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Il Convegno sugli affetti




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Il Convegno sugli affetti


Una giornata di studi tenutasi il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova, intitolata:

"CARCERE: SALVIAMO GLI AFFETTI - L'affettività e le relazioni familiari nella vita delle persone detenute" ha rappresentato un importante momento formativo e conoscitivo.

Il Convegno, con il patrocinio del Comune di Padova, è stato organizzato dal Centro Documentazione Due Palazzi, dal Coordinamento NordEst dei giornali dal carcere, dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e dalla Casa di Reclusione di Padova.

Sono scaturiti alcuni obiettivi principali:

a)     la promozione di un'iniziativa parlamentare in tema di colloqui e di mantenimento delle relazioni familiari in carcere: a tal fine, una commissione tecnica ha elaborato una proposta di legge che consenta, in appositi locali, incontri più intimi senza controlli visivi;

b)    la creazione di una rete di sostegno per le famiglie dei detenuti attraverso l'istituzione

di sportelli informativi, gruppi di aiuto, centri di ascolto.

La discussione ha offerto l'occasione per parlare con molta serietà di carcere, disagio e

sicurezza avanzando delle proposte concrete, anche sulla base del confronto con altre esperienze estere che già molto hanno fatto per prevenire quello che rischia di diventare un inevitabile destino carcerario, in particolare per i figli: l'affettività quale elemento fondante del reinserimento sociale, è da tempo diffusamente consentita in molti paesi europei e non solo.

In Italia le associazioni che si occupano del problema, in particolare per quanto riguarda l'aiuto alle famiglie, sono invece ancora pochissime: "Bambini senza sbarre" (Milano); "Telefono Azzurro - Progetto carcere" (Roma e Monza); "Progetto Tonino" (Secondigliano, finanziato dal comune di Napoli attraverso la legge 285/1997 sulla tutela dell'infanzia).

E' stata più volte sottolineata l'importanza di riportare l'attenzione sul diritto dei detenuti di coltivare i propri affetti in condizioni più umane, migliori di quelle esistenti, di ritrovarsi più intimamente per condividere momenti d'affetto, ma al di fuori delle fredde e sovraffollate sale colloqui.

Sono stati discussi inoltre, i drammatici effetti che porta con sé lo stato attuale del problema:

a)     la disgregazione degli affetti in genere e le ripercussioni sulla famiglia: abbandonata a sé stessa, pur essendo la responsabilità penale "personale" (art.27 comma 1 Cost.), essa vive una seconda detenzione e sconta la pena insieme al detenuto. Non esisterebbe così un unico sistema carcerario, ma un "carcere di tante carceri" . In tali condizioni, senza sostegno alcuno, terribili sono le conseguenze sui figli: addirittura il 30 % rischierebbe di finire, a sua volta, in carcere. È indispensabile quindi sensibilizzare l'opinione pubblica e soprattutto le istituzioni sulla necessità di attivare forme efficaci di sostegno alle famiglie

dei detenuti;

b)    la mortificazione della persona dovuto alla forzata negazione della sessualità produce

conseguenze drammatiche sull'equilibrio psicofisico del soggetto. Più precisamente, la privazione delle relazioni eterosessuali costringe a cercare la propria identità solo dentro se stessi, frustrando e conducendo verso possibili comportamenti deviati. Il recluso non può fingere di non avere un corpo, il quale se "accudito dalla tenerezza aiuta a sopportare meglio la solitudine della detenzione e soprattutto a progettare con più serenità un rientro a casa e nel contesto sociale"


Scopo degli approfondimenti che seguono è verificare, dopo un'attenta analisi normativa e comparativa, l'efficacia degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario a tutela del mantenimento delle relazioni affettive, mettendo in luce le conseguenze che la detenzione inevitabilmente comporta su di esse.

In particolare, nel corso del primo capitolo ripercorreremo le principali tappe dell'evoluzione normativa penitenziaria in materia di affettività: dal regolamento del 1931 sino al nuovo regolamento esecutivo D.P.R. 230 del 2000. Concluderemo con le proposte di modifica dell'ordinamento penitenziario volte ad introdurre la possibilità di incontri intimi per i detenuti, compreso l'ultimo disegno di legge presentato durante la Giornata di Studi tenutasi nel carcere di Padova.

Nel secondo capitolo, affronteremo le ripercussioni che la deprivazione dei rapporti sessuali provoca sul corpo recluso, nonché i rituali disadattivi cui il detenuto ricorre anche attraverso gli stati modificati di coscienza, al fine di sopravvivere alle sue sofferenze.

Il terzo capitolo sarà dedicato all'attività di sostegno verso le famiglie dei detenuti, in particolare i bambini, da parte della rete europea EUROCHIPS e dell'associazione francese Relais Enfants Parents; vedremo, quindi, come anche in Italia, su questo fronte, stiano

emergendo le prime realtà di volontariato.

Infine, nel quarto capitolo, esporremo alcune delle realtà carcerarie straniere più avanzate in tema di tutela dell'affettività; in particolare, quella del Canton Ticino di cui abbiamo visitato il carcere cantonale "La stampa" di Lugano.


Quello dell'affettività è un tema scomodo: molti sono i problemi di ordine ambientale, psicologico e morale che ruotano intorno all'esigenza di affrontare il problema degli affetti, gli stessi detenuti sono perplessi:

Molti detenuti non gradirebbero assolutamente isolarsi con la moglie o la compagna in uno spazio che sempre carcere è, sapendo che fuori c'è qualcuno che "aspetta che tu finisca". Lo ritengo umiliante. Proprio per questo l'affettività in carcere deve essere una libera scelta che ogni detenuto deve fare secondo il suo modo di vedere e di sentire, senza che questo pregiudichi le altrui opinioni e possibilità.

Tuttavia, come esistono tali problemi, così esiste la responsabilità di una società che decide per chi è recluso, il quale non potendo autodeterminarsi, dovrebbe per questo essere tutelato e vedersi garantire quei diritti che una società civile non può continuare ad ignorare se vuole considerarsi tale

Il trattamento rieducativo pertanto, non può che essere inteso come azione finalizzata alla risocializzazione, come aiuto perché il detenuto impari a gestire correttamente i ruoli sociali che gli competono, con riferimento non ad un modello precostituito a cui "sia costretto ad adeguarsi, ma alla serie delle possibili scelte esistenti nel pluralismo culturale proprio di una società democratica."

Gli affetti quindi, per essere rispettati necessitano di spazi adeguati. Di uno spazio fisico, certo, ma soprattutto mentale. Riteniamo infatti, che la giustizia non si ottenga a colpi di politiche repressive, ingiustamente afflittive, ma seguendo la strada più coraggiosa della civiltà e della speranza, contro le non meno terribili prigioni dell'ipocrisia, del pregiudizio, del rifiuto.




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