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L'ARTE DI CONOSCERE SE STESSI OVVERO EIS HEAUTÓN
In quest' opera Schopenhauer parla in prima persona di quella che è stata fino quel momento la sua esperienza di intellettuale analizzando soprattutto il suo rapporto verso la società. L'autore esordisce dicendo che la volontà è l'elemento più infimo presente nell'uomo anche se essa rappresenti le radici del suo essere. La vita dell'autore è diversa da quella degli altri uomini, che poi definirà bipedes, in quanto si tratta di una vita intellettuale. Sostiene anche che l'istinto abbia avuto una notevole importanza nel suo cammino in quanto gli ha impedito di dare importanza ai bisogni personali per concentrarsi sulla sua esperienza in quanto tutto ciò che riguardava la sua persona era per lui un puro divertimento, mentre il suo vero interesse si rivolge al pensiero filosofico: fonte di godimento per lui sono i pensieri tramandati nel tempo, che considera ben più importanti dell'esistenza tessa degli altri uomini. Egli si definisce come colui che ha dato una soluzione al problema dell'identità, in modo da far riflettere gli altri per molto tempo. Il suo rapporto verso gli uomini si riassume in una frase: "Non voglio essere un odia-uomini, bensì uno sprezza-uomini". Egli si allontana progressivamente dalla società: durante la sua giovinezza ha sperimentato la socievolezza, ma una volta adulto ha provato un profondo senso di repulsione verso i bipedes e da qui è nata la sua decisione di isolarsi per dedicare la sua vita interamente a se stesso, evitando di perderne momenti importanti con gli uomini comuni, che l'autore dice di disprezzare. Ma il primo passo per riuscire a disprezzarli è quello di non odiarli perché se si odia qualcuno, non lo si disprezza completamente. Parlando della società in generale, Schopenhauer giustifica il suo allontanamento dicendo che essa limita la mente e che solo la solitudine può dilatarla. Infatti pensa che tutto ciò che non è spregevole come gli uomini è portato ad isolarsi: l'intellettuale deve infatti far finta di vivere su di un pianeta deserto. L'unico modo di rapportarsi con gli uomini è quello dell'ironia, dell'ascoltare chi parla tenendo presente l'insignificanza del suo pensiero senza alcun tipo di conflitto. Schopenhauer ci parla anche del fatto che, in alcune circostanze, si sia sentito solo, ma che non abbia trovato nessuno che giudicasse in grado di intraprendere una relazione con lui; in questo modo si è reso conto dell'estrema differenza tra lui e gli uomini.
Nell'ultima parte l'autore descrive il suo pensiero verso le donne e verso il matrimonio sostenendo che se avesse dedicato la sua vita solo a se stesso si sarebbe sposato di certo, ma che non l'ha fatto perché avrebbe dovuto sacrificare la sua vita intellettuale. La frase "un uomo che per una ragione qualsiasi ha abbandonato il corso naturale della vita non può sposarsi" spiega il pensiero di Schopenhauer a riguardo. Pensa inoltre che con lui una donna non potrebbe essere felice perché egli vive nel mondo dei suoi pensieri e non ama la vita cosiddetta mondana. E proprio perché vuole avere tempo per dedicarsi ai suoi pensieri, rinuncia all'idea di appartenere ad una donna. Il matrimonio viene definito solo come un debito perché l'uomo deve lavorare per "conquistare" il tempo libero alla sua donna, alla quale deve incutere terrore per riuscire a farla ragionare, perdendo così momenti di felicità e di amore.
Dal suo discorso, possiamo anche comprendere il grande stato di angoscia che attanaglia l'autore, che lo assale e che gli fa immaginare sciagure impossibili. In poche parole spiega anche qual è per lui la funzione del filosofo: "siamo nati per insegnare loro, non per stare in loro compagnia. Dobbiamo abituarci a considerarli come una specie a noi estranea, che è soltanto materia del nostro operare." L' uomo non può essere considerato come un proprio simile, il solo fatto di parlare con uno di essi provoca una sensazione sgradevole; al contrario, il rapporto con la natura provoca beneficio.
Il testo si conclude con una speranza dell'autore: spera di poter morire bene poiché coloro che hanno vissuto in solitudine la possono accettare in modo migliore, poiché sanno che ritorneranno da dove sono venuti, da dove hanno ricevuto le loro doti, consapevoli di aver compiuto la loro missione.
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