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GUERRE, STRAGI MAFIA/POLITICA/ ECONOMIA: LA MAFIA DAL BOOM AD OGGI
Questa rilegittimazione e l'assunzione diretta del potere negli enti locali getta l'ipoteca sugli assetti futuri, prima con la scelta del separatismo come "arroccamento tattico", poi con l'attacco al movimento contadino culminato con la strage di Portella della Ginestra, che segue la vittoria, la prima e l'ultima, delle sinistre (Blocco del Popolo) alle elezioni regionali siciliane nell'aprile '47 e precede l'estromissione delle sinistre dal governo nazionale ed il varo del centrismo, con l'affermazione delle forze conservatrici nello scontro elettorale del 18 aprile '48.
Il 1° maggio 1947 su una collina vicino a Palermo, Portella della Ginestra, la banda del bandito Salvatore Giuliano apre il fuoco su una folla di contadini che celebra la festa del lavoro: 11 morti e 56 feriti. Questo precede e segue altri episodi delittuosi verso sindacalisti, militanti della sinistra, assalti armati e devastazioni alle camere del lavoro e alle sedi dei partiti di sinistra, al fine di decapitare quel movimento che rischiava di sovvertire gli equilibri all'interno della società e sconfiggere il blocco di potere dominante e i partiti politici di riferimento. Ecco così la risposta sanguinosa del blocco agrario dominante e lo strumento per la sua ricomposizione intorno al neonato partito della Democrazia Cristiana. La borghesia, sconfitta dalle lotte contadine, dimostrava tutta la sua forza delittuosa e la sua capacità di strumentalizzare a proprio vantaggio, la forza eversiva del banditismo. In queste lotte agrari e mafiosi hanno l'appoggio aperto dello stato, che non sta con i contadini neppure quando lottano per l'applicazione di leggi come quella sulle terre non coltivate e sulla spartizione del prodotto fra proprietari e mezzadri.
Dal 1944 al 1966 la sfacciata complicità del potere centrale con gli agrari spalleggiati dalla mafia, permette che nella lotta contadina per l'occupazione delle terre muoiano 38 sindacalisti e che tale repressione resti impunita. Per l'evidente unicità del disegno criminoso che legava gli eccidi delle bande all'EVIS (esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia), del GRIS (gioventù rivoluzionaria per l'indipendenza della Sicilia) e di Salvatore Giuliano, compresa la strage di Portella, i relativi processi erano stati unificati e inviati al tribunale di Palermo. Qui però vengono nuovamente separati e inviati ognuno al tribunale competente per territorio. Si perde così la visione d'insieme di quella tragica fase criminale e delle relative responsabilità di chi l'aveva voluta, diretta e finanziata: si fanno volare solo gli stracci, mentre i capi, anche quelli che avevano partecipato direttamente agli eccidi, non vengono minimamente disturbati.
La capacità strategica di passare rapidamente da vecchi a nuovi assetti porta i gruppi mafiosi a passare da organizzazione meramente parassitaria a organizzazione influente sulla politica e sull'economia. In questa fase non avviene tanto un trasferimento dei gruppi mafiosi dalle campagne nella città, (anche nella fase agraria la "capitale della mafia" è Palermo, per il suo ruolo di centro politico-amministrativo), quanto un inserimento dei gruppi mafiosi nella nuova realtà, segnata dalla centralità della spesa pubblica e dall'espansione della forma urbana. L'aspetto più interessante di questa fase è l'ingresso dei mafiosi in attività imprenditoriali, in prima persona o in rapporto con altri imprenditori. Un ruolo fondamentale nella nascita del mafioso-imprenditore ha il denaro pubblico, sotto forma di appalti di opere pubbliche o di finanziamenti erogati da istituti di credito.
Cioè l'impresa mafiosa nasce come "borghesia di Stato", intendendo per tale gli strati medio-alti che si formano e assumono un ruolo dirigente con la costituzione della regione a statuto speciale in Sicilia (1946) e della Cassa del Mezzogiorno (1950). Le funzioni della mafia urbano-imprenditoriale sono la gestione di attività nel settore edilizio. La forte espansione demografica degli anni del boom economico porta ad un aumento spropositato delle licenze di costruzione (4200 dal '59 al '63) e ad una spaventosa colata di cemento, il "sacco edilizio di Palermo", dove la mafia svolge la funzione di intermediazione tra proprietari di aree ed imprese esterne. Svolge inoltre controllo sui mercati alimentari, sull'assunzione negli enti locali, sul credito. Per svolgere tali funzioni la borghesia mafiosa ha bisogno di referenti politici a livello locale e nazionale.
Molti uomini politici soprattutto della Democrazia Cristiana, partito dal grande consenso grazie anche alla propaganda dello spauracchio comunista, negli anni del dopoguerra e fino alla caduta del muro di Berlino, diventano in Sicilia referenti e a volte anche adepti di Cosa nostra. Personaggi legati ai clan palermitani e corleonesi come Vito Calogero Ciancimino, Salvatore Lima (sindaco di Palermo nel 1951), i cugini Salvo trovano a Roma referenti all'interno delle varie correnti che nascono nella DC da quella di Fanfani a quella di Andreotti, per il quale sono state richieste 27 autorizzazioni a procedere mai concesse e che nella sentenza che del processo che porta il suo nome si trova scritto che è accaduta e provata la sua collusione fino al 1980 quando però ancora non esisteva il reato di associazione mafiosa, ma assolto in quanto reato prescritto, che nel '68 passa da un 2 ad un 10% all'interno del partito. L'egemonia per la gestione dei nuovi settori commerciali quali l'edilizia i lavori pubblici gli appalti statali o degli enti locali ed vecchio contrabbando di tabacchi porta alla prima guerra di mafia che nel 1963 conta 100 morti e che vede il momento più brutale nella strage di Ciaculli del 30 giugno 1963 (una Giulietta carica di tritolo uccide 7 tra poliziotti carabinieri ed artificieri). Lo stato la sua magistratura non possono fare finta di niente e così viene istituito il processo detto dei "114" dal numero di rinviati a giudizio, celebrato a Catanzaro per legittima suspicione. Alcuni imputati, fra questi Tommaso Buscetta, vennero condannati a pesanti pene detentive, mentre la maggior parte di essi, come Pippo Calò e i fratelli Rimi, vennero condannati a pene miti perché responsabili solo di associazione a delinquere (il reato più grave di associazione mafiosa verrà introdotto nel 1982). Dopo pochi anni torneranno liberi a Palermo per continuare nei loro traffici illeciti e rinsaldare i legami con spezzoni del potere politico ed economico.
Dagli anni '70 in poi lo sviluppo del traffico di droga ha prodotto un'esplosione dell'accumulazione illegale, peraltro già ingente con il contrabbando di tabacco che ne ha consentito l'ingresso nel mercato e collaudato quei canali internazionali, sia per il trasporto della merce sia per il riciclaggio del denaro, poi utilizzati per il traffico di stupefacenti. La gestione del contrabbando e del traffico di droga, comporta l'impiego di consistenti risorse umane in operazioni complesse che non possono essere svolte da una sola famiglia. Si realizzano così importanti novità della struttura mafiosa, che si sa essere organizzata come una struttura piramidale basata sulla "famiglia" con a capo un "uomo d'onore" che intratteneva affari prevalentemente con gli altri membri della stessa "famiglia". Sorge la necessità di associarci con altre "famiglie", dunque l'antica, rigida compartimentazione degli "uomini d'onore" in "famiglie" ha cominciato a cedere il posto a strutture più allargate ed ad una diversa articolazione delle alleanze in seno all'organizzazione (Giovanni Falcone)
Tutto ciò ha però scatenato una forte conflittualità interna ed una feroce conflittualità esterna che ha assunto i caratteri di una gara egemonica, con l'abbattimento degli ostacoli al processo di espansione ed ha accentuato le caratteristiche criminali della mafia. Le alleanze orizzontali fra uomini d'onore di diverse "famiglie" e di diverse "province" hanno favorito il processo, già in atto
da tempo, di gerarchizzazione di Cosa Nostra ed al contempo, indebolendo la rigida struttura di base, veniva costituito un nuovo organismo verticale la "commissione" regionale, composta dai capi delle province mafiose siciliane con in testa un triumvirato composta da Gaetano Badalamenti Stefano Bontade ed il corleonese Totò Riina con il compito di stabilire regole di condotta e di applicare sanzioni negli affari concernenti Cosa Nostra nel suo complesso. Ma le fughe in avanti di taluni non erano state inizialmente controllate.
L'arresto di Badalamenti e di Bontade dopo l'uccisione del Procuratore della Repubblica Pietro Scaglione e del suo autista il 5 maggio '71 sino al processo dei 114 (numero quasi standard) di Catanzaro, lascia via libera a Riina al gruppo corleonese di Liggio e Provenzano, che agisce al di fuori di ogni regola, senza interpellare il presidente della commissione Badalamenti come nel caso dell'omicidio del colonnello Russo nel 1977. La perdita di prestigio del gruppo cui fa capo Badalamenti , che aveva gestito male alcune operazioni come il sequestro di Sindona o la valigia di dollari ritrovata a Punta Raisi da Boris Giuliano, le scarse garanzie nella distribuzione dei profitti, portano all'espulsione di Badalamenti ed il suo posto è preso da Michele Greco. I corleonesi sono così in grado di manovrare quasi tutti i membri della Commissione e di agire anche senza il loro consenso. Esplode così nel '78 una violenta contesa culminata negli anni 1981-82.
Due opposte fazioni si affrontano in uno scontro di una ferocia senza precedenti che investiva tutte le strutture di Cosa Nostra, causando centinaia di morti. I gruppi avversari aggregavano uomini d'onore delle più varie famiglie spinti dall'interesse personale- a differenza di quanto accadeva nella prima guerra di mafia caratterizzata dallo scontro tra famiglie - e ciò a dimostrazione del superamento della compartimentazione in famiglie. La sanguinaria contesa non ha determinato, come ingenuamente si prevedeva, un indebolimento complessivo di Cosa Nostra, ma al contrario, un rafforzamento ed un rinsaldamento delle strutture mafiose che, depurate degli elementi più deboli (eliminati nel conflitto), si ricompattavano sotto il dominio di un gruppo egemone accentuando al massimo la segretezza ed il verticismo.
Il nuovo gruppo dirigente, a dimostrazione della sua potenza, ha iniziato ad eliminare chiunque potesse costituire un ostacolo. Inizia una serie di omicidi: fra le istituzioni Boris Giuliano capo della squadra mobile di Palermo, il giudice istruttore Cesare Terranova, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il procuratore capo di Palermo Gaetano Costa che aveva appena firmato 60 ordini di cattura contro altrettanti mafiosi dopo che i suoi sostituti si erano rifiutati di farlo, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa sua moglie Emanuela Setti Carraro e la loro scorta, Giangiacomo Ciaccio Montaldo giudice di Trapani, il giudice Rocco Chinnici e la sua scorta, Antonino Cassarà Vicequestore di Palermo e tanti altri carabinieri e agenti di polizia. Durante tutti questi anni la mafia si diffonde a livello nazionale come "disseminazione di presenze", nel senso che l'istituto del soggiorno obbligato porta i capimafia e gregari in tutto il tutto il territorio nazionale, spesso nelle vicinanze di grandi centri. Diffondono la violenza, l'illegalità la sua funzionalizzazione all'accumulazione della ricchezza e del potere, un codice culturale, un certo consenso. Questo crea rapporti che attraversano il corpo sociale, dal basso verso l'alto, coinvolgendo professionisti, imprenditori, amministratori pubblici, uomini politici, soggetti che assieme ai capi mafia formano quella che viene definita "borghesia mafiosa". L'osservazione di questa nuova realtà porta a quello che si può definire "paradigma della complessità". I capimafia, anche i più noti sono quasi degli analfabeti, eppure gestiscono direttamente o indirettamente imprese che elaborano progetti, li presentano alle pubbliche amministrazioni e riescono a vincere gli appalti e a realizzare le opere. Tutto ciò sarebbe impossibile se non ci fossero imprenditori legati ai boss, dai tecnici incaricati dei progetti, amministratori e politici che contribuiscono al successo delle attività direttamente o indirettamente gestite dai mafiosi. Lo stesso può dirsi per le operazioni di riciclaggio dei capitali accumulati illegalmente, impossibile senza il contributo di esperti che operano a livello locale nazionale e internazionale.
Il periodo sanguinoso degli anni '80 coincide con l'affermazione dei "corleonesi" al comando dell'organizzazione. Ai grandi delitti che hanno colpito uomini delle istituzioni (in particolare dopo il delitto Dalla Chiesa), lo Stato ha reagito: con l'approvazione della legge antimafia il 13 settembre 1982, pochi giorni dopo l'uccisione di Dalla Chiesa della moglie e della scorta; con il maxiprocesso di Palermo che si è concluso con pesanti condanne, confermate in appello e in Cassazione. Ci troviamo davanti ad un fatto storico: per la prima volta l'impunità mafiosa veniva intaccata e questo era il frutto dell'azione dei magistrati raccolti in pool come pure la collaborazione di alcuni mafiosi che per sfuggire alla morte per mano dei loro avversari, hanno fatto ricorso alla protezione dello Stato (Tommaso Buscetta accusa politici ma non parla per la paura che possa succedere "qualcosa di brutto" anche negli USA). La violenza mafiosa è ripresa nei primi anni '90, con le stragi di Capaci in cui sono morti Giovanni Falcone la moglie e tre uomini di scorta e di Via D'Amelio in cui sono morti Paolo Borsellino e cinque uomini di scorta nel 1992 e nel 1993 con gli attentati di Roma le stragi di Firenze (5 morti) e di Milano (5 morti). Questa volta la violenza si sposta sul territorio nazionale e prende di mira il patrimonio monumentale: a Roma le chiese, a Firenze la Galleria degli Uffizi, a Milano il Padiglione di Arte contemporanea. Ci sono nuove leggi, altri processi e altre condanne. Resta però aperto il problema dell'eventuale collaborazione della mafia con altri soggetti. I cosiddetti "delitti politico-mafiosi", cioè quei delitti che colpiscono uomini delle istituzioni e hanno come scopo il condizionamento del quadro socio-politico, arrestando processi che potrebbero toccare interessi di mafiosi e dei loro complici, possono essere ideati e attuati da più soggetti, ma finora non si è riusciti ad individuare e a punire per questi delitti soggetti diversi dai capimafia. Ciò vale a maggior ragione per le stragi del '92 e del '93: sono stati puniti i mafiosi ma le inchieste su altri possibili colpevoli esterni alla mafia, non hanno dato nessun frutto. I boss rimasti a piede libero hanno capito che bisognava chiudere la stagione delle stragi e dei grandi delitti e controllare la violenza, soprattutto quella rivolta verso l'alto contro politici, magistrati e uomini delle istituzioni, limitando l'uso della violenza alla regolazione di alcune "questioni interne", in tal modo da riavviare i rapporti con il mondo politico e con i nuovi soggetti detentori del potere e per spegnere l'attenzione dell'opinione pubblica, indignata e mobilitata solo dall'escalation della violenza.
Il controllo della violenza ha sostanzialmente tenuto, l'effetto boomerang ha portato ad una nuova strategia che però in gran parte è come un ritorno al passato, puntando più sulla mediazione che sullo scontro, al fine di ottenere intese su temi come l'abolizione del carcere duro (regime 41 bis) o la revisione di processi, continuando tuttavia a prosperare e ampliare le proprie attività. Uso capillare delle estorsioni, appalti pubblici, allargando l'attività su sanità, rifiuti agro alimentari, riciclaggio, traffico di stupefacenti, oltre alla novità ancora tutta da esplorare: il rapporto tra mafia e gruppi criminali stranieri coinvolti nel traffico di persone e nello sfruttamento della prostituzione. Tanta è stata la mediazione che si è arrivati alla produzione della politica, intesa come determinazione delle decisioni e delle scelte relative alla gestione del potere ed alla distribuzione delle risorse, in vari modi: concorrendo alla formazione delle rappresentanze nelle istituzioni, attraverso il controllo sul voto, o anche con la partecipazione diretta di membri delle organizzazioni mafiose alle competizioni elettorali. L'ispezione istituzionale sulle attività politico-amministrative, in particolare degli enti locali, previsto da una legge del 1991 ha così portato fino al giugno 2003 allo scioglimento per infiltrazioni mafiose di 132 consigli comunali di cui 37 in Sicilia. L'arresto negli anni dei più grossi boss mafiosi Tano Badalamenti (mandante e responsabile dell'omicidio di Peppino Impastato) morto nel 2004 portandosi nella tomba i suoi segreti legati alle collusioni politiche accennate dal pentito Buscetta (si può dire che con lui muore l'ultimo padrino della vecchia mafia), Totò Riina (mandante degli omicidi di Falcone e Borsellino), Giuseppe Brusca (esecutore materiale della strage di Capaci), Bernardo Provenzano (boss dei boss più di 40 anni di latitanza), Salvatore Lo Piccolo, Gaspare di Maggio, per citare i più famosi, porta ad un declino o più opportunamente "inabissamento" di Cosa Nostra deliberatamente posta in essere dall'organizzazione al fine di operare nell'ombra.
Per una mafia che si "inabissa", si riscontra un'affermazione della 'Ndrangheta come soggetto criminale a livello internazionale
Ripetendo le gesta di Cosa Nostra la 'Ndrangheta negli ultimi anni viene indicata come la mafia più potente al mondo. La prima relazione della Commissione Parlamentare Antimafia sulla 'Ndrangheta del febbraio 2008, descrive le grandi truffe all'Unione Europea, i circuiti di riciclaggio internazionale, traffici mondiali di droga, i rapporti con la politica ed il mondo delle imprese per il controllo della spesa pubblica. Insomma un'organizzazione che da mafia agropastorale diventa holding del crimine, riuscendo a rafforzarsi nel silenzio ed ad adeguarsi alle esigenze del mercato, senza mai venir meno alle proprie caratteristiche, regole e valori, come il silenzio ed il vincolo di sangue. Una evoluzione da mafia regionale a multinazionale del crimine, capace di movimentare capitali che equivalgono ad un'intera manovra finanziaria. Da intrecci perversi della politica calabrese con mafia e massoneria, in uno scenario in cui il confine tra clientelismo e malaffare non è più distinguibile, da tutto questo scaturisce l'omicidio del vicepresidente regionale della Calabria Francesco Fortunio nell'ottobre 2005.
Di pari passo con l'affermazione dell'Ndrangheta, va il dominio incontrastato della Camorra in Campania. Il primo tentativo di stroncare l'egemonia criminale camorristica è stato il processo al clan dei Casalesi "Spartacus". L'egemonia dei clan camorristici è avvenuta grazie al compimento di efferati omicidi: 20 anni di morti di Camorra per le strade di Napoli. Camorra che ha perso ogni connotato di umanità e dalle pistole è passata alle mitragliette dei killer imbottiti di eroina o cocaina. Un magma sanguinoso e crudele fatto da malviventi e da bande criminali rette dal rifiuto di obbedire ad un unico comando ed ad un'unica strategia. Una malavita "plurale" dal punto di vista geografico, sociale e politico, feroce ed arcaica e, nello stesso tempo, postmoderna con i suoi riti, culti, modelli presi dalla televisione e dal cinema. Camorra che riesce ad accumulare capitali impensabili, acquisendo un potere economico enorme a partire dagli anni '80 con il terremoto ed il massiccio stanziamento di risorse che ne deriva. Poi scippi, prostituzione, traffico di droga, vendita di merci contraffatte, tangenti sugli appalti, racket dei negozi e, in ultimo unicamente per la recente ribalta grazie anche all'autore di "Gomorra" Roberto Saviano, il traffico di rifiuti tossici e non ed il relativo racket dello smaltimento e delle discariche abusive.
La Campania come capolinea di tutti gli scarti tossici, rimasugli inutili, la feccia della produzione e di tutti i rifiuti sfuggiti al controllo ufficiale. Legambiente stima l'ammontare di tutti i rifiuti conferiti in Campania come una catena montuosa da 14 milioni di tonnellate: una montagna di 14.600 metri con una base di tre ettari. Il Monte Bianco è alto 4810 metri l'Everest 8844 metri. Una montagna analoga è quella dei profitti della Camorra e delle imprese per le quali lo smaltimento delle proprie inutili scorie, è un costo che nessun imprenditore italiano sente necessario.
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