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La Mafia è un'associazione a delinquere formatasi in Sicilia, ancora prima dell'unità d'Italia, ma ormai diffusa in tutto il mondo. Essa è composta di cosche, gruppi di persone che mirano a mantenere in una qualsiasi comunità sociale una posizione di potere e di privilegio, ricorrendo spesso a mezzi illeciti e disonesti.
Lo "spirito della Mafia" indica un modo di concepire i rapporti sociali in base ad uno stato d'animo d'eccessivo orgoglio, di prepotenza e superbia, secondo cui per essere veri uomini d'onore bisogna far valere le proprie ragioni contro i torti subiti senza ricorrere alle autorità, intervenendo senza scrupoli morali. Questo "spirito della Mafia" poggia su un codice d'onore non scritto ma egualmente rispettato.
In Sicilia, dopo il crollo dell'ordinamento feudale, nel 1812, i braccianti e i contadini vennero a trovarsi in condizioni ancora più disagiate, dove le terre a loro disposizione erano le più sterili. Dilagò il brigantaggio e il governo costituì delle compagnie d'armi per tutelare l'ordine.
L'ignoranza dei costumi locali da parte dei tutori dell'ordine, l'istituzione del servizio obbligatorio di leva, l'avversione e il disprezzo dei funzionari statali, l'ingordigia del fisco furono le cause di rivolta contro i nuovi padroni e contro il disinteresse per il dilagante sfruttamento dei poveri.
Nacquero sommosse, ribellioni e repressioni che radicarono sempre più nell'idea che l'autorità dello Stato si sostituiva alla prepotenza dei signori locali solo in alcuni aspetti. La Mafia allora si pose sempre più come organismo sostitutivo dell'ordine legale con l'obiettivo di creare e di conservare un ordine basato su un codice tacito, ma ferreo.
Si degenerò in un vasto fenomeno di criminalità organizzata basato su una fitta rete di complicità e caratterizzato da ricatti, violenze e
Le origini
delitti a sfondo economico. Da tale degenerazione nacquero le cosche mafiose, piccoli gruppi di 10-12 persone guidati da 2-3 personaggi autorevoli e specializzati nel portare a termine estorsioni, ricatti e sequestri a danni di proprietari fondiari e contadini per convincerli ad accettare condizioni onerose in cambio di protezione per le proprietà.
Lo Stato avvertì il pericolo di un fenomeno che andava dilatandosi, così il Ministro degli Interni, Cantelli, nel 1874, chiese per il governo poteri eccezionali e si arrivò a delle inchieste parlamentari (Franchetti- Sonnino). I risultati di queste inchieste finirono per apparire deformati, perché il potere della Mafia assunse le forme più diffuse fino a coinvolgere centri dell'apparato politico, il colpo più duro lo ricevette dal prefetto Cesare Mori durante il periodo fascista. Mancarono però la capacità e la volontà politica d'eliminare le cause della Mafia, e il crollo del fascismo riaprì le porte del potere e dell'ascesa politica ad una classe che con la Mafia aveva modo di prosperare anche nel sottogoverno.
Questo avvenne il 10 luglio del 1943 in occasione dello sbarco degli alleati americani in Sicilia. La strategia militare che il Pentagono decise di attuare, nel momento in cui si decise ad aprire un nuovo fronte contro i nazi-fascisti in Italia, fu quella di iniziare l'offensiva dalla Sicilia, sia per evidenti ragioni geografiche, sia perché si poteva costituire una testa di ponte partendo dall'Africa settentrionale dove vi erano già delle truppe Anglo-Americane che avevano occupato il Nord d'Africa e la Tunisia. La CIA pensò di sfruttare la Mafia siciliana, così prese contatto con alcuni importanti boss mafiosi italo-americani in carcere negli Stati Uniti e gli offrì un patto: la libertà in cambio di un appoggio al momento dello sbarco. I casi più noti riguardano i boss Lucky Luciano e Vito Genovese.
Contemporaneamente gli alleati affidarono molte cariche, di sindaco o di responsabile d'uffici, a noti mafiosi della Sicilia; in questo modo venne dato loro nuova e sicura autorità, oltre a concrete possibilità d'arricchimento e d'accrescimento del loro potere.
La Mafia cercò di organizzare la sua presenza, anche politica, in Sicilia, contribuendo alla nascita del Movimento Indipendentista
Siciliano (MIS), una formazione politica che si prefiggeva l'indipendenza della Sicilia dal resto d'Italia e, in alcuni momenti, persino la strana idea di far aderire la Sicilia, come nuovo stato, agli Stati Uniti.
Il MIS ebbe uno sviluppo molto ampio dal 1943 al 1947, sia per il seguito popolare, sia perché i responsabili del governo militare d'occupazione affidarono il 90% dell'amministrazione a politici separatisti come denunciava la prima relazione della Commissione parlamentare antimafia del 1972.
La crescita del movimento non si limitò al piano legale ed elettorale, ma costituì persino un suo esercito, l'EVIS (Esercito Volontario d'Indipendenza Siciliana).
Il capo dell'EVIS fu Salvatore Giuliano e fu proprio costui a provocare la fine dell'esperienza separatista con la strage di Portella delle Ginestre, una località vicino a Palermo, dove il 1° maggio 1947 si erano radunati i lavoratori della zona per celebrare la festa del lavoro. Era da poco iniziato il discorso del segretario socialista della zona quando, improvvisamente, dalle alture circostanti partirono i primi colpi di mitra, all'inizio si pensava fossero spari festosi ma poi cominciarono le prime urla e un confuso fuggire tra lamenti e pianti. Vi furono 11 morti e 35 feriti.
Il bandito Giuliano in quest'occasione fu usato contro i comunisti, e la strage compiuta dopo le elezioni regionali siciliane, ebbe sicuramente dei mandanti, che però non sono mai stati scoperti.
Si distinsero le responsabilità del bandito Giuliano da quelle dei politici del MIS e dei mafiosi.
Si contrattò con la Mafia la fine di Giuliano, che fu tradito e ucciso nel luglio 1950 da un suo luogotenente, nonché cugino, Gaspare Pisciotta, il quale a sua volta due anni dopo fu fatto tacere con un caffè alla stricnina, perché era disposto a raccontare i retroscena della morte del suo capo.
Nel periodo fascista, il sud fu protagonista per il suo problema dell'arretratezza economica, politica e sociale; le cause di questo
squilibrio nei confronti del nord erano sia di tipo fisico-geologiche, sia per alcune vicende storiche quando nel 1878 e nel 1887 si tornò al regime protezionistico, e in seguito scoppiò la guerra doganale con la Francia: grazie alle favorevoli tariffe doganali l'industria settentrionale iniziò il suo decollo trascinando con sé un importante moltiplicarsi d'infrastrutture e attività commerciali, ma a spese del Meridione, tenuto in condizione semicoloniale e costretto a comprare a caro prezzo i prodotti dell'industria che avrebbe potuto avere a miglior mercato dall'estero.
Nel corso del tempo furono poi emanate una serie di leggi a favore del Sud ma per quanto utili, non poterono risolvere il problema che doveva essere affrontato su scala nazionale.
Lo sforzo a favore del Mezzogiorno proseguì con una bonifica integrale non più limitata al risanamento idraulico e alla lotta contro la malaria, ma con un più ampio programma di trasformazione agraria.
Nel 1950 fu poi istituita la Cassa per il Mezzogiorno, che raccolse i fondi per gli interventi straordinari sulle infrastrutture e nel comparto industriale. Per quanto riguarda l'agricoltura, si provvide con la riforma agraria, all'esproprio di 500.000 ettari di terreno e all'insediamento di 70.000 nuovi proprietari. I risultati complessivi non furono pari alle speranze e all'inizio degli anni '70 si stima siano emigrati al nord oltre cinque milioni di meridionali attratti dal boom economico di quegli anni, e dimensione consistenti ha raggiunto anche l'emigrazione internazionale, verso Germania e Svizzera. Questo fenomeno è quasi venuto ad esaurirsi solo negli ultimi due decenni in conseguenza della riduzione delle opportunità d'impiego esterne. Nel 1957 si attuò anche la teoria dei "Poli di sviluppo" con la quale si cercò di costruire grandi impianti industriali nel sud con funzione trainante per altre imprese; inoltre furono fatte leggi per dislocare almeno il 40 % delle imprese a partecipazione statale al sud
Cassa per il Mezzogiorno
e per dare incentivi finanziari e agevolazioni fiscali a chi avesse voluto aprire un'attività in queste zone "marginali". I risultati anche qui non furono quelli sperati, l'industria non fu sufficientemente diffusa, non si risolse il problema dell'occupazione e si crearono soltanto grandi cattedrali nel deserto, perché questi grandi impianti costruiti poco dopo vennero anche chiusi. Il problema principale del sud, in particolare della Sicilia, rimaneva la Mafia.
Negli anni '60, la Mafia era difficilmente combattuta a causa dell'appoggio elettorale dato a partiti politici di governo rivendicandone una certa protezione, e dall'omertà[1] degli abitanti dei paesi nei quali essa agiva.
In quegli anni uno scrittore siciliano, Leonardo Sciascia, pubblicò vari libri che trattavano quest'argomento poiché visse proprio negli anni del suo sviluppo.
Sciascia nasce a Recalmuto, ad Agrigento, l'8 gennaio 1921 da madre proveniente da una famiglia d'artigiani e da padre lavoratore in una delle miniere di zolfo della zona. A sei anni inizia a frequentare la scuola e da subito affiora la sua forte passione per la storia e per la letteratura.
Nel 1935 si trasferisce a Caltanisetta e s'iscrive all'Istituto Magistrale. Nel 1941 diventa maestro d'elementare e nel 1944 si sposa con Maria Andronico dalla quale avrà due figlie.
Nel 1956 è pubblicato il primo libro di rilievo "Le parrocchie di Ragalpetra" al quale seguono "Gli zii di Sicilia: la zia d'America", "Il 48" e "La morte di Stalin". Nel 1961 viene pubblicato "Il giorno della civetta" che porterà all'autore la maggior parte della sua celebrità.
Nel corso degli anni Sciascia pubblica altri libri e nel 1974, nel clima del referendum sul divorzio e della sconfitta politica dei cattolici, nasce "Todo modo", un libro che parla di cattolici che fanno politica.
Dopo diversi anni d'attività politica, lo scrittore è segnato dalla malattia che lo costringe a frequenti trasferimenti a Milano per curarsi. Muore a Palermo il 20 novembre 1989.
Il suo libro più importante, "Il giorno della civetta", segnò una rivoluzione dell'epoca poiché, grazie alla semplicità del lessico, era indirizzato alle grandi masse ed era il primo libro che trattava il problema della Mafia.
Il racconto è ambientato in diversi paesini del Palermitano ed inizia con l'uccisione del presidente di una piccola cooperativa edilizia, Colasberna, poiché non aveva voluto la protezione dei mafiosi. L'indagine è affidata al capitano dei Carabinieri Bellodi ma l'omertà dei cittadini, che proteggono la criminalità, complica le indagini. Bellodi, grazie all'aiuto di pochi testimoni, che saranno tutti uccisi, giunge ai responsabili del primo assassinio: Don Mariano Arena e il "Pizzuco". Entrambi sono due anziani capi-mafia che godono dell'appoggio della maggior parte della popolazione locale. A questo punto sembra essersi creato un nuovo equilibrio, ma Bellodi viene mandato in licenza al nord per malattia, e così tutto il suo lavoro viene distrutto e non si giunge più alla verità.
In questo libro il legame tra il personaggio principale, il capitano Bellodi, e l'autore è considerato abbastanza stretto perché entrambi sono impegnati nella lotta contro il flagello della Mafia.
Oltre ai vari libri, Sciascia scriveva articoli riguardanti la Mafia per diversi giornali, quali l'Espresso, il Corriere della Sera, Panorama, ecc.
Vari articoli che lo scrittore ha scritto dal '79 all''88, sono stati raccolti in un libro che s'intitola "A futura memoria". Tra i vari articoli letti, c'è né uno del 15 maggio 1983 nel quale lo scrittore spiega com'è nata l'idea di scrivere il suo più celebre romanzo [il giorno della civetta], facendo riferimento al fatto di come capi mafiosi e gregari erano conosciuti quanto le forze dell'ordine e di come funzionava la vita politica in Sicilia: i politici che volevano candidarsi alle elezioni, per vincerle, venivano "raccomandati" dalla Mafia, se costoro si rifiutavano di avere quest'appoggio, al posto di essere uccisi, più semplicemente erano trasferiti altrove. Sempre nello stesso articolo tratta del fatto che la Chiesa fino a quel momento abbia sempre taciuto, come
se acconsentisse, ma che dopo iniziò a far sentire la propria voce e a schierarsi contro la Mafia; quest'avvenimento fu preso come "un'offesa" da parte dei capi mafiosi perché li definiva suoi nemici.
Tra i vari articoli raccolti, Sciascia scrive di quando il magistrato Borsellino nel 1986 diventa Procuratore di Marsala per meriti, scavalcando un magistrato che doveva precederlo per anzianità. Falcone a Palermo, Borsellino a Marsala in modo da scoprire tutti i collegamenti esistenti tra centro e provincia. Sciascia commenta affermando che, l'assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica a Marsala, non era corretto poiché, tra tutti i candidati che c'erano, Borsellino era il più giovane, anche se il più indicato perché aveva già trattato processi di Mafia. Ciò che salta agl'occhi dello scrittore è che i parametri di scelta da parte del CSM non siano stati rispettati per Borsellino ma siano stati rispettati per Falcone quando gli è stata bocciata la candidatura per sostituire Caponnetto alla guida del pool e come guida della Procura Nazionale Antimafia per la sua età.
Borsellino replica all'"attacco" di Sciascia affermando che se lui e la sua generazione hanno conosciuto la Mafia è proprio grazie ai libri dello scrittore. Aggiunge, inoltre, che lui non ha voluto occuparsi di processi di mafia per far carriera, come diceva Sciascia poiché li definiva "professionisti dell'antimafia", ma Borsellino ha iniziato ad occuparsene per caso, e poi vi è rimasto per un problema morale quanto iniziò a vedere che la gente gli moriva attorno.
Dopo la morte di Falcone, Borsellino decide di rendere pubblico quanto tempo addietro accadde all'interno del CSM. Tutto iniziò quando Caponnetto dovette lasciare il posto di Procuratore della Repubblica di Palermo per problemi di salute, e Falcone era il candidato più adatto a sostituirlo.
Dal CSM arrivò, però, un colpo durissimo perché qualche "giuda" facente parte del consiglio aveva fatto in modo che fosse scelto qualcun altro; così facendo si stava distruggendo il pool antimafia, Borsellino reagì e iniziò a parlarne pubblicamente smovendo l'opinione pubblica, che era in loro favore. Borsellino rischiava un
provvedimento disciplinare a causa delle sue affermazioni, ma almeno se il pool doveva morire, non sarebbe morto in silenzio.
L'allora P.d.R. Cossiga intervenne in favore del magistrato, ordinando che s'indagasse su quanto egli dichiarava, e su quanto stava accadendo all'interno del Palazzo di Giustizia di Palermo. Alla fine di tutto Falcone non ottenne il posto e Borsellino non subì nessun provvedimento, ma all'interno del Palazzo di Giustizia di Palermo molte carriere di politici e di magistrati finirono anche grazie alle dichiarazioni dei pentiti sulle connessioni tra Mafia e politica.
Il CSM è l'organo di autogoverno della magistratura, composto in prevalenza da rappresentanti degli stessi giudici che ha la funzione di provvedere alla loro carriera; è un organo collegiale formato:
Da tre membri di diritto:
Presidente della Repubblica;
2 giudici di grado più elevato della Corte di Cassazione: il primo presidente ed il Procuratore generale.
Da 24 membri elettivi:
16 membri togati eletti dai magistrati ordinari appartenenti alle diverse categorie;
8 membri laici eletti dal Parlamento in seduta comune a scrutinio segreto con maggioranza qualificata, tra i professori universitari di materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni d'attività professionale.
Il P.d.R è il Presidente del CSM. Il vicepresidente è uno dei membri laici.
I membri di diritto restano in carica a tempo indeterminato (finché hanno il loro ruolo istituzionale); i membri elettivi, invece, restano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.
I membri del CSM non possono essere membri del Parlamento, del Governo, della Corte Costituzionale, dei Consigli regionali, provinciali o comunali e non possono svolgere un'attività professionale o essere iscritti all'albo.
C.S.M.
Le loro funzioni sono di adottare tutte le decisioni relative all'impiego e alla carriera dei giudici ordinari (assunzione, assegnazione, trasferimenti, promozioni, provvedimenti).
Le decisioni sono adottate con un decreto del P.d.R controfirmato dal ministro della giustizia e riguardano:
Lo stato giuridico e la carriera dei magistrati: sono atti di natura amministrativa e quindi impugnabili davanti agli organi della giustizia amministrativa;
Le sanzioni disciplinari in caso di inosservanza dei doveri del loro ufficio: sono atti di natura giurisdizionale contro i quali l'interessato può ricorrere alle sezioni unite della Corte di Cassazione.
Il ministro della giustizia (guardasigilli) ha:
Funzioni sull'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia e all'esecuzione delle deliberazioni adottate del CSM;
Potere di controllo: può intervenire alle adunanze del CSM e promuovere decisioni amministrative di competenza del CSM;
Potere d'iniziativa: può promuovere d'ufficio l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati.
La Mafia estese i propri interessi in settori economicamente predominanti quali: l'edilizia, il commercio ed il terziario pubblico. Ad esempio tra il 1957 e il 1963 l'80% delle licenze di costruzione del Comune di Palermo furono rilasciate a soli 5 nominativi, prestanome dei più potenti gruppi mafiosi della città; ed oltre 2000 licenze edilizie furono rilasciate in una sola notte.
I crescenti sospetti di coperture politiche alla Mafia non smisero di stimolare la risposta del Parlamento: fin dal 1962 fu istituita un'apposita commissione d'inchiesta antimafia, che tuttavia solo nel 1973 poté pubblicare gli atti dei suoi lavori.
Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, a causa dell'aumento del giro d'affari mafioso, ottenuto grazie al traffico di
droga si ebbe un'evoluzione improvvisa del fenomeno mafioso. Nasce una classe di mafiosi dedita al riciclaggio di denaro sporco, primo sbocco di questi "imprenditori" fu ancora l'edilizia. Tale attività, consentiva a "Cosa Nostra" di accrescere l'effettivo controllo del territorio.
All'inizio degli anni '80, venne progettata a Palermo una risposta decisa ed efficace alla criminalità mafiosa per merito di quattro magistrati: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, i quali costituirono quello che ormai è passato alla storia come il pool AntiMafia di Palermo. Ogni giudice che appartiene al pool ha la consapevolezza d'essere indispensabile nel suo ruolo, e sa che lavorare insieme può far raggiungere buoni risultati.
La squadra funziona ma si comprende che per sconfiggere la Mafia non è sufficiente solo il pool. Il merito della creazione di questo gruppo di lavoro fu dapprima di Rocco Chinnici. La reazione della Mafia non si fece attendere: Rocco Chinnici fu ucciso nel 1983.
Così Antonino Caponetto occupò il posto di Chinnici e creò anche formalmente il pool che riuscì ad istituire il maxiprocesso di Palermo, uno dei punti più alti della lotta alla Mafia nella nostra storia.
I magistrati crearono un sistema d'intensa collaborazione tra i giudici e la loro specializzazione in reati di Mafia. S'iniziò a considerare i delitti di Mafia non più come singoli episodi ma come momenti di un'unica trama criminale; ad esempio la semplice comparazione delle perizie sulle armi utilizzate in delitti compiuti in zone diverse della Sicilia, permise di capire i collegamenti tra la Mafia palermitana e quella catanese. Un'innovazione ci fu anche nel ricostruire gli aspetti finanziari dell'attività mafiosa; se infatti "Cosa Nostra" aveva antica esperienza nel nascondere le prove dei propri delitti, più difficilmente riusciva a cancellare del tutto le tracce del denaro derivante da quei delitti, infatti grazie anche alle ricostruzioni di tutti i movimenti di denaro tra i vari istituti di credito permise al pool di andare avanti nel lavoro. Durante la preparazione del
maxiprocesso viene ucciso il commissario Beppe Montana, così Falcone e Borsellino vengono immediatamente trasferiti all'Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti senza correre ulteriori rischi.
Nel 1987 Caponnetto è costretto a lasciare la guida del pool a causa di motivi di salute e occupa il suo posto Antonino Meli. Comincia il
dibattito sull'istituzione della Superprocura e su chi porre a capo del nuovo organismo. Falcone si candida e raggiunge i numeri necessari per vincere l'elezione a Superprocuratore. La reazione delle cosche non si fece attendere e il giorno dopo la nomina di Falcone (il 23 maggio 1992), in un attentato, lui insieme alla moglie perde la vita.
Ora Borsellino è consapevole che è giunto il suo turno e per questo è spesso pensieroso, è preoccupato per la sua famiglia e per i ragazzi della scorta. Arriva la volta dei pentiti Messina e Mutolo, ormai "Cosa Nostra" comincia ad avere sembianze conosciute.
Mutolo chiede di parlare con Borsellino ma non gli viene concesso. Il pentito fa alcuni nomi, tra cui quello del giudice Signorino, e Borsellino non riesce a farsene una ragione, non riesce a comprendere come un giudice possa essere asservito ad uomini malvagi come i mafiosi. Borsellino insiste per parlare con Mutolo e il 19 luglio 1992 finalmente gli viene concesso. Dopo pranzo Borsellino torna a Palermo per accompagnare la mamma dal medico e con l'esplosione dell'autobomba sotto la casa, in Via D'Amelio, muore con tutta la scorta.
Lo scalpore suscitato dai due tragici attentati accelerò il processo di riorganizzazione degli apparati dello Stato preposti alla lotta alle cosche. Il fenomeno del pentitismo, supportato da una nuova legislazione favorevole, consentì alle forze dell'ordine di penetrare nei segreti di "Cosa Nostra" e di assestarle duri colpi culminati con la cattura del superlatitante, Salvatore Riina (Totò Riina), sospettato di essere il più potente dei capi dell'organizzazione mafiosa. Le cosche mafiose duramente colpite, ma non ancora sconfitte, avevano tentato
di neutralizzare l'"esercito" dei pentiti con infiltrazioni. Inoltre l'opinione pubblica non riteneva corretto pagare per programmi di protezione dei pentiti dopo che questi avevano commesso svariati omicidi e dei quali, comunque, non ci si poteva fidare totalmente. Così le norme a loro favore sono state modificate attraverso tempi più certi per le confessioni, maggiore controllo sull'affidabilità e sui comportamenti dei pentiti.
Morti strane quelle di Falcone e di Borsellino. Falcone ucciso il giorno dopo aver saputo di essere il SuperProcuratore dopo mesi di lotte e di pressioni. Borsellino poche ore dopo aver ottenuto la tanto attesa delega ad ascoltare il pentito Mutolo.
A distanza d'anni è facile affermare che le collusioni tra Mafia e politica sono più di un sospetto; ora possiamo comprendere come quei
giudici fossero davvero soli nella lotta ad una Mafia potente e ben inserita nel palazzo del potere.
BIBLIOGRAFIA:
"La storia della mafia": Omnia Storia 2003, De Agostani
"Squilibri tra nord e sud": Economia e Territorio, di Conti, Dematteis, Nano, ed. Bompiani
"Il Giorno della civetta" di Leonardo Sciascia
"A futura memoria" di Leonardo Sciascia
"il CSM": Nuovo corso di diritto3 diritto pubblico
Informazioni varie sui siti:
o www.avvenimentiitaliani.it
o www.rifondazione-cinecitta.org
o www.misteriditalia.com
o www.digilander.libero.it
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