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Il razionalismo critico di POPPER




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Il razionalismo critico di POPPER

I

Sin dal 1920, allorché P. proclamò il suo principio di falsificazione come base per la credibilità della conoscenza e per distinguere fra proposizioni scientifiche e pseudo-scientifiche, egli aveva criticato la filosofia positivista e la sua concezione dell'oggettività come osservazione degli eventi. P. affermò anzitutto che l'osservazione è sempre basata su alcune premesse teoriche e che la conoscenza scientifica, contrariamente ai positivisti, non inizia con i dati sensibili, per cui l'obiettività della conoscenza non può essere identificata con l'osservazione degli eventi.

Tuttavia, i principi di P. non sono radicalmente diversi da quelli positivistici. La conoscenza -a suo giudizio- non può iniziare dal nulla (da una tabula rasa) e neppure dall'osservazione. La scienza, la filosofia, il pensiero razionale devono iniziare dal 'senso comune', il cui principio fondamentale è la 'fede' nell'esistenza del mondo reale. Il realismo che considera l'esistenza del mondo aldilà e indipendente dalla sua percezione non può, secondo P., essere provato (confermato) o smentito. Esso infatti appartiene alla sfera della 'metafisica'. (Per P. solo ciò che è verificabile può essere smentito, ciò che non è verificabile non può essere smentito, e quindi non è scientifico. Ma se non è scientifico, è statico, tautologico. P. non nega la metafisica in quanto metafisica, ma solo in quanto non verificabile. P. è agnostico, non ateo). Il realismo andrebbe accettato come una congettura (ipotesi) cui nessuna alternativa sensibile è mai stata offerta.

P. distingue tre 'mondi' autonomi e relativamente indipendenti (il termine mondo è convenzionale). Il primo è la realtà fisica, il secondo è la conoscenza soggettiva di un individuo, il terzo è la conoscenza oggettiva. La conoscenza soggettiva consiste in uno stato di coscienza o in una disposizione ad agire o reagire. La conoscenza oggettiva consiste in problemi, teorie e argomentazioni. La prima è istintiva, la seconda è riflessiva. La conoscenza oggettiva è del tutto indipendente da qualunque pretesa di sapere, da qualunque fede o disposizione a credere. E' conoscenza senza un conoscitore (la conoscenza è oggettiva proprio perché aldilà dell'uomo).

Gli elementi del terzo mondo comprendono non solo teorie e idee ma anche problemi, discussioni, argomenti critici 1) Quale elemento della nostra conoscenza e a quale stadio del suo sviluppo va considerato come quello iniziale? 2) Quali elementi in una data scoperta o teoria possono essere confermati o smentiti da un esperimento?

P. non risponde alla seconda questione. E riguardo alla prima dice: La selezione delle proposizioni di base, iniziali, è quella convenzionale. P. non nega la connessione delle proposizioni di base con l'esperienza. Nella Logica della scoperta scientifica dice: La decisione di adottare una proposizione basica non deriva dal nostro senso percettivo. Secondo P., l'esperienza può soltanto motivare una decisione ad adottare una proposizione o un'altra, ma ogni tentativo di ricondurre le proposizioni basiche alle percezioni si rivelerà futile.

Ciononostante il ragionamento di P. rivela un certo legame col positivismo logico: 1) P. si sforza di circoscrivere le questioni epistemologiche entro problemi puramente logici, tralasciando alcuni problemi di significato generale (ad es. quello sull'origine della conoscenza); 2) come i rappresentanti della scuola viennese P. è indotto a resuscitare il convenzionalismo nei riguardi dell'origine delle proposizioni basiche. P. rimpiazza il convenzionalismo 'dall'alto' (in rapporto a leggi e teorie), caratteristico del positivismo logico, con convenzionalismo 'dal basso' (in rapporto alle proposizione basiche). Il suo convenzionalismo proviene da radici logiche che si manifestano già nelle sue prime opere col rifiuto dei problemi filosofici e sociologici della scienza. Le proposizioni basiche di P. non si rapportano all'esperienza individuale corrente, ma riflettono il sistema della conoscenza acquisita, ufficiale.

La nostra conoscenza esercita un'attiva influenza -secondo P.- sul mondo materiale. Egli accantona la questione del primato in questa interazione che è imbarazzante sia al positivismo che all'epistemologia di P. (è il problema del riflesso e della priorità della materia).

Secondo P., il terzo mondo emerge come una risultato dell'attività spontanea dell'uomo (l'obiettività nasce da qui). L'involontaria formazione della conoscenza da parte dell'uomo è simile alla produzione del miele da parte dell'ape. Dice P.: 'sebbene questo terzo mondo sia un prodotto umano, ci sono molte teorie, argomenti, situazioni problematiche, in sé, che non sono mai state prodotte o concepite, e mai potranno esserlo dall'uomo'. Queste teorie -dice P.- non appaiono secondo un piano, non ne hanno bisogno. Quando esse appaiono possono creare nuovi problemi o nuovi sistemi di idee (non c'è necessità nello sviluppo della conoscenza. Le teorie sono casuali in senso assoluto. P. rifiuta il legame con la storia e la società, rifiuta l'idea di riflesso). L'obiettività di una teoria consiste per P. nella sua indipendenza dalla consapevolezza individuale.

In effetti, il vero significato delle idee, teorie e progetti è spesso compreso (realizzato) dagli scienziati molto tempo dopo che è stata fatta la corrispondente scoperta o invenzione. Oggi, la graduale realizzazione e accettazione di una scoperta è il risultato della obiettività della conoscenza concepita come il riflesso di processi obiettivi, cioè come un fatto che può essere spiegato solo attraverso l'analisi dei fattori sociali che influenzano lo sviluppo della scienza e la sua relazione col mondo materiale.

Le idee, le teorie e altre componenti della coscienza sociale sono relativamente autonomi e indipendenti dalla coscienza individuale. L'esistenza della teoria della relatività o della teoria evoluzionistica di Darwin non dipendono dalla coscienza di qualcuno. Si può anzi dire che non furono Einstein o Darwin a decidere se le loro teorie potevano essere o non essere: queste teorie furono come costrette ad apparire (non per la volontà degli scienziati o per la forza delle coincidenze), perché riflettevano i processi oggettivi della realtà.

Secondo P. la conoscenza va considerata sia come un processo cognitivo che come un risultato di questo processo. A suo giudizio, il processo del pensiero giace al di fuori del concetto di 'conoscenza scientifica', che anzitutto andrebbe concepita come il prodotto di questo processo. Il processo del pensare è sempre individuale e soggettivo, mentre i suoi risultati generali sono oggettivi. Secondo P. l'incompatibilità di certe teorie e un fatto logico che è assolutamente irrilevante, che se ne sia consapevoli o no. Queste relazioni meramente logico-obiettive sono la caratteristica principale delle entità chiamate da P. 'teorie' o 'conoscenze', nel senso oggettivo della parola.

Per P. non è la critica o la verifica razionale che garantisce l'obiettività di una teoria. Tale critica può al massimo eliminare alcune imperfezioni soggettive, aiutando a rivelare il contenuto oggettivo della teoria, ma ciò non significa che una teoria scientifica debba la sua obiettività esclusivamente alla critica o alla falsificazione delle conclusioni erronee.

P. proclamò l'obiettività del 3 mondo, ma non la dimostrò. La sua obiettività può essere definita solo per comparazione con l'esperienza individuale. Egli afferma: 'Le teorie scientifiche non sono mai pienamente giustificabili o verificabili, ma ciononostante sono provabili. Quindi l'obiettività delle asserzioni scientifiche sta nel fatto che esse possono essere provate intersoggettivamente'. La dimostrazione intersoggettiva non ha bisogno di andare oltre un controllo razionale reciproco che è l'obiettivo comune delle discussioni critiche. La verità è un accordo convenzionale fra scienziati. Tale controllo razionale è possibile solo attraverso molteplici verifiche e ripetute comparazioni con l'ovvietà. Nessuna osservazione potrebbe essere presa in considerazione se essa non potesse essere ripetuta e verificata. Solo tali ripetizioni possono fornire un'evidenza sufficiente da considerare non come coincidenze accidentali, ma come eventi che sono verificabili intersoggettivamente, a causa della loro ricorrenza periodica. Ciò che è vero è ciò che si ripete.

Secondo P., l'essenza dell'attività scientifica consiste nello sforzo sistematico di rifiutare idee, ipotesi e teorie che sono state avanzate e nell'eliminare gli errori. I test consisterebbero nella selezione di un'ipotesi che è più resistente alla critica. Tutti i test dovrebbero eliminare le teorie non provate. Ogni esperimento -dice P.- testifica non solo una teoria come tale, ma anche tutte le sue premesse logiche e non logiche. Quindi se un esperimento testifica contro una teoria, è impossibile essere sicuri se la falsificazione si applica solo alla teoria o anche alle sue premesse. P., per risolvere il problema, ha proposto di adottare un postulato che proibisca l'introduzione di ipotesi intese a proteggere una teoria contro una 'sentenza di morte'.

II

1) Se i neopositivisti affermavano che la scienza è 'il regno delle verità stabilite' (H. Reichenbach), Popper definisce la scienza (senza toccare la matematica) un insieme di proposizioni 'falsificabili', che sono ritenute verità solo perché nessuno le ha ancora confutate. Il progresso della scienza consisterebbe nel fatto che le sue tesi vengono confutate e sostituite da nuove tesi.

2) Nella sua prima e principale opera, Logica della scoperta scientifica, P. respinge il concetto della verità, in quanto illusorio, semplicistico. In seguito attenuerà questo punto di vista parlando di 'verosimiglianza'. Per P. la teoria merita d'essere confutata se i fatti ch'essa esclude si rivelano esistenti. La tesi principale del falsificazionismo, secondo cui la teoria scientifica deve essere respinta se si trova un fatto la cui esistenza essa escludeva, è stata ridimensionata da Popper nella 2a ed. della Logic (cfr Appendici e Nuove appendici, London 1972). Egli è stato costretto a riconoscere che se la teoria incontra un controesempio isolato (o addirittura unico) va sacrificata non la teoria ma l'esempio falsificante. Addirittura nel libro Il sapere oggettivo afferma che 'nella scienza cerchiamo la verità' e che 'la verità è la corrispondenza ai fatti (o alla realtà)'. La soluzione di questo problema, che sarebbe insanabile all'interno del falsificazionismo, P. pensa di averla trovata nel concetto di 'verosimiglianza'. E' una parvenza di verità, ma in ogni caso il progresso scientifico non viene più negato.

3) Questa posizione relativista era già stata anticipata da Russell, il quale nell'opera Analisi della mente aveva detto: 'Tutta la nostra vita intellettuale è costituita da opinioni e di passaggi da opinione a opinione attraverso ciò che viene chiamato ragionamento. Le opinioni danno il sapere e contengono in sé gli errori, esse cioè sono portatrici della verità e della falsità'. La contrapposizione tra fede e sapere, tra opinione e verità non esiste.

4) P. annulla la contrapposizione tra verità ed errore sulla base del fatto che la verità non è assoluta. La relatività della verità (cioè la sua verificabilità entro certi limiti) viene considerata come un motivo valido per negarla in quanto tale. Bondy e Popper si sono serviti molto del fatto che le teorie di Einstein hanno contraddetto la teoria della gravità di Newton, che appariva inattaccabile. (R. Weiskopf dice il contrario: la teoria della relatività ha ampliato la meccanica di Newton). I razionalisti non accettano il principio secondo cui una teoria è vera in quanto limitata (una verità relativa è vera appunto perché limitata al suo ambito). Questo presupposto viene da loro usato per negare qualunque forma di verità, l'idea stessa di verità.

5) Gli avversari più irriducibili del razionalismo sono i fisici. In effetti, grazie soprattutto alla fisica abbiamo capito che solo le verità oggettive, e non le supposizioni, rappresentano il risultato più importante dello sviluppo della scienza. Queste verità vengono ulteriormente verificate, confermate, corrette, si arricchiscono o vengono limitate nella loro portata. Il progresso scientifico comporta o l'accrescimento delle verità scientifiche stabilite o l'esclusione delle ipotesi che non hanno retto alla prova. Progresso scientifico significa perfezionamento di metodi, sistemi, procedure di verifica e di correzione dei risultati della ricerca. E' l'autocritica della scienza che fa progredire la scienza.

6) Coon è arrivato a dire che il livello di scientificità rimane immutato in tutte le epoche storiche. Ovvero, che l'attendibilità dei risultati scientifici dei nostri tempi non supera quella delle conoscenze scientifiche di qualsiasi altra epoca precedente. In realtà, è proprio il moderno progresso tecno-scientifico a dimostrare che il livello di affidabilità delle più complesse costruzioni tecniche aumenta costantemente. Non esistono limiti a questo perfezionamento, indissolubilmente legato alla conoscenza scientifica. Gli unici veri limiti sono quelli legati all'impatto ambientale. P. invece applica il concetto di sviluppo solo nell'ambito del darwinismo (evoluzione naturale), e lo considera inapplicabile alla società: la motivazione per un cambiamento sociale -dice P.- 'non si lascia motivare'. Tutto deve restare così com'è (in La società aperta e i suoi nemici e Povertà dello storicismo).

7) Grande avversario di Popper è anche Kuhn (vedi La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962). Secondo lui esistono negli scienziati alcuni elementi dogmatici che sostengono la loro fede nel successo delle loro ricerche e li aiutano a persistere nei loro studi. Sono questi elementi dogmatici (o paradigmatici) che contribuiscono al progresso della scienza. Punto di partenza del progresso scientifico sta nella transizione dei dibattiti e delle diverse teorie scientifiche verso un punto di vista comune, condiviso da tutti gli specialisti. Il vero creatore della scienza è la comunità scientifica.

8) Dice P. nella Società aperta e i suoi nemici: 'Dalla scienza abbiamo ottenuto soltanto 'opinioni', nella scienza (escludendo la matematica pura e la logica) non abbiamo dimostrazioni'. A suo giudizio i filosofi antichi contrapponevano ingenuamente la verità (episteme) all'opinione (doxa). P. ovviamente non ha pensato che l'adesione al suo punto di vista trasforma la sua stessa concezione di rigorosa scientificità in un'altra opinione. Il razionalismo critico è una forma di soggettivismo epistemologico o di scetticismo relativistico. Dice bene a questo proposito W. Windelband: 'Chi cerca di dimostrare il relativismo, lo confuta'.

9) E' evidente che un'opinione, finché resta 'opinione', non può essere messa validamente in discussione da altre opinioni. Ma se ci si ferma a questi livelli, l'obiettività dei fatti non esiste. Una tesi scientifica 'A' può essere considerata opinabile solo se una tesi scientifica 'B' dimostra che l'interpretazione del fenomeno, secondo la tesi 'A', era sbagliata. Il carattere sperimentale serve appunto per dare valore di verità a una certe tesi scientifica.

10) P. non fa altro che approfondire uno dei principali errori del razionalismo classico: quello per cui esiste un'insufficienza aprioristica di qualsiasi esperienza, al fine di stabilire la verità. Solo che, mentre i vecchi razionalisti ritenevano (e non senza ragione) che l'esperimento è insufficiente per dimostrare delle verità metafisiche, P. invece afferma che i dati sperimentali sono insufficienti per l'affermazione di una qualunque verità empirica. Dicendo questo, P. evita accuratamente di sottoporre ad un'analisi epistemologica il concetto stesso di 'falsificabilità': 'l'esigenza secondo cui tutti i nostri termini devono essere definiti è infondata, come l'esigenza che tutte le nostre affermazioni siano dimostrabili' (Società aperta). Solo in un campo egli ritiene di non dover applicare il criterio della falsificabilità: in quello dell'esistenza ('non posso dubitare di esistere').

11) Il paradosso della teoria falsificazionista: per P. basta un unico fatto per confutare una teoria confermata da un'infinità di fatti. P. inoltre parla proprio di 'confutare' e non di 'correggere', 'sviluppare', 'approfondire'. P. non distingue le confutazioni di singole tesi della teoria scientifica dalla sua confutazione generale. Per lui una verità non può essere vera entro certi limiti, deve esserlo anche al di fuori di questi limiti, e siccome ciò non si è mai verificato, ne deduce che la verità non esiste. P. non accetterebbe mai l'idea che la verità è vera non solo entro certi limiti, ma anche quando viene a scontrarsi con fatti che la contraddicono (cioè con quei fatti che la costringono ad allargarsi o a restringersi, cioè a precisarsi). La posizione di P. è simile a quella di Nietzsche, per cui la verità non esiste.

12) Il falsificazionismo porta inevitabilmente alla negazione della differenza tra teoria scientifica (confermata sperimentalmente) e ipotesi. 'Tutte le teorie sono ipotesi; tutte possono essere messe in discussione, confutate' (Conoscenza oggettiva). Questa negazione è stata radicalizzata dai seguaci di P.: H. Albert e H. Lenk, T. Coon, G. Bondy. Lenk, in particolare, afferma che anche nella matematica e nella logica il concetto di verità è inapplicabile. Le conclusioni della matematica non sono vere o false, ma giuste o sbagliate, in quanto seguono o violano le regole della logica (cioè le conclusioni sono dedotte non dai fatti ma dalle premesse). Matematica e logica non fanno che mettere in luce, per mezzo della deduzione, il contenuto immaginabile delle premesse accettate, per cui le conoscenze ottenute hanno un carattere puramente analitico, tautologico.

13) Il razionalismo critico di P. respinge non solo il verificazionismo neopositivistico, ma anche la possibilità di uno statuto epistemologico della scienza. Per P. la conferma di una tesi scientifica non è mai la prova ch'essa sia vera, neanche se la conferma è determinata da un esperimento o da una applicazione tecnologica. Al razionalismo critico non interessa l'applicazione pratica delle teorie scientifiche. H. Hübner è arrivato addirittura a dire che non vede 'la possibilità teorica di fissare i limiti tra mito e scienza' (Filosofia e miti).

14) In particolare il razionalismo critico (Lenk e Bondy) afferma: 'Ogni teoria fisica è un sistema generale di ipotesi che non riflette in alcun modo la realtà'. La conoscenza fisica è ipotetica (viene anche negato il principio gnoseologico del 'riflesso').

15) Il discorso che fa Popper, secondo cui non esiste contrapposizione tra scienza e religione, ma solo tra due tipi di fede, va rifiutato perché nega alla scienza la possibilità d'essere scientifica. Il fatto che il razionalismo critico rappresenti una sorta di sconfessione delle verità neopositivistiche, può essere certamente strumentalizzato dalla religione.

III

Il razionalismo critico di Popper non è che una variante o forse l'estrema conclusione 'logica' del neo-positivismo del Circolo di Vienna. Infatti, l'ipercriticismo di Popper è assai analogo alla sfiducia che i neo-positivisti dimostravano di avere nei confronti della realtà. La differenza sta nel fatto che mentre quest'ultimi si rifugiavano, idealisticamente, in una pretesa scientificità del discorso logico-formale e matematico, Popper invece esclude qualunque idea o ipotesi di scientificità e abbraccia tranquillamente (pur negandolo ufficialmente) l'irrazionalismo teorico. Come dire: 'se la vita non ha senso, perché dovrebbe averne la teoria?'. Ovvero: 'se l'esperienza è sempre particolare, perché pretendere che esistano teorie generali?'.

Non è singolare che un irrazionalista del genere abbia insegnato 'logica e metodologia scientifica' all'Università, e che sia stato addirittura nominato 'sir'? E non è curioso che ancora oggi la maggioranza dei filosofi lo consideri un avversario dei neo-positivisti? o che consideri Feyerabend più irrazionalista di lui?

I manuali di storia della filosofia spesso sono così superficiali che arrivano a considerare irrazionalista solo chi si qualifica espressamente con tale termine. Come se il giudizio su un filosofo possa basarsi sul giudizio che quel filosofo aveva di se stesso! Come se si potesse escludere (a priori) l'irrazionalismo teorico di Popper solo perché egli aveva definito la sua filosofia col termine di 'razionalismo critico', o solo perché i popperiani avevano definito irrazionalistiche le posizioni di Kuhn, che lo aveva contestato! (Kuhn al massimo poteva essere accusato di convenzionalismo o di contingentismo).

Il ragionamento principale di Popper è così assurdo che non porta da nessuna parte. Egli infatti afferma che una teoria è scientifica quando viene confutata dall'esperienza e finché non lo è, essa non può essere considerata scientifica; e quando lo è, essa, ovviamente, non è più scientifica.

Se una teoria non può essere confutata, allora -secondo Popper- essa è una teoria metafisica o religiosa, cioè una teoria pseudo-scientifica, insensata. Oppure è una teoria tautologica, come la matematica, che per Popper non serve a niente.

Detto questo il discorso è già chiuso. Siamo in piena tautologia! Popper ha affermato al 100% proprio quella filosofia contro cui si è sempre battuto: la metafisica! Infatti, solo la metafisica non vuole essere confutata dalla realtà.

Il relativismo di Popper non vuole essere 'relativo', ma assoluto. In questo senso non vuole essere confutato! Ma un assoluto relativismo -e qui Popper non è stato coerente sino in fondo- porta o alla follia o al suicidio. Egli invece ha affermato l'assoluto relativismo solo in sede teorica, senza rendersi conto che un relativsimo, quando si assolutizza, automaticamente si nega.

Il torto di Popper è stato quello di aver rifiutato l'idea che una teoria scientifica possa essere confutata da un'altra teoria scientifica, in un processo all'infinito, dove la conoscenza diventa sempre più oggettiva e sempre più assoluta.

IV

Uno dei tentativi radicali di risolvere il problema della relazione tra scienza e metafisica su una base non positivistica, è stato condotto da Karl Popper (filosofo inglese), che propose una dottrina della conoscenza scientifica chiamandola 'razionalismo critico'. I cui principi fondamentali furono sviluppati da P. all'interno dello stesso Circolo neopositivistico di Vienna.

Nella sua polemica col positivismo logico P. affermò che le moderne teorie filosofiche erano troppo astratte, incapaci di soddisfare il criterio di verificazione. Criterio secondo cui la verità di ogni asserzione deve essere confermata dall'esperienza diretta. P. arrivò a dire che tutti i tentativi di ridurre la verificazione ai dati sperimentali e di mostrare che ogni asserzione dev'essere basata sull'osservazione diretta, sono stati inutili.

Non solo ma secondo P. molte teorie scientifiche sono originate da miti. Ad es. la teoria eliocentrica di Copernico era ispirata dalla devozione neoplatonica del sole che si pensava al centro dell'Universo. La vecchia teoria atomistica era un altro es.

Opponendosi al neopositivismo, che riduce la differenza tra scienza e metafisica alla differenza tra proposizioni significative e insensate, P. sottolinea che il problema della significatività è un falso problema. La metafisica ad es. non è una scienza ma non si può dire che abbia delle asserzioni insensate.

Secondo i verificazionisti, il criterio di valore scientifico delle varie forme di conoscenza, sta nella loro confermabilità tramite il metodo induttivo: un'asserzione può essere considerata scientificamente valida solo se può essere confermata dal metodo induttivo. Viceversa, per Popper una teoria scientifica inconfutabile equivale a un dogma metafisico e pertanto non è scientifica. Il circolo è vizioso: tutte le teorie scientifiche sono metafisiche se non si lasciano confutare, ma se si lasciano confutare come fanno ad essere scientifiche? P. fa questo es.: l'evidenza di dio viene assicurata, generalmente, da questa asserzione: dio è perché è. Questa definizione è tautologica: il grado della sua conferma è molto alto. Essa è immune dalla confutazione, quindi non è scientifica e non dimostra alcunché.

Il problema della verità

1) Classica metafisica razionalistica: verità = evidenza.

2) Idealismo dialettico: relatività della conoscenza e della verità. Hegel: la verità coincide col concetto ontologicamente interpretato, è cioè la corrispondenza delle cose al pensiero. Il pensiero determina la verità dell'essenza delle cose. Husserl: la verità non è determinata dal tempo perché preesiste al processo della conoscenza. Differenza tra Platone e Husserl: Husserl pone le idee eterne nella coscienza umana e sono indipendenti da questa, Platone invece le pone in una realtà trascendente l'uomo.

3) Marxismo: verità = prassi rivoluzionaria (posizione partitica).

4) Neopositivismo: il concetto di verità può essere riferito solo alle affermazioni su fatti confermati empiricamente (verificazionismo).

5) Razionalismo critico: assoluto relativismo. Solo opinioni non verità. Il problema non è tra fede e scienza, ma tra fede e fede. La scienza è un insieme di proposizioni falsificabili che sono ritenute verità solo perché nessuno le ha ancora confutate. La dialettica è sostituita dall'elasticità dei concetti, interpretati soggettivamente (eclettismo). I dati sperimentali vengono considerati insufficienti per l'affermazione di una qualche verità empirica (tanto più per una verità metafisica). In matematica e logica non ci sono conclusioni vere o false, ma giuste o sbagliate, che violano le regole della logica o le confermano: conclusioni dedotte non dai fatti ma dalle premesse (tautologia). Se si accolgono certe premesse, matematica e logica le svolgono in maniera analitica o tautologica. Popper, Albert, Lenk, Bondy, Coon, Hübner sono stati però preceduti da Nietzsche che diceva non essere possibile avvicinarsi alla verità delle cose poiché non c'è nessuna verità.

Osservazioni critiche

a) Popper non ha pensato che l'adesione al suo punto di vista trasforma la sua stessa concezione scientifica in un'altra opinione. 'Chi cerca di dimostrare il relativismo lo confuta' dice Windelband.

b) Non è il carattere sperimentale delle tesi scientifiche che le rende opinabili; le tesi diventano opinioni e non scienza in conseguenza di un'interpretazione errata, soggettivistica, dei dati dell'esperienza.

c) Popper non ha mai sottoposto a un'analisi epistemologica il concetto di falsificabilità.

d) Egli non distingue le confutazioni di singole tesi della teoria scientifica dalla sua confutazione complessiva.

e) Egli nega la differenza tra la teoria scientifica confermata dalla prassi e l'ipotesi; per lui tutte le teorie sono ipotesi. Non gli interessa l'applicazione pratica delle teorie scientifiche.

f) Egli nega il principio gnoseologico del riflesso dell'oggetto sul soggetto.

g) Di fronte alla grande ostilità di filosofi e naturalisti, Popper ha deciso di modificare la sua teoria falsificazionista, dicendo che se la teoria incontra un controesempio isolato, bisogna sacrificare non la teoria ma l'esempio. Egli in sostanza ha ammesso che la scienza cerca la verità, ma che trova solo la verosimiglianza (una parvenza della verità), in quanto la verità non può mai essere definitivamente acquisita.

h) Il moderno assoluto relativismo porta alla conclusione che l'attendibilità dei risultati scientifici dei nostri tempi non supera quella di qualsiasi epoca precedente.

i) Popper è contrario alla rivoluzione socialista. La motivazione all'azione non si lascia motivare, per cui bastano singole piccole riforme.

Sul concetto di evidenza

L'evidenza è tale solo a posteriori, a volte neppure in questo senso, poiché ogni epoca tenta, a suo modo, di reinterpretare la storia. Le ricadute nell'errore sono sempre possibili, soprattutto quando si dà per scontata l'acquisizione di certe verità.

Con questo non si vuole affermare che l'oggettività delle cose non esiste, ma che non esiste il suo riflesso evidente nella percezione degli uomini, altrimenti non esisterebbe alcuna ricerca.

La convergenza delle diverse percezioni sull'oggettività è possibile solo se è frutto di un processo dialettico basato sul continuo confronto delle posizioni (un confronto praticamente infinito). Ciò che gli uomini devono garantirsi è che tale processo avvenga in maniera democratica, nel rispetto dei diritti e dei valori umani. Cioè in pratica gli uomini devono garantirsi che il processo permanga nel tempo e non si esaurisca mai. Là dove si pretende di concludere una ricerca, lì esiste sicuramente una dittatura.

La convergenza sull'oggettività può essere ottenuta quando la stragrande maggioranza degli individui vi aderisce consapevolmente e liberamente. Tuttavia spesso accade che, nelle società divise in classi, il sistema si serve di fattori devianti, artificiosi, costrittivi, per favorire un certo tipo di convergenza. Sono elementi (come ad es. il terrorismo, le stragi o le guerre) che distorcono la verità delle cose, anche se, in ultima istanza, essi non possono assolutamente impedire il formarsi di diverse convergenze. Le contraddizioni sociali rappresentano sempre un'evidenza più forte degli inganni del potere. Si tratta per l'appunto di convincere le masse a reagire.


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