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RAPPORTO MADRE/FIGLIO
ALL'INTERNO DEL CARCERE
"I figli sono le ancore della vita di una madre"
Sofocle
Al di là degli aspetti normativi bisogna considerare cosa significhi e cosa comporti vivere la maternità in carcere.
A tale proposito ricordiamo come il rapporto tra madre e figlio può essere squilibrato per un atteggiamento iperprotettivo ed esclusivo che ella mette in atto, a sua volta indotto dalla coercizione del contesto.
Vengono segnalati anche alcuni effetti patologici ambientali sul bambino che vanno da una irrequietezza che può essere anche molto pronunciata, a crisi di pianto frequenti e immotivate; frequente è la difficoltà ad addormentarsi e a mantenere il sonno, con risvegli bruschi nella notte; inappetenza e significative variazioni di peso sia in eccesso che in difetto sono anch'esse frequenti. [44]
4.1 SCELTE E SEPARAZIONI DIFFICILI
Ho voluto iniziare questo paragrafo con l'articolo "Quanto stiamo insieme? " di Michelangela Zocco perché meglio di ogni altro è in grado di mettere in evidenza le problematiche del momento della separazione obbligata della madre dal proprio figlio.
Le giornate passano con lui che mi segue come un'ombra e mi chiede, continuamente: 'Mamma dove sei? Mamma vengo con te'. Ed ecco è arrivata l'ultima sera, lui lo sa perché mi vede nervosa, lo prendo in braccio e comincio ad accarezzarlo e le parole escono con amore.'Amore, domani mamma torna al lavoro, tu starai con nonna, mi raccomando fai sempre il bimbo bravo e dolce che sei'. Lui mi guarda, io cerco di non farmi notare, ma gli occhi mi si riempiono di lacrime, cerco di controllarmi perché lui non deve ancora subire.La notte passa di nuovo insonne, lui mi tiene la mano e non la lascia, i miei movimenti lo svegliano e mi domanda: 'Mamma dove vai?', lo rassicuro e gli rispondo: 'Sono qui'.È l'ora, mi alzo, mi vesto, finisco di preparare le borse, il taxi è arrivato, le valigie sull'ascensore, torno indietro per dargli l'ultimo bacino sulla fronte e via in fretta, senza girarmi più, la strada è lunga e il cuore batte forte, e più mi avvicino e più batte forte, ecco sono quasi arrivata, l'Ultimo caffè in libertà e dopo l'ultima camminata in libertà fino al prossimo permesso. Suono il campanello, il portone si apre e le parole sono: 'detenuta rientra dal permesso'.E mentre il portone si chiude, dietro alle mie spalle, mi dico: 'Ci vediamo il prossimo mese'.
Altre situazioni analoghe emergono dal campione di detenute intervistate per la ricerca sulla carcerazione femminile condotta nel 1990[48]. Le madri rappresentavano la maggioranza (59,8%) per cui è intuibile quante fossero le situazioni più o meno gravose di "maternità interrotta". Le madri di figli minori di tre anni risultavano essere 63 ossia il 19,3% del totale delle madri di figli minorenni. Solo dieci delle detenute menzionate avevano scelto di tenere il figlio con sé perciò,questa decisione veniva assunta solo quando sistemazioni alternative apparivano difficilmente praticabili o inesistenti.
In un altro lavoro di ricerca, Biondi ha rilevato che il numero dei minori conviventi con la madre detenuta è oscillato, per anno, dalla 50 unità (1989) a più di 150 nel 1992 . Tre sono i motivi per i quali secondo l'autore le donne intervistate avevano scelto di avere il bambino accanto:
Al contrario coloro che avevano deciso di non tenere presso di sé il figlio desideravano non coinvolgere il bambino nella situazione carceraria ed in secondo luogo avevano la possibilità di affidarlo a terzi.
In ogni caso, la scelta di tenere o meno il figlio in carcere accanto a sé non è riconducibile alle sole situazioni sociali e/o affettive poiché stiamo parlando di donne che spesso vivono una situazione già carente di riferimenti affettivi. Le variabili caratteriali, relazionali ed ambientali sono così svariate e complesse che la "ricerca" della soluzione migliore sembra legata ad un circolo vizioso per cui, secondo la dichiarazione di una detenuta intervistata da Biondi, ".sei chiusa da due lati, come scegli hai la sensazione di sbagliare per te, per lui, per loro. Sinceramente non so cosa sia veramente più egoistico se tenerlo accanto, proteggerlo o affidarlo ad altri con il timore che quando esci non ti riconosca, ti rimproveri, sia difficile riprendere il contatto con lui; e questo non solo per quanto puoi soffrire tu, ed è tanto, ma per quanto comunque soffrirà lui".
La preoccupazione delle detenute riguarda inoltre il momento del distacco, quando il figlio avrà compiuto i tre anni e dovrà uscire da carcere per andare con altri familiari o essere affidato e si troverà improvvisamente senza la figura materna a cui è stato fortemente legato, soprattutto in un ambiente come il carcere.
Nella scelta di tenere il figlio con sé o meno, rientra inoltre il timore che quest'ultimo venga dato in affidamento, timore che riemerge al compimento dei tre anni.
4.2 TIPOLOGIE DI DONNE COINVOLTE
Particolarmente problematica in ambito carcerario femminile è la presenza delle straniere e delle donne di etnia zingara, che poi ritroviamo protagoniste significative degli asili nido in carcere.
L' osservazione dei risultati delle ricerche evidenzia che maggior parte delle donne entrate in carcere con figli minori di tre anni sono di etnia nomade o sono tossicodipendenti.
La scelta delle nomadi di tenere il figlio in carcere con sé , afferma Biondi, va valutata in termini più approfonditi in quanto " vi è la convinzione, non del tutto errata, che in carcere, specie d'inverno, i bambini molto piccoli stiano meglio e possano essere meglio accuditi ed assistiti con dei controlli sanitari che normalmente, in libertà, non vengono eseguiti".
La donna tossicodipendente con figli - specialmente se priva di terapia sostitutiva specifica - rappresenta un rilevante problema terapeutico, sia per quanto riguarda la donna stessa al momento dell'arresto (crisi di astinenza) e il bambino, sia per ogni ipotesi di piano terapeutico personalizzato.
Ancora molto rare e distribuite disomogeneamente sul territorio sono le comunità terapeutiche che accolgono madri con bimbi e non sempre sono in grado di farlo per la scarsità di posti a disposizione. Una sistemazione detentiva migliore, laddove non fosse applicabile la pena alternativa, sarebbe costituita dalle c.d. «custodie attenuate»; queste sono istituti o sezioni penitenziarie con norme peculiari e regime di bassa custodia che favorisce una forma migliore di trattamento della tossicodipendenza. Ma fino ad oggi nessuna di tali strutture è attrezzata per accogliere bimbi.
Altre soluzioni giudiziarie potrebbero essere rappresentate da una più estesa applicazione degli arresti domiciliari e dalla realizzazione di strutture protette al di fuori del carcere.
Una buona opportunità, viene dall'approvazione e attivazione della legge n. 419/98 che trasferisce alle Regioni e alle Aziende sanitarie locali ogni competenza in materia di sanità in carcere. Si delinea quindi una positiva prospettiva con l'ipotesi di un opportuno intervento dei servizi materno-infantili nell'ambito di specifici Dipartimenti per la salute in carcere, volti a favorire l'attivazione della rete socio-assistenziale esterna e il coinvolgimento degli asili nido comunali che permetterebbero almeno una presenza esterna dei bambini nell'arco della mattinata e lo stabilimento di solidi contatti con l'esterno. Per quanto riguarda gli asili comunali, molti di essi da tempo prevedono dei posti riservati ai figli di donne detenute con l'organizzazione del trasporto a mezzo di scuolabus che transitano nei penitenziari per la raccolta dei bambini. Infine, coinvolgendo specifiche altre professionalità (neuropsichiatri infantili, puericultrici e pediatri), si verrebbe a ridurre la quota di danno conseguente all'ambiente sfavorevole (insalubrità dei locali chiusi, malattie infettive, ecc.).
Un'altra tipologia di detenute che va sempre più aumentando sono le straniere tanto è vero che, nelle schede riassuntive del comportamento di sette bambini (controllati a Rebibbia dalle puericultrici) e inserite nel testo di Biondi[50], ben tre sono nigeriani, uno armeno e uno di nazionalità sconosciuta.
Detenute madri appartenenti a diverse culture e chiuse in un ambiente ristretto come quello della sezione possono incontrare serie difficoltà ad equilibrare le modalità educative e comunicazionali fondamentalmente e ,come avviene in parte per le nomadi, ciò incide sui metodi educativi e di assistenza .
4.3 BAMBINI CRESCIUTI TRA LE MURA DEL CARCERE
Tenendo presenti le finalità punitive e preventive di ogni tipo di privazione della libertà personale, la prima conseguenza dell'attuale impianto normativo è quella di far perdere la centralità dell'innocenza del bambino e di sacrificarla a favore dell'espiazione della pena del genitore.
Lasciare che un bambino possa vivere l'esperienza del carcere in un periodo della sua vita in cui non ha ancora sperimentato l'esistenza della libertà è assurdo; privarlo della possibilità di ricevere le cure materne e , viceversa, privare la madre del proprio diritto ad essere tale è un assurda crudeltà.
La rottura dell'unità familiare genitore-figlio-ambiente sociale è dannosa e può arrecare gravi e permanenti danni al bambino, specialmente se iniziata in età neonatale e protratta per più anni.[51]
Nello specifico l'assenza della figura paterna specie prima dei 4 o 5 anni di vita può condurre a:
a) conflitti e rigidità nell'aggiustamento del ruolo sessuale individuale, i quali a loro volta, sono spesso in relazione con inadeguatezze nel funzionamento emozionale, cognitivo e personale ;
b) un basso livello di indipendenza e di auto-affermazione nelle relazioni con i coetanei spesso a associata a sentimenti di inferiorità e mancanza di fiducia negli altri e a comportamenti antisociali;
c) conflitti relativi al ruolo sessuale ed ansietà riguardo al sesso nell'adolescenza e nell'età adulta;
d) disturbi della sfera emotiva sia in età infantile che adulta.
Anche il rapporto con la madre viene in qualche modo "falsato" ,in carcere si osserva una difficoltà della madre a ridurre l'iniziale totale dipendenza in tal modo prolungando la stretta relazione simbiotica nella quale il figlio è immerso.
Il periodo di tempo che va dai primi giorni di vita ai tre anni comprende più fasi dello sviluppo del bambino, tutte molto significative perché in grado di determinare la formazione della sua personalità.
Fattori genetici, ormonali ed ambientali intervengono in questo processo di crescita che, quindi, non resta indifferente agli stimoli ( di qualsiasi natura siano) provenienti dall'esterno.
Gli stimoli ambientali del carcere, infatti, sembrano condizionare incisivamente due situazioni: da un lato portano alla suddetta permanenza di un rapporto affettivo simbiotico e serrato, dall'altro favoriscono un legame discontinuo dove simbiosi e distacco si alternano lasciando il bambino confuso rispetto alla comprensione di quale sia la propria situazione affettiva. Possono quindi innescarsi reazioni di attaccamento ansioso come reazione allo stato di precarietà che il bambino sente di vivere.
In un saggio del 1975 Crocellà e Coradeschi definivano il carcere come "l' ambiente più insano dal punto di vista dell'igiene mentale e dello sviluppo fisico di un bambino" per la limitatezza degli spazi, l'abitudine ai chiavistelli, alle sbarre, per l' assenza della figura paterna e di figure di sesso maschile in generale.
Osservando ancora una volta la ricerca di Biondi emerge molto chiaramente che in più Istituti si riscontrava una non regolarità nelle vaccinazioni previste. Un bambino era figlio di madre affetta da HIV ed egli stesso era sieropositivo, un altro è sembrato essere affetto da un ritardo psico-motorio e, la medesima patologia (con eziologia incerta), sembrava affliggere un altro bambino ancora.
Alcuni bambini presentavano delle disarmonie nello sviluppo ma in misura tale da non poter essere considerati segni di un reale ritardo nella crescita. I bambini più grandi presentavano problemi comuni dell'età infantile ( infezioni delle prime vie respiratorie, otiti, problemi digestivi) con una prevalenza, tuttavia, di eccessivo ritardo della dentizione.
Alcune problematiche apparivano sporadiche (convulsioni, malnutrizione, anche nella forma dell'obesità) in rapporto alla bassa numerosità del campione , ma ciò che ha sottolineato il ricercatore era il fatto che le voci patologiche per le quali il gruppo appariva indenne fossero poche.
Uno degli aspetti comportamentali maggiormente riferiti riguarda la tendenza dei bambini a preferire l'isolamento rispetto alle stimolazioni dell'ambiente. Non di rado è stato osservato un lento ma costante atteggiamento di chiusura che diviene un segnale significativo del livello di difficoltà e gravità emotiva ed affettiva che il bambino sta soffrendo.
Effettivamente, le situazioni di cambiamento ambientale che si sovrappongono allo stato di tensione sofferto dalle detenute sembrano essere tra le condizioni che con più frequenza si osservano, e sovente si correlano con le difficoltà lamentate dai bambini ad avere un regolare ritmo sonno/veglia.
Da quanto detto sembra che i rischi maggiori dovuti alla prisonizzazione infantile rientrino nella sfera della maturazione psico-affettiva e siano connessi alla capacità del singolo di sopportare situazioni frustranti; tale capacità è diversa a seconda dell'età delle persone, ci si domanda quindi che tipo di capacità possa avere un bambino che, per come è strutturata la vita carceraria e per la situazione personale della madre, di situazioni non frustranti ne ha vissute ben poche.
4.4 FIGLI FUORI DAL CARCERE
Come abbiamo visto, la legge sulle detenute madri afferma la non adeguatezza della detenuta a garantire una buona educazione dei figli che a partire dal terzo anno di vita deve essere allontanato dalla madre e dalla vita condotta fino ad allora. Questo momento impone una brusca censura del rapporto simbiotico e totalizzante. Da allora il figlio può rivedere la madre solamente durante i colloqui, sempre che abbia qualcuno che lo può accompagnare all'interno del carcere. La sofferenza della madre di contenere la voglia e la carica affettiva di stare col proprio figlio dentro il limite di un' ora di colloquio e all'interno di un ambiente spersonalizzato e asettico, è aumentata dalla difficoltà di far capire ad un bambino così piccolo il perché di tutto questo. La frustrazione del bimbo che presumibilmente vivrà la separazione della madre come abbandono, si può trasformare in ostilità e rifiuto nei suoi confronti.[53]
4.5 DUE INTERESSANTI INIZIATIVE SULL'INFANZIA IN CARCERE[54]
Una iniziativa che merita di essere segnalata è quella dell'associazione «Telefono Azzurro» denominata «Infanzia in carcere»; questo progetto è stato studiato appositamente per tentare di diminuire il livello di stress cui i bambini sono sottoposti all'interno del carcere e prevede due principali iniziative. La prima consiste in un asilo nido all'interno del penitenziario, adattato per offrire al bambino positive esperienze relazionali anche grazie alla presenza di personale volontario il quale, attraverso il gioco, ne sollecita l'attenzione in modo positivo e attivo. Questa iniziativa tende anche a facilitare alle madri la creazione e/o il mantenimento di una situazione spazio-temporale personale. La seconda parte del progetto prevede la creazione di una ludoteca allestita in modo da rappresentare un positivo modo di accogliere i bambini in attesa del colloquio con i genitori; il gioco rappresenta qui uno strumento di comunicazione tra bambini e adulti. Nel 1998 questo progetto è stato attivato in via sperimentale con la collaborazione della Direzione del carcere di Monza.
Un'altra iniziativa altamente qualificante, realizzata dal
volontariato presso il carcere femminile di Rebibbia, a Roma, è quella
dell'Associazione «A Roma Insieme». Gli associati, una o due volte alla
settimana, in genere nei fine settimana, portano in uscita esterna i figli
delle detenute ricoverati presso l'asilo nido penitenziario interno. Sporadiche
iniziative simili sono segnalate anche presso le quattro sezioni femminili
degli istituti per minori di Roma, Nisida (Na), Milano e Torino, dove accanto
al ginecologo opera anche il pediatra.
D'altra parte, però, associazioni come il Tribunale del Malato continuano a non
essere autorizzate all'ingresso, testimoniando la durezza del regime
carcerario.
Un problema che merita di essere evidenziato è il fatto che i bambini in visita
dall'esterno ai genitori detenuti vengano molto spesso sottoposti a
perquisizioni personali alla ricerca di armi o droga. Tale pratica non risolve
né il problema delle eventuale presenza di armi o siringhe all'interno degli
istituti, né quello della presenza di droga ed è pertanto da considerare quanto
meno inutile, senza considerarne gli intuibili risvolti umani.
Libianchi S., Groppi C., Spella F., Staccioli C.: "The attenuated custody: the treatment applications for drug addicts detainees in Italy". Paper presented at 22th International Institute on the Prevention and Treatment of Drug Dependance. Trieste June 11-16, 1995.
Libianchi S.: "E' realizzabile una integrazione tra Sistema Sanitario Nazionale e le prestazione sanitarie rese nell'ambito carcerario?" Comunicazione personale alla Seconda Conferenza Nazionale sui Problemi Connessi con la Diffusione delle Sostanze Stupefacenti e Psicotrope e sull'Alcoldipendenza tenuta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (art.1 c. 15 DPR 309/90).
Libianchi S.: "La Riduzione del Danno"; in: "Il Vaso di Pandora. Carcere e pena dopo le riforme. Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani". Atti del Convegno. Roma 17-18 Maggio 1996; pp. 231-234.
Articolo pubblicato sul sito internet www.ildue.it
Sandro Libianchi "Madri e bambini in carcere" Centro Studi del Centro di documentazione Due Palazzi. -www.ristretti.it-
Mariella Crocellà, Corrado Coradeschi "Nati in carcere - dalla prigione alla condizione sociale, la violenza sulla donna e sul bambino", ed. Emme, 1975.
Articolo pubblicato sul sito internet https://www.ildue.it/
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