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Le leggi italiane e il carcere




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Le leggi italiane e il carcere


«Con l'espressione trattamento penitenziario si vuole indicare quel complesso di norme e di attività che regolano ed assistono la privazione della libertà per l'esecuzione penale. Rientrano, nel concetto, le norme dirette a tutelare i diritti dei detenuti, i principi di gestione degli istituti penitenziari, le regole che attengono alla somministrazione ed alle prestazioni dovute ai privati della libertà».

L'articolo della Costituzione italiana che fa riferimento alla situazione carceraria è il n. 27 , che sancisce il dovere della "rieducazione del detenuto" e viene recepito all'interno del tessuto normativo come norma portante dell'intera "organizzazione penitenziaria". L'introduzione dell'articolo 27, e quindi di un complesso di norme riguardanti le carceri fino ad allora inesistente, ha segnato il passaggio da una visione culturale che sostiene l'importanza delle sofferenze fisiche e psicologiche come strumento di rieducazione del detenuto, ad una concezione del carcere come luogo di "risocializzazione" e recupero degli individui.

Nonostante i progressi introdotti con la Costituzione del '48, è solo con la Legge 26 Luglio 1975, n. 354 che si tenta di realizzare concretamente, all'interno delle vecchie strutture penitenziarie, i principi contenuti nella Costituzione. La riforma viene attuata nel pieno del processo di trasformazione sociale e culturale, riguardante il rapporto tra autorità statali e cittadini, che negli anni '60 e '70 orienta e influenza l'ordinamento giudiziario. «Due significativi principi esprimono la decisiva volontà di rottura di una secolare tradizione delle istituzioni penitenziarie italiane: i detenuti e gli internati debbono essere chiamati o indicati con il loro nome (art. 1 comma 4); non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze di ordine e di disciplina o, se si tratta di imputati, non indispensabili a fini giudiziari (art. 1 comma 3)»

Con la riforma in esame, art. 15, il trattamento dei condannati e degli internati è attuato attraverso l'utilizzo «principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia». (Ibidem). La finalità rieducativa è posta al centro di ogni discorso sul momento esecutivo della pena e per tale motivo non è prevista nessuna particolare restrizione o impedimento per quanto riguarda l'accesso ai mezzi di informazione; in realtà, come si vedrà più avanti, le limitazioni sono ancora oggi molto ampie.

I detenuti e gli internati, a differenza che nel passato, possono conservare libri, quotidiani e apparecchi radio personali; inoltre, attraverso la previa autorizzazione del direttore, possono utilizzare computer e altri strumenti tecnologici per motivi di studio o di lavoro. Le celle non sono provviste di collegamento telefonico, per cui l'accesso Internet è impossibile. Per i detenuti, in ogni caso, non è previsto l'accesso al web nemmeno in aree comuni sorvegliate o luoghi di studio. Si vedrà in seguito come avverrà la pubblicazione dei loro articoli all'interno dei siti dei giornali che redigono.

Particolare interesse è dedicato al momento lavorativo, che non viene più inteso con valenza punitiva, ma come elemento essenziale per la realizzazione e la crescita della persona anche durante la sua detenzione all'interno delle strutture penitenziarie (art. 20-25). A questo proposito, l'articolo più importante è sicuramente il 21 : «E' un beneficio di legge che permette al detenuto di uscire dal carcere durante il giorno per lavorare: ne possono godere tutti, imputati e condannati, come pure gli ergastolani dopo l'espiazione di almeno dieci anni di reclusione. Viene proposta dalla Direzione e concessa a discrezione del Tribunale di sorveglianza ».

L'articolo 78 introduce invece il concetto di "persone idonee all'assistenza e all'educazione", che possono accedere ai penitenziari come "assistenti volontari". Agli educatori è affidato il compito di definire, orientare e valutare i percorsi di recupero dell'internato.

Con la legge 354 si realizza, quindi, una vera e propria rivoluzione nel rapporto tra comunità carceraria e società; ci troviamo di fronte ad un'evoluzione culturale di straordinaria importanza, capace di superare le vecchie concezioni della detenzione segreganti per instaurare una comunicazione e un contatto tra chi si trova dentro il carcere e la comunità esterna.

Risale al 1986 la "Legge Gozzini" n. 663/86, spesso oggetto di aspre polemiche parlamentari, che prevede dei benefici che permettono ai detenuti che hanno mantenuto una regolare condotta agli interni degli istituti e di usufruire delle misure alternative al carcere e di permessi premio per mantenere le relazioni familiari e i rapporti di lavoro.

Nel 1992, nel particolare clima di tensione politica determinato dai gravi attentati mafiosi, viene ulteriormente inasprito l'articolo 41bis, riguardante  l'"impiego della forza fisica e uso dei mezzi di coercizione", che concerne "Il regime di carcere duro" e che prevede la creazione delle carceri "speciali": «Carcere ad alto indice di sicurezza adibito alla detenzione di detenuti ritenuti particolarmente pericolosi o che hanno tentato evasioni. Quasi tutte le carceri hanno una sezione speciale per questi detenuti; al loro interno il regime carcerario è notevolmente più rigido e si è sottoposti ad asfissianti controlli per ogni inezia. Più che per ragioni di sicurezza queste prassi particolari sono impiegate per spezzare la personalità di coloro che vi sono sottoposti, cercando in questo modo di indurli alla collaborazione e al pentimento. E' un moderno e incruento strumento di tortura che però, bisogna ammetterlo, ha dato i suoi frutti» ( Aa. Vv., 2001, p. 115).

Fra il 2000 e il 2003 vengono pubblicate diverse leggi che modificano la n. 354, con l'intento di migliorare ancora le condizioni dei detenuti e soprattutto l'aspetto riguardante l'occupazione, durante e dopo il periodo di arresto. La legge più nota, e certamente anche la più discussa, è la legge 1 Agosto 2003, "Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni", conosciuta come "Indultino", la cui approvazione ha suscitato crisi e spaccature parlamentari. In realtà, nonostante l'introduzione del provvedimento, la sua applicazione risulta ancora molto incerta, visto il numero di detenuti che hanno potuto beneficiarne: in data 23 Ottobre 2003 , su 721 istanze presentate ai  penitenziari lombardi, solamente a 33 detenuti è stata concessa la scarcerazione.




CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, p. 107

«La responsabilità penale è personale.

l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.» (L'arti 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale).
'Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.'
Neppi Modona, Ordinamento Penitenziario, in AA.VV., Giustizia Penale e Poteri dello Stato, Garzanti, 2002, p. 690
« I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'art. 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena di reclusione per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4 bis l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre i cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza (..) »
Da "I Pugni nel muro", Aa. Vv., 2001
Art 41-bis. « In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro di grazia e giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto ».
Dati forniti dal "Corriere della sera" del 23/10/2003, nell'articolo "Liberati dall' indultino solo 33 detenuti su 721", p. 53.
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