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Disturbi psico-somatici




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Disturbi psico-somatici


"Conosco la purezza della pura disperazione,

la mia ombra appesa a un muro che trasuda." (T. Roethke)


Una fondazione statunitense, la National Prison Project, ha intrapreso grazie ad alcuni suoi membri uno studio sugli effetti che ha il carcere sui detenuti, per quanto concerne l'aspetto della salute. Il risultato è stato il seguente (in Gallo e Ruggiero 1989):

o    Claustrofobia: alcuni soggetti,  a causa dell'isolamento in spazi chiusi e isolati, hanno avuto sensazioni di compressione spaziale, molto vicina al panico claustrofobico tanto che se il regime dovesse mantenersi invariato si avrebbero gravi psicosi e senso di irrealtà. Il contagio psicotico poi è probabile in quanto c'è un grado di empatia molto alto tra gli stati psichici e emotivi dei detenuti.

o    Irritabilità permanente: ci sono profondi sentimenti di rabbia senza possibilità di scaricarla. Il linguaggio del corpo dei detenuti manifesta questo disagio, molti detenuti si sentono violati in ogni istante della giornata e a lungo andare questi sintomi possono portare  a disturbi psico-somatici.

o    Depressione: gli effetti dell'auto-controllo creano scompensi. Poiché viene a mancare un obbiettivo esterno, la rabbia viene canalizzata all'interno e avvertita come depressione. Quando il disagio diventa acuto la forza negativa può significare anche casi di auto-distruzione come auto-mutilazioni e suicidio.

o    Sintomi allucinatori: sono stati raccolti casi di detenuti che dichiaravano di aver visto delle macchie nere o delle strisce sulle pareti che erano invece interamente colorate di un bianco luminoso. Questi sono gli effetti di un ambiente visivo monotono. Anche questa problematica può "contagiare" gli altri detenuti.

o    Abbandono difensivo: in questa patologia si tende a rispondere agli ambienti avversi avendo una ritirata protettiva su di sé. Ci si de-sensibilizza in maniera da attenuare le sensazioni di sofferenza.

o    Ottundimento delle capacità intellettive, apatia: molti si sono dichiarati incapaci di concentrarsi. L'abbassamento dell'abilità ne focalizzare l'attenzione indica un disinteresse crescente nel proprio mondo interiore e esterno. Il carcere nega gli stimoli necessari a livello fisico-sociale e culturale per creare interesse in qualsiasi aspetto o sfumatura del mondo circostante.

Per quanto concerne l'aspetto della depressione, esso è molto diffuso nelle carceri e soprattutto in quelle femminili, dove a causa del senso di colpa per l'abbandono della famiglia, le donne subiscono in pieno le conseguenze di questa malattia.

Quesito argomento verrà ripreso e sviluppato nel capitolo seguente sugli aspetti affettivi, psicologici e inerenti alla salute delle donne detenute.

Gonin (1994) nel suo libro, parla anche del mondo delle sensazioni e specificatamente del concetto di tempo e di spazio, queste sensazioni distorte e diversamente percepite dal detenuto danno il via a problematiche che colpiscono i detenuti all'interno del carcere: spazio e tempo sono, dice Gonin, dissociati poiché il ristretto ne viene privato, e non solo, in quanto questi due concetti assumono un'identità imposta all'interno delle strutture detentive: il reo è costretto e ristretto, a condividere la cella con altre persone, a vivere promiscuamente in loro compagnia, a stare in celle di due metri per tre con altre, poniamo il caso, due persone, la sua privacy, viene a mancare, la convivenza è forzata, inoltre con la mancanza di spazio personale aumenta il mutismo, la mancanza della parola toglie lo spazio tra le persone.

Durante le interviste alle detenute semi-libere della Giudecca, una delle lamentale più frequenti era quella della convivenza forzata, della mancanza di spazi propri e dell'uso di tecniche di isolamento mentale necessarie per poter sopravvivere all'interno della struttura.

Anche le volontarie hanno parlato della difficoltà dell'isolarsi e quindi potersi rigenerare da parte delle detenute, si convive in stanza di 10 persone in media, le celle sono aperte, il via vai è continuo e l'invasione degli spazi altrui è quindi molto forte, non c'è niente di proprio all'interno del carcere, per cui si cerca di riprodurre le proprie abitudini, quali lavare-pulire-rassettare all'interno della cella, per poter creare un collegamento con la vita esterna, per potersi ri-appropriare di stili di vita esterni.

Ma lo spazio non è l'unico problema nel carcere, c'è anche il trascorrere inesorabile del tempo, il tempo diviene tempo legale, tempo dei giudici e delle leggi, tempo uguale a se stesso che si reitera ogni giorno, scandito dall'apertura e chiusura delle celle, dallo svolgimento, ove possibile delle attività o del lavoro, dai pasti.

Tempo che non è solo quello della pena da scontare, ma anche quello degli affetti privati, della apatia, della noia, del trascorre le ore con chi non si conosce ma si deve sopportare.

Anche questo tema è stato affrontando nell'elaborato, connesso allo svolgersi della giornata "tipo" di una detenuta in sezione e in stato di semi-libertà, e per dirla come Gonin, il mondo carcerario è il mondo dell'immobilità, della pesantezza, del torpore , se non si ha la possibilità di lavorare o di svolgere delle attività la pena scorre nell'apatia totale, e nell'ozio.

A proposito di spazi privati e di gestione del tempo riporto di seguito alcune testimonianze dal carcere della Giudecca.

«Emilia: Non c'è solo la pena da scontare, è quello "in sovrappiù" che pesa. Qui alla mattina all'apertura del blindo se succede qualcosa che non ti va devi stare zitto, perchè c'è sempre il rischio di un litigio, di un rapporto. [.] Si viene anche privati della voglia di dire la propria opinione per non scontrarsi con chi proprio non capisce. [.] Perché in un carcere chiuso se non hai voglia di uscire stai dentro in cella e sei sicura che sei sola o quasi. In un carcere come questo, non avrai mai pace. Non sei libera, non hai una tua vita privata, perché comunque non hai un minimo di spazio tuo [.]»

Una delle problematiche più forti è la convivenza degli spazi, e non solo, le detenute lamentano che le pene aggiuntive come lo stare gomito a gomito con persone diverse caratterialmente e culturalmente, costrette ad andare d'accordo per evitare litigi che potrebbero portare a dei rapporti con conseguente ritiro dei benefici o dei giorni in meno da scontare è una pensa aggiuntiva a quella data dal giudice.

Una pena in più, non prevista dalle leggi formali ma da quelle informali del carcere.

Ma non è solo un problema riconducibile alla convivenza e all'equilibrio precario di stare insieme a persone diverse dovendo andare d'accordo, c'è anche la pesantezza emotiva e psicologica di dover rivivere attraverso ciò che sentono le nuove aggiunte, l'aspetto di frustrazione e dolore che si è passato e difficilmente risolto col tempo.

Il detenuto è invaso dal pieno, dice Gonin, e questa affermazione ben rappresenta la violenza che ogni detenuto subisce, in aggiunta alla pena, la tortura del non essere mai solo, dell'avere la testa piena di voci-immagini sempre uguali, suoni metallici o passi.

Se la testa è piena, così non si può certo dire della vita che è all'opposto vuota, la cella è piena di persone ma i rapporti sono privi di una vera relazione, anche durante i colloqui questo può accadere, quanto si parla di tutto ma alla fine non si dice niente.

Nella sua ricerca l'Autore, ha analizzato come il 60% dei detenuti sentano una privazione dell'energia fin dal loro primo ingresso in carcere, e fino all'ottavo mese conservano questa sensazione, inoltre questo esaurimento energetico si accompagna anche ad uno stato di solitudini che si manifesta in più del 60% dei rei e il culmine viene raggiunto dopo i sei mesi.

Mancanza di concentrazione e incapacità di ricordare sono altri segnali del disagio del vuoto all'interno degli istituti penali, la persona detenuta viene svuotata anche delle sue sicurezze al punto che dopo sei mesi di carcere circa un terzo dei detenuti ha l'impressione di non valere niente.

Oltre al vuoto e al pieno ci sono altre dicotomie che insidiano i detenuti: il caldo e il freddo, il secco e l'umido, il pulito e lo sporco.

Il caldo e il freddo nei primi tre mesi di carcerazione, secondi gli studi del Gonin, il 28% dei detenuti nei primi tre mesi prova la sensazione di freddo, questa percentuale sale al 32% a metà anno per poi arrivare al 31% alla fine dell'anno.

Questo tipo di sensazione è dovuta nelle strutture vecchie a causa del malfunzionamento dell'impianto di riscaldamento, però ci sono casi come quello di un ragazzo che girava sempre in canotta qualsiasi fosse la stagione, che fanno capire come il freddo sia anche qualcosa che viene dall'interno degli individui, un gelo così pregnante che neppure i vestiti possono proteggere e quindi tanto vale rimanere svestiti.

L'ipotermia, diventa utile per abbassare il battito cardiaco, rendendo minimi i consumi di energia, freddo e caldo però sono dissociati non l'uno l'opposto dell'altro, nel reo permane un'anestesia cutanea che dà informazioni erronee sulla temperatura esterna, informazioni peraltro che poco importano al detenuto il quale invece si ritrova a vivere queste sensazioni come ricordi, lontani e passati, le sue percezioni diventano memorie, non è più sicuro di cosa realmente prova a livello sensoriale.

Il secco e l'umido all'interno delle strutture penitenziarie studiate dal Gonin, queste due sensazioni venivano invertite, la pelle era secca mentre i muri e tutto ciò che circondava il detenuto era umido, così da deteriorare anche i cibi, le baguette erano umide e molli, le arance spugnose perchè disidratate e questo coinvolge anche le medicine e la loro forma, le pillole che per l'umidità della lingua si incollano alla stessa, mentre le fiale diventano farinose.

Il pulito e lo sporco anche l'essere pulito o sporco racchiudono dei significati che vanno oltre la fisicità del sentirsi tali, si riconducono all'aspetto morale all'essere e voler rimanere sporco, oppure alla ricerca ossessiva di una pulizia continua per levarsi le macchie, per recuperare una purezza che non si ha più.

Ricordo che anche parlando con i volontari delle carceri femminili della Giudecca e di Montorio mi sono sentita dire che l'esigenza delle docce è quasi fondamentale per le donne, diventa un diritto da usufruire il più possibile. Il volontario religioso veronese intervistato, a proposito commenta così:

«Poi la doccia è un problema che viene così esasperato dentro il carcere un po' perchè sono poche, un po' perché hanno orari abbastanza condizionati, però guai se togli la doccia, anche se magari a casa loro non facevano la doccia ogni mattina, ma lì è un diritto.»

Si sono presentate le psicopatologie più frequenti in carcere, e come queste incidano sulla pena creando un surplus non preventivato dalla legge e legittimando una sofferenza legale che non aiuta il recupero o la ri-educazione del detenuto ma anzi  questa sofferenza del corpo provoca malattie d'ombra come dice Gallo, il quale in un intervista al Gonin , raccoglie altre informazioni utili su questa tematica:


v  La sofferenza all'interno delle strutture carcerarie è fine a se stessa, o meglio non ha alcun fine educativo o riabilitativo per colui che la subisce, è una pena di dolore interminabile.

v  Questo tipo di sofferenza diventa come una seconda pelle per il detenuto, poiché lo segue anche al termine della pena, permane nella sua vita così anche dopo che la pena è stata scontata.

v  Lo stress è un elemento da valutare all'interno della reclusione in quanto anche se non tutte le malattie possono essere ricondotte ad esso ha un ruolo centrale nel mutamento di vita dell'individuo, il quale è sottoposto a dei bruschi adattamenti alle nuove situazioni (così come Daco dice per chi esaurisce le proprie forze al fine di trovare un adattamento opportuno) e inoltre ad una "castrazione" della parola, e della comunicazione che muta radicalmente all'interno della struttura carceraria.

v  In carcere il sesso diventa tabù ed è negato per cui Gonin parla di ambiente omosessuato più che omosessuale, il corpo diventa muto alle sensazione perchè al di là di uno sfogo sessuale personale, manca l'affettività che è alla base di un buon equilibrio per l'individuo.

Gonin pone in luce problematiche che si collegano con l'aspetto della sofferenza della pena, e di come essa possa essere vissuta e metabolizzata dai detenuti adulti ristretti in istituti penali.

Dopo aver parlato delle problematiche personali dei detenuti, inerenti all'aspetto psico-patalogico, diamo uno sguardo alle difficoltà che i minori (di per sé più deboli e fragile soprattutto nel momento della crescita), nati e cresciuti in carcere hanno, soprattutto nella loro fase di sviluppo fisico, emotivo e affettivo.



1 Testimonianze


«Beh il ciclo ad esempio sparisce per il trauma nel primo anno e non solo, anche dopo ci sono delle difficoltà in quanto, credo, le donne siano dei soggetti che somatizzano molto. Io non ho avuto problemi simili quando sono entrata, li ho avuti prima, quando ho saputo che dovevo venire a Venezia e non volevo ho perso il ciclo e stavo male! Questo scombussola l'equilibrio psicofisico di una donna: sei più nervosa, stressata Prima dell'ultima licenza ho avuto un blocco: ero preoccupata e agitata per questa licenza, poi dopo due giorni in licenza, mi sono rilassata e tutto è tornato normale.

Abbiamo un dentista molto in gamba, molto ben disposto» (Sogg A).

«E' normale finché sei dentro, per esempio vedi sempre le cose non tanto lontane, col neon che è sempre acceso, è fastidioso il neon!

Dopo piano piano cerchi di recuperare, beh a parte la vista che una volta diminuita rimane diminuita.

E' come andare in bicicletta per le altre cose. Quando sai qualcosa è difficile dimenticarla.

L'anno scorso sono andata al lido e sono entrata in acqua per dieci minuti, per vedere se ero ancora capace a nuotare, avevo paura di essermi dimenticata, mi sono buttata solo per vedere se mi ricordavo perciò penso che una volta fuori recuperi tutto»  Sogg B).

«Il mal di testa è una cosa comune, quando sono uscita in semi-libertà prendevo tutti i giorni almeno una volta la giorno, la novalgina, quando sono uscita un mese dopo non l'ho più preso e neppure prima di essere detenuta avevo mal di testa.

E' un'allergia un momento di trovarsi dietro le mura.

Non so perchè, comunque tante persone lo dicono, abbiamo fatti raggi, encefalogramma ma non è risultato niente, hanno detto che potevano essere cervicali, ma non c'è un motivo reale così forte perchè vengano, dopo ho capito che è una cosa che mi succedeva perché ero là.

Ora non li ho più se non per bassa pressione o momenti di nervosismo,ma raramente.

Altri malesseri. c'è buona cura, ogni volta se qualcuno sta male viene aperto, l'aiuto non è così come un privato fuori, ma non è che se qualcuno sta male veramente non è curato viene mandato in ospedale.

Anche mal di stomaco ci sono, e stitichezza, quasi tutti se ne lamentano, e mi sono accorta che è normale.

Anche ci sono ci possono essere anche irregolarità strane nel ciclo, a me non è capitato ma stando a contatto con altre detenute l'ho notato, è per il nervosismo, anche perchè dopo un anno l'organismo dovrebbe essersi adeguato al cambiamento» (Sogg. D).

In questo capitolo si è data libera voce alle donne ristrette per sapere direttamente da loro come si vive in carcere e quali sono le strategie usate per poter stare meglio e le difficoltà che si incontrano.

Le detenute possono girare in modo abbastanza libero per il carcere, però "istituzionalizzarsi" diventa facile: si è vincolati a comportamenti pre-stabiliti, e anche per la presenza dei benefici e degli sconti della pena, spesso si preferisce lasciar correre quando si subisce un torto, da una detenuta o dall'amministrazione stessa.

Ma se per le detenute ci sono queste difficoltà, come vivono il carcere quei bambini, figli di recluse, che fino al compimento dei tre anni possono stare in carcere con loro.Che leggi ci sono a loro tutela?




Corsivo dell'autore.

Questi brani e i seguenti sono tratti dal capitolo quarto del testo Donne in sospeso (2004) a cura delle detenute del carcere della Giudecca.

A proposito della sua associazione il volontario dice: «Il nostro gruppo si chiama Arca '93, siamo partiti nel 1993, noi facciamo anche dei corsi all'interno del carcere, lo facevamo prima come salesiani, ora come volontari sia qui a Verona sia a Vicenza, a Vicenza ci sono due sezioni gli A.S. ossia Alta Sicurezza, e gli altri comuni».

Qui di seguito vengono riportate sotto forma sintetica constatazioni di Gonin sul carcere e sulla sofferenza all'interno di esso.

Opposto alla sofferenza è il benessere inteso sia come assenza di dolore e presenza di piacere, in chiave di difesa di interessi animali più istintuali, che come grado di soddisfazione delle preferenze e dei desideri (Donatelli 2002 presente come citazione in Teoria sociale della cura). Indicatori oggettivi di benessere sono attività fondamentali come: il sonno, la nutrizione, la cura di sé, la capacità relazionale. (Fiocco 2004)

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