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La dimensione dell'offesa
L'attenzione alla vittima, quale soggetto offeso dal reato, è un fenomeno relativamente recente. Solo a partire dagli anni Quaranta si inizia ad affiancare alla figura del delinquente, quella della vittima. Solo negli anni Settanta si inizia a prendere in considerazione la gamma di bisogni propri di chi è stato destinatario di un'offesa ed a promuovere il ricorso a forme di riparazione.[1]
Molteplici fattori hanno portato all'emersione della vittima di reato: l'aumento dei tassi di criminalità, l'estensività del danno subito dalla vittima, l'inefficienza del sistema giuridico accompagnato dalla marginalità della vittima in fase processuale.
Oggi "gli interessi della vittima sembrano tornare in primo piano e la loro soddisfazione esigere una corsia preferenziale rispetto al soddisfacimento dei bisogni di punizione e/o di rieducazione del reo",
I risultati delle indagini criminologiche hanno dato spessore alla dimensione dell'offesa fornendo i presupposti per la definizione di una giustizia riparativa victim oriented e definendo i profili della dannosità dell'illecito tradizionalmente distinto in primario e secondario.
Il danno primario è l'immediata conseguenza di un reato ed include oltre alla perdita economica, altre rilevanti conseguenze sul piano psicologico e psicosomatico; mentre il danno economico si riduce progressivamente fino alla sua estinzione, il danno psicologico continua ad avere delle ripercussioni sulla vittima per un periodo di tempo indeterminato e può, altresì, condizionare indefinitamente gli atteggiamenti individuali o la qualità della vita degli individui. Sembra, inoltre, che la perpetrazione di alcuni reati abbia significative ripercussioni sull'intera comunità, anche se non direttamente interessata dall'illecito.[3]
Il danno secondario deriva da atteggiamenti negativi assunti nei confronti delle vittime, quali la mancanza di supporti da parte delle agenzie del controllo deputate al sostegno dell'offeso e la sua esclusione dalla fase processuale; la riscoperta delle reali necessità della vittima provengono proprio dall'analisi della legislazione e della prassi relative al ruolo della vittima nel processo penale.[4]
E' stato sottolineato come la vittima sia stata completamente negletta non solo dal punto di vista risarcitorio ma anche emarginata dal sistema penale e processuale, interamente centrato sulla figura del reo.
L'esilio forzato della vittima ha generato un profondo senso di insoddisfazione e sfiducia anche da parte della comunità nei confronti dell'autorità statuale, considerata incapace di provvedere ai bisogni della collettività.
La lenta emersione della vittima nel panorama giuridico, è conseguente al movimento politico esercitato dai c.d. "movimenti a favore delle vittime"[5] che rispondono essenzialmente a due tipologie di modelli:
- il c.d. "anti-offender profile", diffuso soprattutto negli Stati Uniti ma presente anche in Europa, offre un sostegno alle vittime promuovendo interventi legislativi in tema di sicurezza del territorio e incentivando progressivi aggravi di pena;
il "service oriented association" si propone di offrire sostegno psicologico alle vittime prestando assistenza nel percorso di mediazione.
Le politiche victim-oriented tentano di creare una giustizia prossima ai cittadini ed al loro ventaglio di richieste consentendo alla vittima, non più relegata ad uno spazio simbolico, di assumere una connotazione centrale nella dinamica del conflitto.
MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Giuffrè, 2003, cit., pag. 52.
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