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L'uomo flessibile di Stefano Consiglio




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L'uomo flessibile di Stefano Consiglio


L'uomo flessibile  di Stefano Consiglio Italia - 2003 - colore - 50' - BIBI

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Le funzioni del dialogo filmico


Le funzioni del dialogo filmico Una volta  rilevate le caratteristiche della
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L'uomo flessibile di Stefano Consiglio


Italia - 2003 - colore - 50' - BIBI Film













1 Introduzione al documentario: otto storie di flessibili


Stefano Consiglio, romano, è uno dei documentaristi italiani più prolifici con alle spalle importanti esperienze cinematografiche e televisive; nel 2003 realizza L'uomo flessibile, non esaurendo però il suo interesse per il mondo del lavoro ribadito nel 2004 con Appunti per un film sulla lotta di Melfi: un documentario che riflette sulle ragioni della protesta degli operai della Fiat di

Melfi.


L'ispirazione per il tema de L'uomo flessibile nasce da un articolo letto sulla rivista "L'internazionale", dove si raccontava della trasformazione subita dalla cittadina di Wolfsburg, dove è situata la sede centrale della Volskwagen, dopo l'introduzione in larga scala del lavoro flessibile. Da qui è immediata la volontà di raccogliere storie italiane per indagare e documentare lo stesso cambiamento53. Stefano Consiglio finisce così con l'affrontare con coscienza intellettuale il punto dolente della flessibilità: i costi che l'essere umano è costretto a pagare di persona in termini economici, sociali, fisici.

L'uomo flessibile racconta otto storie di lavoratori più o meno flessibili sparsi per tutta Italia: i protagonisti parlano delle loro personali esperienze, e così facendo affrontano capillarmente le implicazioni più gravi del mondo del lavoro post-fordista. Si riescono in tal modo ad affrontare quei temi che solo oggi cominciano ad essere sondati da sociologi ed economisti, per studiare un fenomeno così invadente, degenerativo e aggressivo come la flessibilità.

Alle storie sono riservati tempi e modi di rappresentazione dedicati e ogni volta diversi, che sembrano seguire e dare sfogo spontaneamente alle loro potenzialità. Si intende a mio avviso fornire ad ogni personaggio i mezzi di espressione di cui necessita, non abbandonandosi al tentativo di uniformare le diverse situazioni. Si passa così da una messa in quadro essenziale e rigorosa, limitata ad un primo piano geometricamente inquadrato, alla costruzione di una sequenza complessa, costruita tramite interventi dissimili e contenuti multiformi. Eppure Stefano Consiglio sembra cercare in ogni volto e nella sua gestualità un significato più profondo, intimamente scavato dall'esperienza, che comunichi

sottilmente emozioni5 Sono infatti emblematici alcuni dei visi scelti, essi inspiegabilmente colpiscono istituendo un'affezione e una complicità uniche: non si dimenticano i volti di Marco, Valeria e di Andrea il ragazzo che lamenta la mancanza di solidarietà. In sostanza queste storie paiono comunicarci molto di più di quello che effettivamente raccontano, riuscendo in maniera sofisticata e impalpabile a raggiungere lo spettatore per mezzo di un percorso tutto emozionale.

La prima testimonianza è quella di Luca, un operaio del nord-est che decide assieme alla moglie di fare turni opposti l'uno con l'altro per poter seguire alternativamente i figli: rinunciando così a dormire, mangiare, vivere insieme. Suo figlio Marco, con gli occhi come due spilli neri, comprende il peso della scelta fatta dai propri genitori, avendo già chiara ad undici anni la fatica del lavoro. Incontriamo poi Raffaele, vedovo con un figlio da crescere, che ha ben compreso come il lavoro debba essere un mezzo per vivere e non può ridurre l'uomo ad un robot, costringendolo a rinunciare anche alla propria identità

spirituale. Lo segue Andrea, un giovane lavoratore che, ripreso in un primo piano drammatico, lamenta la totale solitudine con cui ormai ognuno è costretto a vivere la propria condizione lavorativa, senza sperare di trovare appoggio in alcuna solidarietà di classe: valori a questo punto del tutto consumati dalla flessibilità. A Catania incontriamo Valeria, una giovanissima studentessa universitaria che da anni studia di giorno e lavora di notte, ma non può permettersi di progettare niente non avendo ancora la sicurezza di riuscire a costruire per sè un futuro solido. Sergio fa l'operatore socio-sanitario, ma non riesce a riconoscersi una identità lavorativa, perchè costretto regolarmente a reinventarsi professionalmente; lui ama questo lavoro che però non può considerare suo, rivelandosi sempre più difficile investire così tanto della propria vita su un aspetto talmente mutevole di essa. Ancora a Catania ascoltiamo Giuseppe, un ingegnere elettronico che accetta la flessibilità mettendo in gioco il suo spirito di adattabilità, e segue geograficamente la propria crescita professionale, ma oggi si ritrova a scontare tutti i rischi di quella scelta. Di seguito Vittore, rampante manager nella Milano degli anni ottanta, spiega che oggi a 51 anni sul mercato del lavoro sei un morto che cammina e rimpiange lo sbaglio di avere sempre lottato da solo. Infine Franco ci racconta la sua vita di operaio metalmeccanico alla Fiat di Melfi, e dei seicento chilometri che deve percorrere ogni giorno per recarsi al lavoro. Malgrado i sacrifici è fermo nella volontà di continuare a rimanere nel proprio paese che rischia lo spopolamento, con la voglia di non vederlo morire.

A integrare ogni storia con l'altra, contrappuntandole e dissacrandole, sono state inserite alcune scene con protagonista Antonio Albanese che interpreta vari estratti dal Diario postumo di un flessibile di Luciano Gallino. Albanese si istituisce cosi "uomo flessibile" per antonomasia, protagonista ideale del film.

Il documentario è strutturato in otto sezioni principali in cui ogni storia viene affrontata in un'unica tranche; gli interventi di Albanese invece si sviluppano liberamente, inserendosi nelle interviste oppure separandone una dall'altra.





2 La dimensione narrativa: Diario postumo di un flessibile di


Luciano Gallino


Luciano Gallino è ordinario di Sociologia presso l'Università di Torino, e autore negli ultimi anni di molti volumi che promuovono una riflessione profonda e urgente sulla flessibilità e sugli oneri umani, sociali ed economici che essa comporta. Gallino è inoltre attivo collaboratore del quotidiano "La Repubblica", su cui è stato pubblicato nel febbraio 2002 anche Diario postumo di un flessibile.

L'articolo consiste in una breve relazione di ambito storico ambientata in un ipotetico futuro molto distante, in cui la nostra civiltà risulta completamente estinta, e gli storici dell'epoca cercano di comprendere la dinamica del suo rapido declino. La scoperta del diario di un individuo sconosciuto, vissuto nei primi decenni dell'epoca, fa però compiere un notevole passo avanti negli studi storici sulla civiltà italica del terzo millennio. Il diario viene ritenuto l'opera di un "uomo flessibile", categoria per certo numerosa a quei tempi; si precisa però che i ricercatori ancora non sono riusciti ad appurare se la Flessibilità all'epoca fosse creduta essere spirito, sostanza, persona, archetipo collettivo o logo pubblicitario. Nel testo si riportano poi alcuni estratti del diario di questo individuo, che appunto pare praticasse per convinzione o per obbligo tale culto. Gli estratti del diario sono una dozzina, datati tra il 2001 e il 2022; riferiscono una profonda instabilità professionale, la crisi di identità, l'assenza di sicurezza economica, la perdita del diritto d'acquisto, la difficoltà invecchiando di continuare a riciclarsi nel mondo del lavoro. In chiusura alla relazione un ultimo commento spiega che gli storici ipotizzano, sulla base di questo ultimo ritrovamento, che il culto della Flessibilità abbia avuto un peso non lieve nel declino della civiltà italica, distraendo ipnoticamente le masse da ogni altro fine esistenziale.

Il testo è assolutamente dissacrante, denunciando la totale assenza di una riflessione socio-politica e tanto meno di una presa di posizione forte in merito alla flessibilità, finora sottovalutata come la lamentela di una classe lavoratrice svogliata. Tuttavia la forza dell'articolo di Gallino viene modificata e rivista da Stefano Consiglio, che decide di mettere in scena il lavoratore flessibile autore del diario. Eliminando la cornice del ritrovamento nel futuro, i brani divengono sfoghi personali dell'uomo flessibile che parla di sé, e sembra confidarsi con lo spettatore. In tal modo quelle vicende raccontate in prima persona acquistano in un certo senso valore universale, coincidendo e integrandosi spesso e volentieri con le esperienze reali raccontate dai protagonisti del documentario. I brani del diario che si decide di citare hanno sempre forti connessioni tematiche con le vicende dei protagonisti, anticipando o precisando questioni affrontate nelle interviste; tali associazioni sovvertono spesso l'ordine originale degli estratti proposti. Certamente il taglio polemico del testo originario viene accantonato, ma rimpiazzato in modo originale dalla componente umana e artistica di Antonio Albanese; attraverso l'interpretazione di questo personaggio si toccano con finezza inconsueta livelli altissimi di significato intrinseco alla rappresentazione.

Concludendo è importante non sottovalutare l'intenzionalità con cui in un contesto documentaristico come questo, e quindi affine alla realtà e suo ricettore, si scelga di introdurre materiali di invenzione e un registro narrativo costruito attraverso la recitazione; la riflessione sulla realtà viene così per un verso inquinata e per l'altro arricchita dalla fiction. L'uso di un regime di rappresentazione misto come questo è ormai del tutto comune, soprattutto per lavori che recano in sè la ricerca di una dimensione più artistica55. Tuttavia questo caso in particolare si rivela ancora più complesso: perché in definitiva alla invenzione narrativa di Luciano Gallino se ne aggiunge un'altra di natura cinematografica, che elegge a personaggio l'autore dei diari e lo colloca in uno

spazio-tempo quasi mentale, parallelo alle testimonianze reali, ma altrove.




3 Antonio Albanese interpreta l'uomo flessibile


Antonio Albanese si forma alla scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano dedicandosi, da diplomato, alla recitazione comica esibendosi in teatri di cabaret; col debutto televisivo consegue subito grande successo di pubblico che si consacra con la popolarità dei suoi personaggi più noti. La carriera di Albanese rimane comunque divisa tra televisione, teatro e cinema, dove oltre a importanti partecipazioni come attore, compie anche alcune felici esperienze da regista e sceneggiatore.

La scelta di Albanese per impersonare l'uomo flessibile, ipotetico autore dei diari, pare azzeccata: infatti con la sua fisicità poliedrica, ma di base normodotata abbraccia emblematicamente la rappresentazione del lavoratore medio. Le doti attoriali di Albanese, che eravamo abituati a cogliere nella gestualità esasperata dei suoi personaggi qui invece si esplicitano in maniera ancora più evidente, proprio nell'uso di modi naturalissimi, ma allo stesso tempo ricchi di significati specifici.

Innanzi tutto occorre sottolineare il lavoro di riflessione e interpretazione che l'attore ha dovuto necessariamente affrontare per estrapolare, da un testo come quello di Gallino, la caratterizzazione di un personaggio, e di seguito orientarlo al suo ruolo nel film. Alcuni brandelli del diario, scritto oltretutto con toni molto spogli e minimali, si costituiscono così come base per la costruzione di un personaggio, che arriverà a usare quel testo di origine come racconto di sé, una confidenza rivolta direttamente al pubblico; con lo stesso tono con cui si confiderebbe con un conoscente, egli si apre allo spettatore in un monologo personale e sentito.

Albanese costruisce un personaggio riccamente definito in una stratificazione caratteriale che emerge nei vari interventi: si dimostra profondamente ottimista, pacato e forse un po' ebete, incapace di leggere i segni che le situazioni gli inviano. Ma ciò che risulta ancor più rilevante è che l'attore sa dotare il suo personaggio di una mimica inequivocabilmente eloquente, che lo rende vivo, tangibile, vero; non meno interessante poi risulta l'efficacia con cui Albanese sa interagire attivamente con l'ambiente profilmico.

Viene scelto per l'ambientazione un luogo fortemente simbolico, uno scalo merci ferroviario: crocevia di uomini, cose, beni da spedire e scambiare, che inevitabilmente richiama il destino dei lavoratori flessibili continuamente costretti a scendere da un treno per ricorrerne un altro. Qui la presenza umana solitaria risulterebbe spaurita a schiacciata da quella atmosfera, invece la fisicità attoriale di Albanese, costruita anche sullo scambio continuo con lo spazio

profilmico56, riesce a convertire l'ambiente rendendolo comune, ovvio: il più opportuno possibile per scambiare confidenze, come potrebbe risultare un bar.






4 L'uomo flessibile


Il documentario si apre con la sola colonna sonora che acquista volume su uno schermo completamente nero; la canzone è americana con un ritmo stile spiritual, incalzante e allegro. Pochi secondi dopo compare sullo schermo un campo lungo a inquadrare lo scorcio di uno scalo ferroviario, con i binari che si perdono all'orizzonte, i vagoni merce parcheggiati e una stentata erbetta verde che ravviva tutto quel ferro; infine a incombere sul panorama un cielo limpido, di un azzurro intenso.

L'inquadratura successiva è ancora uno schermo nero, ma con sovrimpresso il titolo del film: L'uomo flessibile. Di seguito ricompare l'immagine precedente, ma che questa volta si anima della presenza umana: dalla base dell'inquadratura compare di spalle, ballettando a tempo di musica, Antonio

Albanese. A questo punto il brano musicale acquista valore diegetico: ossia la presenza effettiva e reale sin dal profilmico, testimoniata dalla facoltà del personaggio di sentirla e ballarvi sopra a tempo. Piroettando e ancheggiando a destra e sinistra Albanese raggiunge i binari al centro dell'immagine e si mette a camminarci sopra, stando in equilibrio sulle verghe; a questo punto si passa ad una nuova inquadratura: un piano a figura intera che ci mostra frontalmente l'attore. Un ultimo stacco ci riporta allo stesso identico campo lungo, in cui vediamo Albanese continuare a ballare mentre si allontana seguendo le rotaie.

Questa prima sezione del film è usata da preteso per annunciare la presenza di Antonio Albanese: qui si adottano modalità originali e divertenti a sottolineare, e forse anticipare, la natura dissacrante del ruolo dell'attore in tale contesto. All'interno di questa sorta di introduzione al documentario vengono inserite, tramite scritte bianche in sovrimpressione, anche alcune informazioni circa l'edizione e la produzione del film. Nell'insieme la sezione sfugge sapientemente alla pesantezza e lentezza che sovente assumono i titoli di coda; in questo caso infatti si riesce a usare in modo efficace il pretesto della musica che diventa diegetica per accompagnare l'ingresso di Albanese, così la scena acquista valore e interesse grazie alla originale fisicità dell'attore.

La breve sezione introduttiva si interrompe bruscamente catapultandoci in modo repentino nel documentario; esso si caratterizza fin da subito per la scelta particolare di usare parti recitate ad arricchire le testimonianze dei protagonisti. Infatti l'ingresso nel corpo vero e proprio del film avviene tramite un altro scorcio dello scalo ferroviario, in cui Albanese salta letteralmente dentro, mentre la musica sfuma velocemente.

In un piano americano frontale, statico e impeccabile per la sua costruzione architettonica interna, Albanese comincia a recitare il primo estratto dal Diario postumo di un flessibile di Luciano Gallino. Quello qui proposto è proprio il primo giorno del fantomatico diario datato Ottobre 2001, in cui il lavoratore si dice soddisfatto della flessibilità; a lui piace cambiare così spesso e conoscere persone sempre nuove, in questo modo poi riesce ad arricchire la propria professionalità e spenderla al meglio. Certo precisa che certe volte è costretto a richiedere l'appoggio economico dei sui genitori, perché possono trascorrere anche diversi mesi tra un impiego e l'altro.

Il testo originale è riletto e interpretato in maniera personale da Albanese che finisce col modificarne alcuni particolari, in tal modo riesce però a renderlo con estrema naturalezza. La caratterizzazione fisica e i modi della comicità di Albanese trovano qui ampio riscontro, dando vita ad un personaggio particolare: dai modi pacati, ma con un'espressività molto marcata e singolarmente ironica.

La costruzione formale della scena è anch'essa molto originale: infatti dal piano americano di partenza si passa con un raccordo sull'asse ad un mezzo busto; ma proseguendo ancora l'attore viene inquadrato di profilo, in un contesto profilmico differente per poi ritornare al mezzo busto precedente. E' interessante precisare che questo scambio creativo di piani segue, soprattutto verso il finale, le pause e gli intercalari del monologo, sottolineandoli in modo significativo.






5 Luca e Marco


All'immagine di Antonio Albanese si sostituisce quella del primo protagonista del documentario: Luca, che vediamo ritratto in un primo piano. Lui riflette ad alta voce sui modi possibili per arginare questa flessibilità; precisa che occorre tenere presente che un'azienda deve poter produrre e guadagnare, altrimenti sceglie di spostare altrove i propri impianti, e questo è una ricatto a cui i lavoratori vengono sempre più spesso sottoposti. Una ditta va avanti per scelte aziendali, in merito alle quali il lavoratore è chiamato di volta in volta a decidere se accettare o meno. Presso l'azienda per cui lui lavora hanno decretato la volontà di raggiungere il massimo utilizzo degli impianti, ma nel giro di pochi anni anche questa scelta è di nuovo sul tavolo, perché non è più sufficiente: oggi bisognerebbe poter disporre di totale flessibilità produttiva, riuscire a produrre solo quando serve. Rincorrendo tale necessità presso di loro si è aperta una nuova vertenza di anno in anno più pressante, che chiede ai lavoratori di concedere la flessibilità, non più per l'orario di lavoro, ma come monte ore aggiuntivo; questo a fronte del massimo utilizzo degli impianti comporterebbe dare la propria disponibilità a lavorare sette giorni su sette. Il protagonista spiega poi come, secondo lui, l'impatto sociale non sia una questione di molta rilevanza per l'azienda: non si pone come un problema il fatto che le persone non riescano ad andare a dormire sempre alla stessa ora. Il fatto che la qualità della vita dei propri dipendenti non sia tra le voci di utile e di perdita nel bilancio aziendale, la rende una preoccupazione trascurabile.

Luca riflette, grazie alla propria personale esperienza, su tematiche di respiro molto più ampio, che investono i principi del mutamento radicale dell'andamento socio-economico contemporaneo. Infatti la storia dell'impresa moderna è arrivata oggi a un epilogo importante, in cui si è pienamente affermato un processo di de-responsabilizzazione dell'impresa che è riflesso anche dal dilagare della flessibilità intesa in senso produttivo, occupazionale e di monte ore lavorative. Per mezzo di essa, anziché assorbire le variabili dei mercati mediante innovazioni di prodotto o di processo, mutamenti delle strategia di mercato, o maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, un'impresa può trasferire i suoi

effetti sulle spalle dei dipendenti57.


Il lungo monologo del protagonista è composto dal suo volto ripreso in piani differenti e dal breve intarsio del mezzo busto di un bambino, il figlio dell'intervistato, attento mentre ascolta la conversazione con gli occhi accesi dall'interesse.

A questo punto viene proposto un altro intervento di Albanese, che recita un secondo estratto dal Diario postumo di un flessibile. L'ordine con cui i vari

passi del testo vengono qui proposti non è quello originale, infatti nel documentario si sceglie di privilegiare l'accordo di argomenti tra il testo e le testimonianze reali, incorrendo per questo in salti e ritorni all'indietro lungo il diario: quello recitato a questo punto è il brano datato Novembre 201

Albanese ci dà notizia che l'azienda per la quale lavora, dopo svariati contratti precari, gli ha finalmente offerto il tempo indeterminato; in cambio ha preteso per via della flessibilità la sua disponibilità a lavorare a turni fatti di sei ore, compresi in un qualsiasi intervallo tra le sette e le ventiquattro, in qualunque giorno inclusi sabato e domenica. Naturalmente l'azienda si adoperava ad avvisarlo circa il suo orario almeno due o tre giorni in anticipo; naturalmente lui ha accettato.

Con un'euforia mitigata dall'espressività compita il personaggio ci comunica così la conquista del tanto atteso contratto di lavoro a tempo indeterminato. Certo egli sembra ritenere sacrosante le condizioni di flessibilità che gli vengono imposte, accettandole di buon grado con un ottimismo incrollabile che rende tutta la scena grottesca: per contrasto si sottolinea così l'intollerabilità di tali modalità lavorative. La scena è costruita con un primo piano abbastanza largo che si alterna ad un piano americano, seguendo anche questa volta le dinamiche della struttura del testo.

Concluso l'intervento ritorniamo alle testimonianze reali: questa volta ad essere intervistato è Marco, il bambino inquadrato fugacemente in precedenza. Ripreso mentre è seduto a gambe incrociate sull'erba, il bambino risponde ad

alcune domande, poste dalla voce off58 del regista circa la situazione lavorativa dei suoi genitori. Marco ci informa che suo padre è operaio metallurgico presso la Zanussi, dove costruisce motori per freezer e frigoriferi; sua madre, anche lei operaia, lavora alla San Marco: un'azienda tessile che produce stoffe e indumenti.

Colpisce lo sguardo del bambino molto vivace e intenso; altresì interessante risulta la scelta di includere la voce di Stefano Consiglio nel montaggio dell'intervista. Più avanti nel corso del film si ripeterà questa sua irruzione nella diegesi arricchendosi addirittura della sua presenza fisica, ma tali episodi rimarranno solo delle eccezioni a costellare la regola, fondata sulla scelta di negarsi nel racconto in quanto soggetto enunciatore59. Consiglio sembra giocare col regime narratologico, spesso nel genere documentario troppo rigoroso e quasi temuto, come un dogma inviolabile per garantire allo spettatore la sensazione di realtà60. In questo caso vengono abbandonati quei falsi miti, costruendo in maniera composita e molto articolata una riflessione sulla realtà, in cui l'autore spesso ci fa l'occhiolino svelandosi. Stefano Consiglio non è nuovo a questo tipo di "manifestazioni" che in altri lavori trovano spazi anche più ampi61.

Di seguito si ritorna a Luca che spiega di avere abbandonato il posto da impiegato in favore di un lavoro come operaio turnista, con lo scopo di avere orari opposti a quelli della moglie e poter così seguire alternativamente i bambini dal lunedì al sabato. Ammette che alla scelta della carriera ha anteposto quella di riuscire a vedere crescere i propri figli.

Con uno stacco repentino ritorniamo a Marco: innanzi tutto gli si chiede se un lavoro può essere allegro e lui ingenuamente fa riferimento al mestiere del clown, poi però precisa che esistono anche lavori molto duri, come quelli dei suoi

genitori. In merito al turno notturno dice di ritenerlo molto stancante, perché alla fatica della giornata e di dover restare alzati fino a mezzanotte, si aggiunge quella del lavoro vero e proprio. Tutta la scena è trattata per mezzo di due primi piani identici fondati sull'espressività del bambino.

Si ritorna ancora una volta a Luca che continua spiegando la dinamica dei suoi turni, rendendoci palese la sua impossibilità di dormire e mangiare alla stessa ora per più di una settimana consecutiva. Ovviamente si lasciano intuire i conseguenti effetti devastanti sul fisico di una persona, e inoltre si fa presente come la propria vita sociale diventi difficoltosa, perché risulta sempre più complicato far coincidere i propri turni con quelli dei conoscenti.

A questo punto viene introdotto l'uso di materiali particolari: si mostrano alcuni estratti di film di famiglia che ritraggono Marco molto piccolo, assieme al fratellino e alla madre. Le immagini manifestano qualità di ripresa scadente, ma anche per questo ricche del fascino della memoria; su di esse poi si sceglie di lasciare visibili le indicazioni sovrimpresse circa la data e di mantenere l'audio originale, appena modificato associandolo ad un brano musicale di accompagnamento. La canzone è un rock americano scanzonato, che si sposa bene con l'euforia manifesta in queste brevi immagini. L'uso di tali materiali

suscita negli ultimi anni molto interesse tra documentaristi e pubblico62: in maniera sempre più insistente si comincia a considerare il film di famiglia come brandello di memoria collettiva, portatore di una immensa coscienza del tempo, per questo cresce sempre più la volontà di utilizzare quelle riprese private in film di più ampio respiro. A tal fine esiste il progetto di un "Archivio filmico della memoria familiare" in fase di realizzazione a Bologna grazie all'Associazione Home Movies, attraverso il quale i filmmaker potranno attingere liberamente a

tali materiali63.


In questo caso specifico, è più che ovvia l'intenzione di usare quei filmati allo scopo di coinvolgere e presentare nel documentario l'intera famiglia. Infatti le scelte e l'organizzazione della vita di Luca sono state da lui presentate come alla base di una più globale organizzazione della propria famiglia, a cui si attribuisce un valore inviolabile. Marito e moglie hanno scelto di porre la loro famiglia sopra tutto il resto, sacrificandosi in nome di essa dal punto di vista lavorativo. Così allargare la rosa dei protagonisti di questa prima storia del documentario risulta una esigenza naturale: articolata prima nell'introduzione della intervista a Marco, poi nella proposizione dei film domestici.

A seguire veniamo a trovarci nel salotto di Marco e inscenando un piccolo gioco di controcampi si introduce, con al complicità del padre, un'altra breve intervista al bambino, che stavolta parla di sé e dei propri progetti per il futuro.

Ritorniamo da Luca, che ci spiega la difficoltà che i suoi figli hanno incontrato per comprendere i loro orari di lavoro sempre diversi; ad oggi questi sono ritmi assodati e i bambini dimostrano anche di avere compreso che un certo tipo di turnistica è molto stancante. Luca continua rivelando che secondo lui non è sempre il caso di far pesare ai bambini la loro stanchezza, e spesso preferisce rinunciare a un po' di riposo per poter dedicare loro del tempo.

Infine si propone un'ultima tranche di intervista a Marco, che dimostra di avere afferrato perfettamente la pesantezza di quei ritmi di lavoro, con la coscienza che aumentando le esigenze produttive di conseguenza il lavoro deve coprire un ciclo quasi continuo. In conclusione Marco racconta della volta in cui ha potuto visitare la Zanussi, dove lavora suo padre, rimanendo stupito dell'imponenza dei macchinari e non riuscendo a immaginare la presenza umana in relazione a quei "marchingegni".

Questa seconda parte dell'intervista a Marco, divisa a sua volta in due tranche, lo ritrae in salotto mentre sta seduto sullo schienale del divano. La scena è ripresa con un campo medio, in cui si include anche uno scorcio della stanza con gli oggetti e le foto appese alle pareti. Ancora una volta colpiscono gli occhi scuri e profondi del bambino, il suo piglio intelligente e sincero.

In relazione all'uso continuo dell'intervista come mezzo principe di indagine dei protagonisti e della loro realtà, è possibile individuare una cifra stilistica interessante a cui si farà ricorso ampiamente durante il resto del film. Infatti la trattazione formale delle interviste spesso sfrutta parti diverse di una ripresa più lunga, montandole semplicemente accostando in molti casi inquadrature pressoché identiche. La volontà di non adottare la regola del raccordo dei piani per porre le inquadrature in sequenza, non destabilizza la visione: pur evidente tale scelta non risulta invasiva, anzi contribuisce ad un montaggio semplificato e naturale.

A giusta chiusura della prima delle otto storie è inserito un nuovo intervento di Antonio Albanese. L'attore è inquadrato a figura intera, posto in una posizione decentrata verso sinistra, concedendo così ampio spazio allo scorcio dello scalo merci. Il brano che viene recitato corrisponde a quello datato Marzo 2009, qui l'uomo flessibile dà notizia che la ditta per cui lavora gli ha rinnovato il contratto per altri tre mesi, invitandolo ad avere fiducia per una futura assunzione definitiva, visto che circa il 20% su duecento assunti ha ottenuto a lungo andare il tempo indeterminato.

La costruzione della scena è molto originale: allo scorcio fisso sul fondo viene di volta in volta posta in sovrimpressione la figura di Albanese, con posizioni diverse e piani sempre più stretti; sino a raggiungere un primissimo piano centrale, con la luce di taglio sul volto. Gli scambi tra i piani avvengono tramite lunghe dissolvenze e coincidono con la divisione in periodi del testo. La recitazione è come sempre sopra le righe, ma i toni sembrano incupirsi un po' questa volta, quasi che il lavoratore stia effettivamente cominciando ad avere coscienza della propria situazione.

Ancora sul volto di Albanese si avvia l'audio della sezione successiva, posticipando invece di pochi secondi lo stacco visivo.





6 Raffaele


La nuova sezione si apre col mezzo busto di Raffaele, il secondo protagonista è ripreso da un camera a mano mentre sta passeggiando; sentiamo subito la voce di Stefano Consiglio che gli pone una domanda, scegliendo anche in questo caso di rendersi tangibile in quanto soggetto enunciatore. Il protagonista racconta di riferirsi ironicamente all'azienda in cui lavora, la Zanussi, come ad una s.p.a. interpretando la sigla "società per favore aiutami". Con questa battuta si riferisce al fatto che troppo spesso quella azienda è considerata come una fonte di lavoro irrinunciabile, che se venisse a mancare costringerebbe i lavoratori ad essere di nuovo emigranti. Lui si dice in disaccordo con questa opinione e precisa che occorre smettere di pensare che l'azienda debba essere una fonte di lavoro inesauribile, perché invece viste le tendenze del mercato e della produzione un giorno o l'altro anche la Zanussi cambierà politiche produttive.

Dopo queste sue parole viene applicato all'immagine del volto un effetto ralenti, e in perfetta corrispondenza nella colonna audio prende corpo un suono di campane. Segue l'immagine di Raffaele ritratto di spalle mentre è seduto tra le panche di una chiesa: uno zoom si avvicina progressivamente mentre continua lo scampanio. Di seguito un campo medio, questa volta fisso, lo ritrae farsi il segno della croce, poi alzarsi e uscire; in questa inquadratura la presenza umana è soffocata dalla prospettiva delle filate di panche, che si stagliano verso un francobollo di luce invadente, debordante dal portone della navata centrale. D'un colpo solo con questo paio di immagini si evidenzia perfettamente la sensibilità spirituale di Raffaele; in tal modo si intende descrivere caratterialmente il personaggio, arricchendo di molto quelle che saranno le sue parole successive. Quindi anche in questo caso si decide di associare alle interviste materiali e immagini più significative dal punto di vista emotivo, accrescendo di molto, secondo me, il valore emozionale e coinvolgente del documentario.



Segue un'altra tranche di intervista a Raffaele, che questa volta ritroviamo seduto su una panchina assieme al regista, incluso anche lui nell'inquadratura. Il soggetto enunciatore decide in questo caso di manifestarsi addirittura fisicamente, dopo le incursioni verbali in qualche tratto delle interviste precedenti.

Raffaele propone una riflessione interessante su che cosa sia il lavoro: per lui è identificato con la fabbrica, che gli permette di condurre una vita senza rinunce, garantendogli tutto ciò di cui ha bisogno indispensabile. Successivamente precisa però che il proprio impiego deve essere un mezzo, perché al momento che lavoro e soldi vengono posti al centro della propria vita si muore: non si riesce più ad accontentarsi, diventando insoddisfatti delle proprie mansioni e del loro compenso, e sentendosi perennemente in ansia, affannato dalla necessità di fare sempre di più.

Successivamente si torna alla prima modalità di ripresa in cui vediamo il protagonista passeggiare; racconta adesso del momento di crisi della Zanussi, in occasione del quale sono state invitate a intervenire anche le autorità. Anche il suo vescovo si è espresso in merito: facendo pressione sugli operai perchè venissero in contro all'azienda per tentare di risollevarla. Raffaele racconta di avere preso la parola domandando spiegazioni all'autorità ecclesiastica circa il controsenso, che secondo lui si andava a creare, tra la predica che la religione fa in merito al valore sacrosanto della famiglia, e la richiesta di lavorare la notte e la domenica. Continua spiegando che secondo lui ci si dovrebbe preoccupare delle chiese che si svuotano perché le persone vanno solo a lavorare, ma un impiego prima o poi finisce mentre la fede religiosa dura in eterno. Raffaele, nel solito mezzo busto, dice di avere fatto delle scelte ponendo delle priorità in cui si ritrova: ha collocato al primo posto la famiglia e la sua personale spiritualità, perché dalla fede ha riscontrato un aiuto non indifferente, che non era riuscito a ricevere dalle persone.





Proseguendo il protagonista racconta un po' della propria vita, svelando il sogno di trovare una compagna finalmente avverato, ma infranto subito dopo dalla sua morte per parto. Questa ultima scena ritrae Raffaele mentre passeggia all'aperto, ma non si tratta di un unico piano sequenza: parti differenti della conversazione sono state montate molto semplicemente, accostando in certi casi inquadrature pressoché identiche.

A questo punto si torna alla conversazione ripresa sulla panchina, adesso Raffaele parla di dignità e della sua volontà di accettare proposte aziendali nella misura in cui queste gli consentano di vivere. Spiega che se si esce distrutti dal lavoro in fabbrica diventa impossibile riuscire a fare il resto, a far fronte alle necessità della propria famiglia. Conclude precisando che occorre rendersi conto che il lavoro serve per vivere, ed è a partire da questo punto fermo, non sempre chiaro, che bisogna agire di conseguenza. In questa scena si fa uso, per la prima volta, di una serie di primissimi piani molto stretti, che riescono a sottolineare benissimo la gravità delle parole del protagonista, accentuando il coinvolgimento da parte dello spettatore.

Viene inserito adesso un altro intervento di Antonio Albanese estratto dal brano del diario datato Luglio 2016. Qui il lavoratore flessibile ci informa telegraficamente di soffrire da un po' di tempo di mal di schiena e di avere prenotato una visita. Albanese è ripreso in un primo piano da manuale con alle spalle i treni.

Ritorniamo di seguito al protagonista ancora seduto sulla panchina, che prosegue a dire che non è possibile continuare a lavorare sempre di più, senza sosta, perché non siamo dei robot, ma persone e abbiamo delle necessità psico- fisiche da rispettare; precisa che quando si è distrutti non si può più rendere.

A seguire si ripropone un altro intervento di Albanese, inquadrato in un piano a figura intera, di spalle mentre si allontana di qualche passo con le mani giunte dietro la schiena. Infine si volta e viene proposto il suo mezzo busto, a incorniciare un'espressione inequivocabile del suo volto, lo stacco tra di due piani coincide, come in precedenza, con la struttura sintattica del testo e le pause interpretative attribuitegli di conseguenza. Il brano datato Settembre 2018 fa riferimento alla visita per appurare le cause del suo mal di schiena: ogni volta che si decide a fare la prenotazione è costretto a disdire perché si ritrova ad essere di turno; il fatto è che stando al diario sono passati ormai due anni dal primo manifestarsi dei sintomi. L'uomo flessibile, Albanese, si mostra visibilmente scocciato, ma giustifica il suo continuo rimandare alzando le spalle e contraendo il volto, in una smorfia che denuncia la sua totale impotenza.

Ritorna per l'ultima volta il protagonista di questa seconda storia, che riflette sulle conflittualità interne all'azienda, createsi a fronte delle continue pressioni. Una situazione del genere non fa secondo lui l'interesse dell'azienda, perché rende gli operai sicuramente meno disposti ad accettare le richieste che vengono loro fatte. Conclude dicendo che la dirigenza dovrebbe essere in accordo con la forza lavoro, se pretende che vangano accolte le sue richieste.

Raffaele compie col suo intervento una riflessione importante circa lo spazio e le energia che il lavoro è giusto prenda nella vita di ognuno. Lui personalmente non accetta di annullarsi completamente in nome di uno stipendio sicuro a fine mese, ma pone delle priorità come la dignità personale, la famiglia, la propria sensibilità interiore, che meritano uno spazio adeguato e irrinunciabile. Raffaele ritiene fondamentale non perdere di vista che il lavoro deve essere un mezzo per potere poi vivere la vita che si desidera, e non il contrario.






7 Andrea


Ad anticipare la prossima storia viene inserito un altro estratto di Diario postumo di un flessibile datato Marzo 2009, dove si rende noto che il contratto di tre mesi in scadenza tra pochi giorni è stato rinnovato per altri sei. Il lavoratore flessibile ha apprezzato il rinnovo, costatando così di essere apprezzato, ma avrebbe gradito solo un po' di preavviso risparmiandosi così la ricerca affannosa di un altro lavoro.

Albanese è ripreso mentre cammina in un mezzo busto di profilo, contemporaneamente in secondo piano un vagone merci si muove di un moto sincronico all'attore. La scena è ancora una volta divisa in varie inquadrature identiche, interrotte in corrispondenza delle cadenze espressive della recitazione. L'attore si volta solo nel finale verso la telecamera, a sottolineare l'uso di una esclamazione, che peraltro arricchisce in maniera personale e realistica il testo.

La terza storia ha come protagonista Andrea, un ragazzo ripreso in un primo piano statico, su uno sfondo rosso molto intenso; in questo caso la scelta illuminotecnica e di messa in quadro è molto curata, infatti il volto del protagonista è tagliato da una luce trasversale che gli rischiara solo la parte destra del viso, lasciando in ombra il resto. L'intervento di Andrea è conciso e trattato in maniera uniforme per mezzo di un piano sequenza unico, con la sola introduzione in coda di due brevi inquadrature di composizione identica.

Il protagonista denuncia di sentire una certa distanza tra i lavoratori, percepisce la sensazione di considerarsi ognuno isolato dall'altro, negando qualsiasi sentimento di solidarietà. Si scade così nella solitudine del lavoro in cui ciascuno ha in mente il proprio percorso: una linea che si crede abbia un proprio ordine, quando invece è costituita da profonda confusione e illusione. Le problematiche degli altri vengono percepite meno, come attenuate, pensando che non possano ricadere su di noi: portandoti così ad una sorta di indifferenza e adattamento.

Andrea non trova alcun appoggio alla sua rabbia verso un mondo del lavoro che non lo accetta e che non può sentire proprio, nemmeno da chi è nella sua stessa situazione; solo adesso, resosi conto sulla propria pelle di questo isolamento, comincia a percepirlo come un problema. In questo caso non si lascia fornire al protagonista alcuna informazione su di sé, circa il suo lavoro e la condizione familiare, che invece finora aveva trovato largo spazio: si agisce in tal modo quasi a rimarcare il valore assoluto della sua constatazione.

La riflessione di Andrea è molto profonda, rilevando un effetto collaterale importante che l'innovazione contrattuale del mondo del lavoro ha causato all'intera classe lavoratrice. Il lavoro flessibile contribuisce di fatto alla frammentazione delle classi lavoratrici e di conseguenza delle loro forme associative: sostanzialmente le persone che lavorano nello stesso ambiente mutano continuamente, minando la possibilità di instaurare tra loro forme di mutuo rapporto e solidarietà. In questo senso quindi la flessibilità preserva i datori di lavoro da un associazionismo pericoloso per i moderni equilibri imprenditoriali6 A fronte di tale incontestabile individualismo la classe lavoratrice ha perso perciò ogni potere sociale ed ogni forza contrattuale.






8 Valeria


In questo caso ci si congiunge per la prima volta direttamente alla storia successiva, che ha come protagonista una ragazza di appena 24 anni, Valeria, intervistata all'aperto, seduta su una scala in pietra nel centro storico di Catania. Il volto della protagonista è molto bello ed espressivo: trasmette tutta la vitalità e la forza d'animo che racconta nella sua intervista; le inquadrature adoperate sono primi piani frontali e piani americani che la ritraggono di profilo. La scelta di ambientazione investe anche la colonna audio, che in sottofondo riporta i rumori della città, inoltre in questa occasione il regista sceglie ancora di inserire la propria voce nelle interviste.

Valeria studia di giorno e lavora di notte in un pub, spiega che a Catania ci sono moltissimi locali che si rivelano lo sfogo naturale di lavoro per gli studenti:

infatti offrono orari flessibili e di conseguenza la possibilità di adeguarsi agli impegni didattici. La protagonista ammette che iscritta all'università la sua volontà era quella di laurearsi in fretta e l'unica soluzione era lavorare di notte, anche se naturalmente implicava un sacrificio notevole.

A questo punto viene introdotta una sequenza che mostra Valeria sul suo posto di lavoro: la vediamo andare avanti e indietro, indaffarata tra la folla che riempie il locale. Tra le inquadrature se ne inseriscono alcune mandate al ralenti che, con la complicità di un brano musicale di sottofondo, ne amplificano il valore introspettivo e le rendono quasi poetiche. La canzone è un brano pop cantato in inglese da una voce femminile molto delicata, che quasi istituisce una certa complicità con la protagonista, unica rappresentante del sesso femminile nel documentario.

Ritornando all'intervista vera e propria Valeria racconta di avere iniziato a lavorare a diciotto anni, e che ha considerato quella sua prima esperienza come l'iniziazione al mondo degli adulti, cominciando solo da allora a sentirsi grande. Consiglio, in voce off, le chiede cosa la spinge ad andare avanti in una situazione così faticosa; lei risponde che studiare le piace immensamente ed è la cosa che sa fare meglio, e crede che la laurea che sta conseguendo le potrà servire a garantirle un futuro migliore, più solido, permettendole di fare un lavoro che le piace. Infine ammette che nei momenti in cui si sente davvero stanca ciò che la fa alzare la mattina è sicuramente tutta la rabbia che ha dentro. Di seguito Valeria racconta le sue prime esperienze lavorative in cui ingenuamente lavorava per moltissime ore al giorno ricevendo pochi spiccioli in cambio; precisa poi che questa è la prima volta che il suo impiego è regolarmente posto sotto contratto. La protagonista poi ci illustra una sua giornata tipo: precisa che la più pesante è quando ha il doppio turno in cui deve lavorare sia all'ora di pranzo che nel dopo cena, ritagliando le ore da dedicare allo studio nel resto del tempo. Scherzosamente Valeria parla del rapporto col suo fidanzato che non vede quasi mai perchè lui invece lavora durante la giornata; loro due non possono permettersi per il momento di progettare una vita insieme considerando la loro precarietà lavorativa, tuttavia la protagonista ritiene questa insicurezza economica ormai un problema generazionale.

A questo punto viene proposto un nuovo intervento di Antonio Albanese legato al brano datato Gennaio 2006: racconta che la sua compagna vorrebbe fare un figlio e anche a lui piacerebbe molto. Purtroppo essendo entrambi dei lavoratori flessibili potrebbe capitare di rimanere ambedue senza lavoro tra un impiego e l'altro, a quel punto sarebbe difficile garantire il giusto sostegno economico al bambino. Pertanto l'uomo flessibile si dice convinto che è sicuramente meglio aspettare, visto che peraltro sono ancora giovani.

Albanese è ripreso in un mezzo busto frontale mentre passeggia lungo i binari, sfuggendo letteralmente alla messa in quadro nel finale; la sua interpretazione costruisce ancora una volta un uomo fiducioso e convinto nella sicura conquista di un futuro più solido, un'illusione che resiste inspiegabilmente alle circostanze, che si configurano di volta in volta più cupe.

In seguito ci si ricongiunge a Valeria, che in questo caso allarga la propria esperienza alla quasi totalità dei suoi coetanei: nessuno può ad oggi contare su un posto di lavoro stabile e su uno stipendio garantito. La protagonista precisa che lei non intende ancorarsi al posto fisso, ma pretende il diritto di poter progettare la propria vita, potendo garantire a se stessa e alla propria famiglia una quotidianità e un futuro dignitosi. Questa volta le parole di Valeria sono più concitate e drammatiche: la questione di un futuro completamente imprevedibile va ben oltre la fatica quotidiana, ciò mina la fiducia in se stessi e la forza di voler fra fruttare il proprio lavoro.

Segue l'ennesimo estratto del diario, stavolta Albanese è ritratto in un mezzo busto ampio che lo mostra dietro ad un muretto a cui sta appoggiato con i gomiti. Il brano recitato è quello datato Maggio 2010, in cui l'uomo flessibile racconta della sua intenzione di acquistare una casa assieme alla propria compagna. Ovviamente non esistono finanziamenti da concedere ai lavoratori flessibili, quindi sono stati costretti a rinunciare; anche in questo caso il tono usato per l'interpretazione è molto pacato, positivo, appena dispiaciuto.

In conclusione al suo spazio Valeria ammette di possedere un'etica incrollabile del lavoro, ereditata da suo padre che le ripeteva sempre di svolgere qualsiasi mestiere al meglio, oppure piuttosto lasciar perdere.

Valeria con la sua intervista ha fotografato perfettamente la situazione di migliaia di ragazzi suoi coetanei, intrappolati dalla precarietà, da un lavoro che divora le proprie energie vitali in cambio di un futuro totalmente insondabile. Attraverso la protagonista e col sostegno degli estratti dal diario è stata posta sul tavolo anche la questione della precarietà economica, legata per forza di cose alla flessibilità, che distribuendo lo stesso volume di lavoro tra un maggior numero di persone diminuisce di conseguenza anche il reddito pro capite65. Infine si è evidenziato anche l'impossibilità per un lavoratore atipico di poter usufruire di agevolazioni economiche come prestiti o finanziamenti, che di fatto mina il potere d'acquisto della persona, escludendola dal mercato.






9 Sergio


A questo punto viene inserito, per introdurre la nuova storia, un altro intervento di Antonio Albanese, che questa volta recita il brano risalente al Luglio 2016: qui l'uomo flessibile parla di sua madre che in definitiva vorrebbe sapere che lavoro fa, per rispondere a parenti e amici che chiedono notizie. L'autore del diario dice che vorrebbe davvero risponderle, anche perché ormai la vede proprio invecchiata, ma il fatto è che dopo tanti lavori non sa nemmeno lui dire che cosa sia.

Si introduce in questo modo così esplicito il dramma identitario che porta in seno la flessibilità, lo stesso argomento sarà approfondito in un contesto reale dal protagonista della storia subito successiva. Restando a questo inserto esso è trattato con modalità ancora una volta originali: si procede infatti mantenendo fisso lo stesso taglio, e di conseguenza il fondo immobile, su cui la figura di Albanese viene fatta progredire da un piano americano fino al mezzo busto di volta in volta decentrato verso destra o sinistra; lo scambio tra questa varie posizioni dell'attore avviene per apparizioni repentine. Questa volta l'interpretazione del testo da parte di Albanese è appena più concitata, arricchita da una gestualità pronunciata, denunciando così un certo fastidio per quella sua situazione così poco chiara e indefinita.

Al primo piano di Albanese si sostituisce quello del quarto protagonista del documentario, ripreso in un primo piano stagliato sul lieve controluce della finestra sullo sfondo. Sergio è un operatore socio-sanitario per disabili mentali gravi, riconosce il suo lavoro come uno tra i più belli, ma ammette la difficoltà nel riuscire a inquadrarlo come la sua professione, quella che dovrebbe essere al centro della sua vita. Secondo lui essere flessibile implica proprio il non sentire mai il lavoro che si sta svolgendo come il proprio, perché inequivocabilmente si è costretti a cambiare e passare ad altro. Il protagonista ricorda che suo padre andava fiero di dire che era un operaio, mentre lui riesce soltanto ad ammettere di "fare" l'operatore sociale, ma non si sente di esserlo. A suo dire l'identità lavorativa è divenuta oramai inafferrabile a causa del cambiamento strutturale avvenuto nel mondo del lavoro, e la possibilità di assumere personale attraverso una miriade di contratti temporanei e flessibili. Per Sergio si rivela quindi impensabile investire idealmente così tanto in un lavoro instabile, che può smettere e cambiare: non è possibile fondare la propria vita su un aspetto così mutevole di essa.

Il problema identitario è sicuramente uno dei più gravi, ma anche il meno sondato tra quelli inflitti dalla flessibilità, le cui conseguenze ricadono sull'interiorità degli individui negando loro anche la sicurezza ideologica. Non sentirsi niente, non trovare definizioni per il proprio status socio-lavorativo vuol dire non potere idealizzare un percorso di crescita professionale e umano: in tali condizioni non si può far altro che proseguire a tentoni sopportando un lavoro in prestito66.






10 Giuseppe


Si pone a dividere la precedente dalla nuova storia Antonio Albanese, che interpreta stavolta il brano del diario datato Luglio 2018, dove si affronta la questione della pensione di anzianità. L'uomo flessibile scrive di avere chiesto ad un esperto quale dovrebbe essere in conclusione l'ammontare della sua pensione, gli è stato ipotizzato un compenso pari a un terzo del suo stipendio attuale nei periodi in cui è impiegato. Lui comprendendo di non poter vivere con una pensione del genere, dice di essersi allora informato su cosa dovrebbe fare per accrescere l'ammontare mensile: il consiglio ricevuto è stato quello di investire, d'ora in avanti, almeno un terzo di quello che guadagna in un fondo pensionistico integrativo.

La scena è costruita attraverso una serie di mezzi busti alcuni più ampi, altri circoscritti al volto e alle mani dell'attore; essi si susseguono alternandosi a seguire anche in questo caso le pause e le forme dell'interpretazione. La performance attoriale è questa volta ancora più ricca ed efficace che in passato: Albanese attraverso una gestualità naturale, ma molto marcata, sa esplicitare alla perfezione il suo personaggio. Esso seppure privo di ogni connotazione biografica precisa, viene qui definito caratterialmente in maniera molto efficace e precisa.

Segue la quinta storia il cui protagonista è ripreso in un primo piano di tre quarti, mentre è seduto sul divano di casa sua. Giuseppe racconta la propria

vicenda personale che prende le mosse dopo la laurea, da una grande voglia di lavorare e di crescere professionalmente; purtroppo Catania, sua città natale, non poteva offrirgli tale opportunità. L'unica via per lui era quella di spostarsi verso città più vitali per il suo settore: come Roma, Torino o Milano; partire significava anche mettere in gioco tutto il suo spirito di adattabilità e flessibilità per accettare situazioni mutevoli dal punto di vista professionale e geografico. Ad un certo momento però, passato del tempo da quella sua scelta, Giuseppe ha sentito di aver perso ogni punto di riferimento, cogliendo la necessità di doversi riappropriare delle proprie origini.

Proprio a esplicitare il forte senso di attaccamento del protagonista alla sua città e alle sua origini, si decide di inserire a questo punto una scena che lo ritrae immerso nel mercato catanese del pesce, ormai deserto, probabilmente quasi concluso alla fine della mattinata. Giuseppe in un mezzo busto è al centro dell'inquadratura, che gli gira intorno mantenendolo come fuoco fisso; le immagini sono due, molto simili e di struttura identica, che vengono tenute sovrimpresse in trasparenza permettendo loro di incastonarsi e sostituirsi l'un l'altra. Vediamo il protagonista sdoppiato in una figura sovrapposta a quella sottostante, e allo stesso modo i colori e le forme del contesto urbano si moltiplicano, costituendo una visione caleidoscopica. Con quel movimento ipnotico della macchina da presa ci viene mostrato per suggestioni uno scorcio caratteristico del mercato e della città; la scena è accompagnata da una canzone rock americana dal sapore lievemente nostalgico. La sensazione che ci suggerisce questa singolare scelta filmica è la simbiosi totale di Giuseppe con la propria città: un attaccamento affettivo fortissimo ai suoi luoghi e alla sua essenza, tanto da divenire un valore per cui vale la pena scendere a compromessi con la propria soddisfazione professionale.

Proseguendo col suo racconto Giuseppe ci spiega che a cinque anni dalla laurea, dopo avere speso questi anni lavorando tra Milano e Roma, si decide a tornare a Catania; qui riesce comunque a trovare un impiego che rappresenta una certa continuità alla propria esperienza professionale. Precisa che in questi casi diventa importante riuscire ad approfittare delle possibilità quando si presentano: cogliendole al volo si prospetta velocemente la possibilità di svolgere un lavoro ancora più stimolante e interessante del precedente, con una retribuzione molto maggiore e possibilità di crescita futura altrettanto elevata; certo aumentano anche i rischi personali che vengono messi in gioco. Per Giuseppe è andato tutto benissimo per il primo anno, ma in seguito a causa di problemi economici in cui si è venuta a trovare l'azienda presso cui era impiegato, il suo contratto di lavoro è stato interrotto bruscamente. Per lui si è trattato dello svanire di un sogno proprio quando riusciva a vederlo ormai concretizzato; per fortuna in pochi mesi è riuscito a trovare un nuovo posto di lavoro, che però non è affatto coerente con la propria esperienza lavorativa, e dove si sente come un numero, perdendo la propria identità costruita negli anni grazie ad un personale bagaglio professionale e umano. Il protagonista adesso si riconosce tagliato fuori dal mercato, e con pochissime prospettive nella ditta in cui sta lavorando. A suo dire questa situazione è piuttosto frequente in Italia: esistono molti manager di 40 o 45 anni che si ritrovano a spasso, perché non sono riusciti a riciclarsi in un'altra attività altrettanto stimolante, che permetta loro di dare continuità di curriculum e di esperienza rispetto a quello che hanno fatto precedentemente.

Questa storia evidenzia il rischio di vedere svanire nel nulla, per via della flessibilità, un percorso duramente costruito e su cui si è scommesso molto della propria identità professionale. Il mondo del lavoro è diventato così etereo e instabile da non potersi permettere di fornire alcuna garanzia; oltretutto i costi dei rischi insiti nel proprio progetto lavorativo vengono pagati personalmente da ogni lavoratore, senza possibilità di evasione.





11 Vittore


Viene inserito a questo punto l'ultimo intervento di Antonio Albanese: le due storie seguenti saranno infatti lasciate scorrere naturalmente senza alcuna intrusione o contrappunto anche soltanto per delimitarle. L'uso di queste parentesi attoriali è stato molto ricorrente nella prima parte del documentario, diradandosi poi gradualmente fino ad esaurirsi precocemente rispetto al film. La motivazione di questa particolare scelta non è facile da ipotizzare: forse si è inteso in tal modo ribadire la libertà e la varietà su cui si è poggiato l'intero lavoro. Di fatto Albanese si congeda definitivamente dal film e con lui scompare ogni traccia e riferimento al Diario postumo di un flessibile.

Il brano recitato a questo punto è quello conclusivo anche del testo, risalente a un mese imprecisato del 2022; qui l'uomo flessibile si lamenta di essere riuscito questo anno a lavorare soltanto sei mesi perché le aziende fanno difficoltà: vista la sua età non ha abbastanza formazione, mentre i giovani che escono da scuola sono più preparati e flessibili. Scrive anche che nell'azienda in cui lavora adesso ha rincontrato un suo compagno di classe che lì è diventato un capo-settore, e di avergli chiesto come fosse riuscito a fare carriera. Lui gli ha risposto di avere cercato di rimanere il più a lungo possibile nella stessa azienda, perché nessuno che salta da un posto all'altro viene promosso.

La scena si avvia con un piano a figura intera di Albanese che cammina lentamente verso la telecamera67, l'inquadratura rimane fissa per tutto il tempo mentre l'attore si avvicina fino a conquistare il primo piano; poi con uno stacco netto si introduce l'immagine di congedo: un primissimo piano a incorniciare la sua ultima frase. In questo caso i toni dell'interpretazione sono un po' più dimessi, lasciando così appena trapelare una certa preoccupazione per il lavoro

che comincia ad essere meno reperibile. Andando ad attenuarsi l'assoluto ottimismo perpetrato sinora dal personaggio, rimane comunque viva la sua perspicacia in qualche maniera rallentata.

Questo intervento di Albanese fa da collante perfetto tra la storia appena raccontata e la successiva, introducendo la riflessione circa la difficoltà di un lavoratore non più giovanissimo di essere accettato dal mercato del lavoro. Ma questo estratto del diario pone l'accento anche sull'introduzione del principio del numero chiuso nel mercato del lavoro, a causa della diffusione dei lavori flessibili. "Nella nuova economia il lavoro decente, con ciò intendendosi il lavoro stabile, ben retribuito, con buone prospettive di carriera e di gratificazione personale, non è destinato a scomparire. E' piuttosto destinato a diventare il privilegio di un numero limitato di eletti. Attorno a loro ruoteranno sempre più vorticosamente circa quattro quinti di lavoratori temporanei, nomadi, precari, di

passaggio, in affitto"68.


Il protagonista di questa penultima storia è Vittore, cinquantenne manager di una multinazionale che ad un dato momento decide di spostare altrove i suoi interessi strategici di mercato. Ritrovandosi sul mercato del lavoro ha appurato che a quella età sei già un morto che cammina, non esisti più. Secondo Vittore il crollo della sicurezza del lavoro è cominciata negli anni ottanta, col rampantismo, lì si è iniziato a capire che utilizzare il massimo possibile della professionalità o delle energie di una persona era molto profittevole. Precisa che oggi si è sempre più spesso obbligati ad diventare dei professionisti, saltando da una collaborazione ad un'altra per vendere il proprio lavoro, limitatamente al bisogno effettivo. Continua con lo spiegare che è quella la tendenza del mercato: qualunque imprenditore messo davanti alla possibilità di eliminare i costi fissi ed altissimi della forza lavoro, per farli diventare costi variabili non può far altro che cedere. D'altronde un'azienda deve rimanere sul mercato, ha un fatturato da

mantenere, dei profitti da garantire e da reinvestire altrimenti è morto; precisa che è cosciente di stare parlando della vita della gente, ma purtroppo la realtà è questa. Vittore rivela che ripensando al passato non commetterebbe più l'errore di fare delle scelte professionali come singolo, perché ha compreso che se si è soli a contrattare si è morti.

Tutto l'intervento è trattato molto semplicemente con un primo piano che ritrae il protagonista di tra quarti; il piglio di Vittore è molto deciso e sicuro di sé, tradisce la formazione da manager capace di analizzare lucidamente anche i bilanci in perdita.






12 Franco


L'ultima storia del documentario è introdotta in maniera molto particolare: il protagonista è riperso in un primo piano mentre annuncia a voce alta, come in un proclama, che lui lavora alla Fiat di Melfi. Di seguito si vedono sfilare dietro un finestrino gli impianti della fabbrica perfettamente illuminati nella notte, a ricordare certi paesaggi della fantascienza cinematografica. Pian piano si sostituisce a quelle vedute industriali il volto di Franco riflesso sul finestrino; accompagna queste immagini un brano musicale molto ritmato fatto di suoni sintetici.

La sequenza continua ancora con Franco in una serie di primi piani, alternati a totali che lo ritraggono con la sua famiglia; lui spiega di voler rivendicare la classe operaia ormai sparita, sottolineando la sua adesione al sindacato e l'attivismo per salvaguardare almeno i diritti conquistati anni fa dai lavoratori. Anche suo zio era un operaio metalmeccanico alla Fiat, e gli ha sempre raccontato la lotta delle tute blu per migliorare la vita in fabbrica; un ricordo per lui vivo è quello dei giocattoli che per natale l'azienda mandava alle famiglie, non avrebbe mai immaginato allora che anche lui un giorno avrebbe lavorato là.





Un'altra breve serie di inquadrature accompagnata dalla solita colonna sonora, che si protrarrà alternativamente fino alla fine della sequenza, ci mostra il protagonista mentre sale sull'autobus che quotidianamente lo conduce in azienda. Segue un breve intervento di Franco, ripreso in un mezzo busto proprio a bordo dell'autobus: spiega che quella di Melfi nasce come zona agricola, e non ha ancora maturato una sua cultura industriale e ancor meno sindacale, questo ha agevolato naturalmente il potere dirigenziale.

Si prosegue con un regime narrativo particolare in cui il racconto di Franco fa da tappeto sonoro continuo, accompagnando come voce off alcune immagini, per poi ricongiungersi alternativamente al primo piano di origine. Qui il protagonista racconta di impiegare cinque ore di viaggio ogni giorno per andare e tornare dal posto di lavoro, coprendo oltre seicento chilometri. Spiega di lavorare per dodici o diciotto turni consecutivi prima di andare a riposo; lo sforzo più grosso però non è la fatica del lavoro, ma proprio la distanza da percorrere quotidianamente. Franco dice di sentirsi sempre spossato, assonnato e che l'unica cosa che lo fa andare avanti è la forza di volontà e la rabbia: d'altronde questa per ora è l'unica chance che gli offre il mezzogiorno.

Si prosegue adesso coinvolgendo anche la famiglia del protagonista, che dietro alle domande del regista si racconta: il padre di Franco oggi ha 59 anni, dopo una vita di lavoro come manovale generico in Italia e all'estero adesso è disoccupato, e senza pensione per via dei contributi quasi mai versati.

Successivamente si introduce un'altra sezione che documenta il viaggio notturno in autobus per raggiungere Melfi: si mostrano i lavoratori appisolati sui sedili, mentre allo scorrere del paesaggio di campagna si sostituiscono gli stabilimenti metallurgici; nel frattempo le cifre rosse dell'orologio digitale continuano a indicare orari improbabili, in cui si dovrebbe ancora dormire. Franco nell'ormai classico primissimo piano conviene di fare una vita molto sacrificata, ma si reputa comunque fortunato in confronto ai suoi coetanei, perché lui almeno è potuto rimanere al proprio paese. Ritorna adesso inquadrata tutta la famiglia e questa volta è la madre di Franco a parlare, ribadendo l'importanza di potere avere vicino a sé i propri figli, precisando poi che questa situazione è molto faticosa anche per lei che in pratica si trova a seguire gli stessi orari del ragazzo. Infine il protagonista ammette che anche se la sua vita privata risulta ridotta a quattro o cinque ore giornaliere, per lui rimane di importanza fondamentale continuare a vivere nel proprio paese: a Salandra, in provincia di Matera, dove ad oggi sono rimasti soltanto quaranta ragazzi.

Adesso tra le cifre rosse che troneggiano nel buio dell'autobus, a indicare le 5:47, vediamo Franco arrivare di fronte ai cancelli della Fiat di Melfi ed entrare per cominciare il turno di lavoro; la sua voce off spiega che per lui l'unica possibilità di risolvere il problema della distanza è sperare che si presenti un altro impiego in alternativa e questo.

Con un cambio totale di ambientazione, ma che mantiene la luce livida e scura della sera, vediamo Franco su un go-kart, indossare un casco e partire per fare qualche giro di pista. Un primissimo piano del protagonista, modificato al ralenti, lo ritrae mentre si abbandona ad un sorriso molto liberatorio, in coincidenza perfetta la sua voce off ci svela della passione per i go-kart; allo stesso tempo si avvia anche una canzone che ci accompagnerà fino alla fine del documentario e per tutti i titoli di coda. Il brano è molto dolce e la voce maschile con un timbro particolare quasi sussurra "It's the wonderful life": la scelta musicale è in questo caso veramente struggente ed emozionante.

L'ultima tranche di immagini si apre con un campo lungo totalmente fuori fuoco, dove la pista asfaltata è diventata una striscia grigia dai contorni indefiniti su cui si staglia un tramonto rosa squarciato dal go-kart roboante. Seguono altre inquadrature che mostrano Franco correre e girare in pista, passando più volte di fronte alla telecamera, fino a quando sull'immagine della sua figura sempre più lontana e piccola compare il titolo L'uomo flessibile.

Il finale è inaspettatamente molto intenso: la levità fin qui adoperata per raccontare le otto storie lascia il posto ad una conclusione più grave e sentimentale. Anche il contrasto forte tra il testo della canzone e la realtà dei fatti raccontati finora colpisce molto, rendendo realmente toccante questo momento; il documentario si conclude così lasciando lo spettatore spiazzato, triste e con la coscienza turbata da una realtà tanto amara.







13 Conclusioni


"L'intento che avevo era preciso: realizzare un documentario dal taglio più narrativo che non d'inchiesta, nel senso di raccontare storie individuali che fossero uno specchio in cui si potessero riflettere tante altre storie simili.69"

L'uomo flessibile sembra rispettare perfettamente le intenzioni di Stefano Consiglio: il lavoro si rivela di grande forza comunicativa, affrontando un tema importante e composito con una chiave di lettura non rigorosamente socio- economica, ma più umana ed emozionale. Certo il documentario si arricchisce di molto per la qualità della dimensione narrativa, usata da sostegno e stimolo per gli argomenti tirati in ballo di volta in volta dalle testimonianze. E anche la volontà di usare per il testo un interprete e una interpretazione tanto riccamente definiti, paga in termini formali e stilistici.

Tuttavia risulta altrettanto evidente e senza ombra di dubbio che il fulcro del valore del film sta comunque nei suoi protagonisti reali, e nelle loro storie. Esse infatti fondano il lavoro di Consiglio a più livelli oltre che definendo necessariamente il piano tematico, dando modo attraverso le loro esperienze di riflettere in merito a tanti aspetti della flessibilità. Di fatto i personaggi si impongono attraverso una insondabile alchimia emotiva, colpendo profondamente lo spettatore e innescando un processo di coinvolgimento raro in

un documentario.


Infine occorre rilevare che al di là del soggetto e dei protagonisti L'uomo flessibile si distingue per una messa in scena e messa in quadro mai casuale, ricca, varia e sempre attentamente studiata, ma che sa dare magistralmente vita ad un risultato naturale e pulito.


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