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Fatica




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FATICA


Molti pezzi di macchine sono soggetti a sollecitazioni che variano nel tempo in maniera ciclica. Ad esempio, i componenti del manovellismo di un motore a combustione interna sono soggetti a carichi ciclici. L'assale di una vettura ferroviaria, in rotazione assieme alle ruote, è anch'esso soggetto a sollecitazioni cicliche, benché le forze agenti (il peso della vettura) conservino il loro valore. Ciò è dovuto al fatto che le fibre esterne nell'assale, quando questo ruota, sono soggette alternativamente a sollecitazioni di trazione e di compressione.

L'esperienza mostra che sotto l'azione di sforzi variabili nel tempo, un dato componente può rompersi dopo un dato numero di cicli, mentre se lo stesso carico è applicato in maniera stazionaria la rottura non avviene. Questo fenomeno è ben illustrato, nella pratica comune, dalla rottura causata dalla ripetuta flessione, a mani nude, di un pezzo di filo metallico; o stesso filo di ferro, applicando un carico costante a mani nude, non subirebbe alcun danno.

Dopo la rottura a fatica, sulla superficie di frattura di un dato pezzo si tossono in genere evidenziare due zone distinte; in una le facce a contatto sono lisce mentre nell'altra si possono notare i segni di una rottura fragile.

Storicamente, il fenomeno sembrava dovuto ad un cambiamento iella struttura cristallina del metallo, sotto l'azione di carichi ripetuti: Pertanto gli è stato dato il nome di rottura a fatica. In seguito, si è capito che il fenomeno aveva origine puramente locale: più precisamente, esso consiste nell'insorgere nel propagarsi delle inevitabili microcricche presenti nel materiale; col tempo le microcricche aumentano di dimensione, diventando cricche vere e proprie fino alla rottura improvvisa del pezzo stesso.

Per questo la rottura per fatica è essenzialmente di tipo fragile: se si esamina la superficie di frattura, si nota una zona liscia, che è appunto quella in cui si è propagata la fessura, mentre la zona non fessura ha un aspetto ruvido, in quanto in essa si è avuto un cedimento brusco ed istantaneo quando l'area della sezione residua non è risultata più sufficiente per resistere al carico applicato.

L'analisi teorica della resistenza a fatica è molto difficile, in quanto la natura della rottura per fatica dipende dalla particolarità della struttura molecolare e cristallina del materiale. Pertanto, lo schema del mezzo continuo che viene usato normalmente nella scienza delle costruzioni, per questo caso non è più sufficiente per giungere a modelli validi. Infatti, per poter pervenire ad una teoria sufficientemente esauriente della resistenza a fatica è necessario conoscere le particolarità della struttura dei cristalli e dei legami intercristallini, utilizzare gli strumenti ed i metodi della statistica e della teoria della probabilità.

Attualmente, i fondamenti fisici della teoria dei solidi non hanno ancora raggiunto un livello tale per poter sviluppare dei metodi di calcolo della resistenza a fatica. Si è pertanto costretti, mantenendosi dei limiti che le ipotesi di mezzo continuo impongono, a continuare la classificazione dei fatti sperimentali, dall'insieme dei quali si cerca di ricavare delle regole generali che permettono di fare dei calcoli attendibili ed affidabili. Pertanto, al giorno d'oggi la teoria della resistenza a fatica si esaurisce nella classificazione e sistematizzazione dei fatti sperimentali.

Lo scopo fondamentale dello studio della fatica è in definitiva quello di riuscire a fornire una previsione sulla vita strutturale del dato pezzo quando sono date alcune informazioni che definiscono il ciclo della sollecitazione periodica. Infatti, vengono definite alcune grandezze caratteristiche del fenomeno ripetitivo:

II periodo T, come distanza temporale tra due eventi in cui il carico assume lo stesso valore dopo avere percorso un intero ciclo;

II valore medio della sollecitazione σm;

L'ampiezza del ciclo alternato σa, come differenza massima tra il valore assunto dalla sollecitazione e di valore medio, oppure l'ampiezza massima del ciclo σmax.




La forma più espressiva e diffusa per rappresentare la vita a fatica di un dato elemento è la curva di Woehler, che fornisce il numero di cicli a rottura posti in ascissa, in funzione della sollecitazione massima σmax, o della sollecitazione alternata σa. Questo grafico si ricava nel modo seguente: mediante prove ripetute, che importano la rottura di un elevatissimo numero di provini, e che pertanto sono piuttosto dispendiose, si può determinare il numero di cicli N che il campione può sopportare prima della rottura, in funzione di σmax del ciclo. Tenuto conto che il numero di cicli di vita cresce rapidamente al diminuire del valore di σmax, in genere in ascissa si usa una scala logaritmica.

L'esperienza mostra che per la maggior parte dei materiali metallici ferrosi è possibile indicare uno sforzo massimo per cui il materiale non si rompe qualunque sia il numero di cicli cui è sottoposto. Tale sforzo è denominato limite di fatica oppure resistenza a fatica.



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