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IL PECCATO DI GOLA
Il peccato di gola è uno dei sette peccati capitali che sono stati introdotti per la prima volta da Gregorio I nel VII sec.
Il peccato di gola è sinonimo dell'ingordigia verso differenti vizi, non tutti legati al cibo. È l'incapacità di trovare un freno alla propria ingordigia sia verso gli alimenti, che verso il fumo nel caso dei fumatori e verso l'alcool nel caso degli alcolisti. Chi ne soffre, non può far a meno di una determinata cosa e ne sente un bisogno frequente.
A prima vista, questo peccato può sembrare il più insignificante dei peccati capitali, soprattutto in una società ed in una cultura spiritualmente grossolana e superficiale come quella attuale. Il peccato di gola, a dispetto di questa credenza collettiva, è ritenuto l'ultimo dei peccati dal quale l'uomo riesce a liberarsi, infatti, provoca nel soggetto che ne è affetto, un certo disordine, che si manifesta quando il piacere viene ricercato "per se stesso" e viene considerato come fine e non come mezzo, secondo il ben noto detto: "Vivere per mangiare e non mangiare per vivere".
Il discorso della golosità si inserisce facilmente in quello più vasto e più grave del consumismo e del materialismo contemporanei, che stanno letteralmente soffocando i valori dello spirito nella società moderna.
Molti sono convinti che mangiare bene equivalga a mangiare genuino, con ricette e prodotti tradizionali. Se si va a fondo di questa convinzione si scopre che scientificamente non ha molto pregio: i cibi genuini e tradizionali spesso,sotto alcuni punti di vista, sono dei veri e propri attentati alimentari.
2.1 Il problema falso- Basta elencare alcuni prodotti per rendersene conto: vini scadenti, salumi e dolci con percentuali notevoli di grassi animali (burro).
Ben poche sono le specialità che possono vantare leggerezza e ottime qualità alimentari. Certo basta assumere tutto con moderazione e anche i cibi ipercalorici possono diventare perfettamente accettabili.
Se il "genuino" è poco attento ai valori nutrizionali perché demonizzare i cibi del fast-food? Probabilmente per eccesso di nazionalismo, per motivazioni politiche, per interessi economici o anche solo per ignoranza. È vero che gli americani hanno una percentuale elevata di obesi, ma anche i tedeschi e gli italiani detengono una grande quantità di persone grasse: se si mangia molto non vi è dieta che tenga. L'obesità non è sicuramente frutto di uno stile di cucina.
Prima di demonizzare le preferenze altrui si deve considerare che anche la tradizionale pizza italiana è un alimento estremamente pericoloso, ipercalorico e spesso di dubbia qualità. In pizzeria se ci si limita ad una pizza normale, si avrebbe un apporto calorico corretto e, probabilmente, anche una buona ripartizione dei macronutrienti. Ma se la pizza è solo il nucleo del pasto, preceduto da antipasti e poi seguito da un dolce, difficilmente si può sostenere di aver fatto una scelta nutrizionalmente corretta.
Da quanto sopracitato dovrebbe essere chiaro che è errato demonizzare i fast-food per i cibi grassi e ipercalorici. Se questa è la causa della condanna, occorre allora condannare anche buona parte della cucina italiana tradizionale per lo stesso motivo.
2.2 Il problema vero- Parlando della qualità in cucina, occorre prendere in considerazione anche i tipi di grassi che vengono utilizzati per le salse, per i fritti e per le altre preparazioni: anziché utilizzare l'olio extravergine d'oliva spremuto a freddo, che sarebbe il meglio, si tende ad impiegare l'olio di colza, di girasole o addirittura il grasso di palma che sono molto nocivi all'organismo umano.
Non basta quindi citare solamente la percentuale di grassi impiegati ma, per offrire al cliente un servizio impeccabile, occorre evidenziare sempre e ovunque di quali grassi si tratta. In tal modo il consumatore, informato, può operare opportune scelte alimentari.
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