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Gli oggetti culturali sono significati condivisi e incorporati in una forma dai membri di una società, che in quel modo tenta di dare ordine e senso al mondo reale; essi sono udibili, visibili, tangibili o articolabili; sono fatti da esseri umani e raccontano una storia, ma per potersi dire effettivamente culturali, bisogna che essi vengano trasmessi, che diventino pubblici passando attraverso il discorso umano. Le forme culturali vengono trasmesse da una generazione all'altra e distribuite socialmente soprattutto attraverso la comunicazione, il linguaggio - verbale e non - , espressione di aspetti psicologici, individuali e culturali.
Il linguaggio è universale: ogni gruppo, comunità o società ne ha uno specifico. Tra linguaggio e cultura - cioè tra quello che un gruppo sociale pensa, crede, valorizza, e la particolare modalità di espressione di ciò - vi è infatti un rapporto di interazione, che si manifesta in diverse forme: il lessico, per esempio, non è neutro in quanto esprime diverse valutazioni sociali. Parlare nella lingua standard di una società è, per esempio, considerato un elemento di prestigio sociale, in quanto indicatore di appartenenza a status sociale elevato ed istruito, mentre esprimersi in altre forme linguistiche - ad esempio in dialetto - è stigmatizzato, comporta cioè una valutazione negativa, in quanto è riconosciuto proprio di strati sociali inferiori, non istruiti o marginali. Si verifica però anche il caso in cui gruppi marginali o minoritari[1] riconoscano alla propria lingua un prestigio e un valore che non le viene riconosciuto dal resto della società, e arrivino anche ad inventare particolari gerghi, in quanto ciò serve a valorizzare la propria appartenenza: il linguaggio difende, mantiene e afferma un'identità culturale specifica. Esso, inoltre, parla la cultura di un gruppo sociale, nel senso che in buona parte il suo vocabolario riflette la cultura di cui si serve .
La conversazione veicola dunque gli elementi di una cultura: l'emittente invia, attraverso un canale di trasmissione, il messaggio - codificato da un sistema di riferimento - ad un ricevente, il quale decodifica detto messaggio, gli attribuisce un significato nell'ambito di un contesto; una stessa parola o espressione, infatti, come anche i comportamenti, possono assumere significati diversi a seconda del contesto in cui sono prodotte. È in questa fase che assumono cruciale importanza gli elementi culturali: senza il riferimento ad essi il processo di interpretazione - di attribuzione di significato, cioè - non potrebbe avere luogo. Un esempio di oggetto culturale può essere quindi, come già visto nel paragrafo 2.1, la croce, simbolo che evoca una molteplicità di significati, ma anche la luce rossa del semaforo: essi suggeriscono e rimandano a qualcos'altro.
Quando un soggetto entra in contatto con oggetti culturali, dunque, egli li interpreta, elaborando significati; secondo alcuni studi egli è estremamente libero di costruire qualunque significato, in teoria indipendentemente dallo stesso oggetto culturale, il quale è manipolabile e privo di autonomia[3], mentre all'estremo opposto vi sono studi che vedono gli uomini come passivi e privi di potere di fronte ad esso, il quale non può essere liberamente interpretato: ciò presuppone che chi ignora le convenzioni di un particolare oggetto sociale - ad esempio gli estranei ad una cultura - non può capirlo.
In realtà i ricevitori, siano essi passivi o meno, influenzano e sono influenzati dal mondo sociale: ad esempio, un pittore, cioè il creatore di cultura, nel realizzare la sua opera, ovvero l'oggetto culturale, può mirare a suscitare una particolare interpretazione dell'opera, ma i destinatari reagiranno in maniera molto diversa, a causa dell'epoca in cui vivono, del loro status socio-economico, del loro sesso, generazione, o semplicemente in base alla loro esperienza di vita.
Gli oggetti culturali, i creatori e i destinatari di essi, agiscono infatti in un determinato contesto rappresentato dal mondo sociale in quel preciso momento storico.
Gli elementi fin qui enucleati - oggetti culturali, creatori, ricevitori e mondo sociale - si collocano schematicamente ai vertici del cosiddetto diamante culturale[4], il quale ha quattro vertici e sei connessioni, delle quali la natura e la direzione non sono però specificate: esso illustra solo che vi sono delle relazioni. Quindi, ogni volta che si voglia studiare un elemento di questo rapporto, non ci si può esimere dall'analisi degli altri; poiché la cultura e la struttura sociale di una comunità si influenzano a vicenda, per la comprensione di una comunità, il sociologo le deve studiarle entrambe.
Ma quale è il nesso tra mondo sociale e oggetti culturali? La cosiddetta teoria del riflesso - nelle versioni fornite da Marx[5], dal funzionalismo e da Weber - risolve questo rapporto in senso di specularità: un esempio è fornito dalle teorie che interpretano la violenza propria di alcuni programmi o film come il riflesso della violenza diffusa nella nostra società , o dalle teorie che incolpano i media di alimentare la violenza presente nella società mostrando immagini particolarmente brutali. Entrambe descrivono due connessioni sul diamante culturale, ma trascurano gli altri due elementi del diamante culturale, ovvero i creatori e i ricevitori dell'oggetto culturale, sottovalutando quindi il ruolo dell'azione e dell'interpretazione umana.
In questa sede si analizzerà solamente la direzione dell'influenza dalla società alla cultura.
La sociologia della cultura, come già detto, spiega la cultura in base ai contesti storico-sociali, nella convinzione che gli strumenti con cui valutiamo e classifichiamo cose e persone - ossia i valori e i concetti - operino entro contesti e forme di vita sociale, e che da essi derivino. Per comprenderli bisogna analizzare l'uso che ne viene fatto e considerarli parti di un sistema più ampio; è una dimensione che riguarda la genesi delle forme culturali: per esempio, generazioni diverse o diverse classi sociali generano diversi modelli culturali.
I principali modelli teorici dell'approccio sociologico, dunque, all'interno del rapporto tra cultura e società, hanno privilegiato la prospettiva del determinismo sociale - la società influisce sui sistemi culturali - e hanno concentrato i propri studi soprattutto sulla genesi di particolari sistemi culturali, quali l'ideologia, la religione e il senso comune: è soprattutto quest'ultimo che interessa in questo lavoro.
Il senso comune è inteso come "ciò che è ordinario e condiviso intersoggettivamente", un insieme di rappresentazioni mentali e di schemi percettivi impiegati dagli individui a livello pre-cosciente. Non è un inconscio collettivo, ma un sapere incorporato in pratiche e regole sociali, presente nella mente allo stato latente, che può quindi essere mobilitato dai soggetti senza che essi se ne rendano conto[9]. Del senso comune fanno parte le nozioni generali, le categorie, i modi di rappresentare gli altri e di percepire l'ambiente sociale. Questi ultimi, importanti nel presente lavoro, sono chiamati anche stereotipi ed hanno origine da un processo di categorizzazione: sono dunque schemi che hanno carattere normativo e descrittivo, e hanno la prevalente funzione di semplificare ed ordinare la realtà. Di un gruppo sociale, dunque, si accentueranno determinati aspetti, e ad ogni singolo membro si attribuiranno le caratteristiche standard di quel gruppo: tutto ciò per preservare le differenziazioni tra il proprio gruppo e l'altro; si arriverà "ad un effetto a spirale, in cui l'esistenza del pregiudizio non solo fornisce un'ulteriore conferma . nei confronti dei giudizi ostili, ma impedisce anche che questi giudizi vengano sottoposti ad un confronto con la realtà; essi allora si confermano sempre di più, assumendo la forma di potenti miti sociali" . Dunque questo tipo di giudizi si trasmette all'interno del proprio gruppo, attraverso l'assimilazione, ma è tramite la ricerca di coerenza tra proprie convinzioni ed emozioni, che il pregiudizio si mantiene: quando, per esempio, due membri appartenenti a gruppi sociali diversi vengono a contatto, essi, per mantenere l'immagine del sé, al comportamento dell'altro devono attribuire continuamente delle motivazioni razionali che siano coerenti con l'iniziale proprio sistema cognitivo, basato il più delle volte su emozioni, quindi sull'irrazionalità.
Più in generale, i caratteri del senso comune possono dunque essere ravvisati nell'oggettività, in quanto la realtà è percepita come esterna e ordinata[12], ma anche nell'intersoggettività: la realtà si presenta infatti all'attore sociale come un mondo che egli condivide con gli altri attori, c'è corrispondenza di significati di uno e degli altri. La realtà è vista come un fatto indiscutibile e dato per scontato, il che, grazie alle tipizzazioni, permette di agire senza riflettere sul da farsi o sul perché di un'azione: nelle quotidiane interazioni faccia a faccia, si selezionano quei tratti che consentono di collocare la persona all'interno di una categoria più ampia, permettendo così la previsione del comportamento dell'altro. Ogni soggetto interpreta, in sintesi, la propria situazione usando un fondo di conoscenze e di simboli, attraverso i modelli della Gestalt e del cognitivismo: ciò permette di economizzare risorse cognitive .
Tuttavia tutto ciò può essere messo in discussione dall'insorgenza di eventi insoliti non ancora trasformati in routine. Gli individui non sono infatti passivi di fronte ai modelli.
Uno dei fenomeni connessi al senso comune è rappresentato dal meccanismo della profezia che si autoadempie. In una serie di lavori, W.I. Thomas ha esposto un teorema applicabile a molti processi sociali: "Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse diventano reali nelle loro conseguenze": come visto in precedenza, nelle loro azioni gli individui valutano sia gli elementi obiettivi di una situazione sia - ed è frequentissimo - il significato che questa situazione ha per loro; successivamente, le conseguenze prodotte da quell'azione vengono definite sia obiettivamente, sia attraverso il significato che l'attore sociale pone in esse. Le definizioni di una situazione sono diventate così parte integrante della situazione stessa e hanno influito sugli sviluppi seguenti e, come in una sorta di circolo vizioso, questa dinamica si perpetua per le azioni successive. È anche questa la base del fenomeno del non riassorbimento degli ex detenuti da parte della società esterna: quei datori di lavoro che non offrono un'occupazione agli ex-detenuti perché ritenuti lavoratori non affidabili, incentivano tali soggetti a privilegiare fonti di guadagno extra-legali; essi continuano così a rimanere nell'area criminale e la loro nomina di soggetti non affidabili si perpetua[15].
Ad esempio gruppi devianti dalla società complessiva, come nel caso della mala, o giovanili, come le bande o subculture particolari.
L. SCIOLLA, op. cit., 2002. Si veda in tal senso, ad esempio, il gergo dei detenuti, il quale mutua dal linguaggio dell'amministrazione penitenziaria alcuni termini, per poi modificarli: di ciò si parlerà nel par 3.8.
Questa prospettiva nega alla cultura il ruolo di rappresentazione collettiva, di visione del mondo di mezzo di espressione, sviluppo e perpetrazione del sapere.
Secondo questo approccio la cultura è determinata dalla vita materiale di una società e dai connessi antagonismi di classe, perché la religione, i valori, l'arte, le idee, le leggi e le pratiche culturali proteggono interessi e posizioni: sono dunque prodotti della realtà materiale e vanno analizzarli in quanto tali La direzione della causalità è dalla terra al cielo, e non viceversa, la stessa in cui la ricerca culturale si deve muovere.
Questa corrente di studi vede la cultura come lo specchio della struttura sociale, della quale è testimonianza: le società umane, infatti, per conservarsi esprimono bisogni concreti, e le istituzioni sociali sorgono per soddisfare questi bisogni.
Versione della teoria del riflesso che, rispetto alle versioni funzionalista e marxista, inverte la direzione dell'influenza: la variabile indipendente sarà la cultura.
Il termine deriva dall'unione dei termini stereos - rigido -e tùpos - impronta: con esso si intende infatti il calco rigido e semplificato che i tipografi usano per la riproduzione a stampa. Per analogia si intende un fenomeno di rigidità percettiva nella formazione delle opinioni.
La psicologia della Gestalt asserisce che, per la tendenza alla chiusura delle strutture aperte e per la legge della pregnanza in un campo visivo omogeneo, privo di stimoli, si possono vedere configurazioni risultato della nostra organizzazioni percettiva, contorni che in realtà non esistono. C'è la tendenza a non analizzare le singole unità della configurazione: la rigidità percettiva è sintomatica di rigidità mentale, nella difficoltà a riconoscere figure ambigue. Cfr. G. ATTILI, Introduzione alla psicologia sociale, Roma,
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