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La criminalità femminile come esito delle differenza tra sessi: le teorie classiche




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La criminalità femminile come esito delle differenza tra sessi: le teorie classiche


Le prime teorie che ci spiegano i "perché" del contrasto tra tassi di criminalità maschile e femminile , si basano su questo paradosso: dato che il delitto è stato trattato quasi esclusivamente dagli uomini nelle loro varie vesti e nei loro vari uffici (legislatori, giudici, poliziotti, studiosi, scrittori)  e che gli uomini, proprio in quanto tali guardano all'altro sesso con un ottica esclusivamente maschile, l'altro sesso, e cioè la donna, si è ritrovata, senza la propria volontà, in una posizione "privilegiata", che l'ha portata ad avere una scarsa rappresentanza fra gli autori di reato.

Così proprio partendo da questo presupposto nasce la tesi che la donna è molto più criminale di quanto possa apparire dalla statistiche, e le diverse cause di tutto ciò vengono imputate a:

codici penali tolleranti verso alcuni comportamenti femminili: dal momento che i codici penali sono un prodotto del pensiero maschile, ecco che, consciamente o inconsciamente, tendono a punire quelle azioni che danneggiano alcuni interessi propri del mondo degli uomini, e viceversa a legittimare o perlomeno a giustificare altri comportamenti, considerati meno gravi, se non, addirittura, utili. Ad esempio, in alcune legislazioni si è ritenuto giusto non condannare penalmente la donna prostituta, mentre si giudicava condannabile l'adulterio, quando commesso dalla 'moglie'.

Il numero oscuro molto elevato di reati commessi da donne: i reati femminili si esplicherebbero soprattutto in manifestazioni delittuose ed in situazioni ambientali tali da non permettere una facile e certa rilevabilità. Nella realtà, quindi,  le donne sono più criminali di quanto di solito si pensi, ma i loro crimini rimangono in larga parte nascosti, o non denunciati. Le predette considerazioni valgono, però, anche per la criminalità maschile, in particolare per quei comportamenti delittuosi che avvengono in ambito familiare in cui la donna appare come vittima e l'uomo come autore, quali i maltrattamenti, i reati sessuali, l'incesto, ecc.. Infatti, le più recenti ricerche, hanno confutato tale teoria: il problema della quantificazione del numero oscuro è stato affrontato con indagini condotte soprattutto su gruppi di giovani di entrambi i sessi. I risultati ottenuti dimostrano che, anche con riferimento a reati commessi ma non scoperti, rimane sostanzialmente invariato il gap tra i due sessi in fatto di criminalità.

Il limitarsi delle donne al ruolo di istigatrice o mediatrice di delitti: a volte il comportamento criminale dell'uomo non è altro che la manifestazione di una serie di pressioni psicologiche ed ambientali scaturite dall'azione istigatrice della donna. Anche tale opinione va accettata con prudenza in quanto ruota intorno alla concezione maschilista del ruolo sociale riconosciuto alla donna.

Un diverso e più tollerante atteggiamento dei giudici nei confronti del "gentil sesso": con il termine "chivarly"5 si vuole indicare l'atteggiamento discriminatorio tenuto talvolta nei confronti della donna dall'autorità giudiziaria. Le autrici di reato sarebbero soggette in pratica ad un trattamento diverso per il sentimento di cavalleria che determinerebbe una sorta di protettività dell'uomo dovuto anche da un proprio senso di colpa per la posizione di inferiorità della donna . Ma gli autori che ci parlano di questa particolare discriminazione nei confronti delle donne ree, trattate con cavalleria e comprensione, non approfondiscono lo studio, trascurando il contesto sociale in cui è avvenuto il fatto: si tratta forse di ree avvenenti, dotate di sex appeal, oppure di donne-martiri, di donne con situazioni di disagio che inducono a pietà? Senza queste verifiche, la cavalleria dei nostri giudici rimane soltanto  un'ipotesi di cui non si può valutare la validità. Infatti studi più approfonditi hanno dimostrato che il discrimine verso la donna rea, se esiste, dipende dal tipo di donna che deve essere sottoposta a giudizio; quindi la "cavalleria" si metterà in moto se il giudice ha di fronte una donna che appartiene alla sua stessa classe sociale, mentre assumerà più facilmente un atteggiamento intransigente nei confronti di una donna immigrata, zingara, eccetera.

Tutte le teorie qui brevemente richiamate, sembrano muoversi su una base comune: se le donne criminali sono poche, c'è un motivo, e questo motivo è  da ricercarsi in situazioni che, di fatto, nascondono la criminalità femminile.




Cfr. Marotta G., Donne, criminalità e carcere, Roma, Editrice universitaria di Roma, 1990

Ad esempio la "common low" inglese presumeva, fino al 1925, che una donna, che avesse commesso un reato grave (escluso l'omicidio e il tradimento) in presenza del coniuge, fosse stata spinta da quest'ultimo e quindi avesse diritto all'assoluzione.

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