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La sismologia è la scienza che studia la genesi e le modalità di propagazione delle onde sismiche, improvvise vibrazioni della terra note come terremoti.
Un terremoto o sisma è dunque un'oscillazione delle masse rocciose prodotta da una brusca liberazione di energia meccanica.
Le cause di un terremoto possono essere diverse. Un sisma può ad esempio accompagnare eruzioni vulcaniche, il crollo di grotte sotterranee e, ultimamente, anche esplosioni provocate artificialmente, ma la maggior parte dei sismi è di origine tettonica, legata cioè al movimento relativo dei frammenti in cui è suddivisa la porzione la crosta terrestre, le cosiddette placche crostali o zolle.
I terremoti di origine tettonica, di cui ci occuperemo, sono quindi sempre associati ad enormi sistemi di fratture o faglie che interessano la crosta terrestre e la porzione più superficiale del mantello, entrambe comprese in un'unica struttura rigida, indicata con il nome di litosfera. Sulla litosfera si esercitano forze immani che possono agire in direzioni diverse, provocando compressioni, trazioni e, più spesso, dislocazioni.
In ogni caso, quando una forza agisce su di una roccia quest'ultima si può comportare in modo diverso in relazione all'intensità della forza, al tipo di roccia ed alla profondità alla quale si trova.
Se la forza è poco intensa la roccia si comporta in modo elastico, deformandosi e riprendendo la propria forma al cessare della spinta.
Se la forza supera una certa intensità la roccia si comporta come un corpo plastico, deformandosi in modo irreversibile.
Se infine la forza diventa molto intensa la roccia si comporta come un corpo rigido, fratturandosi con produzione di un piano di faglia lungo il quale avviene un movimento relativo delle due porzioni rocciose. Una volta ritrovato l'equilibrio, se le forze continueranno ad agire, i due blocchi rocciosi accumuleranno lungo il piano di faglia energia elastica. La tensione aumenta fino al punto in cui la resistenza per attrito, che immobilizza la frattura, non è più in grado di equilibrare le forze che tendono a far slittare i blocchi rocciosi ed essi scattano improvvisamente diventando il punto di origine di un terremoto. Tale punto è detto ipocentro del sisma. L'energia elastica si libera all'improvviso sotto forma di vibrazioni, dette onde sismiche, che si propagano sotto forma di superfici sferiche in espansione, concentriche ed aventi come centro l'ipocentro. Secondo stime recenti, il tempo medio di ricarica di una faglia, affinché si produca un nuovo terremoto è di 50-200 anni. In alcuni casi le faglie continuano a scivolare lentamente, producendo vibrazioni percepibili solo dagli strumenti.
La probabilità che una forza produca faglie e che in seguito si accumuli fino a produrre periodici scivolamenti dipende, a parità di intensità dal tipo di roccia e dalla profondità a cui essa agisce. Le rocce magmatiche hanno ad esempio un comportamento più rigido rispetto alla maggior parte delle rocce sedimentarie, diventando così più facilmente sedi di eventi sismici. Inoltre se una roccia si trova a profondità maggiori l'aumento di pressione e di temperatura che ne consegue tende ad accentuare progressivamente il comportamento plastico della roccia, la quale diviene così sempre più malleabile. Si ritiene che al di sotto di una certa profondità tutte le rocce evidenzino un comportamento totalmente plastico, tale da non permettere la produzione di sismi. Non si conoscono attualmente ipocentri di terremoti con profondità maggiore di circa 700 km. Il punto sulla superficie terrestre che si trova sulla verticale dell'ipocentro è detto epicentro. ed è, evidentemente, il primo punto della superficie terrestre raggiunto dalle onde sismiche.
In relazione alle forze agenti sulle masse rocciose si producono a livello dell'ipocentro due tipi fondamentali di onde sismiche: onde di compressione o longitudinali e onde di taglio o trasversali.
Le onde longitudinali producono sulle rocce che attraversano dei movimenti di compressione e rarefazione. In altre parole le rocce vengono sollecitate lungo la stessa direzione in cui si propaga l'onda (assomigliano in questo alle onde sonore) e le particelle vibrano avanti e indietro nella medesima direzione di propagazione. Sono le onde più rapide che raggiungono quindi per prime l'epicentro.
Per questo motivo sono indicate come onde primarie o primae o, semplicemente, onde P.
La loro velocità varia da 5,5 a 11,5 km/s, in relazione alla densità ed alla rigidità delle rocce che attraversano. Come tutte le onde longitudinali possono propagarsi sia nei solidi che nei fluidi (liquidi e gas). Come conseguenza della loro natura longitudinale le onde P sono percepite sulla superficie terrestre come onde sussultorie. Una volta giunte in superficie possono propagarsi anche attraverso l'atmosfera generando onde acustiche di frequenza, in alcuni casi, avvertibile dall'uomo sotto forma di boati. In altri casi producono onde acustiche al di sotto della soglia di udibilità umana (infrasuoni), ma percepibili da alcuni animali.
Le onde trasversali costringono le particelle rocciose a muoversi in direzioni perpendicolari rispetto alla direzione di propagazione dell'onda (assomigliano in questo alle onde elettromagnetiche). Sono più lente rispetto alle onde longitudinali ed arrivano all'epicentro con un ritardo che dipende naturalmente dalla profondità dell'ipocentro. Anche per esse la velocità di propagazione dipende dalle caratteristiche di elasticità e di densità della roccia attraversata. A parità di caratteristiche la loro velocità e poco meno della metà delle corrispondenti onde primarie. Arrivando sempre dopo le onde primarie vengono dette onde secondarie o secundae o, semplicemente, onde S. Possono propagarsi solo nei solidi mentre la loro energia viene rapidamente assorbita dai fluidi, dove non si propagano. Questa caratteristica viene utilizzata per evidenziare la presenza di strati rocciosi allo stato fluido o plastico all'interno della terra. Essendo la vibrazione di tali onde perpendicolare alla direzione di propagazione, tali onde vengono avvertite sulla superficie terrestre come scosse ondulatorie.
Velocità delle onde sismiche
La velocità delle onde sismiche aumenta al crescere della rigidità e diminuisce all'aumentare della densità del materiale.
a) Maggiore è la rigidità più intense sono le reazioni del materiale allo sforzo applicato. Le particelle che costituiscono il mezzo si comportano infatti come dei minuscoli oscillatori armonici e sono in tal modo soggette ad una maggiore forza di richiamo (legge di Hooke) che le costringe ad oscillare più rapidamente.
b) Maggiore è la densità (e quindi la massa di ciascun oscillatore elementare per unità di volume) e maggiore è l'inerzia del mezzo (un oscillatore di massa maggiore si mette in moto con maggior difficoltà)
L'elasticità di un mezzo omogeneo ed isotropo viene definita tramite due parametri: il modulo di incomprimibilità k ed il modulo di rigidità m. Il modulo di incomprimibilità misura l'elasticità di volume, cioè la tendenza di un corpo a subire, se sottoposto a forze di compressione idrostatica, una variazione di volume (ma non di forma). Il modulo di rigidità misura l'elasticità di forma, cioè la tendenza di un corpo a subire, se sottoposto a forze di taglio (una coppia di forze uguali e contrarie che agiscano tangenzialmente), una variazione di forma (ma non di volume).
Se r è la densità del mezzo, la velocità di propagazione delle onde longitudinali VL e trasversali VT è rispettivamente e .
Per i liquidi m = 0 e quindi la velocità delle onde trasversali in essi è nulla.
L'interazione delle onde P ed S con la superficie terrestre produce un terzo tipo fondamentale di onde, dette onde superficiali o lunghe o, semplicemente, onde L. Le onde L partono dall'epicentro con una velocità che risulta circa il 90% di quella delle onde S ed arrivano perciò ai sismografi per ultime.
Vi sono due tipi principali di onde superficiali: le onde di Love e le onde di Rayleigh.
Le onde di Love muovono il suolo orizzontalmente, parallelamente alla superficie terrestre, ma perpendicolarmente alla direzione di avanzamento dell'onda. Sono dunque onde superficiali trasversali.
Le onde di Rayleigh muovono il suolo come le particelle d'acqua all'interno di un'onda marina secondo orbite ellittiche, aventi l'asse maggiore parallelo alla direzione di propagazione e quello minore perpendicolare alla superficie terrestre.
Per poter visualizzare graficamente le onde sismiche che si formano nell'ipocentro si usa riunire in una superficie (superficie d'onda o fronte d'onda) tutti i punti che ad un certo istante si presentano con la medesima fase. La propagazione delle onde viene rappresentata mediante il movimento espansivo di tali superfici d'onda. La direzione di propagazione delle onde in ciascun punto della superficie coincide con la normale alla tangente alla superficie in quel punto ed individua i raggi sismici. Le onde sismiche nascono dall'ipocentro come superfici sferiche (onde sferiche) che presentano direzione di propagazione radiale secondo semirette uscenti dall'ipocentro. Le superfici d'onda non conservano tuttavia questa forma e le relative direzioni di propagazione subiscono di conseguenza delle modificazioni a causa della diversa densità degli strati rocciosi che vengono attraversati. I raggi sismici sono infatti l'analogo dei raggi luminosi nella propagazione delle onde elettromagnetiche e come questi subiscono fenomeni di riflessione e di rifrazione attraversando le superfici di separazione tra mezzi a diversa densità in cui l'onda viaggi a differente velocità.
Così un'onda sismica che giunga sulla superficie che separa strati rocciosi con diverse caratteristiche con un opportuno angolo di incidenza i genera un'onda riflessa ed una rifratta.
Naturalmente l'angolo di incidenza i deve essere uguale all'angolo di riflessione (legge della riflessione), mentre il raggio rifratto ubbidisce alla legge di Snell
dove v e v sono rispettivamente la velocità di propagazione dell'onda incidente e dell'onda rifratta
Poichè la velocità di propagazione di un'onda sismica aumenta in genere con la profondità della roccia attraversata, l'angolo di rifrazione r sarà maggiore dell'angolo di incidenza quando l'onda penetra verso l'interno della terra. Le onde sismiche che si dirigono verso le zone più profonde del globo terrestre subiscono due tipi di deviazioni per rifrazione:
a) una deviazione continua che incurva la loro traiettoria formando una concavità verso la superficie terrestre, causata dal progressivo aumento della densità delle rocce con la profondità.
b) una deviazione netta e vistosa in corrispondenza delle superfici di separazione tra gli strati interni in cui è suddivisa la terra, in corrispondenza dei quali si producono bruschi cambiamenti di densità e di rigidità delle rocce e quindi di velocità delle onde sismiche.
Un esempio di tale comportamento si ha nella formazione della cosiddetta zona d'ombra, una fascia circolare che avvolge la terra, compresa tra 11.600 km e 16.000 km dall'epicentro (tra 105° e 142° circa) in cui praticamente non arriva alcuna onda P. Le onde P che penetrano nel nucleo terrestre subiscono infatti due vistose rifrazioni (una in entrata ed una in uscita) che causano una netta variazione di direzione. L'analisi di questa zona d'ombra permise al sismologo inglese R.D. Oldham di prevedere nel 1906 l'esistenza del nucleo terrestre e di stimarne la profondità. Nel 1914 Beno Gutenberg calcolò con precisione la profondità del nucleo terrestre, fissandola ad un valore (2900 km) ancor oggi accettato.
La superficie di separazione tra mantello è nucleo è nota come discontinuità di Gutenberg.
In modo analogo nel 1936 la sismologa danese Inge Lehmann dimostrò l'esistenza a circa 5000 km di profondità di una superficie di separazione (discontinuità di Lehmann) che divideva il nucleo in due porzioni, una più esterna che si ritiene essere allo stato liquido ed una più interna allo stato solido. Oltre a subire rifrazioni le onde sismiche subiscono anche riflessioni sulle superfici di discontinuità che separano strati rocciosi a diversa densità. Nel 1909 il sismologo jugoslavo Mohorovi riuscì ad esempio ad individuare la superficie di separazione tra crosta e mantello studiando il ritardo con cui giungevano ai sismografi le onde sismiche riflesse rispetto a quelle dirette. La superficie di separazione tra crosta è mantello è nota come discontinuità di Moho.
Terminologia sismica
I complessi fenomeni di riflessione e di rifrazione che subiscono le onde sismiche all'interno della terra rendono particolarmente complessa la lettura e l'interpretazione dei sismogrammi. Per distinguere i diversi percorsi effettuati dalle onde sismiche i sismologi usano alcuni simboli convenzionali. Le onde rifratte dal nucleo esterno vengono indicate con il simbolo K (in tedesco kern = nucleo), mentre quelle rifratte dal nucleo interno vengono indicate con I.
Le onde riflesse dal nucleo esterno sono indicate con c, mentre quelle riflesse dal nucleo interno vengono indicate con ì. Le onde P riflesse dalla superficie terrestre vengono indicate con PP. Se subiscono due riflessioni vengono indicate con PPP e così via (naturalmente esistono onde riflesse SS, SSS etc).
Esiste infine un ultimo tipo di vibrazione sismica a bassissima frequenza associata a terremoti di intensità particolarmente elevata. Quando la terra è colpita da un sisma particolarmente intenso essa vibra per parecchie ore come una campana, percorsa da onde stazionarie che possiedono periodi di qualche decina di minuti. Tali vibrazioni continuano liberamente per molte ore (in alcuni casi anche per giorni) anche dopo che il sisma è terminato, con una frequenza che dipende esclusivamente dalle caratteristiche elastiche e meccaniche del supporto vibratile (in questo caso il globo terrestre). Per questo motivo sono state chiamate oscillazioni libere o eigen-vibrazioni (eigen in tedesco significa 'proprio' 'caratteristico').
Le oscillazioni libere sono analoghe alle vibrazioni stazionarie che si producono in uno strumento a corda pizzicato.
Una corda di chitarra di lunghezza L e' vincolata, e' cioè fissa in due punti (il ponte ed il capotasto) che ne condizionano la vibrazione. I due punti vincolati non sono naturalmente in grado di vibrare e devono quindi necessariamente coincidere con due nodi. Lungo una corda in vibrazione troviamo infatti dei punti in cui l'oscillazione e' massima (ventri e creste) e punti in cui e' nulla (nodi). Ora, affinché due nodi coincidano con i punti vincolati è necessario che nella corda si formino un numero intero di mezze lunghezze d'onda. In questo modo in essa si possono produrre solo alcune caratteristiche lunghezze d'onda. Possiamo affermare che data una certa lunghezza della corda di un particolare strumento essa possiede un caratteristico spettro discontinuo (a righe). Quando la corda contiene mezza lunghezza d'onda la frequenza corrispondente e' detta fondamentale, mentre le frequenze superiori sono dette armoniche. Il timbro del suono, che identifica uno strumento permettendo di distinguere due note uguali emesse da strumenti diversi, e' determinato dalla sovrapposizione della vibrazione fondamentale con un certo numero di armoniche, tipiche di quel dato strumento. Il timbro di uno strumento e' l'analogo in acustica dello spettro a righe di una sostanza in spettroscopia.
Una corda di lunghezza L, vincolata alle estremità, può dunque produrre solo quelle vibrazioni per le quali vale la relazione
L = n (λ/2) con n = 1, 2, 3, 4..
dove n è dunque una sorta di numero quantico che definisce e limita le lunghezze d'onda permesse. Anche un corpo sferico come la Terra può presentare onde stazionarie
Tuttavia, essendo un corpo tridimensionale, può vibrare nelle tre dimensioni e sono dunque necessari tre numeri quantici (n,l,m) per descriverne le vibrazioni permesse.
n (Radial overtone number) associato al numero delle superfici sferiche nodali concentriche a raggio costante presenti all'interno della Terra..
l (Angular overtone number) associato al numero di paralleli nodali
m (Azimuthal overtone number) associato al numero di meridiani nodali
L'esistenza delle oscillazioni libere, fu teoricamente prevista nel 1882 dal matematico inglese Horace Lamb, il quale dimostrò che una sfera elastica percossa può produrre solo due tipi di vibrazioni: vibrazione sferoidale (modo S) e vibrazione torsionale o toroidale (modo T).
Per ciascuno di tali modi si utilizza una notazione del tipo e . Tuttavia, poiché nei terremoti reali m=0, l'esponente m viene solitamente omesso.
Modo S
Il tipo più semplice di oscillazione sferoidale è quello puramente radiale (l = 0) in cui la Terra esegue movimenti di pulsazione in conseguenza dei quali si espande e si contrae, modificando il suo volume.
Per n = 0 (nessuna superficie nodale) si ha la vibrazione fondamentale , nota anche come modo respiro (breathing mode), in cui tutta la Terra si espande e si contrae all'unisono con periodo di 20,5 minuti
Per n = 1 (una superficie sferica nodale) si ha la prima armonica , Mentre la sfera interna si contrae, la parte esterna alla superficie nodale si espande e viceversa con periodo di 10,1 minuti
Le oscillazioni sferoidali con l > 0 presentano dei paralleli nodali e la Terra manifesta movimenti sia radiali che tangenziali.
La modalità più semplice si ha per l = 2 (l=1 non esiste) , in cui sono presenti due piani nodali paralleli e la Terra si allunga e si schiaccia alternativamente come una palla che rimbalza (football mode = modo del pallone da calcio) con un periodo di 53,9 minuti.
Nel 1911 Love calcolò che una sfera di acciaio delle dimensioni della terra doveva possedere un periodo di vibrazione più grave di circa 60 minuti. Oggi si è potuto verificare che il periodo della vibrazione più grave è di circa 54 minuti (mentre le armoniche superiori presentano periodi più brevi). La differenza rispetto a quanto previsto da Love è evidentemente dovuta alle caratteristiche di elasticità e di non uniformità della struttura terrestre.
Modo T
Nel modo T la terra oscilla alternativamente in senso solo tangenziale senza modificare il suo volume e la sua densità.
Nel modo più semplice (twist mode), i due emisferi si torcono alternativamente in direzioni opposte con un periodo di 44 minuti rispetto ad un'unica superficie nodale equatoriale.
Nel modo abbiamo una superficie sferica nodale interna. Mentre la sfera interna esegue un 'twist' con i suoi due emisferi che ruotano in senso opposto, il guscio superficiale esegue un 'twist' in senso contrario a quello interno.
Tali vibrazioni vennero studiate per la prima volta in modo dettagliato con il grande terremoto del Cile del 1960 che fece 'suonare' la terra per molti giorni. L'analogia delle oscillazioni libere con le righe spettrali, che consentono di individuare la struttura chimica di una sostanza, è talmente stretta che lo studio dell'interno della terra, effettuato tramite l'analisi delle eigen-vibrazioni, prende il nome di spettroscopia terrestre. Qualsiasi deviazione dalle condizioni di sfericità, elasticità ed omogeneità della terra produce una scomposizione delle righe spettrali. In altre parole esiste una struttura fine dello spettro terrestre strettamente correlata alle sue asimmetrie ed in generale ad ogni scostamento dalle condizioni di idealità. Anche in tal caso abbiamo una sorprendente analogia con gli spettri elettromagnetici: la formazione di una struttura fine dello spettro è infatti l'esatto equivalente dell'effetto Zeeman, dove le righe elettromagnetiche di emissione di una sostanza chimica vengono separate dall'azione di un campo magnetico. L'ellitticità della terra, la particolare e non omogenea distribuzione delle terre emerse, la struttura interna stratificata sono alcune tra le principali cause, responsabili della struttura fine dello spettro vibrazionale terrestre. In conclusione, allo stesso modo in cui uno spettro elettromagnetico a righe è talmente caratteristico di una sostanza chimica da permetterne l'individuazione in modo univoco, lo spettro vibrazionale terrestre potrebbe fornirci molte informazioni sulla struttura del nostro globo.
I sismografi sono strumenti che registrano l'intensità delle vibrazioni sismiche. Per costruire un sismografo è necessario riuscire ad identificare un sistema di riferimento che possa essere ritenuto in quiete rispetto al suolo che sta vibrando. Il problema è stato risolto applicando il principio di inerzia. In pratica un sismografo, nella sua struttura essenziale, è costituito da un corpo sospeso, sufficientemente massiccio da mantenere per inerzia il suo stato di quiete anche durante un terremoto, nonostante le vibrazioni del terreno, delle pareti e del supporto stesso al quale è appeso.
Se si fissa alla massa sospesa un pennino esso potrà registrare le oscillazioni del terreno su di un rotolo di carta il quale, fissato al terreno, vibrerà con esso.
In realtà ogni stazione sismologica deve possedere almeno tre sismografi disposti lungo i tre assi cartesiani, due che registrino le oscillazioni orizzontali nelle direzioni X ed Y ed uno che registri le oscillazioni verticali nella direzione Z. Naturalmente gli apparecchi odierni, pur basandosi sempre sul medesimo principio sono estremamente più sofisticati, arrivando a poter registrare oscillazioni del suolo dell'ordine di 10 cm. La distanza dell'epicentro dalla stazione sismografica si calcola in base al ritardo con il quale le onde S giungono alla stazione rispetto alle onde P.
Tale ritardo risulta infatti proporzionalmente maggiore, per distanze più elevate. I grafici che mettono in relazione la distanza dall'epicentro con l'entità del ritardo delle onde S sono detti dromòcrone.
Naturalmente tale metodo non permette di individuare anche la direzione di provenienza delle onde sismiche. Una sola stazione sismica è solo in grado di determinare la circonferenza, avente come raggio la distanza calcolata, sulla quale si trova l'epicentro. Per individuare in modo univoco l'epicentro è necessario utilizzare i dati provenienti da almeno tre stazioni sismiche. L'epicentro viene determinato come punto di intersezione delle tre circonferenze, calcolate da ciascuna delle tre stazioni. Siano ad esempio A, B e C tre stazioni sismiche, le quali abbiano misurato una distanza dall'epicentro, rispettivamente, Da, Db ed Dc, l'epicentro si troverà nel punto E. Il metodo descritto permette di individuare l'ipocentro (e quindi l'epicentro) di terremoti superficiali. Per trovare l'ipocentro di terremoti profondi il metodo è essenzialmente analogo, ma è necessario in questo caso tener conto che le onde sismiche variano la loro velocità attraversando strati a densità diversa. Diventa quindi necessario confrontare ed elaborare i dati di un maggior numero di stazioni sismografiche al fine di determinare le velocità di propagazione (che per gli strati superficiali sono note).
L'intensità di un terremoto viene stimata in base agli effetti da esso provocati, attraverso la Scala Mercalli. La scala Mercalli, introdotta nel 1902 dal sismologo e vulcanologo italiano G. Mercalli (1850 - 1914), è una scala empirica e soggettiva. L'attribuzione di un certo grado di intensità ad un terremoto dipende infatti per molti versi dal giudizio e dall'esperienza di colui che valuta gli effetti del terremoto. E' inoltre difficilmente applicabile in luoghi deserti in cui gli effetti del sisma non sono verificabili su edifici e manufatti. Inoltre sismi della stessa intensità possono a volte provocare effetti diversi in relazione al tipo di terreno e di fabbricati. Inizialmente la scala Mercalli prevedeva una suddivisione in 10 gradi, indicati con numeri romani. Si va dal I grado in cui il sisma è 'avvertito da pochissimi', al II grado avvertito solo 'da poche persone in quiete' e così via attraverso una descrizione delle reazioni di animali e persone al sisma ed un'analisi dei danni subiti dagli edifici al crescere dell'intensità delle scosse. In seguito i gradi vennero portati a 12 e la scala venne adattata alle caratteristiche costruttive ed alla struttura del terreno proprie di regioni diverse. In tal modo oggi esistono diverse varianti della scala Mercalli, ciascuna ottimizzata per luoghi geografici differenti (in Europa occidentale è molto usata la scala MCS o Mercalli-Cancani-Sieberg). Nonostante la scala Mercalli risulti in definitiva, per le ragioni già esposte, poco obiettiva, continua ad essere usata, sia perché rende immediatamente evidenti gli effetti del sisma, sia perché tutti i terremoti avvenuti in epoche passate sono stati tutti classificati secondo tale scala ed in molte regioni del globo non esistono, ancor oggi, sismografi in grado di effettuare rilevazioni di tipo oggettivo. Quando è possibile è comunque preferibile usare la Scala Richter, introdotta nel 1935 dal sismologo statunitense Charles F. Richter. La scala Richter è una scala oggettiva i cui gradi sono legati da una relazione matematica all'ampiezza delle onde registrate dai sismogrammi. La scala Richter è detta anche Scala delle magnitudo. La magnitudo (M) di un sisma è il logaritmo decimale della massima ampiezza d'onda sismica (espressa in micron), registrata da un sismografo posto a 100 Km dall'epicentro.
M = log a con a = ampiezza massima in
così un terremoto di zero gradi di magnitudo corrisponde ad onde sismiche con ampiezza massima di 1 micron, un sisma di 1° grado ad onde di ampiezza massima di 10 micron e così via. Quindi per ogni aumento di un grado Richter l'intensità del terremoto aumenta di un fattore 10. Un terremoto di 6° grado è 1000 volte più intenso di uno di 3° grado. In teoria la scala Richter non ha limiti superiori, anche se in pratica vi è un limite nella resistenza delle rocce sottoposte a pressione. In questo secolo però sono stati classificati solo un paio di terremoti con magnitudo 8,9 , per cui si usa suddividere la scala in 9 gradi (da 0 a 9). Fino al 3° grado siamo nel campo dei microsismi, non avvertiti dall'uomo. Al di sopra del 6° grado i danni cominciano ad essere notevoli. Oggi esistono strumenti in grado di registrare magnitudo negative (-1, -2 ). Naturalmente non tutte le stazioni sismografiche si trovano a 100 km dall'epicentro. Per questo motivo lo stesso Richter propose una formula modificata in modo da consentirne l'utilizzo anche a stazioni sismiche poste a distanze diverse dall'epicentro.
M = log a + C . log d + D
dove C e D sono parametri variabili da luogo a luogo che dipendono dalla natura del terreno e dal coefficiente di elasticità delle rocce, mentre d è la distanza in gradi dall'epicentro (1° 111 Km).
Conoscendo la magnitudo di un terremoto è possibile stimare in modo approssimato l'energia elastica liberata. La formula di conversione usata per l'Italia è la seguente (con l'energia E espressa in erg):
log E = 9.15 + 2.15 M
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