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MALDIVE E IMPERIALISMO
La storia delle Maldive si divide in due epoche ben distinte: la linea di demarcazione è segnata dal 1153, anno dell'introduzione dell'Islam nell'arcipelago.
IL PERIODO ANTICO
Ben poco si sa sui primi abitanti delle Maldive. Alcuni studiosi accreditano l'ipotesi che le isole fossero abitate già nel primo millennio a.C., basandosi sul fatto che di qui passavano alcune rotte commerciali fra i regni mesopotamici, egiziano e romano con quelli della regione indiana. Più probabilmente, i primi a popolare l'arcipelago furono immigrati dallo Sri Lanka e dalle regioni meridionali dell'India, intorno ai secoli VI e V a.C.: dovevano essere adoratori del Sole, poi convertitisi al Buddismo. Più tardi cominciarono a far tappa da queste parti commercianti arabi in rotta verso l'Oriente.
In quel periodo compaiono le prime leggende. Si parla di pagani adoratori di demoni, di sacrifici umani e anche della pratica di sacrificare giovani vergini ad un mostro cui sarebbe stato dedicato un tempio a Malé. Tutto ciò fino a quando un certo Abu Al Barakat, arabo nordafricano, si sostituì a una vergine destinata al mostro e lo cacciò recitando versetti dal Corano.
IL PERIODO ISLAMICO
A partire da Abu Al Barakat si susseguirono sei dinastie islamiche e quando i portoghesi, nel XVI secolo, si presentarono nell'arcipelago, lo trovarono diviso in due regni. Nei successivi quattro secoli da queste parti arrivarono anche commercianti e militari indiani, olandesi e britannici, ma nessuno si preoccupò di ottenere qualcosa di più che il permesso di farsi i propri affari, perché a nessuno interessava la condizione dei poveri pescatori, né si poteva trarre profitto da poche palme.
Nel 1932, al sultano venne imposta una costituzione che rendeva il sultanato elettivo:ciò favorì ambizioni e intrighi che reso il governo instabile.
Nel 1953
il sultanato venne abolito e venne proclamata
Dal 1948
Gli Inglesi occuparono l'isola di Ceylon, e crearono poi , un protettorato di
queste isole.
Nel 1968 un referendum abolì la monarchia, il Paese diventò una repubblica presidenziale con il presidente Maumoon Abdul Gayoom, che ha assicurato un lungo periodo di sviluppo economico e sociale ancora in atto ed è stato rieletto nelle successive elezioni fino ad oggi.
I decenni compresi tra il 1875 e il 1914 vengono comunemente chiamati dagli storici "età dell'imperialismo". Il termine "imperialismo" venne coniato in Inghilterra negli anni ottanta per descrivere la politica estera del governo conservatore inglese con il quale si voleva definire la diffusione planetaria dell'impero inglese.
Nella seconda metà dell'Ottocento il processo scatena una corsa alla conquista delle colonie, anche a costo di provocare gravi crisi nel contesto degli equilibri internazionali, oltre a permanenti danni nell'assetto sociale ed economico dei paesi sfruttati. Ragioni economiche, quali la necessità di procurarsi materie prime e nuovi mercati per i prodotti lavorati e, ambizioni egemoniche sono all'origine di queste estensioni territoriali.
Sul piano politico, l'imperialismo rappresentò una forma esasperata di nazionalismo: l'amore per la patria, spinto all'eccesso, portava ad identificare la forza di un paese nella sua capacità di imporsi sulla scena internazionale a scapito di tutti gli altri.
A nutrire la prospettiva imperialista era anche un retroterra culturale. L'élite dirigente coltivava l'opinione che la razza europea fosse destinata a svolgere un compito storico: dominare il mondo e redimere le popolazioni selvagge.
L'opinione pubblica europea era fortemente attratta da queste convinzioni, che si sposavano con una moda, quella dell'esotismo: i paesi lontani esercitavano un notevole fascino, sollecitato dalla letteratura e dall'opera di missionari ed esploratori.
L'Inghilterra che a metà del Settecento aveva affermato la propria egemonia in campo coloniale, aveva ulteriormente compiuto passi avanti, dando vita ad un grande impero transcontinentale esteso dall'Australia all'India, da Canada alle isole caraibiche.
Questa nuova mentalità ben presto si diffuse al di fuori dei confini britannici in concomitanza con l'accrescersi dei possessi coloniali degli altri paesi (Francia, Germania, Italia) e dagli stessi Stati Uniti.
Il
dissolvimento degli imperi coloniali fu una conseguenza diretta della Seconda
guerra mondiale. Essa, infatti, indebolì a tal punto gli Stati europei da non
consentire loro di fronteggiare con successo il dilagare delle rivolte
indipendentiste. Le nazioni europee maggiormente colpite in questa vicenda
furono l'Inghilterra e
Diversi fattori resero possibile il fenomeno della decolonizzazione.
La volontà d'emancipazione delle
colonie I fermenti indipendentisti
si avvertirono già nel primo dopoguerra, si rinvigorirono durante e dopo
La perdita di prestigio e
l'indebolimento delle potenze coloniali. Dopo
La posizione anticolonialista di Unione Sovietica e Stati Uniti. I due grandi vincitori della guerra si schierarono contro il colonialismo e contribuirono quindi, in maniera determinante, al processo di decolonizzazione.
Il sostegno dell'ONU al diritto dei popoli all'indipendenza. Il principio dell'eguaglianza dei diritti di tutti i popoli proclamato dalla Carta di San Francisco fece dell'ONU, un sostenitore dell'autodeterminazione delle colonie.
L'atteggiamento
di queste potenze di fronte a questi fenomeni fu duplice, infatti Gran Bretagna
e Francia scelsero di accordare l'indipendenza alle colonie, continuando a
intrattenere con loro solidi legami di tipo economico-strategico e creando
strutture di cooperazione apposite, quali
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