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La pena nel diritto vigente




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La pena nel diritto vigente


La pena è stata, dunque, per secoli, un puro e semplice castigo. Per effetto dell'opera svolta dalle correnti dottrinarie volte alla promozione della riforma delle leggi penali e dei sistemi penitenziari, la pena ha cominciato a subire una lenta ma assai significativa trasformazione.

Il primo passo è consistito nell'eliminazione dai sistemi carcerari di tutto ciò che potesse peggiorare le condizioni non solo fisiche, ma anche e soprattutto morali, del recluso, introducendo vari provvedimenti tesi al conseguimento della rigenerazione dei condannati. Avendo riconosciuto nell'ozio una delle principali cause che ostacolano l'emenda, in quanto fattore di degradazione e abbrutimento, la legge di riforma dell'O.P. ha consacrato il trattamento come lo strumento cardine per la rieducazione carceraria. Nell'esecuzione, poi, è stato adottato il c.d. sistema progressivo, il quale implica una graduale attenuazione delle limitazioni imposte al detenuto proporzionalmente al suo miglioramento, predisponendo, in tal modo, le fondamenta per il reinserimento nel tessuto sociale.[1]

Il vecchio sistema penale importava, come conseguenza dei criteri che lo ispiravano, la necessità che la pena inflitta al reo, per il delitto commesso, fosse, in ogni caso, inflessibilmente applicata.

Orbene, con l'introduzione della liberazione condizionale, viene concessa la possibilità di condonare al reo, che ha tenuto buona condotta, una parte della pena purché, entro un certo tempo, non commetta altri reati.

E' stato dato al giudice il potere di sospendere l'applicazione dell'intera pena a chi delinque per la prima volta (la c.d. sospensione condizionale). Le legislazioni recenti hanno fatto un passo più in là, consentendo al giudice la facoltà di non irrogare la pena spettante al reo, ma di perdonarlo, sia pure limitatamente agli autori di reato minorenni (il c.d. perdono giudiziale); ciò, soprattutto, al fine di evitare le conseguenze morali della condanna, che possono ostacolare lo sviluppo dei processi educativi e l'inserimento del giovane nel consorzio civile.

Infine, le pene detentive meno gravi sono state, talora, sostituite con forme di semilibertà o libertà controllata.

Uno dei caratteri essenziali del vecchio sistema punitivo, e cioè la proporzione fra il reato e la sanzione, è stato fortemente intaccato. Le moderne legislazioni vogliono che nella misura e nella scelta della pena si tenga conto anche dei caratteri personali del reo, che influiscono sulla quantità e la qualità della pena stessa.

"Queste constatazioni autorizzano a concludere che la pura pena, la pena vuota di ogni contenuto, la pena che è soltanto una sofferenza per colui che la subisce se non è già scomparsa, va scomparendo. Si profila, in tal modo, la pena moderna, la quale conserva bensì il carattere affittivo, o meglio dissuasivo, ma ha anche la funzione di combattere le cause individuali della criminalità: tende, in altri termini, a far sì che l'autore del reato torni ad essere, o diventi, un membro utile della comunità sociale. Essa, in conseguenza, più che verso il passato, è protesa verso il futuro. In correlazione a ciò, le carceri, da semplici luoghi di pena, vanno assumendo, in misura sempre maggiore, il carattere di istituti di disciplina costruttiva e di rieducazione"

Il problema della natura della pena, trattandosi sostanzialmente di questione interpretativa, va chiarito esclusivamente con la chiave del diritto positivo, essendo questa la realtà che si propone agli occhi del giurista.

Ad un esame obiettivo e aprioristico, il diritto attualmente vigente in Italia conferma il carattere tradizionale, ossia punitivo, che la pena ha mantenuto nel tempo e le connesse finalità di intimidazione.

Tuttavia, il diritto stesso assegna alla pena la funzione emendativa; funzione che ha acquisito una sostanziale rilevanza, come già anticipato, con l'approvazione dell'O.P. di cui alla legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modificazioni.

L'art. 1 comma 6 di tale ordinamento reca: " Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti." [3]

In tale ordinamento sono destinati a conseguire l'emenda:

  • l'organizzazione del lavoro all'interno dello stabilimento e all'aperto
  • l'istruzione (a cui si provvede mediante l'istituzione di scuole e l'attrezzatura di biblioteche)
  • l'educazione morale (coadiuvata dall'assistenza religiosa)
  • le attività culturali, ricreative e sportive
  • la sorveglianza del giudice sull'esecuzione della pena
  • il sistema progressivo di esecuzione penale

Nell'ordinamento vigente, dunque, la funzione retributiva è stata assai mitigata per perseguire lo scopo del reinserimento sociale del condannato.

La pena, nel diritto attuale, non ha, dunque, un carattere rigorosamente unitario: è un mixtum compositum nel quale emerge a grandi lettere, accanto all'emenda del reo, il concetto centrale del corrispettivo.

Il castigo giuridico viene notevolmente temperato nel tentativo, più o meno esplicito, di conciliare le varie e complesse esigenze nella lotta contro il delitto, traendo ispirazione da motivi di opportunità politica e di necessità sociale.

La determinazione della "pena giusta" consente sì di determinare concretamente le pena come quella socialmente meritata, ma rischia di offuscare il finalismo utilitarista ed i criteri razionali che dovrebbero guidare la funzione primaria della pena che si esplicita nel tentativo di ricostruire e rafforzare l'integrazione sociale del reo ("pena utile").

L'istituzione carceraria evidenzia, attualmente, una profonda crisi guardando soprattutto alle nuove sfide e alle complesse esigenze che deve gestire. Tale crisi sembra aver colpito i due perni attorno ai quali ruota il sistema penitenziario: il trattamento e la sicurezza.[4]

La rigida dicotomia tra la funzione riabilitativa e la funzione custodialistica del carcere, si proietta anche nella realtà extra muraria, quando le attività deputate a produrre sicurezza richiedono interventi più vigorosi da parte delle agenzie di controllo e dei servizi esterni.

La progressiva apertura della prigione alla realtà, configura quella che è forse la più importante novità nella storia penitenziaria del nostro secolo.

Le misure di trattamento in libertà (permessi premio, licenze, art. 21, .) e le misure alternative alla detenzione, configurano uno scenario con il quale la società non può fare a meno di confrontarsi.

La partecipazione della società esterna alle forme di gestione della pena, sia intramurale che a mezzo delle sanzioni sostitutive, è un aspetto importante della progressiva riappropriazione da parte della società libera, del diritto di punire ormai molto diverso, nella sua pratica concreta, rispetto alle origini.

L'obiettivo prioritario che il sistema si pone ruota attorno ai soggetti direttamente coinvolti nell'azione delittuosa: il reo e la vittima, lavorando sui bisogni e le domande di chi trasgredisce la legge ed ha diritto al trattamento ma anche di chi ha subito la violazione dei propri diritti ed esige una sicurezza garantita e attualizzata.

In questa fase le maggiori potenzialità di tale prospettiva sembrano essere giocate dai modelli riparativi e di mediazione, anche se, attualmente, si costituiscono come servizi marginali incapaci di incidere in modo significativo sul funzionamento generale del sistema di giustizia.




ANTOLISEI, Manuale di diritto.., pag. 693 ss.

ANTOLISEI, Manuale di diritto., cit, pag. 696.

Legge 26 luglio 1975, n. 354- Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Art. 1, comma 6.

Rif. G. DE LEO, Le prospettive del sistema sanzionatorio, Relazione al XIII Seminario Internazionale AETSJ, Venezia, 25-27 settembre 2000.

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