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Ruoli che si confondono : donne vittime e criminali




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Ruoli che si confondono : donne vittime e criminali



Mentre non esiste un "tipo" di donna vittima o criminale esistono certamente alcune caratteristiche e fattori comuni che riguardano le donne in determinate situazioni, molte donne che entrano nel sistema di giustizia penale come criminali hanno alle spalle precedenti esperienze di vittimizzazione; molto spesso hanno avuto una serie di relazioni negative con uomini dai quali sono state anche sfruttate o hanno subito abusi sessuali.

Quando si pensa di creare programmi di recupero/reinserimento per donne criminali è necessario quindi riconoscere questa situazione di dualità : criminalità e vittimizzazione sono fattori che spesso hanno origine dalle medesime condizioni di sociali ed economiche.

La ricerca ha evidenziato come la vita di molte donne, prima che entrassero in carcere, fosse segnata da indigenza, vittimizzazione ed abuso di droghe o alcool. Per quanto riguarda le straniere ci basti pensare che le enormi difficoltà economiche di molti Paesi in via di sviluppo rendono le donne (povere, incolte, non pronte ad un lavoro qualificato) facili prede per i trafficanti e troppo spesso la sola risposta del sistema di giustizia, quando le vittime di questi trafficanti sono fermate nei Paesi di destinazione, è quella di sanzionarle; considerate come immigrate illegali incontrano quindi l'espulsione immediata dal Paese. In seguito esse saranno stigmatizzate, ostracizzate dalle loro famiglie e nuovamente prese in consegna dai trafficanti.

E' chiaro a questo punto che quello che le istituzioni devono cercare di evitare è l'ulteriore vittimizzazione delle stesse persone da parte dello Stato ed assicurarsi che ricevano adeguata protezione, supporto e giustizia.

Mentre la crescita nel numero delle detenute ha comportato un marginale miglioramento nei servizi per queste donne, il medesimo incremento non è stato accompagnato da una parallela crescita di programmi specificamente mirati sui bisogni delle donne. La conferenza di Vienna sottolinea come programmi e servizi devono tener conto delle diversità culturali e razziali esistenti nelle case di detenzione; la politica ed i programmi di giustizia penale devono individuare e rivolgersi ai differenti problemi di salute, alle responsabilità delle madri, alle barriere culturali, all'isolamento delle donne carcerate lontano da casa, alla loro vulnerabilità agli abusi sessuali ed alle violazioni dei diritti umani da parte del personale maschile purtroppo denunciati in molti Paesi.

Proprio le complesse circostanze che ruotano attorno alle donne che hanno violato la legge, specialmente alla luce degli attuali problemi sul loro traffico e la forzata prostituzione, la carcerazione dovrebbe essere considerata come l'ultima delle sanzioni possibili e dovrebbe essere riservata solo ai crimini più gravi. Bisogna invece sviluppare un ampio raggio di sanzioni intermedie ed alternative perché il semplice processare, incarcerare o deportare le donne nei Paesi d'origine non è certo la risoluzione al problema. Una delle proposte ricorrenti durante le esposizioni dei relatori intervenuti alla conferenza di Vienna è stata proprio l'individuazione di programmi di prevenzione attraverso l'iniziale classificazione delle donne e delle ragazze a rischio ed il successivo investimento nell'individuazione e risoluzione dei loro bisogni già nei Paesi d'origine; questa attività viene definita "human trafficking prevention programs and programs to protect and assist victims of trafficking" ed ha come obiettivo la riduzione della vulnerabilità femminile alla vittimizzazione.

Per le donne che invece si trovano oramai in carcere bisogna stilare altri programmi che, tuttavia, non dovranno perdere di vista le esigenze del contesto in cui si lavora e delle situazioni che si debbono affrontare; le vittime di queste organizzazioni possono essere anche dei validi testimoni contro i medesimi trafficanti perciò la loro immediata espulsione e la deportazione nel Paese d'origine (dove saranno senz'altro rivittimizzate) può essere controproducente. Esse devono invece capire che, se contattano le autorità, il sistema di giustizia sarà sensibile alla loro situazione e risponderà loro positivamente. Troppe vittime hanno troppo da perdere per paura di ritorsioni da parte dei trafficanti, per paura di essere arrestate e deportate se sono entrate illegalmente o paura di essere perseguite se hanno partecipato ad attività illecite per entrare nel Paese dove si trovano. Le donne diventano più forti quando percepiscono che il sistema di giustizia penale è al loro fianco; sarebbe necessario uno sforzo legislativo per le speciali circostanze delle vittime che chiedono protezione.

Parallelamente bisogna contrastare anche i clienti dell'industria del sesso e, poiché il crimine internazionale richiede risposte internazionali, viene sottolineata di continuo l'importanza di un'azione collettiva di cooperazione. Sarebbe utile creare standards internazionali di trattamento ed intervento contro le suddette organizzazioni.


Le detenute straniere e il traffico di persone


Le organizzazioni criminali internazionali che si annidano in tutti i Paesi hanno largamente contribuito all'incremento del numero delle detenute straniere in molte nazioni. Il traffico di donne e ragazze è divenuto una delle imprese criminali sviluppatesi più velocemente e sta creando seri problemi in tutto il mondo; le statistiche parlano di circa due milioni di donne "commerciate" annualmente con lo scopo di sfruttarle per il lavoro clandestino o come prostitute.

Come emerge da un recente rapporto diffuso dall'UNIC (Centro d'informazione delle Nazioni Unite per l'Italia), i crescenti problemi economici, in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo e nei Paesi in fase di transizione, i pesanti ostacoli all'immigrazione legale ed i gravi conflitti armati hanno coinciso con un aumento dei casi di traffico di persone.

Questo "nuovo commercio di schiavi", come è stato definito, nel febbraio 2000, dal presidente nigeriano Olusegun Obasanjo nel corso della Conferenza di Lagos, è un fenomeno che colpisce e coinvolge tutte le regioni e la maggior parte dei Paesi del mondo. Mentre le vie del traffico sono soggette a cambiamenti, un fattore rimane invariato: il divario economico tra paesi di origine e paesi di destinazione, gli spostamenti avvengono da paesi poveri a paesi più ricchi. Il traffico di donne provenienti dal Sud-Est asiatico si dirige verso l'America del Nord ed altri paesi del Sud-Est asiatico; quello di donne africane verso l'Europa Occidentale. La dissoluzione dell'ex Unione sovietica ed il conseguente cambiamento dell'equilibrio economico e politico hanno causato un drammatico aumento del traffico di donne provenienti dall'Europa Centrale ed Orientale.

L'aumento del suddetto traffico tende ad aumentare anche dopo prolungati conflitti sociali, infatti, la ex-Jugoslavia è diventata, oltre ad una delle principali destinazioni delle persone trafficate, anche un punto importante di transito ed un centro di smistamento per le donne provenienti dall'Europa Centrale ed Orientale.

I trafficanti utilizzano svariate forme di reclutamento tra cui il rapimento vero e proprio e l'acquisto diretto presso le famiglie; spesso, comunque, allettano le loro vittime, che già stanno cercando una possibilità per emigrare, con false promesse di un lavoro legittimo o di un matrimonio all'estero. Altre donne sono consapevoli di essere reclutate per l'industria del sesso e che il loro lavoro servirà a ripagare ingenti somme corrispondenti alle spese di reclutamento e al viaggio ma sono tuttavia ingannate sulle condizioni in cui saranno costrette a lavorare.

La rete di dipendenza dai trafficanti è molto complessa; solitamente esercitano il loro controllo sull'identità giuridica delle vittime tramite la confisca del passaporto o dei documenti ufficiali. Inoltre, come accennavamo poc'anzi, la "schiavitù per debito" è molto utilizzata per assicurare il costante rendimento delle vittime e la loro sottomissione.

A questo bisogna aggiungere il timore di ritorsioni, la paura di essere arrestate o espulse perché sono straniere immigrate illegalmente e svolgono spesso attività illecite. Se alcune desiderano tornare nel Paese d'origine evitano di farlo per il timore che le loro famiglie siano perseguitate ma anche per evitare l'umiliazione di essere stigmatizzate poiché hanno dovuto prostituirsi.

E' raro che i trafficanti vengano arrestati e soprattutto che vengano processati; innanzi tutto le pene per questo tipo di reato sono relativamente leggere se paragonate a quelle relative al contrabbando di droga o armi , inoltre mancano spesso informazioni concrete. Questo ci appare chiaro se consideriamo che le vittime del traffico sono spesso trattate, dalle autorità del paese ospitante, come dei criminali (detenute, processate ed espulse) e difficilmente coopereranno con le suddette autorità.

Un interessante progetto di assistenza alle donne è stato condotto con successo da parte dell'OIM (Organizzazione Mondiale per le Migrazioni)34. "Ritorno a casa e reintegrazione familiare" è il nome del progetto ed è stato applicato in Kosovo a favore delle numerose vittime del mercato della prostituzione. Scopo di questo intervento è il sostegno morale e psicologico delle donne oggetto di sfruttamento sessuale nonché l'assistenza materiale delle stesse tramite l'acquisizione di documenti di viaggio e l'organizzazione dei trasferimenti nei loro paesi d'origine, senza trascurare l'incentivazione del reinserimento nel contesto familiare e sociale d'appartenenza.

Il progetto è stato seguito in collaborazione con altre organizzazioni coinvolte nella lotta allo sfruttamento sessuale e tra esse si ricordano l'UNMIK ( United Nation Mission in Kossovo), l'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) e le forze di polizia operanti a Pristina. Grazie a questa iniziativa 130 donne provenienti dal Kosovo, da altri paesi dell'Europa dell'est e dalla CSI hanno trovato assistenza; anche se il numero delle vittime del mercato del sesso coinvolge un numero ben maggiore di donne, la realizzazione positiva di questa iniziativa getta una piccola luce di speranza. E' stato inoltre emanato il 12 gennaio 2001 il Regolamento dell'UMNIK n° 2001/4 sulla "Proibizione del traffico delle persone in Kosovo" che ha definito traffico e sfruttamento della persona un "crimine punibile fino a 15 anni di reclusione", stabilendo inoltre che "la sottrazione di documenti personali è allo stesso modo un crimine perseguibile con 5 anni di reclusione". Il Regolamento fornisce inoltre istruzioni circa le modalità di assistenza che deve essere garantita alle vittime dello sfruttamento sessuale.

Tornando al discorso inerente il coinvolgimento di queste donne nel sistema penale, possiamo ora meglio comprendere quali siano i profili di molte donne straniere che si trovano nei nostri istituti di pena; non hanno familiarità con l'utilizzo della lingua straniera e non capiscono le regole formali ed informali vigenti in carcere; così l'isolamento linguistico e culturale è un peso che si aggiunge ad una situazione di per sé già difficile. Spesso queste detenute sono migliaia di chilometri lontane da casa e trascorreranno l'intero periodo della durata della pena senza ricevere mai una visita.

Generalmente non ricevono supporto dal Paese d'origine o dal Paese ospite finendo col non avere assistenza legale; proprio a causa del loro stato d'illegalità è altresì difficile che ottengano alcuni benefici facilmente accessibili ad altre detenute35.

Ricapitolando: isolate, stressate, impaurite, prive di qualsiasi supporto affettivo/familiare, scarsamente informate dei loro diritti e incapaci di esprimersi correttamente, queste sono le detenute in terra straniera e sembra proprio che, qualsiasi delitto esse abbiano commesso, il termine che meglio le descrive sia "vittime".





Gabriella Falzacappa "La violenza contro la donna: un dramma ancora irrisolto", www.onuitalia.it.


In Brasile, per esempio, è difficile che le straniere ottengano i benefici del "parole" e della progression of regime". A seconda del crimine commesso, "parole", una sorta di rilascio sulla parola, è garantito quando sono stati scontati metà o tre quarti della pena. "Progression of regime"è accordato in situazioni diverse con la considerazione della natura del crimine commesso e del comportamento del detenuto e consente di scontare parte della pena fuori dal carcere per lavorare, studiare o passare del tempo in famiglia.


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