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DAL FASCISMO AL DOPOGUERRA
Riguardo al fascismo, la mafia si mantenne in diffidente attesa i primi anni. Quando cominciò a muoversi per inserirsi, era troppo tardi: Mussolini che aveva il culto dello stato , era arrivato a capire che la mafia era come un altro Stato. Si racconta che la rivelazione gli venne dalla visita ad un paese in provincia di Palermo, dove era sindaco un mafioso che ebbe l'ingenuità di dirgli che non occorrevano tanti carabinieri, tante guardie, che a proteggere il capo del governo, il duce dell'Italia fascista, bastava lui solo, la sua autorità il suo prestigio. Mussolini si informò, seppe chi era il sindaco e cosa era la mafia e ordinò una radicale repressione, mandando in Sicilia, con pieni poteri e dotato di ingenti forze, il prefetto Cesare Mori. Da sempre non è unanime il giudizio sull'azione e soprattutto sui risultati del cosiddetto "prefetto di ferro". Utilizzò metodi non sempre ortodossi per ottenere i suoi scopi ed il resoconto dell'"assedio di Gangi" dal volume di C.Duggan ne è testimonianza. Il 1° gennaio del '26 Mori occupa militarmente la zona di Gangi e rastrella il paese con Carabinieri e uomini della milizia. I banditi, piccoli mafiosi rurali e vecchi latitanti, erano stati spinti dal freddo a tornare alle loro famiglie, protetti in nascondigli abilmente costruiti dietro i muri, sotto i pavimenti o nei solai. Mori diede ordine ai suoi uomini di entrare nelle case, dormire nei loro letti, bere il loro vino, mangiare le loro galline, uccidere il loro bestiame e venderne la carne ai contadini della zona a prezzo ridotto. Fu dato anche ordine di prendere in ostaggio donne e bambini non solo per costringere alla resa i malviventi, ma anche per la loro umiliazione: "Volevo dare alle popolazioni la tangibile prova della viltà della malvivenza" scrisse Mori nelle sue memorie. Particolare non secondario nell'assedio di Gangi è il ruolo giocato dal barone Sgadari, grosso proprietario terriero, da tempo in affari con i mafiosi locali e salvato con l'impunità da Mori in cambio di una mediazione atta a convincere i resistenti. Tali metodi, dove le garanzie per i cittadini erano considerate molto meno della necessità di assicurare i mafiosi alla giustizia, furono perseguiti per anni: furono fatti migliaia di arresti, senza troppe preoccupazioni se nel mucchio finivano degli innocenti. Si procedeva all'arresto ed alla condanna per associazione per delinquere sulla base di un semplice sospetto, od alla cosiddetta "notorietà mafiosa". In questo modo alcune correnti all'interno del partito fascista, riuscirono a far arrestare, con accuse spesso infondate, i propri avversari politici. Vittima tra le più illustri fu Alfredo Cucco (radicale del fascismo, in contrasto con i latifondisti e la vecchia nobiltà palermitana). L'azione di Mori continuerà nel biennio '26-'27, il numero di arrestati raggiungerà livelli record, distruggerà quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrirà a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Infatti sul finire del '27 il prefetto fu nominato senatore del Regno mentre Mussolini alla Camera dichiarava solennemente "la Mafia è sconfitta". In realtà il prefetto Mori picchiò duro soprattutto sulla mafia rurale e sui suoi strati più deboli e contro le punte più appariscenti di cronica criminalità, mentre lasciò confluire all'interno del regime i soggetti emergenti di quelle classi sociali che secolarmente detenevano la capacità di controllo del territorio e dei suoi settori produttivi (agrari e grandi latifondisti) che trovarono così una legittimazione forte. Venivano infatti loro affidati posti di potere e la gestione di un ordine pubblico più apparente che reale. A supportare la tesi che il fascismo con l'azione di Mori non sia riuscito a sgominare la mafia, perché non unì alla lotta sul piano militare alcun intervento di tipo sociale facendo anzi dei passi indietro, un record di quegli anni: il numero dei latitanti che fuggirono, per lo più "rifugiandosi" negli Stati Uniti, andando a rimpolpare la nascente mafia italo-americana, che troverà poi negli anni Trenta, come è noto, una grande occasione di crescita nel proibizionismo.
Sbarcati dall'altra parte dell'oceano già negli anni 70 dell'800, uomini "d'affari" provenienti quasi tutti da Palermo e dalla sua provincia. Molti commerciavano in agrumi ed è stata la prima "ondata" di mafia. Nomi come Ignazio Lupo "The Wolf", Vito Cascioferro, Giuseppe Fontana, uno dei due sicari del marchese Emanuele Notarbartolo, sindaco della capitale dell'isola dal 1873 al 1876. direttore del Banco di Sicilia, prima vittima "eccellente" di mafia. Una colonia siciliana dedita al crimine. Dalle scorrerie a Little Italy all'uccisione di Joe Petrosino, il mitico tenente della polizia di New York impegnato nella lotta contro la "Mano nera". Furono loro a dare l'ordine di farlo fuori quando era in missione in Sicilia a caccia di prove per incastrarli. Tutti quei mafiosi lasciarono il carcere e anche l'America dopo la prima guerra mondiale. Quando tornarono a New York non erano più soli, c'erano i boss siciliani della nuova "ondata", fra i nomi più conosciuti Carlo Gambino: erano il primo vero nucleo di quella che si sarebbe chiamata "Cosa Nostra". Il flusso migratorio accelerato dall'azione fortemente repressiva del Prefetto Mori in Sicilia gonfiò le fila dell'esercito degli "uomini d'onore" dediti al contrabbando degli alcolici, al racket delle estorsioni, al narcotraffico fino ad infiltrarsi nel Sindacato. Mai veramente integrati, diversi da altri mafiosi o gangster italiani, si sistemarono nella Little Italy newyorkese che in quegli anni aveva già 800 mila abitanti e che-dopo Napoli - era la città italiana più popolosa al mondo. C'erano quei primi siciliani del malaffare che erano nati là o là c'erano andati appena bambini, come Salvatore Lucania detto "Lucky Luciano" personaggio fondamentale per l'esito di alcuni importanti eventi successivi all'entrata nella seconda Guerra Mondiale degli Stati Uniti. Nei primi dieci mesi di guerra, i sommergibili tedeschi affondarono nei pressi delle coste dell'Atlantico 500 navi statunitensi: era chiaro che potevano contare su spie e traditori. La Naval Intelligence ebbe l'idea di servirsi della mafia con la mediazione di Lucky Luciano, che stava scontando una condanna a 15 anni (Operazione Underwold) I fratelli Costello, con la loro organizzazione mafiosa, riuscirono dove le strutture ufficiali avevano fallito: liberare il porto di New York dalle spie nazi-fasciste. Da cosa nacque cosa. Abrogati nel 1942 i "decreti Mori", parecchi mafiosi tornarono in Sicilia e avviarono contatti con gli Alleati (la Naval Intelligence Service organizzò una apposita squadra: la Target section).
Esercitarono lo spionaggio nel Mediterraneo, fornirono notizie sulle infrastrutture dell'isola, la dislocazione e la consistenza delle truppe dell'Asse in Sicilia e suscitarono nella popolazione sentimenti favorevoli agli Alleati. Del resto gli Alleati iniziarono l'occupazione l'invasione dell'Europa meridionale dalla Sicilia, anziché dalla Sardegna o dalla Corsica, dalle quali sarebbe stato più agevole effettuare sbarchi in Toscana, Liguria o Provenza, proprio per la certezza di poter contare sull'appoggio della mafia. L'episodio più importante è quello che riguarda la parte avuta nella preparazione dello sbarco da Lucky Luciano. Il gangster americano, una volta accettata l'idea di collaborare con le autorità governative, prese contatto con i grandi capimafia statunitensi di origine siciliana e questi a loro volta si interessarono di mettere a punto i necessari piani operativi, per far trovare un terreno favorevole agli elementi dell'esercito americano che sarebbero sbarcati clandestinamente in Sicilia per preparare all'occupazione imminente le popolazioni locali. E' un fatto che quando il 10 luglio 1943 gli americani sbarcarono sulla costa sud della Sicilia (operazione Husky 10 luglio/17 agosto '43), raggiunsero Palermo in soli 7 giorni. Scrisse Michele Pantaleone ". è storicamente provato che prima e durante le operazioni militari relative allo sbarco degli alleati in Sicilia la mafia, d'accordo con il gangsterismo americano, s'adoperò per tenere sgombra la via da un mare all'altro.".
"Luciano" venne graziato nel 1946 "per i grandi servigi resi agli States durante la guerra" e trascorse in Italia, da rispettato benestante, i suoi ultimi anni di vita.
Purtroppo dopo questi eventi, la mafia ebbe l'onore di essere portata sulla scena come legittima organizzazione politico-amministrativa, garantita da un esercito di occupazione. Alla robustezza della tradizione i vecchi padrini poterono aggiungere il piacevole prestigio che procurava loro la protezione dei conquistatori. Ciò che gli americani hanno sottovalutato è la forza che la mafia rinascente trovava in questa situazione e che l'avrebbe presto portata a far valere i suoi crediti verso le potenze occupanti. La pubblicazione di documenti dell'Office of Strategic Services permette di comprendere come gli intrecci tra mafia e politica abbiano trovato nella Sicilia occupata il loro humus ideale per svilupparsi ed accrescersi nella società siciliana e italiana del dopoguerra.
Forniscono una chiave di lettura del periodo dell'amministrazione alleata dell'isola, carte che attestano che gli interventi occulti del governo americano negli affari interni dell'Italia, sono andati oltre il pur sincero e legittimo spirito di libertà e democrazia, per incunearsi nelle scelte politiche ed economiche della nazione, come quelli diretti ad impedire alle sinistre di vincere le prime elezioni del dopoguerra. L'alleanza con i ceti conservatori dell'isola, realizzata attraverso la mediazione della mafia, è servita agli Alleati sia per amministrare l'isola durante la loro permanenza, ma ancor più di porre le basi di un futuro politico-sociale dell'Italia senza i comunisti, mal visti sia dai cattolici liberali che dai mafiosi. Oggi tutto ciò viene definita una "scelta sfortunata" i cui risultati (la riorganizzazione del potere mafioso nell'isola) non erano stati previsti.
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