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Affetti lontani e relazioni fittizie: come sopravvivere emotivamente durante la pena?




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Affetti lontani e relazioni fittizie: come sopravvivere emotivamente durante la pena?



«It's such a little thing to weep-

So short a thing to sigh-

And yet- by Trades- the size of these

We men and women die ! » (E. Dickinson, 1860)



Il mondo continua a scivolare lentamente sui binari del tempo, trascorre veloce, passa, mentre i rapporti e le relazioni, di coloro che sono ristretti rimangono cristallizzati nell'attimo prima di abbandonare i cari fuori dal cancello del penitenziario, perchè di fatto il tempo che scorre all'interno del carcere è opposto a quello esterno: mentre dentro i secondi sono lenti e pesanti, e le ore non passano mai, fuori tutto continua come prima, veloce, un tempo consumistico, che non ha "tempo" di aspettare chi si è perso, o vive isolato da un'altra parte.

Durante il periodo del tirocinio, il mio tutor, ex detenuto, mi raccontò di come uscito fuori, dovendosi recare in banca per una commissione rimase frastornato e impaurito dai cambiamenti che erano intercorsi dal momento in cui era stato arrestato a quello in cui era uscito: rimase bloccato tra le porte scorrevoli di entrata e uscita dalla banca senza capire che l'allarme suonava perchè aveva delle chiavi di metallo in tasca, e solo dopo che a gesti gli fu spiegato cosa doveva fare poté riprendere a respirare normalmente, senza l'ansia di rifinire in carcere per una indefinibile e ipotetica trasgressione alla legge.

Il problema del tempo e dello spazio vissuti in carcere ineriscono direttamente sulle persone e modificano anche i rapporti e le relazioni socio-affettive: se non ci sono contatti con l'esterno, se i parenti non vengono a colloquio, se si è soli, una volta fuori, è difficile poter riallacciare quegli affetti interrotti da tempo, a questo proposito parlando dei colloqui che avvengono alla Giudecca (momento in cui le detenute possono parlare e vedere i propri cari) la volontaria B dice:

«Ci sono di giovedì e sabato, hanno diritto a quattro colloqui al mese più i colloqui supplementari, generalmente le donne non li perdono, però non tutte hanno i colloqui, le donne straniere per esempio non sempre li hanno, certe volte però la famiglia non viene perchè si vergogna di loro.

Oggi è difficile che ci siano difficoltà di movimento per non andare al colloquio.

Le detenute italiane sono quasi tutte venete o di regioni vicine, per cui a meno che non ci siano gravi situazioni di malattia nella famiglia. non sempre la famiglia si adatta, c'è ancora molta remora sul pianeta carcere, si vergognano non vorrebbero mai vedere la propria figlia in carcere, sono cose molto dolorose.

Le straniere, cosa vuoi chi è che le deve venire a trovare? I giri ai quali appartenevano svaniscono.

Qui hanno il giardino, e la sala colloqui, hanno i tavolini.

Non vorrei essere troppo positiva perchè carcere è comunque».

I colloqui e le telefonate, sono momenti molto importanti per le detenute, soprattutto per le straniere, le quali spesso, non potendo vedere direttamente i parenti possono avere quantomeno un contatto telefonico.

Ma all'interno del carcere si riesce a trovare degli affetti? A compensare in qualche modo la solitudine?

Una delle difficoltà che è emersa durante le interviste che sono state sottoposte alle donne detenute, è il poter esprimere le emozioni, l'interagire con veri rapporti di amicizia e affetto con le altre ristrette, il poter creare all'interno della propria permanenza in carcere, dei rapporti, in qualche modo sostitutivi, che possano colmare la mancanza degli affetti rimasti fuori, delle relazioni troncate e interrotte, delle famiglie abbandonate, dei compagni/figli/amici che non possono essere lì con loro e sostenerle durante la pena.

A questo proposito sono state poste delle domande inerenti non solo il clima tra detenute, ma anche il tipo di relazione che viene a crearsi con le altre persone che vivono il carcere, per scelta (come le volontarie) o per lavoro (come la polizia penitenziaria, l'educatrice, la direttrice, la psicologa e le assistenti sociali).

I soggetti parlando della situazione relazionale all'interno del carcere, ha trattato anche la differenza che, con gli anni, si è venuta a creare nel modo di rapportarsi anche tra agenti e detenute:

«Prima c'erano le perquisizioni più invasive, col nuovo regolamento quando rientri da un permesso, non possono più spogliarti, farti fare le flessioni, a meno che non ci siano reati o motivazioni che vanno comunque messe per iscritto, prima invece tutte le volte chiedevano varie cose, per me è un insulto alla persona e alla sua privacy, anche e perchè comunque sono le stesse agenti a dire che se vogliamo riusciamo a fargliela lo stesso per cui.E' un'umiliazione.

Nella stanza niente è tuo, perché quando tu ti metti in ordine lo stiletto, magari il giorno dopo mi buttano tutto in disordine per la perquisizione, e allora tanto vale.

Poi sono loro che dicono cosa si può tenere o no.

E anche qui ci sono cose da dire, perché per esempio una penna può essere usata come arma se uno vuole, eppure la penna te la concedono ma le posate sono in plastica (le padelle invece sono l'unica cosa non in plastica concessa), infatti le prime volte che vai fuori poi ti sembra strano come pesino tanto le posate, poi immagina tagliare il cibo con le posate di plastica.

Il rapporto con le agenti è drammatico, perchè io non ho nessun problema, non manco di rispetto, se ho ragione non ti insulto, ti espongo i fatti, ma qua a Venezia, non c'è confine, io per quello mi trovo male, perché io detenuta sono di qua (della linea immaginaria), e tu agente sei di là, possiamo discutere etc. però non ci si può permettere di offendere.

Una volta ero in gruppo e un'agente è uscita con una parola (offesa in senso confidenziale) così ho chiarito se questa parola fosse rivolta anche a me, perché allora avrebbe dovuto verbalizzarla, perchè a me non interessava la confidenza che aveva con la detenuta a cui si riferiva, ma non doveva averla con me, perché io non ho mai mancato di rispetto a qualcuno.

Poi sai, si vede quell'agente che ti vuole provocare per tentare di farti rapporto, ma la maggior parte direi che fanno da mamma, fanno le assistenti sociali che non è positivo, perché se il carcere dovesse servire a qualcosa dovrebbe almeno far crescere le persone un minimo, invece quando escono le detenute sono meno grandi di quando sono entrate.

Hanno un atteggiamento di protezione, secondo me, non essendoci la barriera della porta chiusa, essendo sempre in corridoio, sai si crea un clima confidenziale che però a me non piace, anche se poi io parlo con tutte agenti comprese, i confini per me sono troppo labili.

Poi ovviamente ci sono quelle che ti vengono incontro e quelle meno, e tu lì impari a giostrarti, io però preferisco il chiuso, il confine lì è più netto.

Ho fatto difficoltà per questo.

Qualunque posto in cui vai, le agenti ci sono, ti entrano in cella, poi c'è quella meno disponibile e allora io evito di averci a che fare» (Sogg A).

«Qui alla Giudecca sono molto buoni, si fatica a distinguere le agenti dalle detenute per il loro rapportarsi quasi pariteticoc'è un rapporto molto simile all'amicizia e forse così è meglio, ha i suoi lati negativi ma complessivamente credo sia meglio così. Infatti ti senti più libera Beh anche se i rapporti sono di amicizia comunque loro sono agenti, mentre dopo magari anni di confidenze di confessioni rischi di dimenticare il loro ruolo, e quando ti fanno rapporto per una mancanza ci rimani peggio, te lo aspetti di meno perché non la vedi più come agente. Comunque è complessivamente meglio così: sono più aperte, fanno sentire le detenute a suo agio» (Sogg B).

«Sinceramente quando ero dentro era meglio, non so perchè, mi sembrava tutto diverso.

Ora mi sembra che ti facciano stare più nervosi e costretti.

Siamo più nervose quando andiamo a lavorare poi torniamo nervose in carcere.

Ci sono delle persone che non vogliono la semi-libertà perché vedono come noi che l'abbiamo siamo sempre nervose.

Perché quando io finisco di lavorare qua, allora viene l'ora di rientrare di là e solo il pensare che ti controllano.. anche se hai bevuto qualcosa.

Durante le perquisizioni vai in una stanzetta piccola  e ti fanno togliere le scarpe e altri oggetti personali» (Sogg. C).

«Qui mi sembra siano abbastanza buoni, buoni, ossia loro ci fanno vivere e noi dobbiamo rispettare almeno un minimo, perchè qui non si pretende tanti o, però se c'è una regola deve essere rispettata altrimenti ci sono problemi, perchè sia noi, sia loro, siamo umani, abbiamo sentimenti, simpatie, antipatie, sofferenze allora se noi ci comportiamo bene non credo ci siano problemi.

Piccole eccezioni ci sono, un carattere che magari è difficile di sopportare, e allora magari si rimanda a chiedere a domani per evitare quella persona» (Sogg. D).

«Noi a volte là sopra adesso che facciamo semi-libertà praticamente non esistiamo, ce ne sono tante che però hanno cuore, se devi fare la lavatrice al mattino che ci spetta di martedì mattino?

Ce la fanno fare senza nessun problema, ce ne sono le altre che invece se ti svegli alle 6.30 per fare solo la lavatrice ti dicono che invece ti dovevi svegliare alle 6. O magari se stai male c'è a volte a un certo turno che chiami 50 volte e non arriva nessuno, puoi morire e non esisti.

In sezione invece è un'altra cosa c'è più contatto, ti puoi muovere.

Io da lì sopra chiamo perchè non ti puoi muovere, sei chiuso, non posso uscire dallo spioncino che è piccolo così, non posso neanche mettermi ad urlare, allora suono e se viene bene altrimenti pazienza.

A volte non vengono neanche di sopra e si mettono a urlare. "Che vuoi?» (Sogg E).

«Parlando di questo carcere non si può fare un discorso generale, qui ci sono 100 donne detenute e sono 100 agenti di polizia donne che si turnano, siamo tutte donne qui, allora hanno diversi modi di rapportarsi tra di loro, dipende anche chi sono queste agenti.

A volte ci sono grosse difficoltà di relazione perché l'agente vuole fare la dura, la rigida, a volte ci sono anche amicizie, varia molto, generalmente anche le agenti aiutano queste donne a ragionare, a capire, e ascoltano, forse in un carcere maschile è diverso» (volontaria B).

Del problema detenute-agenti, se n'è parlato anche con un religioso veronese, in un incontro, in cui descriveva il carcere di Verona, e la situazione femminile all'interno di esso: «Prima al carcere vecchio al Campone, c'era un clima collegiale, gli stanzoni ed era tutto aperto, dentro-fuori, venivano nel laboratorio dove c'era una suora che insegnava un po' a cucire, e dove facevamo il corso noi, ma con il carcere nuovo non è più possibile, la sezione è sopra è chiusa, ognuna ha la sua cella, se una vuole fare le attività deve venire giù e o fare laboratorio con una suora, o fa il corso a-b o c, a orari fissi, oppure sta in cella, oppure scende giù ad un'ora un gruppo, poi un'altra ora un altro gruppo.

Nel frattempo se vengono chiamati dall'educatore, dall'educatrice o dall'avvocato vanno tranquillamente.

Fra le due sezioni, non c'è molta differenza, il criterio di distinzione è solo quello di evitare grane sul piano disciplinare, ossia io bisticcio con lei allora uno di noi due verrà separato dall'altra, non può avere contatti.

Cosa significa? Che se io scendo a prendere l'aria lei non può venire, quando io vado su se mai viene lei, ma se è finita l'ora d'aria l'altra la perde.

Questo è un po' il criterio  e tra loro succedono abbastanza frequentemente piccoli litigi, gelosie, dispetti, antipatie a livello personale, è il classico rumore dell'ambiente chiuso, come in un baule se metti un moscone fa un uragano e così è tipico di un ambiente chiuso, o anche in questo caso di un ambiente mono-sessuato non c'è scambio di visioni diverse con il maschile, e allora questo crea discussioni stupide inutili, ma a volte gravi, gente che fa baruffe gravi e tenta anche di ammazzarsi, nascosto fuori della doccia.

Poi la doccia è un problema che viene così esasperato dentro il carcere un po' perchè sono poche, un po' perché hanno orari abbastanza condizionati, però guai se togli la doccia, anche se magari a casa loro non facevano la doccia ogni mattina, ma lì è un diritto.

Poi all'interno della cella vivono in due a volte in tre, in genere so che al femminile sono in due e al maschile sono in tre, le celle comunque sono nate per una persona, ma il rischio di una persona è che se è un po' in crisi devono mettere un'altra persona che faccia da palo, da custode, da garante, e questo garante evidentemente aveva una specie di protezione, uno di loro, e addirittura per fare il garante veniva pagato, poi si è visto che c'erano dei costi folli, ne hanno messo due così. se vanno d'accordo bene altrimenti tenteranno di andare d'accordo, ci sono cavolate che lì però sono ingrandite, fra loro è così.

Con le agenti dipende dal carattere che ha l'agente e da quello che hanno le detenute perché ci sono simpatie e antipatie anche lì, per cui magari una fa la ruffiana.

Le agenti ce ne sono di brave, alcune vanno dentro un po' prevenute secondo me, altre hanno una pasta umana un po' più matura, altre si sentono padrone del carcere e urlano "rapporto" ma il rapporto significa rischiare di perdere i benefici dei giorni per uscire prima, c'è gente che per un rapporto o due perde i giorni, perchè il giudice non sta neppure lì a guardare vede i rapporti e la detenuta perde i giorni.

Credo che queste cose siano insuperabili.

Il lavoro dell'agente è un lavoro ingrato e difficile, spesso c'è anche gente che provoca ce ne sono anche alcune che non hanno niente da perdere e allora offendono, maledicono, tentano di aggredire, a volte sono anche un po' fuori di tesa a volte vedono che è ingiusto, e purtroppo è così.

Se io prendo un rapporto e non ho colpa, perché l'altra ha attaccato briga mentre io ero tranquillo, il rapporto viene dato a tutti e due, tra i due chi ha ragione è sempre l'agente.»

Tra detenute e detenute, i rapporti sono di collaborazione, ma sono cambiati rispetto a quelli passati in cui le detenute combattevano per  cause comuni e tra di loro avevano rapporti di solidarietà rischiando anche punizioni per le altre:«A volte poi capita di fare una delegazione tra detenute per chiedere delle cose: io quando andavo, puntavo sempre la direttore, perché così evitavo lo scarica-barile.

Tra detenute si instaurano a volte rapporti di aiuto reciproco, per esempio io sono brava a fare istanze e molte venivano a chiedere il mio aiuto.

Quando sono andata in una cella, per esempio, ho detto che mi sarei occupata io delle istanze per tutte, pur di non lavare le tende(a me non piacciono le tende non le ho neppure a casa mia).

Ci sono questo tipo di scambi.

[.] Una detenuta nuova è assistita dalle "assistenti sociali" vecchie detenute. In realtà c'è un opuscolo che però non guarda nessuno, si preferisce chiedere a chi ha esperienza e può spiegarti direttamente piuttosto che leggere senza magari capire

Amicizie ce ne sono poche perché comunque l'amicizia la vedi quando esci.

C'è una specie di "solidarietà", oggi sono amica tua perché hai bisogno tu, è molto soggettivo.

Io do poca confidenza alle persone, perchè so come funziona la dinamica, oggi parlo con te, poi magari domani fai comunella con un'altra, parli male e a me queste cose on piacciono.

Se a me non va una persona, non va, dobbiamo parlare di una cosa o lavorare insieme? Va bene ma finisce lì.

Queste dinamiche crescono, ma in fondo anche fuori è così.»

[parlando della solidarietà tra ristretti] «La parola solidarietà va messa tra virgolette, c'è opportunismo in carcere.

Prima il carcere era diverso, da quando ci sono i benefici tutti sono diventati dei lecchini.

A volte si sente dire che sarebbe meglio togliere i benefici, io credo che possa essere un'affermazione per certi versi giusta perchè coi benefici si usano gli altri, si diventa spie, ma alla fine l'agente stessa ti usa perché le servi.

C'è un lavoro sotterraneo di molte, io non ho mai avuto rapporti di fiducia grossi: se tu mi chiedi una cosa se posso te la faccio, non mi interessa chi sei o meno, anche se non ti stimo, però sto attenta a parlare di me, perché poi le cose possono essere fraintese e tu la vai a riportare per tuoi interessi ad altri.

Ho sempre avuto buoni rapporti con tutte non ho mai litigato con nessuna a parte agli inizi,comunque in carcere si ripresenta quello che c'è anche fuori, c'è sempre qualcuno che vuole farti le scarpe.

Fuori la collettività è più ampia, si pensa che dentro si diverso forse perché dentro il gruppo è ristretto, ma non so fino a che punto ci siano differente.

Una volta la lotta comune era andare tutti a stare meglio,poiché ora se io sono brava me lo danno (il beneficio), se tu sei cattiva non mi interessa niente, non vengo a migliorarti.

Dentro è come fuori. Dentro quello che fa male è che tranciano tutti i rapporti affettivi e non hai il libero arbitrio su niente, neanche sulle minime cose, portare un assorbente piuttosto che un altro, tu (carcere) con l'impresa hai preso quello e io mi devo mettere quello» (Sogg. A).

«Non è facile andare d'accordo con tutti, ognuno ha la sua mentalità e ti devi adattare altrimenti diventa pesante. Anche se non vuoi frequentare quelle persone sei costretto a farlo e quindi cerchi di adattarti il più possibile.

[.] Io posso dirti che per come l'ho vissuta personalmente, c'è solidarietà, però c'è anche la comodità.» (Sogg. B).

«Abbiamo un buon rapporto. E' difficile comunque convivere con le altre persone, perchè per dire a una piace fare una cosa all'altra no, a una piace mettere a posto le cose, all'altra no.

Sono cose così piccole per le quali a volte si litiga.

Non ci sono dei veri scontri, le cose si risolvono parlando tranquillamente e ci si mette d'accordo, senza litigare.

A volte si litiga perchè si è nervose, non per aggredire  e basta, per trattare male o dire le parolacce però si è nervose.

Non ci sono scontri per gli orari per esempio quando si vuole usare il bagno al mattino, perchè ognuna di noi ha orari diversi, alcune escono alle 6, alle 10 altre alle 14.

[In sezione] si litigava di più perchè ci sono tante persone diverse, si comincia sempre a litigare per la chiacchiera per esempio, tu chiacchieri con qualcuna, allora l'una capisce male le cose e le dice all'altra "guarda che lei ha detto così" e allora l'altra a sua volta capisce male e così si comincia a litigare» (Sogg. C).

«Sempre si tratta di riuscire convivere, io ho creduto per molto tempo di avere amicizie vere dentro, mi sembravano vere forse anche in grande parte lo erano, ma alla fine mi deludevo sempre, dopo parecchio tempo ho capito che non devo aggrapparmi a queste amicizie, vivere con piccola illusione, inganno per poter vivere meglio perchè non credo più nella amicizia, mi è comunque successa un'amicizia molto forte, come se fossimo sorelle, che è durata  poco ma ci siamo trovate molto bene che anche quando è uscita ci teniamo in contato, ci scriviamo e ci vedremo, come sorelle, è un'eccezione forse se ci fossimo trovate fuori sarebbe lo stesso successo così, però a tutto l'altro non credo, c'era una predisposizione, ci sono persone con cui per carattere, per spirito, ci troviamo bene e ci va bene convivere anche se dobbiamo chiudere un occhio su altri difetti, e miei e di quest'altra persona, ma va beh si capisce presto, non aggrapparsi come ho fatto io, perchè poi ci si delude come è capitato a me, perché mi prendeva un pochino così e faceva doppi-giochi e dopo due tre volte ho capito e mi sono detta di lasciare stare, andare d'accordo ma psicologicamente non aggrapparsi, non volere avere questa amicizia a tutti i costi» (Sogg. D).

«Io mi sono fatta amiche dentro ma sono socievole con tutti, magari tu non vai d'accordo con un'altra ma io vado d'accordo sia con lei che con te, però si possono anche creare delle amicizie, ma a volte è più il fatto di stare insieme per forza.

Dobbiamo condividere la stanza, tutto quanto, la cucina il bagno tanto vale provare ad andare d'accordo.

Altrimenti si va fuori di testa» (Sogg. E).

«[.] Devo dire che dalle prima riunioni che ricordo, abbiamo parlato di sovraffollamento e il primo articolo è uscito col titolo "Strette e ristrette" e si è instaurato subito un clima di voglia di raccontare da parte loro, forse non si sono sentite costrette.

Io credo che quando si sta in un carcere e si parla di temi che toccano anche la sfera personale ci vuole molta misura, io non ho mai chiesto alle persone di raccontare delle cose, si instaura un clima giusto e poi le persone hanno voglia di raccontare, oltretutto quello che viene scritto poi tratto dal racconto orale, viene fatto leggere, letto da tutte prima.

Non è mai stato pubblicato qualcosa perché a volte una parla, racconta delle cose poi vederlo scritto è un altro paio di maniche, c'è sempre il massimo rispetto, un clima di assoluta fiducia-confidenza-voglia di raccontarsi, si è instaurato molto rapidamente insomma, io non ho mai visto diffidenze particolari» (volontaria C)

Anche il personale esterno al carcere, ha dato una visione del rapporto tra ristrette, e ne è emerso un quadro simile a quello descritto dalle detenute, ossia i rapporti tra donne detenute, sono abbastanza cordiali, benché comunque ci siano molte culture diverse, e soprattutto durante l'affollamento dei mesi estivi, ci possano essere problemi di convivenza.

E' vero anche che le detenute di ieri sono diverse da quelle odierne, sono cambiate le relazioni e i valori, per cui oggi si tende ad un modello individualistico, mentre ieri si cercava la collaborazione verso un fine comune:

«A mio parere, non è che non ci sa più solidarietà, però adesso le detenute sono molto diversificate anche per la loro provenienza, ci sono molte nazionalità dentro, e queste nazionalità molto diverse portano il problema della lingua ma sono anche un po' diffidenti le une verso le atre, hanno la tendenza a ognuno pensa per sé, mentre prima c'era un grosso gruppo di italiane, e poi era anche vero che a quell'epoca era molto sentita la solidarietà in generale, quando una stava male tutte lottavano per quella, per avere un diritto tutte lottavano per quella, adesso ognuna si fa i fatti suoi, ma è un po' la mentalità esterna, quello che nel carcere emerge è un po' la punta di quello che c'è fuori, per cui adesso fuori c'è molto più individualismo, c'è diffidenza anche verso gli extracomunitari e in carcere questo è molto evidente anche se questo non esclude che non ci sia solidarietà o aiuto.

Tra le zingare stesse quando ero là io arrivava il cibo, che so mezzo capretto, tutte si mettevano nel loro reparto e mangiavano insieme tutto, condividevano quello che arrivava dal colloquio di qualcuno, adesso anche tra loro non c'è più questa solidarietà, del clan come, ci sono anzi dei clan opposti, respirano il bene e il male anche da noi.

Dopo è vero che adesso c'è anche questo fatto che ci sono i benefici di legge previsti, permessi premio per buona condotta, per cui ti diminuiscono la pena se tu ti comporti in un certo modo etc. quindi in qualche modo per avere i benefici di legge si comportano per "usufruire" di tutti questi benefici, quindi se un gruppo litiga, non mi metto in mezzo se no prendo il rapporto anch'io, mentre una volta se uno si prendeva un rapporto non succedeva niente, a meno che non rompessero i vetri, qualche volta è capitato, e allora pagavano i danni, ma adesso se ci sono conflitti tra di loro il rapporto viene fatto disciplinare dalle agenti e prende chi è coinvolto, e si cerca di non mescolarsi per evitare di prenderlo perchè influisce sulla buona condotta e quindi anche sui benefici, questo favorisce anche un certo egoismo» (volontaria A).

«Ci sono dei rapporti molto belli, e ci sono dei rapporti difficoltosi, all'interno del carcere queste cose vengono acuite perché si è al chiuso, però all'interno di una stanza, le stanze non sono piccoli, sono di 8/10/12 persone, quindi dentro la stanza si crea un po' il gruppo, la famiglia, magari dentro la stanza c'è la più anziana che viene considerata un po' come la zia, perché le donne in qualche modo tendono a ricostruirsi l'ambiente famigliare, sono tutti sogni e immaginazioni, c'è la mamma, la zia la cugina.

E poi è chiaro che se c'è una persona di 40 anni in stanza insieme ad una di 20 è chiaro le fa da mamma, che le dà consigli etc. e mi sembra vero che si creano delle belle relazioni, poi è vero anche noi siamo donne quindi siamo anche un po' più gelosie, più sottili, i nostri dispettucci sono un po' più raffinati, gli uomini magari si danno due schiaffoni e finisce lì.»

[Sulla convivenza tra detenute straniere] «All'inizio questo boom di straniere è stato molto difficoltoso, ora invece sono passati anni, e poi c'è una cosa che lega le donne, la maternità, tutte queste donne sono madri  e questa cosa le lega e le fa sentire uguali, poi è vero che i modi culturali di una persona nigeriana sono diversi di quelli di una rumena, di una cinese o di una sudamericana e qualche volta si scontrano, però generalmente si capiscono anche.

E' difficile convivere, anche perché poi non è che il carcere dispone le celle in modo da ghettizzare le varie etnie, sono tutte mescolate e comunque nemmeno loro vogliono ghettizzarsi, e quindi risulta che in una stanza a volte ci sono anche 7/8 nazionalità diverse e mettersi d'accordo anche sugli orari di dormire, mangiare, di fare qualsiasi cosa diventa difficile, anche il cibo a volte diventa un problema perchè ci sono gusti diversi» (volontaria B)

A proposito del contatto tra detenute (abbracci e manifestazioni d'affetto tra ristrette come surrogato del contatto con gli affetti esterni):

«Io personalmente non so su base personale,comunque non sono fraintese è così, causa mancanza dei rapporti con gli uomini le donne vivono in coppia anche, se qualcuna accetta e vive meglio così bene, io non critico, comunque è così, non fraintese.

Forse in certi casi è un po' esagerato, ma è così, è vero». (Sogg. D).

«Quando sei dentro da tanto tempo, fai colloqui con la mamma, il papà, il fratello ma non hai un fidanzato che ti viene a trovare, e comunque non puoi baciare, abbracciare, allora magari ti  fai un'amica, ma non è per scopi maliziosi o cose del genere, ma magari senti il bisogno di abbracciare qualcuno, di dimostrare il tuo affetto, vuoi affetto e a volte si è fraintesi, non dico che non ci siano coppiette, può anche essere, però in certi casi non puoi fraintendere tutto, magari uno sta soffrendo e piange e l'altra la va ad abbracciare e tu mi vieni a sgridare o mi fai anche un rapporto, alla fine non siamo mica animale, siamo sempre persone che hanno bisogno degli altri». (Sogg E).

«[.] alcune coppie lesbiche ci sono, però io non mi sento di dare questa etichetta, ho conosciuto persone che qui dentro al carcere avevano questa etichetta, poi uscite dal carcere invece avevano una vita eterosessuale, quindi la convivenza porta a queste amicizie che esternamente possono sembrare amicizie lesbiche se vuoi, ma secondo me, che una coppia sia davvero omosessuale nel senso che venga riconosciuta così è meno frequente, c'è stato qualche caso, ma non è comune. Poi una donna non mi sembra che cerchi tanto il sesso ma cerca la tenerezza, quindi alcuni gesti  di tenerezza possono essere confusi in questo modo» (volontaria B).



«Y entoces hay este sonido:

un ruido rojo de huesos,

un pegarse de carne,

y piernas amarillas como espigas juntandose.

Yo escucho entre el disparo de losbesos,

escucho, sacuidido entre respiraciones y sollozos» (Neruda, Residencia en la tierra)




Queste ultime testimonianze evidenziano, anche un altro problema, vissuto attraverso le sbarre del carcere: ossia la sessualità, l'interazione affettiva con un partner di sesso opposto. Il semplice parlare con una persona di sesso opposto, potrebbe risultare positivo, in quanto il carcere è un ambiente femminile, e la mancanza di relazione con persone di sesso diverso, porta ad un aumento di difficoltà anche nell'interazione quotidiana tra donne.



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