenza.
Con questi telegrafi si possono trasmettere comunicazioni sonore, a stampa, grafiche, fotografiche e video quasi istantaneamente e in grandi quantità. In questa gamma di frequenza, infatti, sono disponibili 40 bande vocali in entrambe le direzioni, per un totale di 800 canali telegrafici circa. I radiosegnali emessi dalla stazione trasmittente vengono ritrasmessi fino alla stazione ricevente da una serie di antenne paraboliche riflettenti, montate su piloni molto alti. Per ovviare all'indebolimento del segnale, dovuto alla distanza e alla curvatura terrestre, le antenne ripetitrici sono poste a intervalli di circa 48 km. Per le comunicazioni intercontinentali, si usano come ripetitori satelliti artificiali in orbita geostazionaria.
Moderni servizi telegrafici
Telex
Questa rete telegrafica permette di inviare messaggi e dati direttamente ad altri abbonati nel medesimo paese e, tramite i servizi offerti da vettori internazionali, in molte parti del mondo. In alcune zone, gli abbonati possono anche inviare telex ai non abbonati mettendosi in contatto con speciali centralini che consegnano i messaggi sotto forma di telegrammi.
Servizio di scambio a larga banda
Questo servizio fornisce agli abbonati una scelta di canali radio di alta qualità per la rapida trasmissione di dati di vario tipo (trasmissioni facsimile, in fonia ecc.). I successivi progressi del sistema hanno permesso di raggiungere elevatissime velocità di trasmissione (fino a 5000 caratteri al secondo) tra computer e macchine contabili.
Telefono Strumento di comunicazione utilizzato per trasmettere a distanza parole e altri suoni per mezzo dell'elettricità. Il telefono contiene una membrana che vibra quando viene colpita dalle onde sonore (vedi Suono). Le vibrazioni vengono convertite in impulsi elettrici i quali sono trasmessi a un ricevitore, che li riconverte in suoni.
Nell'uso comune, il termine 'telefono' viene usato in senso lato per designare l'intero sistema a cui sono connessi i singoli apparecchi telefonici; si tratta di un sistema che permette l'invio non solo della voce dell'utente ma anche di dati, immagini, o qualsiasi altra informazione che possa essere convertita in energia elettrica. La rete telefonica è costituita da tutte le linee di trasmissione che collegano gli apparecchi degli abbonati e dalle centraline che servono a selezionare un particolare percorso o un insieme di percorsi tra abbonati.
Sviluppo
Nel 1854 l'inventore francese Charles Bourseul osservò che le vibrazioni di una membrana prodotte dalle onde sonore potevano essere usate per chiudere e aprire un circuito elettrico, causando in questo modo vibrazioni analoghe in una membrana situata a distanza, la quale avrebbe riprodotto il suono originale. Alcuni anni dopo, il fisico tedesco Johann Philip Reis mise a punto uno strumento che trasmetteva note musicali ma non poteva riprodurre il parlato. Il primo rudimentale apparecchio telefonico venne realizzato nel 1854 dall'inventore italiano Antonio Meucci. Tuttavia il brevetto, rilasciato a Meucci nel 1871 ma da questi non rinnovato a scadenze annuali, venne assegnato nel 1876 allo statunitense Alexander Graham Bell.
Il primo telefono
Il telefono di Meucci utilizzava un microfono di ridotta potenza e poteva essere utilizzato solo per trasmettere messaggi a breve distanza. Notevolmente più efficiente si rivelò invece il dispositivo messo a punto da Bell, che consisteva di un trasmettitore e di un ricevitore identici e di un filo di collegamento. Il trasmettitore e il ricevitore contenevano una membrana metallica flessibile e un magnete a ferro di cavallo, dotato di un avvolgimento. Le onde sonore, colpendo la membrana, la mettevano in vibrazione nel campo del magnete. Questa vibrazione induceva nella bobina una corrente elettrica variabile che, attraverso il filo, raggiungeva il ricevitore, dove produceva variazioni di intensità del campo magnetico, facendo vibrare la membrana e riproducendo in questo modo il suono originale.
Nel ricevitore dei modelli successivi di telefono il magnete aveva una forma appiattita, e il campo magnetico che agiva sulla membrana era più intenso. Nei trasmettitori moderni, la membrana è montata dietro una griglia e al centro di essa vi è una piccola cupola che forma una cavità in cui sono contenuti granuli di carbone. Le onde sonore che attraversano la griglia esercitano una pressione variabile sulla cupola; quando i granuli vengono compressi, diminuisce la resistenza che essi offrono al passaggio di corrente.
Componenti di un apparecchio telefonico
Le parti elettriche fondamentali di un apparecchio telefonico sono il trasmettitore e il ricevitore (compresi nella cornetta), il disco combinatore, la suoneria e il circuito antilocale. Nei telefoni cordless, o portatili, il filo della cornetta è sostituito da un collegamento radio tra la cornetta stessa e la base, ma è sempre necessario il filo di collegamento alla linea. Un telefono cellulare è invece costituito da un unico elemento che comunica con una radiostazione situata a distanza senza bisogno di fili.
Il disco combinatore degli apparecchi telefonici tradizionali è un ingegnoso dispositivo elettromeccanico. Quando si fa ruotare il disco mobile e si solleva il dito dal foro, una molla fa tornare il disco nella posizione iniziale e il disco, ruotando in senso antiorario, apre un commutatore elettrico per un numero di volte corrispondenti alla cifra desiderata (lo 0 causa 10 aperture del commutatore). Il risultato è il passaggio di un certo numero di impulsi di corrente elettrica tra l'apparecchio telefonico e la centrale. Gli impulsi hanno la tensione fornita dalla centrale, di solito 50 volt, e durano circa 45 millisecondi. Le apparecchiature della centrale contano gli impulsi per determinare quale numero sia stato chiamato.
Questo sistema a impulsi elettrici era ideale per controllare i selettori passo-passo usati nelle prime centrali automatiche; tuttavia i dischi combinatori elettromeccanici necessitavano spesso di riparazioni costose e inoltre il sistema di composizione dei numeri era lento, specialmente quando era necessario comporre una lunga serie di cifre. L'introduzione dei transistor ha reso possibile la realizzazione di un sistema di composizione dei numeri basato sulla trasmissione di segnali di frequenza diversa, relativamente poco intensi, detti toni. In questo sistema di composizione a multifrequenza ogni tasto controlla l'invio di due toni.
Oggi la maggior parte dei telefoni è dotata di una tastiera di selezione al posto del disco combinatorio. Poiché in alcune aree vi sono ancora linee sulle quali i segnali a multifrequenza non sono accettati, i telefoni a tastiera sono di solito dotati di un commutatore tramite il quale si può fare in modo che l'apparecchio invii impulsi elettrici anziché toni di frequenza diversa.
Un'importante parte dell'apparecchio telefonico rimane invisibile all'utente: il circuito antilocale. L'effetto locale è un ritorno particolarmente accentuato della voce di chi parla nel ricevitore. Nei primi telefoni il trasmettitore e il ricevitore di ogni apparecchio erano collegati direttamente tra loro oltre che alla linea. In questo modo chi parlava al telefono tenendo il ricevitore all'orecchio udiva la propria voce molto più forte del normale. Oltre a essere spiacevole, il fenomeno induceva l'utente ad abbassare la voce, per cui la persona all'altro capo del filo aveva difficoltà a udire distintamente le parole dell'interlocutore. Il circuito antilocale permette di trasferire l'energia dal trasmettitore alla linea senza trasmetterla al ricevitore, eliminando completamente il problema dell'effetto locale.
Circuiti e centrali
Quando si solleva la cornetta del telefono, si chiude un interruttore elettrico, provocando il passaggio di una corrente continua tra l'apparecchio telefonico e la centrale automatica. La centrale rileva questa corrente e rinvia all'apparecchio il cosiddetto segnale di centrale.
Quando l'utente sente il segnale di linea libera, seleziona una sequenza di cifre corrispondente al numero di un abbonato. Il sistema di commutazione della centrale elimina il segnale di linea libera dopo aver ricevuto la prima cifra, e, dopo aver ricevuto l'ultima, determina se il numero chiamato dipende dalla stessa centrale oppure da un'altra. Nel primo caso, vengono inviati alla linea del destinatario impulsi di corrente di chiamata che fanno squillare il telefono. Se qualcuno risponde, sollevando la cornetta, la centrale stabilisce un collegamento tra i due apparecchi.
Se il numero chiamato dipende da una centrale diversa, il processo funziona ugualmente come descritto sopra ma si rende necessario il collegamento fra le due centrali.
In passato i collegamenti tra telefoni venivano effettuati manualmente, da operatori che inserivano spinotti in centralini manuali. Tuttavia con l'ampliamento della rete telefonica, i centralini manuali si dimostrarono troppo lenti, e si rese necessaria una serie di dispositivi meccanici ed elettronici che permettessero di smistare automaticamente le telefonate.
Ora, grazie a dispositivi a stato solido, le centrali sono in grado di smistare le chiamate a velocità elevatissime, con la possibilità di gestire simultaneamente un gran numero di telefonate. Il circuito di alimentazione converte la voce di chi chiama in impulsi digitali che vengono poi trasmessi tramite la rete con sistemi ad alta capacità che smistano le singole chiamate per mezzo di operazioni di commutazione computerizzate. Tramite computer, il sistema della centrale può gestire in modo molto efficace le telefonate sia locali sia interurbane, determinando rapidamente il percorso più veloce tra due utenti.
Telefonia transoceanica
Il primo servizio di radiotelefonia intercontinentale fu inaugurato nel 1927, ma il problema dell'amplificazione scoraggiò la posa in opera di cavi telefonici fino al 1956, quando fu messo in servizio il primo cavo telefonico sottomarino transoceanico del mondo.
Telefonia a corrente portante
Usando frequenze al di sopra della gamma vocale (da 4000 a diversi milioni di hertz), si possono trasmettere ben 13.200 messaggi telefonici simultaneamente con un unico tramite. Le tecniche della telefonia a corrente portante sono usate anche per inviare messaggi telefonici sulle normali linee di distribuzione senza interferire con i servizi regolari. Nei sistemi di telefonia a corrente portante più estesi e più complessi vengono usati amplificatori a stato solido, detti ripetitori, per amplificare i messaggi a intervalli regolari.
Cavo coassiale
Inventato nel 1936, il cavo coassiale impiega conduttori cordati per trasmettere in modo efficiente segnali compresi in un'ampia banda di frequenza. Il moderno cavo coassiale consiste in tubi di rame di 0,95 cm di diametro, ciascuno dei quali contiene un sottile filo di rame tenuto esattamente al centro del tubo da isolatori di plastica posti a circa 2,5 cm di distanza. I tubi di rame proteggono il segnale trasmesso dalle interferenze elettriche e prevengono le perdite di energia tramite radiazione. Un cavo, che può contenere un massimo di 22 tubi coassiali rivestiti da un involucro di polietilene e piombo, può trasmettere simultaneamente fino a 132.000 messaggi.
Fibre ottiche
I cavi coassiali sono sostituiti sempre più spesso da fibre ottiche, che permettono di trasferire a grande distanza messaggi codificati digitalmente in impulsi luminosi. Un cavo di fibre può contenere fino a 50 coppie di fibre, e ogni coppia può trasportare fino a 4000 circuiti vocali. Per la maggior parte delle trasmissioni si impiega un diodo a emissione di luce (LED).
Trasmissione a microonde
È un metodo di trasmissione basato sulla ripetizione di onde radio ad altissima frequenza, o microonde, da stazione a stazione. A causa della forte direzionalità delle microonde, la trasmissione deve avvenire tra stazioni reciprocamente visibili, la cui distanza non può superare i 40 km. Un segnale trasmesso tra due ripetitori a microonde può trasportare contemporaneamente fino a 600 telefonate.
Telefonia satellitare
Nel 1969 venne completata la prima rete globale di ripetitori telefonici che utilizza una serie di satelliti alimentati a energia solare in orbita geostazionaria. I satelliti ricevono le telefonate trasmesse da antenne a terra, le amplificano e le ritrasmettono a stazioni di terra molto distanti tra loro, semplificando così i collegamenti intercontinentali. Grazie alla digitalizzazione delle trasmissioni, un satellite Intelsat può ritrasmettere simultaneamente fino a 33.000 chiamate telefoniche, oltre a svariati canali televisivi. Pur tenendo conto dell'alto costo iniziale di un satellite, una trasmissione intercontinentale in telefonia satellitare presenta un costo di gestione inferiore a una effettuata tramite cavo coassiale deposto sul fondo dell'oceano.
La combinazione di sistemi a microonde, cavo coassiale, fibra ottica e satellite forma la rete globale di telecomunicazioni che consente di mettere rapidamente in contatto apparecchi telefonici situati in qualunque punto del globo e anche di scambiare informazioni tra computer.
Telefono e radiodiffusione
I sistemi di telefonia per lunghe distanze riescono a trasportare programmi radio e televisivi a stazioni situate a grande distanza per la messa in onda simultanea. La parte audio dei programmi televisivi può essere trasmessa su un normale cavo telefonico, mentre per quella video si ricorre a cavi coassiali, circuiti a microonde o satellitari.
Videotelefono
Il primo video telefono bi-direzionale venne sperimentato a New York nel 1930 dall'inventore statunitense Herbert Eugene Ives. Il videotelefono può essere collegato a un computer per la trasmissione di relazioni, grafici, tabelle a grandi distanze, oppure permettere conferenze tra persone che si trovano in città diverse. Prestazioni analoghe possono essere ottenute per mezzo di personal computer collegati in rete.
Telefonia cellulare mobile
Il telefono cellulare è fondamentalmente un radiotelefono a bassa potenza. Le telefonate avvengono attraverso radiotrasmettitori collocati a breve distanza tra loro che prendono il nome di cellule. Dato che i segnali irradiati da una cellula sono troppo deboli per interferire con quelli delle altre cellule operanti alle stesse frequenze, con questa tecnologia possono essere allocati più canali di quanti disponibili con le normali trasmissioni in radio frequenza ad alta potenza. Il metodo di trasmissione più utilizzato è la modulazione di frequenza (FM) a banda stretta, e a ogni comunicazione viene assegnata una portante unica per la cella che la irradia.[3]
Radio (comunicazioni) Sistema di comunicazione basato sulla propagazione delle onde elettromagnetiche nello spazio. I diversi tipi di radioonde, solitamente identificati in base alla frequenza (numero di cicli per secondo) o alla lunghezza d'onda (distanza percorsa dall'onda in un periodo), vengono usati per scopi diversi. L'unità di misura della frequenza, il ciclo per secondo (hertz, Hz), prende nome dal tedesco Heinrich Hertz: 1 kilohertz (kHz) corrisponde a 1000 cicli/s, 1 megahertz (MHz) a 1 milione di cicli/s, mentre 1 gigahertz (GHz) è 1 miliardo di cicli/s. Le radioonde possono avere frequenze che vanno da pochi kilohertz a diversi gigahertz; le onde più corte hanno frequenza più alta, quelle più lunghe frequenza più bassa.
Le radioonde sono usate nelle trasmissioni radio ma anche in radiotelegrafia, nelle trasmissioni telefoniche, televisive, radar, nei sistemi di navigazione e nelle comunicazioni spaziali.
Poiché in un'atmosfera uniforme le onde elettromagnetiche viaggiano in linea retta, le comunicazioni radio a lunga distanza dovrebbero essere impedite dalla curvatura della superficie terrestre, tuttavia sono possibili grazie alle proprietà della ionosfera di riflettere le radioonde. Le onde cortissime, inferiori a 10 m circa (a frequenza molto elevata, ultraelevata o superelevata, indicate rispettivamente dalle sigle VHF, UHF e SHF, cioè Very High Frequency, Ultra High Frequency e Super High Frequency), che normalmente non vengono riflesse dalla ionosfera, possono essere ricevute solo a breve distanza.
Un tipico sistema di comunicazione radio è formato da due elementi principali, un trasmettitore e un ricevitore. Il trasmettitore genera oscillazioni elettriche a una determinata frequenza, la cosiddetta onda portante. È possibile modulare l'onda portante sia in ampiezza sia in frequenza: un segnale modulato in ampiezza consiste nella frequenza portante più due bande laterali risultanti dalla modulazione, mentre la modulazione di frequenza (FM) produce più bande laterali e permette di ottenere una più alta fedeltà di suono.
Trasmettitore
I componenti essenziali di un radiotrasmettitore sono un generatore di oscillazioni che converte l'elettricità in oscillazioni di determinata frequenza, un amplificatore che aumenta l'intensità di queste oscillazioni mantenendo la frequenza desiderata, e un microfono che converte le informazioni da trasmettere in una tensione elettrica variabile.
Altri elementi importanti in un radiotrasmettitore sono il modulatore, che usa le tensioni prodotte dal microfono per controllare le variazioni di intensità di oscillazione o la frequenza istantanea dell'onda portante, e l'antenna, che irradia l'onda portante modulata. Ogni antenna ha proprietà direzionali, cioè tende a irradiare più energia in alcune direzioni piuttosto che in altre, ma è possibile realizzare sistemi in cui l'irradiazione avvenga in un fascio relativamente stretto oppure sia relativamente uniforme in tutte le direzioni (radiodiffusione circolare).
Le caratteristiche di un radiotrasmettitore sono diverse a seconda delle modalità di impiego. Una radio da usare in un veicolo mobile, ad esempio, deve essere leggera e trasmettere in modo chiaro; il costo è secondario e la fedeltà di riproduzione non ha alcuna importanza. In una stazione radio commerciale, invece, le dimensioni e il peso sono secondari, il costo va tenuto in maggiore considerazione e la fedeltà è della massima importanza, in particolare per le stazioni FM. Il controllo rigoroso della frequenza è una necessità assoluta, dato che una minima deviazione può causare interferenze con stazioni che trasmettono sulla stessa lunghezza d'onda.
Oscillatori
In una stazione radio commerciale la frequenza portante viene normalmente generata da un oscillatore a cristallo di quarzo. Se il circuito elettrico è ben progettato, la frequenza dell'oscillatore non varia oltre lo 0,01%. Montando il cristallo sotto vuoto a temperatura costante e stabilizzando la tensione di alimentazione è possibile ottenere una stabilità di frequenza prossima a un milionesimo dell'1%. Gli oscillatori a cristallo sono ideali nelle gamme di frequenza bassissima, bassa e media. Quando devono essere generate frequenze superiori ai 10 MHz, l'oscillatore pilota è regolato in modo da generare una frequenza media, che viene poi raddoppiata un certo numero di volte, a seconda della necessità, in speciali circuiti elettronici. Quando non è necessario un controllo rigoroso della frequenza, possono essere usati circuiti sintonizzati con comuni tubi elettronici per generare oscillazioni fino a 1000 MHz, mentre per generare le frequenze più alte, fino a 30.000 MHz, si impiegano klystron a riflessione. Quando sono richieste frequenze ancora più elevate i klystron vengono sostituiti dai magnetron.
Modulazione
Perché l'onda portante possa trasportare impulsi deve essere modulata, e la modulazione può essere a basso livello o ad alto livello. Nel primo caso il segnale di audiofrequenza proveniente dal microfono, con poca o nessuna amplificazione, viene usato per modulare la frequenza generata dall'oscillatore, e la frequenza portante modulata viene poi amplificata prima di essere inviata all'antenna; nel secondo caso le oscillazioni di radiofrequenza e il segnale di audiofrequenza sono amplificati indipendentemente, e la modulazione ha luogo subito prima che le oscillazioni siano inviate all'antenna. Sulla portante il segnale può essere modulato sia in frequenza (FM) sia in ampiezza (AM).
La modulazione di ampiezza (AM), che consiste nel variare l'ampiezza dell'onda portante in armonia con le variazioni di frequenza e intensità di un segnale sonoro, è usata in molti servizi radiotelefonici, comprese le normali trasmissioni radio, nonché nella telefonia a corrente portante, in cui la portante modulata viene trasmessa via cavo, e nella trasmissione di immagini fisse via cavo o via radio.
In FM la frequenza dell'onda portante viene variata all'interno di un intervallo fisso a un ritmo corrispondente alla frequenza di un segnale sonoro. Questa forma di modulazione, perfezionata negli anni Trenta, ha il vantaggio di produrre segnali relativamente insensibili alle interferenze elettriche, come si verificano durante i temporali, che invece disturbano fortemente i segnali AM. Le trasmissioni in FM, che vengono effettuate su bande ad alta frequenza (dagli 88 ai 108 MHz), hanno portata di ricezione limitata.
Le informazioni trasportate da un'onda modulata vengono riconvertite nella loro forma originale tramite un processo inverso, detto di demodulazione o rivelazione. Le radioonde trasmesse a frequenze basse e medie sono modulate in ampiezza; a frequenze più elevate si usano sia l'AM sia l'FM: nelle emissioni televisive, ad esempio, il suono può essere diffuso in FM, mentre l'immagine è trasmessa in AM. Nelle gamme di frequenza superelevate (sopra la UHF), in cui sono disponibili larghezze di banda più ampie, anche l'immagine può essere trasmessa in FM. A queste frequenze elevate sono stati effettuati anche esperimenti di trasmissione digitale del suono e delle immagini, un metodo di trasmissione che in futuro potrebbe soppiantare le attuali tecniche di trasmissione analogica.
Antenne
L'antenna di un trasmettitore non deve necessariamente trovarsi in prossimità del trasmettitore stesso. Per la radiodiffusione commerciale sulle frequenze medie occorre generalmente un'antenna molto alta, possibilmente situata lontano dai centri abitati, mentre lo studio di trasmissione si trova di solito nel cuore della città. Tra studio e antenna, i segnali possono essere trasmessi via cavo.
Ricevitori
I componenti essenziali di un radioricevitore sono: 1) un'antenna per ricevere le onde elettromagnetiche e convertirle in oscillazioni elettriche, 2) un amplificatore per aumentare l'intensità delle oscillazioni, 3) un dispositivo per la demodulazione, 4) un altoparlante per convertire gli impulsi in onde sonore udibili dall'orecchio umano, e di solito anche 5) un oscillatore per generare onde in radiofrequenza che possano essere 'miscelate' con le onde in entrata.
Il segnale in arrivo dall'antenna, che consiste in un'oscillazione della radiofrequenza portante modulata da un segnale ad audiofrequenza o videofrequenza contenente gli impulsi, è generalmente debolissimo. Alcuni radioricevitori sono talmente sensibili da rivelare e amplificare, ottenendo un suono chiaro, un segnale dell'antenna che produce correnti di intensità estremamente bassa.
La maggior parte dei moderni radioricevitori è del tipo a supereterodina, in cui un oscillatore genera un'onda a radiofrequenza che viene miscelata con l'onda in entrata, producendo così un'onda a radiofrequenza di lunghezza d'onda maggiore, chiamata frequenza intermedia. Per sintonizzare il ricevitore su frequenze diverse, si può variare la frequenza delle oscillazioni, ma la frequenza intermedia rimane sempre la stessa.
Amplificatori
Gli amplificatori aumentano la tensione del segnale. I radioricevitori possono anche avere uno o più stadi di amplificazione di tensione dell'audiofrequenza, tuttavia l'ultimo di questi, prima dell'altoparlante, deve essere uno stadio di amplificazione di potenza. Un ricevitore ad alta fedeltà contiene i circuiti dell'amplificatore e del sintonizzatore di una radio. In alternativa, una radio ad alta fedeltà può consistere in un amplificatore audio e in un sintonizzatore radio distinti.
Le principali caratteristiche di un buon radioricevitore sono elevate sensibilità, selettività, fedeltà e basso rumore. La sensibilità si ottiene tramite numerosi stadi di amplificazione, ma un'elevata amplificazione del segnale è inutile se non si possono ottenere una sufficiente fedeltà e un basso livello di rumore. La selettività è la capacità del ricevitore di captare segnali da una stazione senza cogliere i segnali delle stazioni operanti sulle frequenze vicine.
Impianti ad alta fedeltà
La fedeltà è la costanza di risposta del ricevitore ai vari segnali di audiofrequenza modulati sulla portante. L'altissima fedeltà, ovvero una risposta in frequenza uniforme (uguale amplificazione di tutte le audiofrequenze) sull'intera gamma udibile (dai 20 Hz ai 20 kHz), è estremamente difficile da ottenere. Un impianto ad alta fedeltà non è più potente della sua unità di collegamento più debole, e le unità di collegamento comprendono non solo tutti i circuiti del ricevitore, ma anche l'altoparlante, e tengono in conto le proprietà acustiche della stanza in cui si trova l'altoparlante e il trasmettitore su cui il ricevitore è sintonizzato.
Distorsione
Aumentando l'intensità relativa delle frequenze audio più alte, spesso si produce una distorsione d'ampiezza nelle trasmissioni radio. Al ricevitore il segnale ad alta frequenza viene attenuato e l'effetto risultante di questi due tipi di distorsione è una netta riduzione del rumore di fondo ad alta frequenza. Molti ricevitori sono dotati di sistemi di controllo del tono che permettono di regolare il livello di amplificazione delle frequenze alte o basse secondo le necessità dell'applicazione specifica o il gusto dell'utente. La distorsione armonica determinata dalla trasmissione non lineare del segnale attraverso gli stadi di amplificazione, può essere ridotta utilizzando circuiti di feedback opportunamente progettati.
Rumore
Il rumore è un problema che riguarda tutti i radioricevitori. Esistono diversi tipi di rumore: ad esempio il ronzio (un rumore sordo continuo prodotto dalla frequenza dell'alimentatore a corrente alternata), il soffio (un rumore acuto continuo) e il fischio (una nota pura ad alta frequenza); questi rumori possono essere eliminati in fase di progettazione e costruzione.
Certi tipi di rumore, invece, non possono essere eliminati: ciò avviene ad esempio per le scariche causate nei comuni apparecchi a medie e basse frequenze AM dai disturbi elettrici nell'atmosfera, come i fulmini, oppure dovute ad altri apparecchi elettrici in funzione nelle vicinanze.
Un'altra causa di rumore è il moto di agitazione termica degli elettroni. In qualsiasi conduttore, in condizioni di temperatura più elevata dello zero assoluto, le particelle si muovono in maniera casuale. Poiché qualsiasi movimento di elettroni costituisce una corrente elettrica, il moto di agitazione provoca rumore quando il segnale viene eccessivamente amplificato. Questo disturbo può essere evitato se il segnale ricevuto dall'antenna è considerevolmente più forte della corrente causata dall'agitazione termica e, in ogni caso, può essere ridotto al minimo in fase di progettazione. Un ricevitore teoricamente perfetto a temperature normali può ricevere parole intelligibili quando la potenza del segnale nell'antenna è di soli 4× 10-18 W (40 attowatts), ma nei comuni radioricevitori il segnale deve essere considerevolmente più forte.
Alimentatore
L'energia necessaria per il funzionamento di un apparecchio radio è data dalla corrente elettrica. Se l'alimentazione è di 220 V, la corrente alternata (AC) può essere portata direttamente alla bobina primaria di un trasformatore, e la potenza del voltaggio desiderata può essere ottenuta all'uscita delle bobine secondarie. La corrente secondaria deve essere raddrizzata e filtrata, dal momento che i transistor funzionano in corrente continua (DC).
L'avvento dei transistor, dei circuiti integrati e di altri dispositivi elettronici a stato solido, che sono di dimensioni molto ridotte e richiedono pochissima potenza, di fatto ha definitivamente eliminato l'uso delle valvole elettroniche negli apparecchi radio e televisivi e in altri tipi di dispositivi per le comunicazioni.
Storia
Benché per l'invenzione della radio siano state necessarie molte scoperte nel campo dell'elettricità, l'inizio della storia delle radiocomunicazioni può essere fatto risalire nel 1873, quando il fisico britannico James Clerk Maxwell pubblicò la sua teoria sulle onde elettromagnetiche.
Fine del XIX secolo
La teoria di Maxwell venne avvalorata dall'attività sperimentale del fisico tedesco Heinrich Hertz il quale, circa 15 anni dopo, riuscì a generare onde elettromagnetiche fornendo una carica elettrica a un condensatore e cortocircuitando il medesimo. Nella scarica elettrica risultante, la corrente aumentava improvvisamente di intensità fino a provocare l'inversione di carica nelle due armature del condensatore oltre il punto neutro, determinando una differenza di potenziale opposta; il processo si ripeteva più volte, e la carica variava in modo regolare creando una scarica elettrica oscillante sotto forma di scintilla. Parte dell'energia di questa oscillazione veniva irradiata, sotto forma di onde elettromagnetiche, dalla lacuna fra le due armature. Hertz riuscì a misurare molte delle proprietà di queste onde, dette hertziane, tra cui la lunghezza e la velocità.
La possibilità di utilizzare le onde elettromagnetiche per la trasmissione a distanza di messaggi e segnali risale a molto tempo prima dell'avvento delle radiocomunicazioni; strumenti particolari, come ad esempio l'eliografo, venivano impiegati per trasmettere informazioni sotto forma di raggi luminosi che potevano essere modulati e adattati all'uso del codice Morse.
Le proprietà delle radioonde, tuttavia, le rendono di gran lunga preferibili alle altre forme di radiazione elettromagnetica per le comunicazioni: anche enormemente attenuate, esse possono infatti essere ricevute, amplificate e demodulate. Per disporre di amplificatori di qualità si dovette attendere però l'invenzione delle valvole elettroniche. Nonostante i progressi considerevoli in radiotelegrafia (nel 1901 Marconi effettuò una comunicazione transatlantica), la radiotelefonia non avrebbe mai potuto trovare applicazione pratica senza gli sviluppi dell'elettronica.
L'invenzione della radio è attribuita a Guglielmo Marconi che, a partire dal 1895, mise a punto oscillatori a scintilla collegati a rudimentali antenne. Nel 1896 lo scienziato italiano riuscì a trasmettere segnali a oltre 1500 m di distanza e l'anno seguente trasmise segnali dalla terraferma a una nave situata a una trentina di chilometri dalla costa. Nel 1899 stabilì le prime comunicazioni commerciali tra Francia e Inghilterra in grado di funzionare con qualsiasi condizione atmosferica; all'inizio del 1901 inviò segnali a una distanza di 322 km e, sempre nello stesso anno, riuscì a inviare una singola lettera oltre l'oceano Atlantico. Già nel 1902 si iniziò a inviare regolarmente messaggi via radio oltre l'Atlantico, e nel 1905 molte navi usavano la radio per comunicare con le stazioni costiere. Per le sue scoperte nel campo della radiotelegrafia, Marconi condivise nel 1909 il premio Nobel per la fisica con il tedesco Karl Ferdinand Braun.
Perlopiù nello stesso periodo vennero realizzati vari progressi tecnici: si cominciò a usare circuiti-tampone per la sintonia, furono messe a punto antenne migliori e si iniziò a utilizzare trasformatori per aumentare la tensione inviata all'antenna. Furono inoltre sviluppati rivelatori più funzionali, tra i quali quelli magnetici (il cui funzionamento si basava sulla capacità delle radioonde di demagnetizzare cavi in acciaio), i bolometri (che misuravano l'aumento di temperatura di un cavo sottile attraversato da radioonde), i diodi e le valvole termoioniche, dette anche tubi elettronici a vuoto.
XX secolo
Le origini della moderna valvola termoionica possono essere fatte risalire al momento in cui Thomas Alva Edison osservò il flusso unidirezionale di una corrente elettrica tra il filamento caldo di una lampada a incandescenza e un elettrodo posto nelle vicinanze. Il diodo, la prima valvola a due elementi usata nelle radio, inventata dal fisico e ingegnere elettrotecnico britannico John Ambrose Fleming nel 1904 e usata come rivelatore, raddrizzatore e limitatore, non funzionava in modo molto diverso dal tubo di Edison.
Un progresso rivoluzionario si ebbe nel 1906, quando statunitense Lee De Forest montò un terzo elemento, la griglia, tra il filamento e il catodo di una valvola elettrica. La valvola di De Forest, da lui chiamata audion ma oggi detta triodo (valvola a tre elementi), fu inizialmente usata solo come rivelatore, ma ben presto ne furono sfruttate le potenzialità come amplificatore e oscillatore. Ciò permise, nel 1915, di stabilire comunicazioni in radiotelefonia tra la Virginia e le Hawaii nonché tra la Virginia e Parigi.
Nel 1912 l'inventore statunitense Greenleaf Whittier Pickard dimostrò come i cristalli i potessero essere usati come rivelatori. Questa scoperta diede origine alle cosiddette radio a galena, molto diffuse negli anni Venti. Nello stesso anno l'ingegnere elettrotecnico statunitense Edwin Howard Armstrong scoprì il circuito a recupero, tramite il quale parte dell'uscita di una valvola è inviata di nuovo alla valvola stessa. Questa e altre scoperte di Armstrong sono alla base di molti circuiti dei moderni apparecchi radio. Radar.
Nel 1902 l'ingegnere statunitense Arthur Edwin Kennelly e il fisico britannico Oliver Heaviside annunciarono, indipendentemente e quasi simultaneamente, la probabile esistenza di uno strato di gas ionizzato nell'alta atmosfera, che influenzava la propagazione delle radioonde. Questo strato, un tempo chiamato strato di Heaviside o di Kennelly-Heaviside, in realtà è solo uno dei numerosi strati della ionosfera. Benché la ionosfera sia trasparente alle radioonde più corte, riflette quelle più lunghe, permettendone la propagazione ben oltre la linea dell'orizzonte.
La propagazione delle radioonde nella ionosfera è fortemente influenzata dall'ora del giorno, dalla stagione e dall'attività delle macchie solari. Leggere variazioni nella natura e nell'altitudine della ionosfera, che possono verificarsi repentinamente, possono influenzare la qualità della ricezione a lunga distanza.
Radio a onde corte
Benché le diverse regioni della banda radio dello spettro elettromagnetico siano utilizzate in varie applicazioni, il termine onde corte generalmente si riferisce alle radiotrasmissioni effettuate sulla gamma di frequenze elevate (dai 3 ai 30 MHz) irradiate sulle lunghe distanze, specialmente nelle comunicazioni internazionali. Le comunicazioni a microonde via satellite garantiscono comunque segnali con maggiore affidabilità.
I radioamatori generalmente trasmettono su onde corte, anche se ad alcune radio amatoriali sono state assegnate frequenze sulle onde medie, sulla banda VHF e su quella UHF.
Nel periodo del rapido sviluppo della radio dopo la prima guerra mondiale, i radioamatori compirono imprese spettacolari, come il primo contatto radio transatlantico (1921), ma agirono anche come volontari durante le emergenze, quando era interrotto il servizio delle normali comunicazioni. Organizzazioni amatoriali hanno contribuito al lancio di diversi satelliti a bordo dei razzi vettore dell'Agenzia spaziale europea, degli Stati Uniti, dell'Unione Sovietica. A questi satelliti è stato attribuito il nome Oscar, acronimo dell'inglese Orbiting Satellites Carrying Amateur Radio, ovvero 'satelliti orbitanti che trasportano radio amatoriali'. Il primo, Oscar 1, messo in orbita nel 1961, fu anche il primo satellite non-governativo; il quarto, nel 1965, garantì le prime comunicazioni dirette via satellite tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.
La radio oggi
Gli enormi progressi raggiunti nella tecnologia delle comunicazioni radio dopo la seconda guerra mondiale hanno contribuito a rendere possibile l'esplorazione dello spazio, e in particolare lo sbarco sulla Luna delle missioni Apollo (1969-1972); sofisticate apparecchiature trasmittenti e riceventi facevano parte del sistema di comunicazioni compatto, ad altissima frequenza, installato a bordo dei moduli di comando e dei moduli lunari.[4]
Televisione Sistema di comunicazioni per la trasmissione istantanea di immagini fisse o in movimento. Le immagini vengono trasmesse in forma elettronica, su linee di trasmissione elettrica, oppure per mezzo di onde elettromagnetiche. La televisione, probabilmente il più importante mezzo di comunicazione del XX secolo, porta in milioni di case in tutto il mondo notizie, spettacoli e programmi di attualità. Fu il primo mezzo a trasmettere, via satellite, immagini da un capo all'altro del globo ed è tuttora il canale di comunicazione più diretto per presentare al pubblico temi politici e notizie di attualità, oltre a rappresentare uno dei più importanti veicoli di pubblicità.
Storia
La storia dello sviluppo della televisione ripercorre in larga misura le tappe della ricerca di un mezzo per convertire segnali luminosi, cioè immagini, in segnali elettrici, in modo da permetterne la trasmissione istantanea. Il primo dispositivo con queste caratteristiche fu il cosiddetto disco di Nipkow, brevettato in Germania nel 1884 dallo scienziato tedesco Paul Gottlieb Nipkow. Si trattava essenzialmente di una coppia di dischi, rotanti con uguale frequenza, sui quali era praticata una serie di piccoli fori disposti secondo una spirale con origine nel centro del disco; quando il primo disco ruotava, la luminosità dei punti dell'immagine veniva trasmessa in successione dai fori presenti sulla superficie del disco stesso e trasmessa a una cellula fotoelettrica situata nello spazio tra i due dischi. Il segnale proveniente dalla fotocellula azionava una lampada a gas posta dietro il secondo disco, in modo da ricostruire e proiettare l'immagine. La natura meccanica e la conseguente difficoltà nel realizzare velocità di rotazione sufficientemente elevate per permettere una adeguata definizione dell'immagine rappresentarono i limiti del disco di Nipkow, che rimane comunque il primo strumento basato sulla trasmissione di un'immagine per punti luminosi. Il dispositivo di Nipkow venne perfezionato da numerosi scienziati, ma il primo apparecchio realmente funzionante fu l'iconoscopio, sviluppato nel 1923 dallo scienziato russo Vladimir Kuzmi Zvorykin. Nello stesso periodo lo scozzese John Logie Baird propose un sistema televisivo capace di trasmettere immagini in movimento sfruttando raggi infrarossi. Negli anni che seguirono la prima guerra mondiale la diffusione dei tubi elettronici e i progressi compiuti nell'ambito delle trasmissioni radio e dei circuiti elettrici resero praticamente realizzabile un sistema televisivo efficiente.
Trasmissioni
La diffusione dei programi televisivi, iniziata negli anni Quaranta negli Stati Uniti, si estese rapidamente in Europa e nel resto del mondo e il primo servizio pubblico di trasmissione televisiva fu introdotto nell'ex Unione Sovietica nel 1948. Per le prime trasmissioni venivano utilizzati sistemi meccanici e non era prevista alcuna regolamentazione dello scambio e della diffusione dei programmi. Con l'introduzione di nuovi reti, tra le quali quella italiana, in servizio dal 1954, si resero tuttavia necessari accordi che disciplinassero le trasmissioni.
Negli anni Novanta i televisori sono diventati apparecchi sempre più sofisticati, trasformandosi da semplici ricevitori di trasmissioni televisive in complesse unità computerizzate, dotate di moderni circuiti digitali e di sofisticati elementi di programmazione, che possono ricevere e visualizzare testi (come il servizio Teletext), decodificare e riprodurre trasmissioni musicali ad alta fedeltà e permettere il controllo a distanza di tutte le funzioni tramite telecomando.
Funzionamento della televisione
Immagini televisive
Le immagini televisive sono formate da una matrice di elementi tonali che compaiono sulla superficie dello schermo in rapida successione; l'immagine completa si realizza solo grazie alla persistenza delle immagini sulla retina dell'occhio umano. Vedi Vista.
Scansione
La scansione è la tecnica che permette di suddividere un'immagine in una sequenza di elementi singoli, che possono successivamente essere ricomposti nelle loro esatte posizioni in modo da riprodurre l'immagine di partenza. Lo scanner scorre rapidamente l'intera immagine, punto per punto e linea per linea, generando un segnale elettrico proporzionale alla luminosità dei punti scanditi. Nell'apparecchio ricevitore un secondo scanner ricrea un'immagine dell'oggetto ripreso muovendo un punto luminoso, modulato dal segnale, in perfetto sincronismo con il dispositivo trasmittente.
Nel corso degli anni sono stati sviluppati molti metodi di scansione, meccanici ed elettrici. La maggior parte dei moderni sistemi televisivi utilizza fasci di elettroni: data la grande velocità con cui è possibile muovere questi fasci, l'intera immagine viene scandita e ricostruita in una frazione di secondo.
La figura 1 mostra in forma molto semplificata il percorso di un fascio di elettroni durante la scansione di un'immagine. Le linee continue rappresentano il cammino del fascio sulla superficie dell'immagine mentre quelle tratteggiate rappresentano i periodi di ritorno; in questi periodi, necessari per riportare il fascio all'inizio della riga successiva o dell'intera operazione di scansione, la corrente del fascio viene soppressa.
Uno schema di scansione completo come quello mostrato produce una singola immagine fissa, paragonabile al singolo fotogramma di una pellicola cinematografica; la ripetizione dello schema di scansione per un certo numero di volte al secondo produce una sequenza di immagini.
La definizione, o capacità dell'immagine di mostrare piccoli dettagli, è direttamente proporzionale al numero di linee che compongono la scansione e del numero di elementi rilevati in ciascuna linea. Ogni sistema televisivo stabilisce la frequenza di ripetizione dello schema di scansione e il numero di linee utilizzate. In Europa viene utilizzato soprattutto il sistema PAL, con 625 linee e 25 quadri per secondo, ma il sistema francese SECAM si basa su 525 linee e 30 quadri per secondo. Negli Stati Uniti, invece, produttori di trasmettitori e ricevitori si sono accordati sullo standard NTSC di 525 linee orizzontali per quadro, con la frequenza di 30 quadri per secondo.
HDTV
Il sistema HDTV utilizza oltre 1000 linee di scansione, permettendo l'uso di schermi di grandi dimensioni, e impiega una tecnologia di trasmissione digitale del suono. La codifica dei segnali televisivi in forma digitale permette infatti la trasmissione di una quantità maggiore di informazioni e quindi una qualità dell'immagine e del suono molto elevata.
Il segnale televisivo
Il segnale televisivo è un'onda elettromagnetica complessa, variabile in ampiezza o in frequenza. Essa si compone di: 1) una serie di variazioni corrispondenti alle variazioni di intensità luminosa degli elementi presenti nell'immagine in scansione; 2) una serie di impulsi per sincronizzare la velocità di scansione del ricevitore con quella del trasmettitore; 3) una serie supplementare di impulsi di cancellazione; 4) un segnale in modulazione di frequenza (FM) che trasporta il suono associato all'immagine. I primi tre elementi compongono il segnale video, la cui gamma di frequenze spazia fra pochi Hz e circa 4 milioni di Hz.
Gli impulsi di sincronizzazione sono brevi picchi di energia elettrica generati da oscillatori, che hanno la funzione di regolare le velocità di scansione orizzontale e verticale della telecamera e del ricevitore. Gli impulsi di sincronizzazione orizzontale avvengono a intervalli di un centesimo di secondo e hanno approssimativamente uguale durata.
Gli impulsi di cancellazione disattivano il fascio elettronico nella telecamera e nel ricevitore durante il tempo che il fascio impiega per tornare dalla fine di una riga orizzontale all'inizio della successiva, e dalla fine di un quadro all'inizio del successivo. La temporizzazione e la struttura di questi impulsi sono assai complesse.
Telecamere
In una telecamera, una o più lenti focalizzano l'immagine su una superficie sensibile. Queste superfici fanno parte dei tubi da ripresa, i quali trasformano le variazioni di intensità luminosa in variazioni di carica o di corrente elettrica. Il primo tubo di ripresa televisivo fu l'iconoscopio.
Iconoscopio
Come tubo da ripresa televisiva, l'iconoscopio presenta molti svantaggi; il più rilevante è quasi sicuramente la necessità di sorgenti di illuminazione estremamente potenti per ottenere segnali video di qualità accettabile. Valido in condizioni di luce controllata, l'iconoscopio diviene pressoché inutilizzabile in condizioni di luce non ottimali.
Orticonoscopio
Per ovviare a questi inconvenienti furono sviluppati tubi da ripresa molto più sensibili, tra i quali merita di essere citato l'orticonoscopio; in qualunque condizione di illuminazione, perfino a lume di candela, questo strumento riesce a produrre segnali video utilizzabili.
Il tubo dell'orticonoscopio ha un'estremità aperta e protetta da un materiale trasparente, mentre la parte interna, rivestita da uno strato di un composto di un metallo-alcalino, rappresenta una superficie fotoelettrica sensibile (vedi Effetto fotoelettrico). L'emissione di elettroni dallo strato fotosensibile viene accelerata per mezzo di un campo elettrico e focalizzata da un campo magnetico su un elettrodo-bersaglio trasparente a bassa conducibilità. Oltre il bersaglio sono situati, in sequenza, uno schermo in rete metallica finissima, che presenta 155.000 aperture per cm2, un anello di decelerazione e un rivestimento cilindrico concentrico che funge da elettrodo positivo, o anodo. Alla fine del tubo si trovano un cannone elettronico, che fornisce il fascio di elettroni, e un moltiplicatore di elettroni.
Gli elettroni emessi dalla superficie fotosensibile colpiscono il bersaglio, determinando l'emissione di parecchi elettroni secondari per ogni singolo elettrone incidente. Questa emissione secondaria produce sul bersaglio una matrice di cariche positive corrispondente all'immagine luminosa sulla fotosuperficie. La quantità di carica positiva risulta proporzionale alla luminosità dell'area corrispondente, mentre gli elettroni secondari vengono raccolti dalla griglia. Come bersaglio viene utilizzato un vetro molto sottile, in modo che le cariche positive presenti sulla superficie esterna possano attraversarlo e neutralizzare un numero uguale di cariche negative deposte dal fascio di scansione.
Il meccanismo di scansione è costituito dal cannone elettronico e dall'anodo cilindrico posti nel collo del tubo, e da un insieme di bobine di deflessione situate all'esterno del tubo stesso. Il fascio di scansione viene rallentato, poco prima che colpisca il bersaglio, per effetto dell'anello di decelerazione carico negativamente, e raggiunge il bersaglio con un'energia insufficiente per estrarre più elettroni secondari di quanti ne abbia forniti. In ogni zona del bersaglio il fascio di elettroni annulla la carica positiva presente, e gli elettroni in eccesso vengono riflessi verso il cannone e il moltiplicatore di elettroni a esso collegato.
Il moltiplicatore di elettroni, consistente in un disco che circonda la fessura attraverso cui il cannone elettronico "spara" e in una serie di elementi successivi, agisce come dispositivo di amplificazione delle emissioni di elettroni secondari. Il primo disco di un comune orticonoscopio viene mantenuto a un potenziale positivo di circa 200 V, e gli elementi successivi, detti dinodi o catodi secondari, a potenziali ancora maggiori. Ogni dinodo libera un numero di elettroni secondari superiore a quello degli elettroni che lo hanno colpito: in tal modo il segnale della camera subisce una moltiplicazione in ogni passaggio da un elemento all'elemento successivo.
Vidicon
Un altro tipo di tubo di ripresa utilizzato nelle moderne trasmissioni televisive è il Vidicon. In questo dispositivo l'immagine viene proiettata su un bersaglio fotoconduttivo, di solito uno strato sottile di trisolfuro di antimonio, che varia la propria conducibilità elettrica in funzione dell'esposizione alla luce. Il materiale fotoconduttivo è applicato su un elettrodo conduttore trasparente, che funge da placca collettrice e presenta una carica positiva rispetto alla sorgente del fascio elettronico. Un fascio di elettroni, focalizzato e deflesso come nell'orticonoscopio, deposita sul bersaglio un numero di elettroni tale da compensare la carica che si disperde dalla placca collettrice attraverso lo strato del bersaglio nel periodo che intercorre tra due scansioni. La carica risulta proporzionale all'illuminazione delle varie zone del bersaglio. Lo spostamento di carica, coincidente con la carica deposta dal fascio, genera il segnale video in ingresso a un amplificatore accoppiato al tubo.
Il Vidicon è un tubo di ripresa ad alta sensibilità, semplice e compatto. Grazie alle sue dimensioni ridotte, 2,5 cm di diametro e circa 15 cm di lunghezza, trova vasta applicazione nei sistemi televisivi a circuito chiuso, ovvero in tutti i casi in cui trasmettitore e ricevitore si trovano a distanze tali da poter essere collegati direttamente via cavo senza ricorrere a sistemi di trasmissione per grandi distanze.
La trasmissione televisiva
Se si escludono gli speciali circuiti che servono a produrre gli impulsi di sincronizzazione e cancellazione necessari per la scansione, e le apparecchiature per il controllo dei segnali provenienti dalla telecamera, un sistema di trasmissione televisiva può essere equiparato a quello di una stazione di trasmissione radio in modulazione di ampiezza (AM), mentre le apparecchiature audio non presentano sostanziali differenze da quelle utilizzate nelle trasmissioni in modulazione di frequenza (FM).
Canali
La trasmissione di segnali televisivi presenta una serie di particolari problemi non presenti nelle trasmissioni audio, il principale dei quali è la larghezza di banda. Il processo di modulazione di un'onda elettromagnetica implica la generazione di una serie di frequenze dette bande laterali, che corrispondono alla differenza e alla somma tra la frequenza dell'onda portante e le frequenze modulatrici. Nelle comuni trasmissioni audio, in cui il segnale è limitato a frequenze non superiori a 10 kHz, le bande laterali occupano uno spazio ristretto nello spettro di frequenza, e le frequenze portanti assegnate alle diverse stazioni possono differire di soli 10 kHz senza che si verifichino problemi di interferenza. La gamma di frequenze di un singolo segnale televisivo, invece, è pari a circa 400 volte l'intera banda di frequenza utilizzata da una stazione radio in trasmissioni AM.
Per poter fornire un numero di canali sufficiente a ospitare le stazioni TV di una determinata area geografica, è necessario utilizzare per le portanti televisive segnali in alta frequenza.
Trasmissioni in alta frequenza
L'uso delle alte frequenze per le trasmissioni televisive ha introdotto una serie di problemi diversi: mentre la portata dei segnali radio a bassa frequenza può raggiungere centinaia se non migliaia di chilometri, quella dei segnali ad alta frequenza è molto più limitata, e di norma non supera la linea di orizzonte (vedi Radiocomunicazioni). L'area di copertura di una stazione televisiva non supera pertanto i 60 km, e dipende dall'altezza delle antenne trasmittenti.
Inoltre le onde radio ad alta frequenza presentano un comportamento analogo a quello delle onde luminose, possono infatti aggirare e superare gli ostacoli. Come conseguenza di ciò le varie onde possono percorrere distanze diverse, giungendo al ricevitore in istanti diversi e generando immagini multiple del medesimo segnale.
Il problema dei segnali riflessi così come quello dell'allargamento dell'area di copertura di una trasmissione televisiva è stato risolto facendo ricorso a particolari tipi di antenna ricevente. Queste antenne presentano un altissimo guadagno (in quanto riescono ad amplificare anche segnali estremamente deboli) e in molti casi una forte direzionalità, ovvero una efficienza maggiore per segnali provenienti da una determinata direzione.
Televisione via satellite
Oltre al cavo e alle stazioni ripetitrici, per la trasmissione di segnali su un'ampia porzione del globo vengono utilizzati satelliti artificiali orbitanti intorno alla Terra. Un ripetitore di microonde a bordo del satellite trasmette il segnale a una stazione ricevente di terra, che lo distribuisce localmente.
Ricevitori televisivi
L'elemento più importante in un ricevitore televisivo è il cinescopio, che trasforma gli impulsi elettrici del segnale televisivo in fasci di elettroni che colpiscono lo schermo, producendo un'immagine luminosa e continua.
Il cinescopio è praticamente un tubo a raggi catodici, così chiamato in quanto genera un fascio di elettroni che hanno origine dal catodo, cioè dall'elettrodo negativo. Nel collo del tubo è posto il cannone elettronico, composto da un filamento catodico riscaldato, una griglia di controllo e due anodi. Gli elettroni emessi dal catodo passano attraverso una sottile apertura nella griglia di controllo, mantenuta a un potenziale elettrico negativo rispetto al catodo, e vengono così concentrati in un fascio. I due anodi, posti a potenziale positivo crescente rispetto al catodo, accelerano gli elettroni, mentre il campo elettrico presente tra essi focalizza il fascio in modo che colpisca un singolo punto sullo schermo situato all'estremità opposta del tubo. Spesso al campo elettrico si preferisce un campo magnetico generato da una bobina di focalizzazione.
Lo schermo
Lo schermo è ottenuto rivestendo la parte interna dell'estremità del cinescopio con una sostanza che diventa luminescente quando viene bombardata con un fascio di elettroni. Quando il tubo è in funzione, il fascio di elettroni viene visualizzato sotto forma di un piccolo punto luminoso.
Nel cinescopio, due placche di deflessione muovono il fascio di elettroni, il cui orientamento dipende sia dalla polarità sia dalla quantità delle cariche presenti sulle due placche. La prima coppia di placche raffigurata nello schema deflette il fascio in direzione verticale, mentre la seconda agisce orizzontalmente. Quando un ricevitore è sintonizzato su una stazione, la scansione del fascio nel cinescopio risulta sincronizzata con quella della telecamera che riprende il segnale. Nei moderni cinescopi la deflessione è ottenuta per mezzo di due coppie di bobine magnetiche, le cui correnti, dette di deflessione, provengono da un generatore sincronizzato con un generatore analogo situato nel trasmettitore.
Il segnale in ingresso viene amplificato dal ricevitore televisivo e applicato alla griglia di controllo del cinescopio. La polarità della griglia, e quindi la quantità di elettroni che la oltrepassano giungendo sino allo schermo, dipende dall'intensità del segnale ricevuto.
Per mezzo dell'azione combinata della tensione di scansione e di quella del segnale in ingresso, il fascio di elettroni disegna sullo schermo del cinescopio una sequenza di punti che riproduce esattamente l'immagine originale.
La dimensione del lato maggiore di un cinescopio determina la grandezza dell'immagine sullo schermo; in commercio si trovano perlopiù schermi con diagonale compresa fra 3,8 e 89 cm. Per ottenere immagini di dimensioni maggiori si ricorre ai sistemi di videoproiezione su maxischermo. Recentemente sono stati messi a punto schermi a cristalli liquidi (LCD) che possono raggiungere dimensioni massime di circa 12,7 cm.
Circuiti del ricevitore
Lo schema generale dei circuiti di un moderno ricevitore televisivo è piuttosto complesso. Il segnale proveniente dall'antenna viene sintonizzato e amplificato nello stadio a radiofrequenza. Un mixer combina il segnale con l'uscita di un oscillatore a frequenza costante, restituendo frequenze di battimento che corrispondono a segnali video e audio; tali frequenze vengono separate tramite circuiti di filtraggio selettivo e poi sono amplificate separatamente. Il segnale audio viene preamplificato, demodulato e quindi amplificato nuovamente come nei normali ricevitori FM. Ugualmente il segnale video viene a sua volta preamplificato e demodulato, e inviato all'amplificatore video; all'uscita di quest'ultimo un circuito di filtraggio separa il segnale in due componenti. Il segnale della telecamera e gli impulsi di cancellazione vengono inviati direttamente alla griglia del cinescopio per regolare l'intensità del fascio di elettroni. I due insiemi di impulsi di sincronizzazione vengono filtrati nelle componenti orizzontale e verticale e applicati in ingresso agli oscillatori che pilotano i magneti di deflessione del cinescopio.
Come nella radio, a partire dalla fine degli anni Sessanta i tubi elettronici a vuoto sono stati sostituiti da transistor, circuiti integrati e altri componenti elettronici a stato solido, che occupano meno spazio e soprattutto consumano molto meno energia.
Teletext
Il sistema teletext permette di visualizzare informazioni testuali e semplici diagrammi sullo schermo, sfruttando alcune linee inutilizzate nel segnale televisivo. Il sistema Televideo della RAI trasmette notizie, previsioni del tempo, informazioni culturali e altro. Un decodificatore di cui è dotato il televisore separa le informazioni del teletext dal resto del segnale ricevuto, e le visualizza sullo schermo. La risoluzione permessa dal sistema Teletext, solo 24 linee di 40 caratteri, è comunque molto bassa se paragonata a quella dei moderni computer.
Televisione a colori
La televisione a colori venne sviluppata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e fu introdotta in Europa a partire dal 1967 (in Italia le prime trasmissioni sperimentali iniziarono a metà degli anni Settanta). Si calcola che oggi nei paesi industrializzati più del 90% delle abitazioni sia dotato di un televisore a colori.
Sistemi per la ricezione di trasmissioni a colori
Le informazioni necessarie a un ricevitore per riprodurre immagini a colori sono contenute nel segnale di crominanza. Così come il segnale di luminanza determina la luminosità di ogni elemento, o pixel, che compone l'immagine, il segnale di crominanza specifica tonalità e saturazione dello stesso elemento. I due segnali sono ottenuti da una opportuna combinazione tricromatica dei segnali video forniti da una telecamera, ovvero dalle variazioni di intensità dei tre colori rosso, verde e blu. Nel ricevitore i tre segnali video, ottenuti separando opportunamente luminanza e crominanza, generano nuovamente le componenti rossa, verde e blu dell'immagine, e queste, una volta sovrapposte, restituiscono l'immagine originale.
Formazione dei segnali a colori
L'immagine a colori attraversa le lenti della telecamera e giunge a uno specchio dicroico che ha la proprietà di riflettere la componente rossa e di trasmettere le altre. Un secondo specchio riflette la componente blu e trasmette quella verde. Le tre immagini ottenute sono quindi messe a fuoco sulle facce di tre tubi di ripresa. Tre filtri di colore posti di fronte ai tubi garantiscono che il segnale ricevuto da ogni canale della telecamera sia composto dal solo colore primario per cui è predisposto. I segnali ottenuti dalla scansione delle tre componenti cromatiche vengono inviati a un sommatore elettronico che restituisce il segnale di luminosità, e a un circuito encoder che li combina per ottenere il segnale di crominanza. I due segnali vengono quindi combinati per formare il segnale televisivo a colori.
Ricevitori a colori
Un ricevitore televisivo a colori incorpora un cinescopio a tre colori, dotato di tre cannoni a elettroni, uno per ogni colore primario, che scandiscono lo schermo attivando una matrice di fosfori colorati. La matrice è formata dalla ripetizione dei tre fosfori colorati, rosso, verde e blu, su tutta la superficie dello schermo. Una maschera forata posta tra i cannoni a elettroni e lo schermo permette che ogni fosforo colorato venga investito soltanto dal flusso di elettroni proveniente dal cannone corrispondente; ad esempio, il fascio che "disegna" la componente rossa dell'immagine colpirà esclusivamente i fosfori rossi.
In un televisore a colori il segnale a colori in ingresso viene separato in colore e luminosità. Il segnale del colore viene decodificato e ricombinato con le informazioni di luminosità, in modo da ottenere una serie di segnali relativi ai colori primari; tali segnali vengono inviati al cinescopio a tre colori che rigenera l'immagine originale.[5]
Computer (elaboratore) Dispositivo elettronico in grado di ricevere una sequenza di istruzioni (programma) ed eseguirla svolgendo calcoli su dati numerici o elaborando e correlando altri tipi di informazione. Il mondo attuale delle alte tecnologie non sarebbe mai nato senza lo sviluppo dei computer. Computer di diversi tipi e dimensioni vengono usati in ogni campo della vita sociale per la memorizzazione e l'elaborazione di dati: dalle informazioni segrete degli organi di governo alle transazioni bancarie, dalla didattica alla contabilità domestica privata. I computer hanno aperto una nuova era nella produzione industriale con lo sviluppo delle tecniche di automazione e hanno permesso lo sviluppo dei moderni sistemi di comunicazione. Sono oggi strumenti indispensabili in ogni campo della ricerca e delle applicazioni tecnologiche, dalla definizione di modelli dell'universo alle previsioni meteorologiche, e il loro impiego ha aperto nuovi campi d'indagine su problemi che, per complessità di calcolo o altri motivi sarebbero stati assolutamente irrisolvibili. I servizi di database e le reti di computer rendono disponibile a molti utenti una grande varietà di fonti informative. Purtroppo, le stesse tecniche avanzate rendono a volte possibile la violazione della privacy o di fonti di informazione riservate, tanto che la 'pirateria' informatica è divenuta uno dei maggiori rischi che la società deve affrontare per poter godere i vantaggi di questa moderna tecnologia.
Tipologia dei computer
Oggi sono in uso due tipi fondamentali di computer, quelli analogici e quelli digitali, benché il termine computer sia spesso usato per indicare solo il secondo tipo. I computer analogici sfruttano le analogie matematiche tra le relazioni che governano fenomeni fisici diversi per simulare una varietà di situazioni problematiche con circuiti elettronici o idraulici. I computer digitali, invece, risolvono i problemi eseguendo calcoli e altre manipolazioni su dati che vengono espressi in forma di combinazioni binarie, operando bit per bit.
Sistemi che contengono elementi di entrambi i tipi (analogici e digitali) sono detti ibridi. Essi trovano impiego soprattutto per lo studio di problemi che coinvolgono un alto numero di equazioni differenziali. I dati in forma analogica possono poi essere acquisiti da un computer digitale attraverso un convertitore analogico-digitale; anche la conversione opposta è possibile per mezzo di un convertitore digitale-analogico.
Computer analogici
I computer analogici sono dispositivi elettronici o idraulici progettati per gestire segnali di ingresso costituiti da valori di particolari grandezze fisiche continue, come tensioni elettriche o pressioni di fluidi, e non da dati numerici. Il più semplice dispositivo per il calcolo analogico è il regolo calcolatore, simile a un righello, con una parte scorrevole; sulla parte fissa e su quella mobile sono tracciate scale logaritmiche che permettono di eseguire rapidamente moltiplicazioni, divisioni e altre operazioni. In un tipico calcolatore elettronico analogico, gli ingressi sono rappresentati da tensioni, che possono essere sommate o moltiplicate tra loro per mezzo di elementi circuitali appositamente progettati. I segnali risultanti, variabili con continuità, vengono visualizzati o convertiti in altra forma.
Computer digitali
Qualsiasi elaborazione di un computer digitale è basata sulla capacità di distinguere tra due stati di funzionamento diversi. Ciascuno dei microscopici circuiti di un computer, infatti, può funzionare solo in due diversi stati, che la macchina è in grado di riconoscere: essi vengono indicati come 'on' e 'off', o come livello alto e livello basso (con riferimento ai valori di tensione) o, con simbologia numerica, come 1 e 0. La velocità con cui il computer può eseguire questo semplice riconoscimento, però, fa di esso una meraviglia della moderna tecnologia. La rapidità di un computer viene espressa in megahertz (milioni di cicli al secondo), riferendosi alla frequenza del suo segnale di sincronizzazione (Clock). Un computer con una frequenza di clock di 50 MHz, valore abbastanza comune per un microcomputer, può eseguire 50 milioni di operazioni elementari al secondo. Oggi sono comuni anche su personal computer processori con frequenze di clock intorno ai 100 MHz, mentre i supercomputer usati per la ricerca e per le applicazioni militari raggiungono velocità di miliardi di cicli al secondo.
La velocità e la potenza di calcolo dei computer digitali è ulteriormente incrementata dal crescere della quantità di dati trattata in ogni ciclo. Se un computer verificasse lo stato di un solo circuito elementare a ogni ciclo, esso potrebbe scegliere solo tra due alternative; lo stato ON rappresenterebbe un'operazione o un numero, lo stato OFF un'altra operazione o numero. Se invece il computer può considerare contemporaneamente più circuiti elementari che complessivamente codificano un'informazione, aumenta il numero di operazioni che esso può riconoscere a ogni ciclo. Ad esempio, un computer che può leggere nello stesso momento lo stato di due elementi, può distinguere fra quattro numeri (00, 01, 10, 11) o eseguire, a ogni ciclo, una tra quattro possibili istruzioni (codificate con le quattro possibili combinazioni degli stati dei due elementi: OFF-OFF, OFF-ON, ON-OFF e ON-ON).
Storia
La prima macchina per addizioni, lontano precursore del computer digitale, fu inventata nel 1642 dal filosofo francese Blaise Pascal. Essa impiegava una serie di ruote a dieci denti ciascuno dei quali rappresentava una cifra tra 0 e 9. Le ruote erano collegate in modo che i numeri potessero essere sommati l'uno all'altro facendo avanzare le ruote del giusto numero di denti. Intorno al 1670 il filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz perfezionò tale macchina, ottenendone una in grado di eseguire anche moltiplicazioni.
L'inventore francese Joseph-Marie Jacquard, progettando un telaio automatico, usò sottili tavolette di legno perforate per controllare la tessitura di motivi complicati. Negli anni Ottanta dell'Ottocento lo studioso statunitense di statistica Herman Hollerith sviluppò l'idea di usare schede perforate, simili alle tavolette di Jacquard, per elaborare dati. Con un sistema che faceva passare schede perforate sopra contatti elettrici, egli riuscì a compilare elaborazioni statistiche per il censimento degli Stati Uniti del 1890.
La macchina analitica
Sempre nel XIX secolo, il matematico e inventore britannico Charles Babbage elaborò il principio di funzionamento dei moderni computer digitali e concepì numerose macchine, tra le quali la macchina delle differenze e la macchina analitica, progettate per trattare problemi matematici complessi. Molti storici considerano Babbage e la sua collega, la matematica Augusta Ada Byron (1815-1852), sorella del poeta George Gordon Byron, i veri inventori del moderno computer digitale. La tecnologia del tempo non era in grado di tradurre i loro progetti in dispositivi d'uso pratico, tuttavia la macchina analitica possedeva molte delle prestazioni di un moderno calcolatore: aveva un flusso di dati in ingresso costituito da una pila di schede perforate, un 'magazzino' per conservare i dati, una 'fabbrica' per svolgere le operazioni aritmetiche, e una stampante che produceva una registrazione permanente.
I primi computer
La costruzione di computer analogici iniziò nei primi anni del XX secolo. I primi modelli, che eseguivano calcoli per mezzo di aste e ingranaggi rotanti, permisero di determinare approssimazioni numeriche di equazioni troppo difficili da risolvere per altra via. Durante le due guerre mondiali, calcolatori analogici meccanici, e più tardi elettrici, furono usati per prevedere le traiettorie dei siluri sui sommergibili e come dispositivi di puntamento per l'artiglieria aerea.
I computer elettronici
Durante la seconda guerra mondiale, una squadra di scienziati e matematici che operava a Bletchley Park, a nord di Londra, creò una macchina chiamata Colossus, che viene considerata il primo computer digitale interamente elettronico. Verso il dicembre del 1943, Colossus, che conteneva 1500 tubi a vuoto, era operativo; esso fu usato dal gruppo guidato da Alan Turing per interpretare i messaggi radio cifrati dei tedeschi. Indipendentemente da questo, un prototipo di macchina elettronica era stato realizzato negli Stati Uniti fin dal 1939, da John Atanasoff e Clifford Berry presso l'Iowa State College.
Le successive ricerche portarono allo sviluppo di ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer), un computer che venne realizzato nel 1945: conteneva 18.000 tubi a vuoto e aveva una velocità operativa di molte centinaia di moltiplicazioni al minuto, ma il suo programma era cablato negli stessi circuiti e doveva essere modificato manualmente. In seguito fu realizzato un nuovo modello dotato di un 'magazzino' per i programmi, basato su concetti elaborati dal matematico ungaro-statunitense John von Neumann. Le istruzioni venivano registrate nella cosiddetta 'memoria', e ciò liberava il computer dalle limitazioni di velocità dovute alla lettura del nastro perforato durante l'esecuzione dei programmi e permetteva di risolvere problemi diversi senza intervenire sui collegamenti.
L'uso dei transistor al silicio nei computer, negli ultimi anni Cinquanta, segnò l'avvento di elementi logici più piccoli, veloci e versatili di quelli realizzabili con i tubi a vuoto. A causa del minor impiego di potenza e della maggior durata dei transistor, questa sola innovazione fu responsabile della nascita di macchine ben più evolute, dette 'computer di seconda generazione'. I componenti divennero assai più piccoli e molto minore lo spazio necessario tra essi, e contemporaneamente i sistemi divennero assai più economici.
I circuiti integrati
Verso la fine degli anni Sessanta iniziò la produzione dei circuiti integrati (IC); questa tecnologia permette di realizzare numerosi transistor su un unico substrato di silicio, sul quale sono posti anche tutti i collegamenti tra essi. Il risultato fu un'ulteriore riduzione del prezzo, delle dimensioni e della frequenza dei guasti nei computer. Il microprocessore venne realizzato verso la metà degli anni Settanta, quando furono prodotti circuiti a grande scala di integrazione (Large Scale Integration, LSI) e poi a grandissima scala di integrazione (Very Large Scale integration, VLSI), contenenti fino a milioni di transistor interconnessi, realizzati su un'unica piastrina di silicio.
Le macchine degli anni Settanta, in genere, potevano riconoscere gruppi di otto stati; in altre parole, potevano trattare otto cifre binarie (binary digits, o bit) a ogni ciclo. Un gruppo di otto bit è detto byte, e ciascun byte può assumere 256 possibili configurazioni di stati ON e OFF (1 o 0). Ciascuna configurazione può rappresentare un'istruzione, o una parte di essa, o un tipo di dato, come un numero, un carattere o un simbolo grafico. La combinazione 11010010, ad esempio, può rappresentare un dato numerico binario (vedi Sistemi di numerazione), oppure un'istruzione (ad esempio, confronta il contenuto di un registro con quello di una data cella di memoria).
Lo sviluppo di computer che possono trattare in blocco combinazioni di 16, 32 e 64 bit ha aumentato la velocità d'elaborazione. L'insieme di tutte le combinazioni di bit che un computer è in grado di riconoscere come comandi, cioè l'elenco completo delle sue istruzioni, è detto set di istruzioni. Entrambi questi elementi (bit trattati in un passo e dimensioni del set di istruzioni) sono in continua crescita nei moderni elaboratori.
L'hardware
Gli attuali calcolatori digitali, benché siano tutti concettualmente simili, possono essere classificati in diverse categorie in base al costo e alle prestazioni: i personal computer o microcomputer sono macchine di costo relativamente ridotto e di dimensioni adatte, di norma, a una scrivania (ma ve ne sono ormai delle dimensioni di un libro); le workstation (stazioni di lavoro) sono computer con prestazioni grafiche e di comunicazione avanzate, particolarmente utili nel lavoro d'ufficio e spesso collegati in rete locale o estesa; i minicomputer sono macchine di dimensioni maggiori, in genere troppo costose per l'uso personale, con potenzialità sufficienti per un'azienda, una scuola o un laboratorio; infine i mainframe computer sono macchine assai costose, in grado di soddisfare le esigenze di una grande impresa commerciale, di un ministero, di un centro di ricerca scientifica, o di altre strutture simili (i più grandi e veloci tra questi sono detti supercomputer).
In un computer digitale possono essere distinti cinque elementi: 1) una unità centrale di elaborazione (CPU, Central Processing Unit); 2) i dispositivi di ingresso; 3) i dispositivi di memoria; 4) i dispositivi di uscita e 5) una rete di comunicazione, detta bus, che collega tutti gli elementi del sistema e permette a questo di comunicare con l'esterno.
Unità centrale (CPU)
L'unità centrale di elaborazione può essere realizzata con un solo integrato o con più integrati collegati, e svolge operazioni aritmetiche e logiche, oltre a temporizzare e comandare le operazioni di tutti gli altri elementi del sistema. Le tecniche di miniaturizzazione e integrazione hanno reso possibile lo sviluppo della CPU su un chip singolo, o in altre parole del microprocessore, che contiene anche circuiti ausiliari e memoria. Ne sono derivati computer più piccoli e una riduzione della circuiteria di supporto. I microprocessori sono presenti nella maggior parte degli attuali personal.
La maggior parte delle CPU e dei microprocessori è composta da quattro sezioni: 1) un'unità aritmetico/logica (ALU, Arithmetic/Logic Unit); 2) alcuni registri; 3) una sezione di controllo; 4) un bus interno. L'ALU è la sede delle capacità di calcolo, e svolge operazioni aritmetiche e logiche. I registri sono spazi di memoria temporanei che conservano i dati e gli indirizzi delle istruzioni, i risultati delle operazioni e le locazioni in cui queste informazioni vanno archiviate. La sezione di controllo svolge tre funzioni principali: temporizza e regola le operazioni dell'intero sistema; per mezzo di un decodificatore di istruzioni, legge le relative combinazioni in un apposito registro, le riconosce e produce le azioni necessarie per la loro esecuzione; infine, mediante l'unità di interrupt (interruzione) stabilisce l'ordine in cui i diversi dispositivi del sistema possono utilizzare le risorse della CPU e regola gli intervalli di tempo di lavoro che la CPU stessa deve destinare a ciascuna operazione.
L'ultimo elemento strutturale di una CPU o di un microprocessore è il bus interno, una rete di linee di comunicazione che collegano le varie parti del processore tra loro e ai terminali esterni. Una CPU ha tre diversi tipi di bus: 1) un bus di controllo, costituito da linee che ricevono segnali dall'esterno e da altre che trasportano all'esterno i segnali di controllo prodotti dalla CPU; 2) il bus degli indirizzi, unidirezionale, che trasporta i segnali per la selezione delle locazioni di memoria; 3) il bus dei dati, bidirezionale, per portare alla CPU i dati letti in memoria e per portare alla memoria nuovi dati.
Dispositivi di ingresso
Questi dispositivi permettono all'utente di inviare alla CPU dati, comandi e programmi. Il più comune tra essi è la tastiera, simile a quella di una macchina da scrivere, che trasforma ciascun carattere battuto in una combinazione di bit riconoscibile dal computer. Altri dispositivi di ingresso sono le penne ottiche, che trasferiscono al computer informazioni tramite tavolette grafiche; i joystick e i mouse, che comandano il movimento di un cursore sullo schermo mediante un analogo effettivo movimento del dispositivo; gli scanner ottici, che 'leggono' parole e simboli su una pagina stampata e li 'traducono' in sequenze di bit elaborabili o memorizzabili da un computer; infine, i riconoscitori vocali, che traducono in segnali digitali le parole pronunciate dall'operatore. Anche i dispositivi di memoria possono essere usati per trasferire dati verso l'unità di elaborazione.
Dispositivi di memoria
I sistemi di calcolo possono immagazzinare dati sia internamente (nella memoria di lavoro), sia esternamente (nelle memorie di massa). Le memorie di lavoro contengono dati temporanei e sono costituite da RAM (Random Access Memory, memoria ad accesso casuale) integrate, montate direttamente sulla scheda principale del computer oppure su schede aggiuntive (espansioni) inserite nella principale mediante appositi connettori. Una RAM integrata contiene anche più di un milione di circuiti elementari a transistor il cui stato (binario) può essere imposto mediante comandi elettrici. In assenza di comandi, le RAM chiamate 'statiche' mantengono i loro dati inalterati finché l'integrato viene alimentato (cioè finché gli viene fornita energia elettrica tramite un generatore); nelle RAM dette 'dinamiche', invece, i dati devono essere periodicamente letti e riscritti per non essere persi (questa operazione, detta 'rinfresco', deve essere eseguita a intervalli che non superano i due millisecondi circa).
Le memorie ROM (Read-Only Memory, memoria di sola lettura) contengono circuiti elementari il cui stato non può essere variato con comandi esterni e viene fissato in fase di costruzione; su queste memorie, non cancellabili, sono raccolti comandi, dati e programmi necessari al corretto funzionamento del computer. Le RAM, dunque, possono essere scritte, cancellate e riscritte senza limitazioni (e si cancellano spegnendo il computer), mentre il contenuto delle ROM è permanente e può solo essere letto. Entrambe le memorie sono collegate alla CPU.
Le memorie di massa possono far parte del computer come unità fisica, ma non risiedono sulla sua scheda principale. Questi dispositivi immagazzinano i dati in forma di alterazioni dello stato magnetico di un supporto sensibile, come il nastro di un registratore o, più comunemente, un disco rivestito da un sottile strato di materiale magnetico. I tipi più comuni di dispositivi esterni di memoria sono i floppy disk e gli hard disk, mentre la maggior parte dei grandi sistemi di calcolo usa unità di memoria con banchi di nastri magnetici. I floppy disk possono contenere da qualche centinaio di migliaia a oltre un milione di byte, secondo il sistema che li impiega. Gli hard disk (dischi 'rigidi' o 'fissi') non possono essere estratti dal loro alloggiamento nel circuito che li pilota e che contiene i dispositivi di lettura e scrittura dei dati sulle superfici magnetizzate. Essi possono contenere da parecchi milioni a oltre un miliardo di byte. I CD-ROM, che impiegano tecnologie simili a quelle dei compact disc (CD) per riproduzioni audio, permettono di raggiungere capacità di memoria di diversi miliardi di byte.
Dispositivi di uscita
Questi dispositivi rendono visibili all'utente i risultati dei calcoli e delle elaborazioni del computer. Il più comune tra essi è l'unità video (Video Display Unit, VDU), simile a uno schermo televisivo, che visualizza caratteri e immagini. Una VDU è basata, di norma, su un tubo a raggi catodici come quello di un comune televisore, ma i piccoli computer portatili usano visualizzatori a cristalli liquidi (Liquid Crystal Display, LCD) o schermi elettroluminescenti. Tra gli altri dispositivi di uscita comuni citiamo le stampanti e i modem. Questi ultimi permettono di collegare due o più computer operando una modulazione sui segnali digitali in modo che i dati possano essere trasmessi attraverso una rete di telecomunicazioni.
I sistemi operativi
I diversi tipi di periferiche, disk drive, stampanti, reti di comunicazione e così via, gestiscono e memorizzano i dati in forme diverse da quelle usate dall'elaboratore. I sistemi operativi interni, registrati in una ROM, sono stati messi a punto con lo scopo primario di coordinare e adattare i flussi di dati provenienti da sorgenti diverse, quali i disk drive o i coprocessori (integrati con capacità di elaborazione, in grado di operare con particolari funzioni contemporaneamente all'unità centrale). Un sistema operativo è un programma di controllo che svolge operazioni fondamentali, risiede in una memoria interna permanente, e interpreta i comandi di utente che richiedono varie specie di servizi, come la visualizzazione, la stampa o la copiatura di un file, il raggruppamento logico dei file in una directory, o l'esecuzione di un dato programma.
La programmazione
Un programma è una sequenza di istruzioni che indicano all'hardware di un calcolatore le operazioni da eseguire elaborando i dati. I programmi possono essere fissati dalla stessa struttura del circuito (hardware), o possono esistere indipendentemente da essa, in una forma detta software. La prima soluzione è limitata a computer specializzati per un'unica funzione, o 'dedicati', di cui sono esempi comuni quelli presenti nelle calcolatrici tascabili, negli orologi da polso, nelle automobili, o anche nei forni a microonde. Un computer per applicazioni generali, invece, contiene anche alcuni programmi o istruzioni non modificabili, rispettivamente nelle ROM e nel processore, ma dipende da programmi esterni per lo svolgimento di tutte le funzioni applicative. Una volta programmato, un computer può compiere solo le funzioni, complesse o elementari, che il software che lo controlla in quel momento gli permette. Il termine software, in senso lato, comprende una vasta gamma di programmi applicativi (sequenze di istruzioni che permettono al computer di dedicarsi ad attività assai diversificate).
I linguaggi
Un computer deve ricevere le istruzioni in un linguaggio di programmazione che esso possa comprendere; in altre parole, a ogni comando deve corrispondere una specifica combinazione di livelli binari. Nei primi computer, la programmazione era assai laboriosa, poiché lo stato degli elementi circuitali binari realizzati con i tubi a vuoto doveva essere predisposto manualmente. Squadre di tecnici impiegavano giorni per programmare semplici attività come la disposizione in ordine alfabetico di un elenco di nomi. I progressi nel settore dell'informatica hanno portato, per passi successivi, allo sviluppo di numerosi tipi diversi di linguaggi di programmazione, alcuni orientati in modo specifico a funzioni ben definite, altri con l'obiettivo della facilità di uso (approccio 'amichevole', o 'user-friendly').
Linguaggio macchina
È il linguaggio direttamente comprensibile al computer, costituito da combinazioni di stati binari, e perciò non immediatamente significativo per l'utente umano e difficile da memorizzare. Il programmatore deve inserire ciascun comando e dato in forma binaria, perciò una semplice operazione come 'confronta il contenuto di un registro con il dato presente in una certa locazione di memoria' può richiedere la scrittura di una sequenza del tipo: 11001010 00010111 11110101 00101011. La programmazione in linguaggio macchina, oggi non più necessaria, permetterebbe di ottimizzare il programma per svolgere un ben preciso compito, ma è un'operazione tanto noiosa e lunga che raramente questo vantaggio giustifica l'impiego di giorni o settimane per la scrittura di un programma in questa forma.
Linguaggio assembly
Un metodo ideato dai programmatori per abbreviare e semplificare la scrittura di programmi è lo sviluppo di linguaggi assembly, che consiste nell'assegnare a ciascun comando in linguaggio macchina un breve codice, in genere di tre lettere, che richiami il significato del comando stesso (ad esempio JMP per 'jump'). Così la scrittura di un programma o le operazioni di debug (correzione degli errori nella logica o nei dati) possono essere svolte in un tempo assai più breve che lavorando su codici binari. Nei linguaggi assembly, ogni codice mnemonico e ogni operando espresso in forma simbolica corrisponde a un'istruzione in linguaggio macchina. Un programma assemblatore provvede a tradurre la sequenza di istruzioni scritta in termini mnemonici, detta codice sorgente, nella corrispondente sequenza di codici binari in linguaggio macchina, detta codice oggetto, e all'esecuzione del programma.
Un linguaggio assembly, però, può essere usato con un solo tipo di CPU o di microprocessore; in questo modo i programmatori che hanno imparato a programmare un computer devono apprendere un diverso approccio ogni volta che si apprestano a lavorare su una nuova macchina. Per questo motivo si è reso necessario lo sviluppo di un nuovo linguaggio in cui un'espressione simbolica possa rappresentare una sequenza anche di molte istruzioni in linguaggio macchina, e di un modo che permetta allo stesso programma di 'girare' su macchine di diverso tipo. Questa necessità ha portato alla diffusione dei linguaggi di alto livello.
Linguaggi di alto livello
I linguaggi di alto livello impiegano spesso parole della lingua inglese corrente, ad esempio LIST, PRINT, OPEN, e così via, come comandi singoli che possono sostituire una sequenza di decine o centinaia di istruzioni in linguaggio macchina. Questi comandi sono inseriti dalla tastiera o da un programma nella memoria di lavoro o in una memoria di massa, e sono elaborati da un programma che li traduce in istruzioni in linguaggio macchina.
I programmi traduttori sono di due tipi: interpreti e compilatori. Con un interprete i programmi vengono tradotti durante l'esecuzione, perciò eventuali cicli che vengono ripercorsi più volte vengono ritradotti ogni volta che appaiono; di conseguenza l'esecuzione di un programma interpretato è molto più lenta di quanto non sarebbe se esso fosse scritto in linguaggio macchina. Per contro, i compilatori trasformano in linguaggio macchina l'intero programma prima dell'esecuzione, perciò i programmi 'girano' altrettanto rapidamente che se fossero redatti direttamente in tale forma.
Alla studiosa statunitense Grace Hopper è attribuita la realizzazione del primo linguaggio di programmazione orientato al commercio. Dopo aver programmato un computer sperimentale all'università di Harvard, lavorò sui modelli UNIVAC I e II, e mise a punto un linguaggio di programmazione di alto livello per uso commerciale chiamato FLOW-MATIC. Per facilitare l'uso dei calcolatori nelle applicazioni scientifiche, l'IBM sviluppò un linguaggio che semplificava le attività che comportavano formule matematiche complesse. Abbozzato nel 1954 e completato nel 1957, il FORTRAN (FORmula TRANslator) fu il primo linguaggio di alto livello e vasta applicabilità ad avere un largo uso.
Nel 1957, la Association for Computing Machinery si dispose a realizzare un linguaggio universale che correggesse alcuni dei difetti rilevati nel FORTRAN. Dopo un anno fu presentato l'ALGOL (ALGOrithmic Language), un altro linguaggio orientato alle applicazioni scientifiche; ampiamente usato in Europa negli anni Sessanta e Settanta, esso fu in seguito soppiantato da linguaggi più recenti, mentre il FORTRAN viene ancora usato, a causa degli enormi investimenti, in programmi attuali. Il COBOL (COmmon Business Oriented Language), un linguaggio orientato all'amministrazione e al commercio, fu ottimizzato per l'organizzazione dei dati e la manipolazione dei file, e trova largo uso oggi nel mondo degli affari.
BASIC (Beginner's All-purpose Symbolic Instruction Code), destinato agli utenti non professionali di computer, fu sviluppato presso il Dartmouth College nei primi anni Sessanta. Divenne di uso pressoché universale con l'esplosione dei microcomputer degli anni Settanta e Ottanta. Tacciato di essere lento, inefficiente e poco elegante dai suoi detrattori, il BASIC è tuttavia semplice da imparare e di facile utilizzo, e poiché molti dei primi microcalcolatori venivano venduti con il BASIC già installato nelle ROM, il linguaggio ebbe rapidamente una vasta diffusione. Un semplicissimo esempio di programma in BASIC considera l'addizione dei numeri 1 e 2 e la visualizzazione del risultato. La sua scrittura è la seguente (i numeri 10-40 sono numeri di linea):
Benché esistano centinaia di diversi linguaggi di programmazione e di loro varianti, alcuni meritano particolarmente di essere menzionati: il PASCAL, progettato in origine come strumento didattico, che è divenuto oggi uno dei più popolari linguaggi per microcomputer; il LOGO che venne creato per introdurre i bambini all'uso del computer; il C, un linguaggio dei Bell Laboratories progettato negli anni Settanta, che trova moltissime applicazioni nello sviluppo di programmi per sistemi complessi, così come il suo derivato C++; il LISP e il PROLOG che sono molto usati negli studi sull'intelligenza artificiale.
Sviluppi futuri
Un evidente indirizzo nel perfezionamento dei computer è la microminiaturizzazione, cioè lo sforzo di comprimere un sempre maggior numero di elementi circuitali in uno spazio su chip sempre più ridotto. Vi sono anche ricerche per velocizzare il funzionamento dei circuiti sfruttando la superconduttività, il fenomeno per cui la resistenza elettrica di alcuni metalli si riduce bruscamente quando la temperatura si approssima allo zero assoluto.
Un'altra linea di sviluppo è quella dei computer di 'quinta generazione', che tende a realizzare macchine in grado di risolvere problemi complessi che possano eventualmente richiedere un approccio 'creativo'; l'obiettivo ideale è il raggiungimento di una vera intelligenza artificiale. Una strada attivamente esplorata è l'elaborazione parallela (parallel-processing), che impiega diversi integrati per svolgere differenti funzioni contemporaneamente. Questa modalità di lavoro può forse replicare, in qualche misura, le funzioni per mezzo di retroazioni, approssimazioni e valutazioni complesse tipiche del pensiero umano. Un'altra tendenza in via di sviluppo è il collegamento dei computer in reti, che oggi coinvolge anche l'uso di satelliti artificiali. Vi è anche un notevole concorso di ricerche sulle possibilità dei computer 'ottici', cioè dotati di un hardware che non elabori impulsi elettrici, ma ben più veloci impulsi luminosi.
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