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Il pessimismo nel linguaggio comune
Il pessimismo in filosofia: Schopenauer e Leopardi
Il pessimismo nella letteratura greca: Apollonio
Il pessimismo nella letteratura latina: Lucano
Il pessimismo nella letteratura europea: Rousseau
Il pessimismo nella letteratura italiana: Leopardi e Pascoli
Il pessimismo nella storia dell'arte: Goya, Gropius e Picasso
Ricerca iconografica: Goya, Picasso e Friedrich
Il tentativo di inquadramento storico
Le opere al di là delle biografie
Nel linguaggio comune si definisce il pessimismo come l'attitudine psicologica a considerare la realtà nei suoi aspetti peggiori o, anche, come la disposizione dell'animo a cogliere soprattutto gli aspetti negativi della vita e della realtà.
In senso lato è ogni posizione che insista sulla prevalenza del male sul bene; più precisamente, la dottrina secondo la quale l'esistenza umana è dominata e governata dall'infelicità e dal dolore, e tutta la realtà è assoggettata a una forza cieca e irrazionale.
In filosofia il pessimismo è costituito dal tentativo di dare un senso a un'esperienza negativa e dolorosa del mondo e si distingue in 'pessimismo empirico', quando la valutazione negativa colpisce solamente il mondo terreno e visibile, in antitesi a un migliore aldilà, e in 'pessimismo metafisico' quando la valutazione negativa si estende alla realtà dell'universo.
Nell'età classica solo Egesia di Cirene apparve decisamente pessimista. Il filosofo greco, vissuto in Alessandria verso il 300 a. C., trasformò l'edonismo positivo di Aristippo (di cui fu discepolo) in un edonismo negativo: per Egesia il fine ultimo della vita umana è il piacere (come per Aristippo) ma questo viene concepito come stato negativo, ossia come assenza di dolore e di affanno. Ma poiché ciò è molto difficile a conseguirsi nella vita, gli appare desiderabile la morte come insensibilità e tranquillità assoluta, come assenza di ogni dolore.
La posizione di Egesia fu piuttosto isolata, ma elementi pessimistici si ritrovano ampiamente nella cultura comune, soprattutto in campo religioso.
Ad esempio, ritornando alla suddivisione tra pessimismo empirico e metafisico, il cristianesimo è sicuramente pessimistico nella sua esperienza della vita terrena, ma è ottimistico nella sua concezione universale della realtà, con la prospettiva di un migliore aldilà.
E' quindi empirico, cioè ristretto al mondo dell'immediata esperienza, il pessimismo antico e medioevale, mentre è invece assoluto o metafisico quello della prima metà dell'Ottocento, teorizzato soprattutto da Arthur Schopenauer (1788-1860).
In sintesi si può dire che secondo Schopenauer la radice dell'universo è la volontà: ma poiché si vuole in quanto si tende a colmare una mancanza (si desidera ciò che non si ha), a evitare una deficienza e quindi un dolore, il mondo è condannato a un'imperfezione e a un'insoddisfazione eterna.
Il dolore è così intrinseco alla volontà e cioè alla vita universale: donde il pessimismo che, necessariamente, discende da questa concezione basata su una valutazione non positiva della natura, concepita come la manifestazione non dell'idea ma della volontà di vivere e quindi vista come lotta e lacerazione continua senza alcun fine, espressione di quel cieco principio che è alla radice di tutte le manifestazioni reali.
Il pensiero di Schopenauer si riconnette a quello orientale e alla ascesi buddistica, che considera la volontà dell'individuo come principio del dolore: l'obiettivo è allora il nirvana, cioè quella condizione di suprema salvezza raggiungibile attraverso un progressivo distacco dalle cose del mondo e dalle passioni, fino al punto che, negando la sua volontà particolare che lo contrappone agli altri, l'individuo si dissolve nell'universalità (è parte, insieme a ogni altra creatura, di quel tutt'uno che è l'universo).
Il pessimismo di Giacomo Leopardi (1798-1837) non costituisce un vero e proprio sistema filosofico, sebbene nasca da una continua e coerente meditazione del poeta. E proprio negli anni (dal 1823 al 1828) in cui tace come poeta il Leopardi porta alle ultime conseguenze il suo pessimismo, lo sistema in un ordine che gli sembra definitivo.
L'infelicità umana non è frutto di situazioni particolari e non nasce neppure da particolari situazioni storiche, dal prevalere della ragione sulla fantasia per effetto dell'avanzare della civiltà, dalla nascita della società che, con le sue necessarie regole, limita la libertà e la spontaneità individuale.
L'infelicità è invece una legge di natura, alla quale nessun essere può sottrarsi. L'uomo cerca la sua felicità ma la natura non ha come fine la felicità degli individui: essa tende solamente alla propria conservazione.
La vita non è che un più o meno lento morire, un'inutile miseria. Da queste premesse deriva il tedio, la grande malattia spirituale dei romantici di cui Leopardi è il rappresentante italiano più alto: cioè il senso che fare o non fare, sperare o disperare sono ugualmente inutili e vani.
Molto sommariamente si può dire che l'influenza delle concezioni filosofiche di Schopenauer nella coscienza, nel pensiero e nell'agire degli uomini è stata vasta e profonda.
Ad esempio, per quanto riguarda la teoria del catastrofismo, una forma di pessimismo estremo che vede l'evoluzione delle forme di vita e della società come conseguenza di imprevedibili catastrofi.
Oppure con riguardo al nichilismo, sia come concezione filosofica (che conclude alla 'negazione' rispetto a tutte le realtà) che come movimento politico-filosofico, come quello sviluppatosi in Russia poco dopo il 1860.
Movimento che, partendo dalla negazione della morale tradizionale, della famiglia e dell'ideologia della precedente generazione, giungeva a teorizzare la soppressione violenta della situazione sociale e politica del tempo.
Indagando nella letteratura greca, alla scoperta di tracce di pessimismo, mi pare opportuno soffermarsi sull'epoca ellenistica, che inizia con la fine del IV sec. a. C., con il passaggio dalla civiltà greca alla civiltà cristiana attraverso la mescolanza della vita occidentale e orientale, fino alla definitiva scomparsa del regno d'Egitto, nel 30 a. C., l'ultimo dei grandi regni nati dalla spartizione dell'impero di Alessandro. L'epoca ellenistica si caratterizza per due elementi: da una parte, insieme con il rinascere della poesia, c'è un nuovo e potente risveglio dello spirito scientifico in tutte le direzioni; dall'altra, svuotata la polis, sono venuti a cadere tutti i grandi ideali che l'avevano creata e che essa stessa aveva a sua volta formato: libertà, patria, religione. In questa fase storica il cittadino non è più nulla, in quanto il principe e la sua amministrazione pensano a tutti, per tutti.
E' perciò che nasce la letteratura di evasione, con la figura dell'antieroe, che è ben rappresentata dal personaggio di Giasone. Alla base del poema di Apollonio c'è un modello di azione del tutto diverso dall'eroismo omerico e dalla sua affermazione positiva; è vero che questo modello di eroismo è un modello ricco di molte sfaccettature, che comprende anche l'inganno, la finzione, l'abilità retorica praticate da Odisseo, ma quello che non manca mai è la fiducia totale nell'azione che si sta compiendo.
Nelle 'Argonautiche' invece l'impresa viene sentita sin dall'inizio come priva di senso, fonte di un'angoscia paralizzante: il desiderio del ritorno a casa è perciò il sentimento dominante ma, diversamente che in Omero, esso è presente negli argonauti ancor prima di compiere la missione.
La situazione psichica di Giasone viene spesso definita dal narratore come 'assenza di iniziativa', quindi 'impotenza, frustrazione': in sostanza Giasone interpreta il disagio e la fragilità sentiti come universali.
In definitiva si può probabilmente parlare di pessimismo cosmico, soprattutto se si riflette sulla tendenza di Apollonio ad esaltare la frustrazione e lo struggimento malinconico.
Nella letteratura latina un intellettuale in particolare ha vissuto il dramma della sua epoca, traducendolo in un'opera letteraria da cui traspare la visione pessimistica delle cose terrene: Marco Anneo Lucano (39 d. C. 65 d. C.).
Poeta latino nato a Cordova, fu portato a Roma dai suoi genitori e qui fu educato mostrando da subito un impegno precoce.
Nerone lo volle fra i suoi amici e Lucano ne cantò le lodi con il carme 'Laude Neronis', per cui fu coronato poeta ed ebbe anche il sacerdozio augurale. Poco dopo, però, avvenne la rottura con Nerone che gli vietò di recitare versi e di difendere cause. Era il tempo in cui Nerone, insofferente dell'influenza di Seneca, manifestava la sua natura di principe libertino, despota e crudele. La crudeltà di Nerone e le misure finanziarie che il fasto di corte imponevano, allargarono alle classi popolari l'opposizione già forte presso i nobili e le persone colte quando, nel 64 d.C., un incendio distrusse gran parte di Roma; Nerone, per distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica dall'accusa di esserne stato l'autore, infierì contro i cristiani da lui accusati di averlo provocato. Fu a causa di questi fatti che Lucano, saturo di propaganda stoica, assalì con i suoi scritti l'imperatore e fece del suo poema un'opera di protesta contro la tirannia e la violenza, a difesa della libertà.
Nel 62 d. C. egli fu tra coloro che parteciparono alla congiura organizzata da Pisone, ma questa venne scoperta ed egli venne arrestato: resistette prima di confessare e, ricevuto l'ordine di morire, si tagliò le vene declamando un suo brano poetico.
Il pessimismo nella letteratura europea: Rousseau
L'opera letteraria di Jean Jacques Rousseau (1712 1778) ha sicuramente stimolato la sensibilità europea e ha preparato il terreno alla formazione del gusto romantico. Il suo proposito di svelare sin nel profondo sé stesso sta nell'origine dell'individualismo romantico.
Tra i concetti fondamentali della sua opera va ricordato il motivo della felicità dell'uomo ostacolata e impedita dalla società, da cui deriva il conflitto tra individuo e società, tipico del Romanticismo, di cui Rousseau è uno dei massimi interpreti.
Il suo influsso sulla letteratura europea fu vastissimo e in Italia si ritrova soprattutto in Leopardi e in Pascoli.
Motivo fondamentale del pensiero del Roussaeu è il contrasto fra l'uomo allo stato naturale e l'uomo allo stato civile. La civiltà, allontanando gli uomini dalla natura, li ha resi infelici e viziosi, ha creato la disuguaglianza fra di loro e, con essa, tutti i mali sociali: per vincere questi mali è pertanto necessario tendere a ristabilire la condizione naturale.
Il pessimismo nella letteratura italiana: Leopardi
Per Leopardi le ragioni storiche della tragedia propria dell'età in cui egli vive risiedono nel conflitto fra natura e ragione o civiltà: si tratta del conflitto esaminato proprio da Rousseau.
Quando nel 1828, a Pisa in una fase della sua vita più serena, ritorna a dedicarsi totalmente alla poesia, la sua sensibilità non è però cambiata e la sua visione della vita continua ad essere improntata a un deciso pessimismo intellettuale. Nasce così la seconda grande stagione della sua poesia, quella che i posteri hanno poi definito de 'i grandi idilli'.
Fra questi, in particolare, 'A Silvia', 'La quiete dopo la tempesta', 'Il passero solitario'.
Nel ricordo delle cose passate sa che queste sono lontane e morte, che la vita è dolore, che la sua adolescenza è stata tutta pianto o speranze deluse. Silvia è morta e non ha conosciuto le gioie umili e semplici della giovinezza e dell'amore. E, con la sua morte, il Leopardi vede scomparire le sue speranze giovanili, cadere miseramente tutto quel mondo di sogni.
Nel crollo egli perde in apparenza molto più di Silvia: 'i diletti, l'amor, l'opra, gli eventi' indicano un mondo ricco di varie gioie che egli sperava di poter raggiungere nel futuro.
'La quiete dopo la tempesta' dà un senso gioioso di festa, ma solo perché il solo conforto che la natura offre all'uomo è la cessazione momentanea della sofferenza.
Nel 'Passero solitario' il tema è la solitudine che accomuna il passero che canta sulla 'torre antica' sfuggendo ai suoi compagni, e il poeta, estraneo a ogni compagnia e noncurante dei piaceri.
Ma il 'solingo uccellin' alla fine della sua vita non dovrà pentirsi di essere vissuto come la natura gli imponeva; il poeta, invece, giunto alla vecchiaia, si pentirà, ma invano, di aver sprecato in tal modo la giovinezza.
Il pessimismo nella letteratura italiana: Pascoli
Anche nell'opera letteraria di Giovanni Pascoli (1855 - 1912) si riscontrano i toni drammatici del pessimismo che caratterizzavano l'epoca.
In 'Nebbia' è fondamentale il tema della memoria.
Questo 'ritorno' al passato viene considerato come qualcosa di non lecito perché si mescola con il senso angoscioso della morte, col trauma delle vicende familiari. In questa poesia il Pascoli non solo considera impossibile il 'ritorno' al passato, ma lo rifiuta di proposito; anzi riassume tutta la poesia nel contrasto fra il presente e il passato.
In ' La mia sera', il tema è in parte simile a quello di 'Nebbia' e, in parte, diverso. E' simile lo stato di quiete raggiunto, di riposo del presente. Se non c'è la nebbia c'è il crepuscolo, la luce che si spegne, che, come la nebbia, serve ad attenuare ciò che è stato troppo doloroso negli anni lontani. Diverso è invece il tema delle campane. In 'Nebbia' la campana sottolinea il passaggio, l'attesa della fine presentata come la conclusione della quiete. Nella 'Mia sera', anche se non si può escludere l'attesa di una pace più profonda e le campane sono quindi una voce misteriosa e lontana, il suono riconduce al tema della prima infanzia, dei 'canti di culla' anteriori all'età della coscienza.
In 'Lavandare', accanto al poeta che tenta di trovare la pace e l'equilibrio nelle memorie dell'infanzia (ma in esse trova spesso soltanto il dolore, le cose 'ebbre di pianto') c'è nel Pascoli il poeta georgico che riesce a trovare la pace nelle abitudini e nelle immagini della vita dei campi, e che esprime l'interesse per le occupazioni dei contadini, per gli strumenti e le consuetudini antiche del loro lavoro ogni volta definite col loro preciso nome, l'amore per gli esseri minuscoli, la nostalgia per la fede degli antenati, per la bontà rassegnata degli umili.
Ma, pure in questa pace, sono presenti le tracce della sensibilità pascoliana, che è sempre caratterizzata da segrete voci, da suggestioni lontane, da tristezza e da angoscia.
Il pessimismo nella storia dell'arte: Goya
La storia dell'arte ha diversi esempi di artisti che hanno rappresentato la visione pessimistica della vita, generata dalle esperienze personali degli artisti stessi: Goya, Gropius e Picasso.
La pittura di Goya (1746 1828) conosce tutte le gamme espressive: va dalla dolcezza di talune immagini di bimbi all'atrocità delle scene della guerra. Fra queste la celebre 'La fucilazione del 3 maggio' da lui dipinto su incarico del governo spagnolo per ricordare e celebrare l'eroica resistenza del popolo di Madrid contro le forze d'invasione napoleoniche. Si tratta di un quadro di storia che registra la ferocia della repressione francese e che esprime in maniera appassionata la condanna dell'oppressione, dell'ingiustizia, della violenza inutile in nome dei principi della libertà dell'uomo.
In questo dipinto ogni elemento ha un valore simbolico e ci colpiscono in particolare i colori contrastanti e i gesti del condannato nell'ultimo atto di disperazione e di sfida che neppure la morte potrà cancellare.
La scena è ambientata in una notte tragica: i soldati sono ombre che incombono nel buio, simili al male anonimo e bestiale che colpisce l'umanità; il sangue degli uccisi si sparge al suolo sino a lambire i piedi dei carnefici, il condannato è illuminato dal raggio accecante della lanterna; le sue braccia alzate nel gesto della crocifissione che lacerano le tenebre, la sua figura bianca e luminosa si staglia contro il fondo scuro come se la volontà di vita e di giustizia dovesse trionfare su tutto l'orrore che è intorno a lui.
Il pessimismo nella storia dell'arte: Gropius
Walter Gropius (1883 - 1969) fu fondatore nel 1919, a Dresda, della scuola di architettura e di arte decorativa allo scopo di realizzare un sistema di educazione artistica completa, sia nel campo della preparazione tecnica sia in quello dell'insegnamento formale.
La Bauhaus fu soppressa nel 1933 dal governo nazista (e Gropius perseguitato, fu costretto a emigrare prima in Inghilterra e poi negli USA), che la considerò espressione di tendenze internazionaliste nel campo dell'arte
Il pessimismo nella storia dell'arte: Picasso
Allo scoppio della guerra civile spagnola, Pablo Picasso (1881 - 1973) si schirò subito dalla parte dei repubblicani e, accettando l'incarico di direttore del museo del Prado, svolse un'importante azione per il salvataggio dell'immenso patrimonio artistico del suo paese. Dal punto di vista creativo la sua azione antifranchista si esprime nel grande pannello del padiglione spagnolo all'Esposizione di Parigi del 1937: 'Guernica'.
Quest'opera, che rappresenta il bombardamento aereo di quella cittadina spagnola da parte dell'aviazione fascista e nazista durante la guerra civile, è la rappresentazione dei disastri della guerra e della barbarie dell'uomo.
Gli orrori della guerra e la cieca bestialità dell'uomo segnano drammaticamente tutte le sue opere fino al 1945.
Nella sua continua ricerca Picasso, dopo aver, per un certo periodo, aderito al surrealismo, arriva a realizzare opere di alto valore espressivo nelle quali la deformazione diventa il simbolo delle deformazioni interiori dell'uomo moderno.
Simboli di orrore sono anche: 'Minotauri' e le 'Tauromachie' come poi, durante la seconda guerra mondiale, le donne mostruosamente deformi.
Il tentativo di inquadramento storico
In definitiva, si può dire che l'epoca storica che più e meglio ha esaltato il tema del pessimismo è forse stato l'800 rivoluzionario, periodo durante il quale visse Schopenauer, il filosofo che meglio di altri ha costruito una teoria del pessimismo.
Però, considerando le opere della letteratura latina e greca e osservando le opere dei pittori la cui visione è apparsa più pessimista, possiamo affermare che in ogni epoca di rivolgimento storico, di passaggio da una fase ad un'altra, sono emerse tracce di pessimismo sia empirico che cosmico.
Le opere al di là delle biografie
Nell'analisi del tema pessimismo abbiamo visto come la vita dei poeti e degli autori in genere sia fortemente connessa alla loro opera.
Ma come la biografia può aver condizionato la produzione pessimistica degli autori?
Possiamo affermare, secondo quanto affermato da Orlando ('Per una teoria freudiana della letteratura') che un'opera letteraria che avesse bisogno di far riferimento ai dati biografici del suo autore per essere interpretata non sarebbe un'opera d'arte.
Ed in effetti le opere degli autori che alla critica sono apparsi 'pessimisti' sono da considerare universali, indipendentemente dall'epoca storica in cui essi sono vissuti: le esperienze da essi vissute sono infatti possono essere trasferite in ogni tempo e in ogni luogo ed il loro pensiero interpreta un senso di inquietudine e di ricerca dell'assoluto che è caratteristico di ogni epoca e che è presente in ogni essere umano.
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